Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.15 (2019)
ISSN 2280-9481

Quale “mestiere del critico”?
Un’intrusione nella corrispondenza di Guido Aristarco

Paolo NotoUniversità di Bologna (Italy)
ORCID https://orcid.org/0000-0003-4757-6528

Paolo Noto is associate professor at the Università di Bologna, where he teaches and does research in the field of film history. Post-war Italian cinema, film criticism, genre theory, and the history of Italian film industry.

Ricevuto: 2019-04-14 – Accettato: 2019-07-08 – Pubblicato: 2019-07-16

What is “the critic’s trade”? A glimpse into Guido Aristarco’s correspondence

Abstract

The goal of this article is to present and comment upon the findings of some preliminary surveys in the archive of Guido Aristarco, and to outline a few operational hypotheses for a research that investigates Italian film criticism as a field of professional and cultural relations. The figure of Aristarco and the experience of his journal Cinema Nuovo are analyzed through a selection of materials taken from the copious mail archive of the critic, an ideal source to reconstruct both the private and professional relationships in which he was involved. The employed materials come largely from the personal archive of Aristarco, divided into two different repositories, one kept at the library of the Centro Sperimentale di Cinematografia “Luigi Chiarini” in Rome, the other at the library of the Cineteca di Bologna “Renzo Renzi”.

Keyword: cinema; history of Italian cinema; history of film criticism; Guido Aristarco; Cinema Nuovo.

Ringraziamenti

L’autore ringrazia Anna Fiaccarini, Michela Zegna e il personale della Biblioteca “Renzo Renzi” della Cineteca di Bologna, Laura Pompei e il personale della Biblioteca “Luigi Chiarini” del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma per aver reso possibile la ricerca e la consultazione dei materiali d’archivio citati in questo articolo.

1 Aristarco e Cinema Nuovo: continuare il discorso

L'obiettivo di questo articolo è quello di presentare e commentare gli esiti di alcune preliminari incursioni nell'archivio di Guido Aristarco e di provare a definire delle ipotesi operative per una ricerca che indaghi la critica cinematografica italiana quale campo di relazioni professionali e culturali.

Aristarco è un oggetto di ricerca obbligato per questo tipo di indagine. Si tratta non solo di un critico influente e prolifico fin dagli esordi, ma anche di uno studioso la cui produzione è ben conosciuta e facilmente reperibile, nonché dell'animatore di due iniziative editoriali centrali per la diffusione della cultura cinematografica nel nostro Paese, Cinema e Cinema Nuovo. Lo studio della figura di Aristarco è inoltre facilitato dalla presenza di un archivio personale, diviso in due diversi fondi, uno custodito presso la Biblioteca “Luigi Chiarini” del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, l'altro presso la Biblioteca “Renzo Renzi” della Cineteca di Bologna. Il primo fondo è completamente catalogato e consta – solo per la parte di corrispondenza – di circa 2000 lettere, il secondo è al momento in via di inventariazione e comprende soprattutto materiali di lavoro, bozze, appunti, nonché una non trascurabile parte di corrispondenza.

Nonostante l'indisputabile importanza e l'accessibilità relativa di fonti e materiali, Aristarco e Cinema Nuovo sono oggetti scarsamente indagati. I pochi, e ormai datati, tentativi di storicizzazione hanno preso il taglio della celebrazione (Prono 2002), della revisione politica (De Vincenti 1979) o della critica radicale all'impostazione ideologica (Fressura 1977). Lorenzo Pellizzari, già redattore e poi fuoriuscito di Cinema Nuovo, ha scritto che Aristarco è stato “ingiustamente trascurato, praticamente rimosso quando non dimenticato” (2007: 369): ciò è senz'altro vero, ma è altrettanto curioso che, off-the-record, non ci sia dibattito, convegno, occasione informale di discussione sulla critica italiana in cui il nome del critico mantovano non sia evocato, spesso in maniera ingenerosa quale personificazione di tutta una serie di difetti che la cultura cinematografica italiana ha (o ritiene di avere) messo da parte. Forse è più corretto affermare che Aristarco è dato per scontato, cristallizzato nella sua importanza e nei suoi limiti, che Bruno Torri ha riassunto sinteticamente:

Non sempre Cinema Nuovo e Aristarco hanno saputo evitare determinati errori: un certo schematismo (dogmatismo) nell'articolazione dei giudizi sui film, dovuto principalmente a pregiudiziali contenutistiche; un forte contenutismo dichiarato che determinava la scelta dei film e degli autori in base ai temi trattati piuttosto che in base allo stile e alla creazione poetica, oppure la sottovalutazione di opere e autori che non rientravano nell'estetica normativa della rivista (Torri 2004: 61).

Quello che intendo fare con questo intervento non è rivalutare la figura del critico, ma osservarla con l'ausilio di una luce differente, quella che proviene non dalle sue recensioni o dai suoi volumi di storia delle teorie, ma dalla sua ricchissima corrispondenza, dalle relazioni private e al tempo stesso professionali che sono documentate dai fondi prima citati. La necessità di studiare l'attività di Aristarco attraverso la corrispondenza nasce dalla volontà di far emergere, di fianco alle elaborazioni concettuali e alle posizioni estetiche, la rete di relazioni che ne ha strutturato il lavoro: mi pare questo un passaggio utile per ragionare sulla critica come agenzia di mediazione e sul critico non solo come pensatore prestato al cinema, ma come organizzatore capace di mobilitare forze e perseguire un progetto culturale. Questo, oltre che la produzione editoriale pubblica, ci può permettere di comprendere in che modo Aristarco, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, ha esercitato “in base a una naturale legge di ricambio generazionale, il ruolo di direttore d'orchestra e di leader culturale capace di promuovere vasti movimenti d'opinione attorno ad alcuni motivi dominanti più volte eseguiti e variati” (Brunetta 1993: 380).

