1 Introduzione
Nel secondo dopoguerra, all’interno dei periodici direttamente legati al Pci emerge un coinvolgimento sempre maggiore dei lettori alle attività del Partito tramite varie iniziative quali, ad esempio, concorsi a premi, inchieste o feste,1 da inserire nei più vasti obiettivi di promozione e diffusione della stampa. A partire da questi obiettivi, la seconda metà degli anni Quaranta denota una volontà crescente di interazione con i lettori della stampa stessa, che portò alla nascita di rubriche di corrispondenza in cui si potevano chiedere approfondimenti, opinioni o giudizi relativi ad ogni aspetto che sollecitava la curiosità.
Il presente articolo intende proporre un’analisi delle lettere e dei lettori che attraverso la corrispondenza all’interno dei principali periodici comunisti destinati a lettori di età adulta, Rinascita, Il Calendario del Popolo e Vie Nuove, mostrano le più variegate richieste sul mondo del cinema.2 Si tratta, in primo luogo, di uno studio che vuole in un certo senso superare la storia tradizionale del rapporto cinema e Pci per analizzare la cultura da un punto di vista diverso, “dal basso”, e per tale motivo si sono scelti tre periodici con caratteristiche diverse. In particolare, Rinascita rappresenta la massima espressione dei valori tradizionali del comunismo italiano,3 Il Calendario del Popolo si colloca invece in una posizione intermedia tra popolo e intellettuali il cui scopo principale è rappresentato dalla diffusione della cultura,4 ma comunque portatore di un sistema di valori fortemente ancorato all’ideologia rossa e, infine, Vie Nuove, molto meno impegnato sul lato politico in senso stretto e più vicino al gusto popolare.
La scelta di tali periodici è dettata, inoltre, da ragioni che rendono le riviste confrontabili, sia per motivi cronologici che permettono la copertura del periodo 1945-1960 in modo costante,5 sia perché, trattandosi di stampa ad ampia diffusione sul territorio italiano, la corrispondenza – da un punto di vista geografico – sarà sufficientemente ampia da consentire considerazioni sui lettori in base al sesso e alla loro provenienza. Infine, le ragioni relative alla scelta di tale periodo storico sono riconducibili alla quasi totale assenza di studi che prendano in esame le lettere “a tema cinema” e dal fatto che fino alla fine degli anni Cinquanta la diffusione di questo tipo di stampa era essenzialmente destinata ai militanti (Consiglio 2006: 96). Si tratta, in definitiva, di dare un contributo alla storia comunista spostandola sul pubblico e utilizzare le rubriche di corrispondenza quale luogo privilegiato dove osservare temi e tendenze di quel “pubblico immaginato”, tanto curioso quanto variegato che oggi risulta in parte sconosciuto.
2 Le rubriche di corrispondenza
Con l’uscita del primo numero de Il Calendario del Popolo il 27 marzo 1945, sin da subito venne proposto un contatto diretto con i lettori, favorito da una capillare rete di corrispondenti, tra i cui compiti si legge: “Segnalarci, di quindicina in quindicina, i desideri più diffusi dei compagni, in materia culturale, le loro osservazioni e critiche; […] incitare i compagni a scriverci anche direttamente i loro desideri, le loro curiosità e le loro osservazioni o critiche” (Redazione 1945: 4). A partire dal numero successivo nacque la rubrica Posta per tutti, posta per tutto, che dal settembre 1945 cambiò nome dapprima in Colloqui coi lettori e successivamente in Posta del Calendario restando, sia per fogliazione che per struttura, pressoché invariata anche negli anni a venire. A differenza degli altri periodici che si analizzeranno, Il Calendario del popolo sarà l’unico ad ospitare, nel 1954, una rubrica di corrispondenza dedicata al cinema, denominata Posta del Cinema. