Call for Papers - Videographic Film Studies: Critica, analisi, teoria nell’epoca della software culture

2017-08-30

Al pari di quel che avviene per il cinema, il destino dell’analisi del film e della critica cinematografica è intrecciato alle trasformazioni della tecnologia. Quando Raymond Bellour analizzava alla moviola “il microcosmo della sequenza di Bodega Bay” (Stam, Burgoyne, Flitterman_Lewis, 1992/99:75) in The Birds non immaginava che un giorno Slavoj Žižek sarebbe entrato tra le inquadrature del capolavoro di Hitchcock, come fa in The Pervert’s Guide to Cinema. La cultura digitale non ha cambiato soltanto il modo di produrre, realizzare, distribuire e vedere film ma, come tra gli altri notava Laura Mulvey in Death 24x a second (2006), sta cambiando e cambierà anche l’orizzonte delle pratiche dei film studies, spingendoci a ripensare alcuni presupposti del nostro modo di fare critica ma anche didattica e ricerca.

La possibilità di realizzare un’analisi del film attraverso la ricomposizione di immagini, suoni, interpolazioni di grafici e quant’altro – insomma di intervenire direttamente sul film per mostrare i processi di costruzione del senso – è una delle novità più rilevanti degli ultimi anni. Si tratta come sappiamo di un’utopia che accompagna più o meno da sempre il cinema (dal concetto di “critofilm”, mutuato dai lavori di critica d’arte di Ragghianti e promosso, tra gli altri, da Adriano Aprà al progetto delle Histoire(s) du cinéma di Godard, dal found footage a trasmissioni pionieristiche come Cinéastes de notre temps). Tuttavia, rispetto a questi e molti altri precedenti, ci sono alcune differenze sensibili.

Anzitutto, queste pratiche oggi sono accessibili a tutti. Sono cioè parte della stessa “software culture” entro cui ormai si muove gran parte del consumo cinematografico, sono condivisibili sulle piattaforme dei social network e di video sharing. Una pratica riservata un tempo a cineasti e studiosi si è trasformata in un gesto di appropriazione collettivo, in un moto di riscrittura e condivisione delle immagini che accomuna fan, critici, filmmaker, studiosi e studenti. Inoltre, si tratta di pratiche che rientreranno sempre di più nelle competenze dell’alfabetizzazione audiovisiva di base delle nuove generazioni.

Pur collocandosi sulla scia delle tradizionali forme della critica e a ridosso dei luoghi canonici della riflessione sul cinema, i video essay innescano uno scarto significativo rispetto all’impostazione di carattere letterario dell’atto interpretativo, finalizzata alla costruzione di un saggio, di un articolo, di un volume. Usare Final Cut e avere sul desktop la cartella con tutti i film di Hitchcock non significa necessariamente saper costruire un’analisi per immagini e suoni che abbia la forza degli scritti di Bellour, Rohmer, Chabrol o Robin Wood, tuttavia è indubbio che la distanza tra testo e immagine del libro di cinema appare obsoleta di fronte alle possibilità offerte dai software. La catena di equazioni tra «film», «testo» e «linguaggio», celebrata a suo tempo dalla semiologia, non funziona più. È il testo stesso a offrirsi nei modi del frammento. Non è più un luogo sacro, dotato di una sua compiutezza, di una chiusura definitiva. Il film è riscritto, smontato e rimontato. Le sue tracce sono inserite in un circuito intermediale che spesso propone nuove risignificazioni.

Grazie ad alcuni blogger e critici che hanno fatto da apripista (Kevin B Lee, Matt Zoller Seitz, Catherine Grant), in poco meno di un decennio il video essay si sta pertanto affermando come forma critica – su siti come «Filmscalpel», «De Filmkrant» –; come pratica accademica – su journal online come «Necsus» e «[in]Transition» –; come strumento promozionale – per piattaforme Svod come MUBI o Fandor, o per distributori come Criterion –; e più in generale come manifestazione di quella che Thomas Elsaesser definisce la cinefilia “of the download, the file swap, the sampling, re-editing and re-mounting of story line, characters, and genre” (Elsaesser 2005:40). A seguito del recente interesse anche del mondo accademico per queste pratiche di analisi per immagini, sono apparse anche le prime pubblicazioni sull’argomento: si vedano, tra gli altri, il testo curato da Christian Keathley e Jason Mittell, The Videographic Essay: Criticism in Sound and Image, e quello di Miklós Kiss e Thomas van den Berg, Film Studies in Motion: From Audiovisual Essay to Academic Research Video (entrambi 2016).