2 La critica come rete sociale

L'idea di lavorare sulle reti sociali della critica non è del tutto nuova. Lo stesso Gian Piero Brunetta inizia il capitolo della sua Storia del 1993 dedicato al ‘Lavoro critico e teorico nel dopoguerra’ citando gli scambi epistolari occorsi tra Ugo Casiraghi e Glauco Viazzi negli anni della Seconda Guerra Mondiale (Brunetta 1993: 373) e sottolinea che “un'intera generazione di critici raggiunge un'identità collettiva grazie all'estendersi di una fitta rete di relazioni e scambi” (Brunetta 1993: 374). Più recentemente altre studiose hanno seguito questa traccia proprio in relazione ad Aristarco e Cinema Nuovo, analizzando la corrispondenza pubblica della rivista per comprendere le politiche di genere soggiacenti ad alcune scelte editoriali (Mandelli e Re 2017) o per documentare il tono e il contenuto degli scambi tra Bazin e Aristarco rispetto alla questione del realismo e della valutazione del cinema di Rossellini (Wehrli 2012). Ma soprattutto questa strada è stata percorsa nel numero monografico di Bianco e Nero dedicato a Mario Verdone, basato appunto su un uso estensivo della corrispondenza di Verdone, con lo scopo di far emergere “la rete di relazioni e discorsi” (Mariani e Venturini 2017: 43) in cui il critico e studioso si trova implicato. La proposta di Mariani e Venturini (e degli altri autori del numero) si colloca nel solco di una più ampia tendenza nell'ambito della new cinema history: quella di riflettere sui processi di formazione e istituzionalizzazione della cultura cinematografica, ragionando – più che sul livello delle opere (film, produzione editoriale…) – sugli strati sovrapposti di luoghi, reti istituzionali, eventi e prodotti che compongono il sistema preso in esame nelle sue articolazioni concettuali e spazio-temporale (Hagener 2007: 19-30).

Questo articolo si rifà al quadro di interessi e all'approccio operativo dei contributi appena menzionati, ma ha per forza di cose un obiettivo più localizzato. Tornando all'intuizione di Brunetta, si parte dalla constatazione che, nel caso specifico di Aristarco, esista di fatto una continuità, non scontata, tra attività editoriale, elaborazione critica e relazioni private e professionali, di cui la corrispondenza e gli altri materiali di lavoro rendono conto in modo speculare alla produzione teorica. L'ipotesi è che lo studio di questi materiali, messo in relazione con il “versante pubblico” della produzione del critico, possa aiutare a comprendere meglio, per mezzo di attrezzi prelevati dalla “cassetta” predisposta da Pierre Bourdieu, qual è la disposizione di Aristarco come attore situato in un campo (quello critico, a sua volta collegato con altri campi: quello cinematografico e quello intellettuale, ad esempio) all'interno del quale si accumulano, circolano e si convertono forme di capitale culturale, sociale e – come vedremo – anche economico (Bourdieu 2015).

Questo processo è indirettamente osservabile, nel caso che ci interessa, anche tramite l'analisi della produzione editoriale. Citando ancora Brunetta, infatti una delle funzioni primarie dell'opera più ambiziosa di Aristarco, la Storia delle teoriche del film pubblicata nel 1951 e più volte rivista, è quella di fornire “[p]ilastri e strutture fondanti di una nuova civiltà cinematografica da edificare” (Brunetta 1993: 375). Per dirla diversamente la Storia delle teoriche è anche un saggio di quella “competenza specifica” che costituisce la condizione necessaria affinché il critico cinematografico – operante in un campo dai confini incerti e dalla dubbia legittimazione – possa essere percepito come “intermediario culturale” (Andreazza 2014: 396-7). L'opera, in questo senso, si dà come sistematizzazione priva di possibilità immediate di utilizzo in chiave critica, ma necessaria per strutturare il campo, per creare un sapere condiviso e istituzionalizzato relativo al pensiero sul cinema, in un tentativo che per originalità, secondo alcuni, non ha precedenti nella cultura cinematografica internazionale (Rodowick 2014: 68-9). Le differenze tra l'edizione del 1951 e quella, rivista e arricchita, del 1960 appaiono indicative in questo senso, soprattutto se si considera il capitolo dedicato al “contributo italiano” (rispettivamente Aristarco 1951: 143-66 e Aristarco 1960: 265-302). Mentre la versione originaria prende in considerazione in via pressoché esclusiva il pensiero di Umberto Barbaro e Luigi Chiarini (dei quali si mettono in luce elementi quali i punti di contatto e divergenza con l'estetica idealistica, gli influssi dei teorici sovietici, la valutazione del contributo attoriale al film), nella seconda è dato ampio spazio a personalità assai interessanti come Antonello Gerbi e Giacomo Debenedetti, il cui intervento è tuttavia più circoscritto nel tempo ed eccentrico rispetto alla formazione del discorso critico in Italia (su queste reintegrazioni vedi Pitassio e Venturini 2014: 266-7).

Nella seconda edizione appare quindi evidente il tentativo di descrivere in termini storiografici il cammino che ha condotto il pensiero sul cinema a costituirsi sul solco dell'estetica crociana e poi a fare i conti in maniera critica con essa. La prima edizione si concentra invece su due figure che hanno compiuto in un arco esteso di tempo un trasferimento di conoscenze tra i vari ambiti del sapere cinematografico (teoria, pratica realizzativa, organizzazione culturale, critica in senso stretto), manifestando così implicitamente – oltre che il duraturo influsso del magistero di Chiarini e, in subordine, Barbaro – anche la preoccupazione di fornire riferimenti e coordinate al consolidamento del campo discorsivo della critica cinematografica.

