Nel contesto della riflessione contemporanea sulle immagini, mi pare che la posizione di Rancière si distingua per la lucidità con cui è in grado di connettere i temi classici dell’estetica a stringenti problemi di filosofia politica. Si tratta di un problema che l’autore ha affrontato più volte nel corso del suo ampio corpus di scritti ma che viene efficacemente enunciato all’inizio di uno dei suoi testi più rappresentativi, Ai bordi del politico. Qui l’autore ricorda come: “la posta in gioco dell’uguaglianza o dell’ineguaglianza si gioca innanzitutto al cuore delle relazioni sensibili: nella distribuzione degli spazi che costituiscono il pubblico e il privato, nella configurazione di ciò che è visibile […], nel modo di intendere o meno una parola, di intenderla come parola o come rumore” (Rancière, Ai bordi del politico 2001: 11). E, poco dopo, aggiunge: “costruire finzioni non significa raccontare storie immaginarie, bensì riorganizzare i rapporti tra il visibile e il dicibile” (15).
Credo che questo passaggio permetta di introdurci in modo particolarmente produttivo al volume curato da Mirko Lino e Silvia Antosa e – soprattutto – di comprenderne la portata teorica e il valore in quanto strumento di analisi di alcune narrazioni del presente. Non poteva che aprirsi con una citazione dal Foucault de La volontà di sapere una raccolta di scritti che si propone di mappare una serie di sextualità particolarmente rappresentative all’interno di un universo mediale attraversato dalla continua messa in primo piano dell’elemento sessuale.
All’interno di quello che i curatori definiscono il “sexorama” contemporaneo, si rischia di dimenticare quanto le narrazioni connesse al corpo nella sua dimensione sessuale siano (debbano essere?) dei luoghi di contrattazione politica, dove non solo vengono messi in scena corpi egemonici, ma dove c’è la possibilità di esplorare forme di resistenza. Ecco che la breve annotazione di Rancière rivela tutta la sua cogenza: ognuno dei testi raccolti nel volume riesce a presentarci il proprio oggetto di studio come un luogo di elaborazione complesso, dove la police e la politique rinegoziano continuamente la propria posizione reciproca.
Lo dimostra già il saggio di Carla Locatelli, che esplora la dimensione mitologica della sessualità intesa come un peculiare “sistema semiotico di senso”. Lo fa seguendo il doppio binario dell’interpretazione del mito fornita da Malinowski e Barthes, venendo in contatto anche con il pensiero di Foucault, De Beauvoir e Homi Bhabha. Ne emerge un profilo storico-concettuale che, per la vastità dei riferimenti che mobilita e per la chiarezza con cui è in grado di sintetizzare questioni complesse, si presenta anche come un’ottima introduzione ai temi dell’intero volume, in una bibliografia italiana sul tema ancora troppo limitata.
Un banco di prova ideale per queste annotazioni è già offerto dal contributo di Giulio Iacoli, che sceglie come oggetto d’analisi l’opera di Tondelli, ricostruita con grande attenzione alla ricezione critica ed alla possibilità di una lettura queer. Sono i racconti di Altri libertini e la commovente auto-raffigurazione di Camere separate a offrire gli spunti più produttivi in questo senso per diagnosticare (rispettivamente) una progressiva “queerizzazione della voce narrante” e un “uso eminentemente politico del camp”. È così che l’autore ci conduce alla scoperta di un insieme di testi che si rivelano abitati da un Io prima impegnato a ritagliarsi uno spazio di espressione e poi, finalmente (e tragicamente), libero di manifestarsi pienamente, senza ricorrere ad alcun avatar.
Mi pare che i contributi di Giovanna Maina ed Enrico Biasin possano essere letti in parallelo, non solo perché eleggono specifici aspetti della pornografia contemporanea ad oggetto di indagine, ma soprattutto perché dimostrano come specifiche realtà testuali possano/debbano essere considerate prima di tutto luoghi di elaborazione di una politica del corpo sessuato. Maina tratteggia lo sviluppo storico della categoria di porno alternativo adottando il concetto di “indipendenza” elaborato da King nel suo noto studio sul cinema americano. Nella parte finale del suo saggio, poi, spinge la sua analisi ancora più a fondo, convocando una serie di categorie (reale strategico, ripetizione parodica, riappropriazione grottesca), che sono in grado di proporsi come veri e propri strumenti di analisi anche per future incursioni non soltanto nel campo specifico qui delineato. Biasin, invece, indaga le modalità di costruzione delle identità sessuate all’interno del gonzo. Lo fa tratteggiando i contorni e gli elementi qualificanti del fenomeno ed inserendo la sua discussione in una prospettiva di ampio respiro, che muovendo proprio da Foucault, mobilita una serie di saperi sul corpo che rendono conto di una notevole profondità di analisi. I passaggi dedicati all’analisi di alcuni testi paradigmatici sono utili a verificare quanto gesti, atteggiamenti, configurazioni corporee ecc. possano essere letti come elaborazioni di una determinata politica del corpo.
Mirko Lino si occupa della figura dello zombie nel cinema contemporaneo, soffermandosi però sul fascino che il non-morto produce in quanto essere (ancora) dotato di sessualità. Al di là delle singole analisi, assai dettagliate, ciò che colpisce maggiormente di questo capitolo è la capacità di mettere a tema il rapporto fra attrazione scopica e istante della morte. Lo zombie, simbolo di un’oscenità corporea integrale, sembra infatti scatenare le nostre pulsioni proprio perché morto. Un tema cruciale per la cultura visuale contemporanea, come d’altronde l’autore lascia intendere perfettamente.
Luca Zenobi propone invece una ricostruzione che, muovendo dal caso giudiziario von Cleef, transita nei territori dell’exploitation per approdare ad una esibizione del The Wooster Group (1998/2005). A intrecciare queste manifestazioni culturali sono l’iconografia e la subcultura del BDSM che, come dimostra l’autore, è stata in grado di codificarsi in linguaggio espressivo e farsi veicolo di costruzione identitaria, per poi essere riassorbita dalla cultura di massa a più livelli. La densità di questioni messa in campo lascia intendere come ci sia forse ancora bisogno di uno sguardo meno connotato per analizzare serenamente questo fenomeno, ed in questo il testo di Zenobi è esemplare.
Infine, Federica Timeto muove dall’analisi di alcuni specifici prodotti contemporanei (Humans, Westworld, Ex Machina, Her) per esplorare il modo in cui cinema e TV hanno contribuito a costruire l’immagine di intelligenze artificiali incorporate e sessualizzate. Superando il dualismo mente/corpo, queste nuove soggettività sembrano correre continuamente il rischio della feticizzazione sessuale, ma sono anche in grado di rovesciare questo stereotipo per divenire soggetti pieni ed indipendenti rispetto allo sguardo e all’agency maschile.