Lo scopo di questo speciale di «Cinergie» dedicato ai videographic film studies (Grant 2013) non è tanto quello di delimitare una volta per tutte i confini di un fenomeno che è, evidentemente, ancora in una fase di trasformazione. Piuttosto, si prenderanno in considerazione da un lato interventi su alcune questioni teoriche (l’immagine come forma che pensa, la funzione del montaggio, le forme della critica e dell’analisi audiovisiva nell’ecosistema della rete ecc…); dall’altro, si sollecitano contributi che adottino i videographic film studies come strumento metodologico, di indagine, che costruiscano il proprio percorso di scoperta quindi a partire dall’immagine e attraverso di essa. Di seguito sono elencate solo alcune fra le possibili questioni da indagare:

  • Analisi del film/Analisi di sequenze.
  • Analisi dello stile di un autore, di figure di linguaggio, di motivi visivi o tematici.
  • Analisi di performance attoriali e/o dei significati culturali di star e celebrities.
  • Analisi delle costruzioni narrative (film, serie Tv, videogame).
  • Analisi del sound design e del rapporto suono-immagini.
  • Teoria del film (riflessioni sul montaggio; teorie spiegate attraverso le immagini).
  • Analisi di paratesti (es. trailer e recut trailer).

Considerata la natura ibrida del video essay – risultato della contaminazione fra pratiche di lunga tradizione (il film di found footage sperimentale, il documentario sul cinema, il film saggio) e forme del presente (i remix, i mash-up, il vidding, tributi e parodie diffusi in rete dai fan) – consideriamo di particolare interesse anche quei contributi che costruiscano il proprio discorso critico e analitico a partire da queste ibridazioni.

Per quanto riguarda la tipologia di contributi da proporre, sono possibili due approcci:

  • Proposte che intendano riflettere su case studies esistenti (della lunghezza di massimo 25.000 battute).
  • Contributi in forma audiovisiva. In questo secondo caso, secondo il modello adottato da riviste internazionali come «[in]Transition», gli autori potranno presentare un videosaggio originale (cioè non pubblicato su altra rivista scientifica), caricato preferibilmente su Vimeo, con una durata di massimo 30 minuti e un testo di massimo 15.000 battute che approfondisca l’oggetto dell’analisi e insieme chiarisca l’importanza della metodologia di ricerca adottata.

Gli abstract (max 1500 caratteri) e una breve biografia dell’autore devono essere inviati a entro il 15 novembre 2017 a chiara.grizzaffi@gmail.com e a andrea.minuz@uniroma1.it La conferma di accettazione avverrà entro il 25 novembre 2017

Se accettati, gli articoli – in italiano o in inglese – dovranno pervenire entro il 28 febbraio 2018 e saranno sottoposti a peer-review.. Il numero 13 di Cinergie sarà pubblicato nel mese di giugno 2018.

Riferimenti bibliografici:

Elsaesser, Thomas, Cinephilia, or The Uses of Disenchantment, in Marijke De Valck, Malte Hagener (eds.), Cinephilia: Movies, Love and Memory, Amsterdam University Press, Amsterdam 2005, 27–44.

Grant, Catherine, Déjà-Viewing? Videographic Experiments in Intertextual Film Studies, «Mediascape», Winter 2013, <http://www.tft.ucla.edu/mediascape/Winter2013_DejaViewing.html >.

Keathley, Christian, Mittell, Jason (eds.), The Videographic Essay: Criticism in Sound and Image, Caboose, Montreal 2016.

Kiss, Miklós, van den Berg, Thomas Film Studies in Motion: From Audiovisual Essay to Academic Research Video. Scalar, 2016 http://scalar.usc.edu/works/film-studies-in-motion/.

Mulvey, Laura, Death 24x a second. Stillness and the Moving Image., Reaktion, London 2006.

Stam, Robert, Burgoyne, Robert, Flitterman-Lewis, Sandy, New Vocabulary in Film Semiotics, Routledge, London 1992 (tr. it. Semiologia del cinema e dell’audiovisivo, Bompiani, Milano 1999).