La corrispondenza, da questa prospettiva, ci permette di indagare le reti di relazioni che non emergono dalla produzione editoriale e che integrano il versante pubblico dell'attività critica senza necessariamente contraddirlo. In altre parole non si tratta di rilevare una “faccia nascosta” della critica italiana del dopoguerra e del suo più importante rappresentante, ma di mostrare come produzione editoriale e presenza pubblica si combinino con la creazione di relazioni e la gestione di routine lavorative all'interno di un progetto culturale che è stato descritto in termini gramsciani come un “problema di egemonia, che, ridotto ai minimi termini, si traduceva in due questioni da risolvere: indicare obbiettivi avanzati e insieme capaci di produrre consenso e di aggregare le forze esistenti; elaborare forme di lotta adeguate” (De Vincenti 1979: 260).

La questione dell'egemonia rimanda a un'altra, centrale per comprendere il percorso di Aristarco nel dopoguerra: quella della relazione con i lettori. La conquista di una posizione di potere e di prestigio all'interno dello spazio della critica passa attraverso la ricerca e la gestione di connessioni sistematiche con il pubblico di lettori e di spettatori, nonché attraverso il tentativo che Cinema Nuovo compie, insieme ad altre riviste dell'epoca e in sintonia con quanto avviene ciclicamente nel panorama internazionale (Frey 2015: 41-59), di porsi come intermediario tra pubblico e industria del cinema, quindi come unica agenzia in grado di disciplinare il campo caotico in cui si elabora e circola il sapere cinematografico (Noto 2018). L'attenzione di Aristarco per il pubblico, visto come soggetto da educare e guidare, precede peraltro la fase espansiva del dopoguerra ed è già rintracciabile in molti interventi pubblicati negli anni precedenti (Portale 2011: 123-33). È evidente, più in generale, la continuità tra il battagliero giornalista che sfrutta al meglio lo spazio e la collocazione periferica dei quotidiani locali, come nota Luca Mazzei (2010: 536-7), per compiere “un'analisi attenta delle carenze e delle strutture statali e industriali operanti nel cinema italiano (il Centro Sperimentale di Cinematografia, la Mostra di Venezia, la scarsa presenza di libri di cinema nelle biblioteche di paese, la mancanza di cattedre di cinema nelle università […])” e l'animatore di Cinema e Cinema Nuovo che rilancerà quelle stesse tematiche a livello nazionale. Uno sguardo alla corrispondenza di Aristarco, alle reti di interlocutori e alle questioni che con questi affronta, può servire per chiarire questi punti. La lettura della corrispondenza infatti porta allo scoperto una serie di “situazioni” (Santoro 2011: 14) nelle quali Aristarco interagisce con altri attori che insistono sullo stesso campo o su campi limitrofi. Tale sguardo non potrà che essere parziale: la mole documentale del fondo romano e lo stato di catalogazione ancora provvisorio di quello bolognese non consentono in questa sede analisi approfondite e complete della corrispondenza.

Il materiale è stato campionato, nel caso del fondo romano, selezionando dai fascicoli ordinati alfabeticamente parte della corrispondenza con rappresentanti dell'industria (produttori, registi, funzionari di case cinematografiche…) e di quella con colleghi o altri soggetti più o meno centrali nel campo della critica (lettori, collaboratori, inserzionisti…). Nel tentativo di illuminare il processo di lavoro di Aristarco questo secondo tipo di carteggi è stato integrato laddove possibile con materiali di tipo diverso, provenienti per lo più dal fondo bolognese, quali verbali delle riunioni di redazione di Cinema Nuovo, dattiloscritti inediti, brochure promozionali. Richiederebbero un'attenzione dedicata altri carteggi o altre lettere nelle quali Aristarco affronta questioni che qui interessano, intervenendo per esempio rispetto alla vita redazionale di Cinema Nuovo (polemiche personali, rapporti con ex collaboratori, lettere relative all'attività universitaria di Aristarco o di suoi colleghi), ma che per motivi di pertinenza e di opportunità non ho utilizzato. L'arco temporale in cui questi materiali sono distribuiti è ampio e irregolare: la maggior parte dei documenti citati vanno ricondotti alla parte centrale dell'attività di Aristarco come critico (dal dopoguerra ai primi anni Sessanta), ma non mancano lettere e materiali redazionali successivi, fino agli ultimi anni della sua attività.

3 Interlocutori e questioni: Aristarco e i cineasti

In un progressivo movimento di avvicinamento al cuore della sua pratica professionale, un punto di partenza interessante può essere rappresentato dalla corrispondenza che Aristarco intrattiene con soggetti interni al campo cinematografico, ma esterni a quello critico in senso stretto, con i quali egli si relaziona per ragioni principalmente lavorative. Sono molte infatti, soprattutto fino agli anni Cinquanta inoltrati, le lettere che testimoniano di rapporti con registi, produttori, attori, con i quali Aristarco entra in contatto per ragioni legate alla vita dei periodici di cui è animatore (richieste di rettifiche, invio di immagini, questionari, interviste).

Tra questi spicca, per la rilevanza dei soggetti in gioco, la corrispondenza con Federico Fellini. Fittissima attorno alla metà degli anni Cinquanta, la relazione epistolare tra i due non sembra risentire più di tanto della stroncatura di La strada pubblicata su Cinema Nuovo e diventa assai più sporadica a partire dagli anni Sessanta. I primi messaggi tra i due mostrano una cordialità di carattere professionale, con il regista che ad esempio si dice dispiaciuto di non aver incontrato il critico alla prima di Luci del varietà (1951), nonostante gli avesse fatto pervenire l'invito tramite il direttore di Cinema Adriano Baracco (Fellini [1951]). Negli anni immediatamente successivi il tono delle comunicazioni diventa assai più personale e amichevole. Aristarco (1954a) chiama in causa Fellini all'inizio del giugno 1954 in seguito a un incidente: un'intervista in cui Anthony Quinn, protagonista di La strada (1954), esprimeva posizioni forti sul maccartismo. L'attore attraverso il suo legale chiede una smentita (Quinn 1954), che arriva, ma che spinge il critico a puntualizzare la sua posizione (Aristarco 1954b).

