Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.15 (2019)
ISSN 2280-9481

Valentino, Mussolini e la gestione dell’opinione pubblica americana tra le due guerre. Giorgio Bertellini, The Divo and the Duce: Promoting Film Stardom and Political Leadership in 1920s America, University of California Press, 2019 Oakland (CA)

Elisa UffreduzziUniversità di Roma “Tor Vergata” (Italy)

Pubblicato: 2019-07-16

Un intero libro per mettere a confronto la figura di Rodolfo Valentino e quella di Benito Mussolini, di primo acchito può apparire una forzatura o una banalità: una forzatura se si considera che i due in effetti non si incontrarono mai; una banalità se si parte dall’assunto che quello dell’attore e quello del politico sono a ben guardare due mestieri speculari, trattandosi in entrambi i casi di figure pubbliche che agiscono sulla scena, cinematografica o pubblica che sia.

Eppure, The Divo and the Duce non è né una forzatura né una banalità. Come e perché non lo sia, è quanto mi propongo di chiarire in questa breve riflessione sul pregevole libro di Giorgio Bertellini, che riesce nell’ardua impresa di scrivere qualcosa di nuovo e proficuo su due figure tanto inflazionate.

Il volume è suddiviso in tre parti, seguite da un capitolo conclusivo di riepilogo. La prima parte, “Power and Persuasion”, è composta da tre capitoli, attraverso i quali viene ricostruito il contesto storico-politico in cui presero vita una serie di strategie promozionali, che dapprima condizionarono l’alleanza tra Hollywood e la Casa Bianca, poi – nel primo dopoguerra – influirono sulle relazioni tra cinema americano e arena pubblica, non solo entro in confini federali, ma anche sul piano internazionale.

L’autore prende in esame in particolare le posizioni teoriche di Walter Lippmann e John Dewey sul rapporto tra democrazia e gestione dell’opinione pubblica, dove il cinema gioca un ruolo importante fin dagli esordi, in quanto potente strumento di manipolazione, capace di agire sul sentire e il pensare comune.

In questa cornice teorica si situa la gestione dell’informazione e dell’opinione pubblica attuata dal futuro Presidente Thomas Woodrow Wilson, che negli anni Dieci sfruttò il potere persuasivo della cinematografia dapprima in funzione della propria campagna elettorale, poi – durante il mandato – per assicurare un vasto consenso alle sue politiche di guerra.

Se The Eagle’s Wing (Bluebird Photoplay, 1916) e Civilization (Thomas H. Ince Corp., 1916), costituiscono due esempi emblematici in questo senso, tuttavia l’episodio più celebre di collaborazione tra Hollywood e Washington, scrive l’autore, è rappresentato dalle “Liberty Loan campaigns”, cui fece eco un’ampia copertura pubblicitaria sui quotidiani americani, con la partecipazione di star del cinema americano come – tra gli altri – Mary Pickford, e Douglas Fairbanks.

Questi ultimi, “the Hollywood royals”, per un certo periodo vennero riconosciuti come ambasciatori nel mondo non solo del cinema, ma anche della cultura americana tout court. A tal punto che il loro incontro con Mussolini (Roma, 1926) segnò un punto di non ritorno. L’autore individua in quell’episodio il momento-simbolo in cui l’alleanza Hollywood-Washington estese il suo raggio d’azione al suolo italiano, riverberando al contempo la fama del Duce nel Nuovo Mondo. Nell’analisi di Bertellini l’episodio è infatti significativo di una crescente fascinazione del pubblico americano nei confronti di personalità autoritarie.

Da qui in poi il testo ricostruisce e raffronta puntualmente le pratiche pubblicitarie che vennero appositamente studiate e impiegate per forgiare la popolarità di Valentino e Mussolini. Attraverso un’approfondita ricerca condotta sulla stampa coeva (quotidiani, periodici e riviste specialistiche) e sulle fonti filmiche (i lungometraggi interpretati da Valentino, ma anche i cinegiornali che immortalarono Mussolini), l’autore individua analogie e differenze.

La seconda parte, “The Divo, or the Governance of Romance”, si snoda anch’essa in tre capitoli, nei quali Bertellini analizza parallelamente i ruoli interpretati da Valentino e le strategie pubblicitarie mirate a promuoverne la figura divistica, evidenziando come queste ultime si rivelassero spesso incongruenti rispetto ai primi, restituendo così un’immagine pubblica del divo in contrasto con le aspettative del pubblico, basate invece sui ruoli interpretati dall’attore.

Nei due capitoli che costituiscono la terza parte, “The Duce, or the Romance of Undemocratic Governing”, l’autore si concentra sulle pratiche destinate a promuovere l’immagine pubblica del Duce, rintracciando i mediatori (diplomatici, giornalisti, editorialisti e scrittori, italiani e Americani) che – prescindendo da ogni considerazione politica – contribuirono al culto della personalità del Duce, favorendone così l’ascesa al potere e la fama negli Stai Uniti. Nell’ambito dei circoli politici e diplomatici americani si identificava infatti nell’immagine virile di Mussolini il perfetto alleato anti-bolscevico. Pertanto, oltreoceano si celebrava l’aura divistica di Mussolini, senza tuttavia approfondirne le ricadute politico-sociali: così facendo si allontanava il “pericolo rosso”, ma veniva altresì favorita la svolta anti-democratica ad opera del regime fascista.

L’accurata analisi di Bertellini indaga così le ragioni e i modi attraverso i quali due icone di “mascolinità latina e sciovinista” – Valentino e Mussolini – poterono essere riconosciute come leader dell’opinione pubblica, in un paese – gli Stati Uniti – che contemporaneamente mirava a una maggiore democratizzazione sul piano dell’uguaglianza di genere, della mobilità sociale e della rappresentanza politica.

Due casi di studio – il divo e il Duce – funzionano così da cartina di tornasole dei rapporti tra divismo cinematografico e leadership politica, mostrando come l’impegno pubblico delle celebrità agisca spesso sull’opinione pubblica a un livello più profondo della mera propaganda, fungendo anzi da modello di governo sociale autoritario, secondo modalità e strategie in grado di agire e perdurare anche in seno al più democratico dei paesi.

In special modo nella prima parte, il libro ha la rara virtù di offrire un quadro storico-filosofico esaustivo, collocando la “petite histoire événementielle” – persino l’aneddotica più minuta – nel contesto dei grandi movimenti sociali e politici, senza offrirne una lettura ideologicamente forzata, ma ponendo problemi in modo fruttuoso e interlocutorio nei confronti del lettore.

The Divo and the Duce – come giustamente riconosce l’autore in calce al testo – ha il merito di discutere i casi di studio esaminati superando la distinzione tra storia del cinema e storia politica per proporre un approccio comparativo finora intentato, al di là della mera aneddotica filmografica.