Negli stessi giorni Fellini, sollecitato da Aristarco, invia “tre teste di Giulietta fra cui ti pregherei di scegliere quella che tu ritieni più adatta per la copertina, e tre provini fotografici fatti per il trucco e il vestiario degli attori” (Fellini 1954a). Presumibilmente dello stesso periodo e legati alla lavorazione di La strada sono altri messaggi in cui Fellini comunica al critico ormai amico (“Caro Guido”) di aver conosciuto suo suocero (Gustavo Giorgi, già attore girovago, che Fellini dice di ricordare dalla sua infanzia quale interprete di Sganapino, maschera del teatro dialettale emiliano-romagnolo) e gli chiede di promuovere il film in produzione:

sto per cominciare le riprese, t’interessano quelle foto che ti mostrai? E i disegnini? E me la prometti una copertina con Giulietta vestita da clown se ti mando su quelle foto che ti feci vedere? (Fellini [1954b]).

La mancata risposta di Aristarco suscita un sollecito dal tono decisamente amichevole (“Beh? Non rispondi”, Fellini [1954c]). Come si diceva, la recensione negativa a La strada non pare guastare più di tanto i rapporti tra i due, tanto che Fellini nell'ottobre del 1957 si impegna a rintracciare per Aristarco la sceneggiatura di I vitelloni (1953) e chiede in cambio “quel vecchio numero di Cinema che pubblicò per esteso il trattamento del mio film” aggiungendo in modo confidenziale: “Dobbiamo stare insieme perché ti debbo spiegare per filo e per segno, quanto siano belli La strada e Il bidone” (Fellini 1955).

Dell'anno successivo è un'altra richiesta di immagini avanzata da Aristarco, “una foto, o anche due, di Paisà (episodio fiorentino) e di Agenzia matrimoniale” per un “volumetto di Renzi”, verosimilmente la monografia edita da Guanda in quello stesso anno (Aristarco 1956a). Fellini approfitta della risposta per rimproverare Aristarco, colpevole a suo dire di aver scritto una “balla” sulla lavorazione di Le notti di Cabiria (1957), nonché di aver trascurato le immagini della premiazione del regista e di Giulietta Masina ai Victoires du cinéma français (Fellini [1956]), preferendo invece delle foto di Michèle Morgan. La replica di Aristarco conferma l'impressione di un'incipiente incrinatura dei rapporti tra i due:

Ti ringrazio per la fotografia. Alle due domande rispondo: Le notizie sulle difficoltà di Cabiria le ho avute dalla redazione romana (e precisamente da Stelio Martini, credo); ho scelto la Morgan perché era l’unica foto pubblicabile su quelle che mi hanno portato da scegliere.

Perché vedi in ogni piccola cosa che ti “disturba” un attacco contro di te? Neanche a farlo apposta, nel numero che ho licenziato c’è una tua foto e della Masina. Contento? (Aristarco 1956b)

Stando ai documenti disponibili gli scambi tra i due diventano più rari negli anni seguenti e certamente più freddi. Fellini nicchia di fronte a una richiesta di intervenire in un dibattito su Cinema Nuovo dedicato al tema dell'alienazione (Fellini 1962), mentre dà plausibilmente seguito a un'altra richiesta di Aristarco di avere “una ventina di foto […] assicurandoti di non darle anche ad altri” di Giulietta degli spiriti (Aristarco 1965), per la copertina e l'inserto illustrato di un numero di Cinema Nuovo (che sarà poi realizzato, il 177 del 1965). Vira invece verso il sarcasmo la risposta di Fellini a un questionario di qualche anno successivo, dedicato alla “morte del cinema” preconizzata da Rossellini e all'uso di fonti letterarie nei suoi ultimi film (“Il cinema è morto?! E adesso come faccio io che ho firmato impegni fino al settantadue ed ho preso anche gli anticipi? Chi ha il coraggio di dirglielo ai miei produttori?”, Fellini s.d.).

L'ennesima richiesta di una “ventina di foto” (Aristarco 1976), stavolta di Il Casanova di Federico Fellini (1976), suscita invece una risposta freddamente burocratica: “ti ringrazio dell’intenzione di fare la copertina di Cinema Nuovo, ma per le fotografie devi rivolgerti a Nico Naldini della PEA” (Fellini 1976). Infine, l'ultima comunicazione disponibile tra i due, relativa alla partecipazione a un'inchiesta promossa da Cinema Nuovo, tradisce il risentimento provocato da anni di allontanamento e di visioni discordanti, con il ricorso del regista agli stessi topoi critici che la rivista aveva regolarmente usato contro di lui:

Quanti ricordi la tua bella rivista! Mi ha fatto piacere sfogliarla dopo tanto tempo e mi auguro e lo auguro anche a te naturalmente che possa uscire con regolarità. Buon lavoro caro amico e buona fortuna.

Oh, per quanto riguarda la motivatissima inchiesta mi sono accorto con un po’ di disagio leggendo le domande che non sarei capace di rispondere ragionevolmente a nessuna. Colpa mia certo, della mia mancanza d’intonazione, della mia estraneità, del mio colpevole disinteresse ai problemi generali e della mia costituzionale incapacità di farmene partecipe. (Fellini 1992).

Fellini è forse il più prestigioso tra i cineasti con cui Aristarco ha regolari contatti, ma non è certo l'unico. In qualche caso si tratta, come già visto per Anthony Quinn, di incidenti di percorso comprensibilmente legati alla vita editoriale di un rotocalco quindicinale quale era Cinema Nuovo fino al 1958, prima di cambiare formato e periodicità per diventare bimestrale. Ad esempio, un attore come Andrea Checchi gli chiede di smentire la notizia della propria adesione alla produzione cinematografica della Repubblica Sociale Italiana (Checchi 1956), mentre il “produttore esecutivo” Basilio Franchina (1955) protesta per le “divagazioni libellistiche” di cui è fatto oggetto in un articolo (Benedetti 1955).

Si avverte invece l'intento da parte di Aristarco di mantenere il più possibile distaccate e unicamente professionali le relazioni con i rappresentanti della produzione, con qualche eccezione nei casi in cui queste figure possano fungere da contatto per la raccolta di pubblicità, mezzo fondamentale per il sostentamento della rivista (che, come vedremo, sarà una preoccupazione costante nella vicenda di Cinema Nuovo), ma sempre nel rispetto di una rigorosa deontologia (Gabella 1959a, 1959b, da cui per esempio, si apprende che il costo effettivo di un'inserzione di due pagine sul bimestrale era di 60.000 lire, a fronte di un prezzo di copertina di 400 lire).

Una garbata lettera di rimostranze del produttore Fortunato Misiano, infastidito da una recensione negativa di Sperduti nel buio (1947), suggerisce che il parere di Aristarco era considerato autorevole e influente nei confronti del pubblico già nei primi anni del dopoguerra:

Non credo di mancare a questo rispetto se Le faccio osservare che definire addirittura “indegno” il film prodotto dalla mia Casa, è forse un po’ troppo eccessivo nella forma; Lei sa troppo bene che un film costa fatica e lavoro non ai produttori e ai registi soltanto, ma a una quantità rilevante di persone (Misiano 1947).

Tra le righe, tuttavia, le parole di Misiano, il quale allude al complesso dei lavoratori coinvolti nella realizzazione (e quindi nel risultato economico) di un film, rendono conto anche di un dibattito poco conosciuto, ma assai vivace in quegli anni: quello che riguarda lo statuto industriale, i processi produttivi e l’organizzazione del lavoro nell’industria cinematografica italiana, che proprio sulle riviste animate da Aristarco trova una sede attenta (Di Chiara e Noto 2019).

Tornando ai registi e alla veste bimestrale del periodico, è curiosa la corrispondenza intrattenuta con Giuseppe Ferrara nel 1971 a proposito di un film in progettazione dal titolo Le spie (probabilmente quello che sarebbe uscito come Faccia di spia nel 1975), dedicato al “potere segreto del capitale” (Ferrara 1971). Ferrara, già documentarista e autore di un volume sul cinema italiano di impostazione affine a quella avanzata da Aristarco (Ferrara 1957), prova a coinvolgere il critico in modo concreto nella produzione attraverso una società che dovrebbe avere lo stesso nome della rivista, “Cooperativa Cinema Nuovo”.

Non è dato sapere quanto ci fosse di strumentale nella proposta di Ferrara, ma è indicativo che, a una prima risposta interlocutoria (Aristarco 1971a), il direttore ne faccia seguire un'altra in cui apre alla possibilità di coinvolgimento dell'intero gruppo di Cinema Nuovo:

Il nostro contributo dovrebbe esserci nelle fasi della sceneggiatura e del montaggio […].

Come vedi ho parlato sin qui al plurale. Penso infatti che non soltanto io – personalmente o quale direttore di Cinema Nuovo – e un paio di collaboratori della rivista debbano far parte della cooperativa, ma appunto Cinema Nuovo nel suo complesso (Aristarco 1971b).

Questi esempi non esauriscono, come già rilevato, le reti di relazioni in cui Aristarco è coinvolto, ma permettono di mettere in evidenza almeno due questioni. In primo luogo, nel suo esercizio di critico, caporedattore e poi direttore di rivista, Aristarco entra sistematicamente e direttamente in contatto con personalità di spicco del campo cinematografico, che si rivolgono a lui riconoscendone la funzione tecnico-professionale e, quindi, il prestigio sociale.

Inoltre, e in misura consistente, questi contatti costituiscono un capitale sociale, un patrimonio di relazioni e obbligazioni che il critico può mobilitare nel corso dell'azione che non di rado gli consentono la risoluzione di questioni pratiche e minute relative al proprio mestiere: piccole controversie, recupero di immagini e di contenuti per le riviste, proteste e richieste di chiarimenti. Il passaggio successivo, per osservare più da vicino queste dinamiche è certamente quello di osservare le relazioni interne al campo critico.

4 Interlocutori e questioni: Aristarco e il lavoro critico

Oltre a essere ricca di tracce di rapporti interprofessionali nell'ambito dell'industria cinematografica, la corrispondenza di Aristarco testimonia anche di fitte relazioni intraprofessionali, interne all'esercizio della professione di critico. Anche in questo caso può essere utile partire dalla ricca corrispondenza con una figura chiave del settore, Luigi Chiarini. Il primo contatto documentabile tra i due è dell'aprile 1948. Chiarini, da poco tornato alla direzione di Bianco e Nero, propone al giovane e promettente collega una collaborazione:

Avrei pensato di affidare a Lei la redazione milanese di Bianco e Nero. Una redazione che mi servisse non solo a raccogliere e ad ordinare il materiale dei collaboratori milanesi (e in genere dell’Italia settentrionale) ma anche funzionasse come raccolta di abbonamenti e pubblicità. […]. E poiché oggi la situazione finanziaria non è più facile come una volta, bisogna adoperarsi il più possibile per “accompagnare la rivista” per aiutarla a “crescere”, a farsi una base di pubblico. Non Le posso promettere ora una cifra notevole (come vorrei); ma desidero in ogni modo che Lei si senta interessato al cammino di Bianco e Nero. Le propongo quindi una percentuale sugli abbonamenti ed una sulla pubblicità più un piccolo assegno mensile (Chiarini 1948a).

Da una lettera di poco successiva si apprende che Aristarco ha accettato l’incarico e che i due sono passati dal “lei” al “tu”: Chiarini gli comunica i prezzi tabellari della pubblicità (25.000 lire a pagina trattabili) e le provvigioni al 30%, aggiungendo di non accordare un fisso mensile “per spronarti a procurarti abbonamenti e pubblicità, e per vedere come l’ufficio potrà funzionare” (Chiarini 1948b). Le vendite di Bianco e Nero a Milano si aggirerebbero attorno alle 200 copie (Chiarini 1948c) e presto dal lavoro di Aristarco è “escluso quello della raccolta degli abbonamenti” (Chiarini 1948d), mentre per la pubblicità Chiarini consiglia ad Aristarco di mettersi d’accordo con un certo Polveroni. Dal 1950 Aristarco ottiene un compenso fisso di 8.000 lire in cambio delle 7-8 cartelle che garantisce per ogni numero a Bianco e Nero (Chiarini 1950).

La comunicazione tra i due si manterrà intensa all'incirca fino al 1956, passando indenne anche attraverso la celebre querelle sul realismo in Senso (1955), i cui toni e contenuti sono in qualche misura concordati in forma privata (Aristarco 1955).

Nel frattempo il rapporto tra i due intellettuali si è equilibrato in termini di “capitale specifico” (Santoro 2015: 65). Aristarco, estromesso da Cinema fonda Cinema Nuovo nel 1952 (così come Chiarini, in uscita da Bianco e Nero, avvia la breve e interessantissima stagione della Rivista del cinema italiano) e chiama il collega a collaborare alla nuova avventura. Come in passato gli scambi tra i due riguardano sovente questioni economiche e, a parti invertite, anche Chiarini chiede delucidazioni sul suo compenso (Chiarini 1956).

Anche gli scambi e i materiali non epistolari interni alla rete di collaboratori di Aristarco rivelano, nel corso degli anni, preoccupazioni analoghe. Stelio Martini, già responsabile della redazione romana del quindicinale, lo informa di una opportunità pubblicitaria e lo esorta a prenderla in considerazione:

Pietrangeli sta facendo pressioni perché la produzione [di Nata di marzo (1958)] faccia una copertina della Sassard su Cinema Nuovo. Sarebbero disposti (ma la decisione non è ancora presa) a dare 50 mila lire. Se fossi in te, accetterei, anche se giustamente credi che la copertina vale di più. Prima di tutto perché è un caso che capita una volta ogni morte di papa; poi perché, comunque, tu adesso fai, da vario tempo copertine di tale tipo; infine perché se vuoi, in futuro, potrai sempre rifiutare di dare ad altri la copertina a tale prezzo (Martini 1958).

Vale la pena di notare che tale copertina non risulta realizzata e che nel decennio successivo sarebbe comparso sul colophon del bimestrale un avviso per segnalare che la copertina non costituiva spazio pubblicitario e non era disponibile per inserzioni a pagamento. Parte del lavoro di Aristarco poi consiste nel ricordare ai collaboratori di sollecitare enti pubblici e società a sottoscrivere contratti pubblicitari per la rivista (Aristarco 1977).

Lettere, e più diffusamente, materiali promozionali della rivista e documenti interni alla redazione consentono di avere alcune informazioni proprio su una questione solitamente difficile da indagare nelle imprese editoriali: la raccolta pubblicitaria. Una lettura anche distratta di Cinema Nuovo bimestrale rivela che gli spazi pubblicitari sono venduti soprattutto a inserzionisti di qualità esterni all'industria cinematografica; questo suscita in qualche caso le rimostranze di lettori come il cosentino M.N., che rimprovera ad Aristarco di compromettersi con i grossi nomi del capitalismo nazionale. “Quale altra rivista è capace di riempirsi le pagine di 1500 FIAT e di OLIVETTI?” (N. 1965, maiuscole nell'originale), domanda retoricamente il lettore al direttore – un trattamento curioso e una paradossale accusa di incoerenza politica per un critico regolarmente accusato di eccessiva rigidità ideologica. La stessa rivista, d'altra parte, nei materiali promozionali che prepara “vende” ai suoi inserzionisti un pubblico di lettori caratterizzato da un'elevata disponibilità di spesa. Un pieghevole privo di data, ma realizzato presumibilmente nel periodo in cui la rivista diventa bimestrale informa i potenziali acquirenti di spazi pubblicitari delle caratteristiche dei lettori della rivista, che la renderebbero il veicolo ideale per la promozione di prodotti e servizi di fascia alta:

In cinque anni di vita, Cinema Nuovo ha conquistato un prestigio nazionale e internazionale così alto da trovare la propria diffusione presso le classi più qualificate: personalità della cultura, artisti, scrittori, giornalisti, dirigenti, tecnici, professori, studenti, centri di cultura, circoli del cinema, istituti, biblioteche, università, ecc. […].

Cioè un pubblico che, ad esclusione degli studenti, gode di un proprio reddito di lavoro sovente cospicuo e forma una riserva di consumatori predisposti, anche per formazione mentale, all'acquisto di beni per una vita “moderna” (automobili, macchine fotografiche e cinematografiche da ripresa, magnetofoni, complessi Hi-Fi, attrezzi sportivi). […].

Inoltre la caratteristica granulare della diffusione di Cinema Nuovo – ovvero il raggiungere anche i centri minori dove il cinema e la TV sono al centro della vita sociale e oggetto di discussioni quotidiane – fa del periodico uno strumento efficacissimo per lo svolgimento di campagne pilota (Cinema Nuovo [1958]).

Azzardando un'interpretazione si potrebbe dire che il riconosciuto capitale culturale del bimestrale è trasferito ai lettori e, tramite questi, convertito idealmente in capitale economico. Lo stesso pieghevole riporta tiratura (15.000 copie) e costi tabellari della pubblicità: da 150.000 lire per la quarta di copertina a 25.000 lire per il quarto di pagina. Altri documenti di lavoro di carattere non epistolare, come ad esempio alcuni verbali delle riunioni di redazione degli anni Ottanta aiutano a chiarire meglio questi punti. La difficile situazione economica della rivista nel passaggio dall'editore Sansoni a Dedalo porta a un controllo attento delle spese e nel gennaio del 1982 “tutti sono invitati a cercare di procurare pubblicità e abbonamenti” (Anonimo 1982a). Alla fine dello stesso anno il consuntivo delle spese vive (telefono, posta, affitto di un locale a uso magazzino) ammonta a 1.300.000 lire e i redattori compilano una lista di possibili inserzionisti da contattare, tra cui figurano Videouno, Canale 5, le Regioni Marche e Abruzzo. Nel maggio 1983 il verbale della riunione di redazione informa che “[è] sempre più difficile ottenere pagine di pubblicità da enti e società private”, ma ciononostante la rivista può contare su “quattro milioni e mezzo di abbonamenti da parte della Regione Lombardia; quattro pagine di pubblicità sono state acquistate dal Comune di Torino e due dalla Olivetti. I collaboratori sono invitati a cercare di ottenere pubblicità nelle città in cui risiedono, e a procurare nuovi abbonamenti” (Anonimo 1983). Un verbale senza data, probabilmente successivo di un paio d'anni, riporta che

[a]bbiamo ottenuto 2 pagine di pubblicità dalla Olivetti, 2 dalla Sip, 4 dal Comune di Torino, una dalla Sbp di Roma. La Regione Lombardia ha confermato gli abbonamenti […]. Tutti i collaboratori sono come sempre invitati a procurare alla rivista, per quanto è possibile, abbonamenti e pubblicità (Anonimo [1985]).

La situazione delle foto è definita quasi drammatica: “la redazione è costretta a servirsi di illustrazioni apparse su altre riviste nei casi in cui si è sprovvisti di foto originali. Ora Teresa [Giorgi, moglie di Aristarco] e Guido, abitando a Roma, provvederanno essi stessi al reperimento del materiale iconografico” (Anonimo [1985]). Il confronto con le informazioni contenute in una brochure promozionale stampata dall'editore Dedalo consente di inquadrare meglio le cifre appena fornite: i costi – tabellari, quindi di norma ampiamente trattabili – delle inserzioni su Cinema Nuovo andavano in quegli stessi anni da 1.500.000 lire per la quarta di copertina a 300.000 lire per il quarto di pagina orizzontale o verticale; la tiratura dichiarata è ancora di 15.000 copie, di cui 4.800 distribuite in abbonamento, e i lettori (76% uomini, 24% donne) risultano distribuiti per oltre il 50% in 4 regioni: Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia-Romagna (Edizioni Dedalo [1985]).

5 Conclusioni

Come sintetizzare questa mole di informazioni? Quali indicazioni emergono dal confronto di questi materiali diversi e dispersi nel tempo?

Procedendo con ordine, un primo elemento che si può trarre dalla corrispondenza con i cineasti riguarda l'effettivo prestigio acquisito da Aristarco in una fase precoce della sua carriera, tale da portare registi e produttori a cercare con lui un registro rispettoso quando non chiaramente amichevole. Le variazioni di tono nell'ambito della corrispondenza con Fellini sono interpretabili come cambiamenti dell'equilibrio di possesso di potere simbolico: il giovane regista, non ancora consacrato come autore chiave della modernità, si rivolge con tono confidenziale al quasi coetaneo critico, nonostante le divergenze e le recensioni non sempre morbide riservategli da Cinema Nuovo. Vale la pena di ricordare che, a quanto possiamo osservare dal materiale esistente, la relazione epistolare tra i due si consuma sostanzialmente nella fase in cui Cinema Nuovo è quindicinale, con una tiratura media dichiarata di 80.000 copie.

Verificare l'attendibilità di queste cifre è assai arduo. Vi è tuttavia un dato che trova conferma da più parti e che fa da complemento a quanto appena detto: la relazione strettissima esistente tra Aristarco, Cinema Nuovo e i suoi lettori. Uno storico della critica che è stato anche testimone diretto degli eventi come Lorenzo Pellizzari ha notato che l'effetto più duraturo del periodico è stato quello di aver federato lettori dispersi, comunità costellate di spettatori: “dalle colonne di Cinema Nuovo quindicinale si forma, nolente o volente, tutta una generazione di addetti ai lavori […] e, ben più strenuamente, tutta una generazione di spettatori critici” (Pellizzari 2003: 519). E in modo ancora più esplicito:

I lettori che la seguono fedeli, fin dal primo numero, costituiscono un gruppo, una fazione, se può essere ammesso il termine: un qualcosa di diverso da tutte le altre esperienze. […].

Il lettore è una componente importante di Cinema Nuovo, come Cinema Nuovo è una componente importante di tanti fra quei lettori sopravvissuti fino ad oggi. Quando capita di incontrare, specie in provincia, spesso già appartenenti a Circoli del Cinema, spesso tra intellettuali, o non intellettuali che hanno fatto nella loro vita qualcosa di diverso, a parlare di Cinema Nuovo si incontra ancora una devozione, un riscontro, un ricordo molto vivo (Pellizzari 2007: 369-371).

L'idea della fazione è più che una suggestione: nel 1955 Cinema Nuovo, partendo dalla proposta di un nucleo di lettori fiorentini, accarezza l'idea di formare dei “Gruppi di Lettori” su base territoriale, responsabili della diffusione e della discussione del quindicinale, cinghie di trasmissione tra la rivista e il pubblico più ampio dei lettori (Noto 2018: 36). La redazione prepara un lungo messaggio da inviare a una cinquantina di lettori e assidui corrispondenti della rubrica di lettere del Nostromo. Non pare casuale allora che Aristarco sia di frequente interpellato da lettori in procinto di diventare altro, operatori culturali o critici, i quali come il giovane critico Mario Gallo, poi produttore e dirigente cinematografico, si rivolgono a lui per avere accesso alla “cassetta degli attrezzi” utile per affrontare il mestiere:

Sono stato costretto ad accettare l’incarico di critico cinematografico dell’Avanti! senza possedere una adeguata preparazione e in condizioni poco favorevoli: devo contemporaneamente svolgere il lavoro di redattore al servizio interni e di “inviato” quando è necessario, mi manca quindi il tempo per studiare e migliorare (Gallo 1953b).

Questi discorsi suggeriscono quindi che Aristarco agisce da gatekeeper in più sensi: mette in collegamento spettatori e produttori di cinema (in senso lato), influenzando i comportamenti dei primi e le performance dei secondi, ma è anche la figura che, sempre in virtù del capitale simbolico che ha incorporato, può dischiudere le vie di accesso alle risorse culturali proprie del campo critico.

La già citata corrispondenza con Fellini rivela però un versante ancora più interessante, che ritorna se possibile con maggiore evidenza nelle relazioni intraprofessionali: quello del complesso set di mansioni e competenze di cui si fa carico il critico. Aristarco, in veste di direttore, si occupa di diversi aspetti della gestione editoriale di Cinema Nuovo: dal reperimento delle risorse alla vendita degli abbonamenti, dalla gestione delle rimostranze dei cineasti alle lamentele dei lettori, dal reperimento di foto al coordinamento della redazione. Non sappiamo se questa disposizione a seguire concretamente il farsi delle riviste e a occuparsi di tutto il processo editoriale fosse un tratto peculiare di Aristarco o rappresentasse invece la norma per i critici del dopoguerra. Tuttavia il tono delle comunicazioni con un collega di grande prestigio come Luigi Chiarini lascia immaginare che tale atteggiamento fosse abituale. D'altro canto Franco Prono riporta che tra i molti messaggi di felicitazione per l'uscita di Cinema Nuovo nel 1952 Aristarco ne riceve alcuni di colleghi d'esperienza che gli fanno notare che l'impaginazione è “pesante, con un abuso di negativi che fa molto vecchio stile, e che mi ricorda le esperienze di Politecnico” (Vito Pandolfi) o gli consigliano di dare “una maggiore consistenza alla carta della copertina” (Mario Gromo) (Prono 2000: 159). Sono segnali, che andrebbero ulteriormente approfonditi, di un interesse competente da parte di nomi di rilievo della stampa cinematografica e teatrale per le questioni più strettamente tipografiche correlate con la prassi critica.

Quel che è certo è che, nel nostro caso, tale multi-operatività non è confinata agli esordi o ai momenti più difficili della carriera: di fatto Aristarco non cesserà mai di essere attivo su più fronti e si può ipotizzare che buona parte del suo capitale sociale, specie nella fase ascendente, derivi proprio dalla capacità di fungere – nello svolgimento concreto della sua attività – da collegamento tra realtà altrimenti prive di canali di comunicazione tra loro (lettori, cineasti, collaboratori, intellettuali). Si è scritto spesso, e a giusto titolo, dell'irrigidimento teorico e ideologico di Aristarco e di Cinema Nuovo già a partire dagli anni Cinquanta (Bisoni 2006: 47); forse varrebbe la pena anche di chiedersi – con un'indagine di portata più ampia della presente – quanto la crisi della rivista non sia stata anche crisi di relazioni oltre che di contenuti, corrispondente a un restringimento selettivo (a partire dalla trasformazione in bimestrale e in maniera più intensa nei decenni a seguire) del novero degli interlocutori a un insieme più omogeneo e senz'altro qualificato in termini culturali, ma meno rappresentativo dei fermenti culturali in senso ampio.

È interessante notare che un quadro come questo non è in contrasto, anzi è perfettamente in linea, con quanto la sociologia del giornalismo ha notato in tempi più recenti rispetto al carattere del tutto peculiare del professionismo dei giornalisti. Come ha scritto Barbie Zelizer nel caso del giornalismo è difficile rintracciare un'epistemologia capace di rendere conto dei criteri di costruzione della realtà. Inoltre le reti informali prevalgono su quelle formali e sono allentati quei “simboli del professionismo” (“trappings of professionalism”) che contribuiscono alla coesione di altri campi lavorativi, quali ad esempio percorsi legittimati e riconosciuti di formazione e abilitazione alla professione (Zelizer 1993: 222). I giornalisti, prosegue la sociologa statunitense, costituiscono comunità interpretative simili a quelle presenti nelle audience, unite da schemi condivisi e continuamente discussi di interpretazione degli eventi, in particolare di quei “critical incidents” dall'elevato valore identitario (Zelizer 1993: 224). Non è difficile collegare queste riflessioni alle situazioni descritte fin qui e a leggere la mancanza di specializzazione come elemento di arricchimento, anziché di limitazione della pratica critica.

Volendo sintetizzare in una sola battuta, e giocando con il titolo della celebre rubrica di recensioni di Cinema Nuovo, si potrebbe dire che l'intellettuale che più di ogni altro si è battuto, e senz'altro con successo, perché quello del “critico” fosse riconosciuto davvero come un “mestiere” nelle diverse sedi in cui ciò poteva avvenire (nell'industria editoriale, nell'istruzione universitaria, nei rapporti con gli enti pubblici) non era egli stesso dotato di uno statuto professionale così univoco. Il mestiere di Aristarco non è determinato da norme riconoscibili e protocolli professionali codificati, ma è un set di competenze e attività che si costruisce pezzo per pezzo secondo una logica additiva, attraverso un costante “adattamento pragmatico alle circostanze” (Santoro 2015: 25), nel quale il contatto con gli aspetti materiali del lavoro critico non si perde mai del tutto. Anche qui risiede una parte non secondaria dell'importanza e del fascino della figura di Aristarco, in quanto interprete singolare e senz'altro eccezionale del suo tempo, ma anche in quanto operatore più rappresentativo dei processi di istituzionalizzazione del sapere cinematografico negli anni del dopoguerra. Per comprendere al meglio il modo in cui la critica si è definita e ha acquistato centralità nel corso del dopoguerra è necessario allora uscire dai luoghi comuni sulla rigidità ideologica e il presunto contenutismo di Aristarco e ragionare, con una ricchezza di materiali e un'ampiezza di sguardo cui si è potuto soltanto alludere, sulle connessioni umane e professionali, sulle prassi lavorative, sulle condizioni concrete in cui quel processo ha avuto luogo.

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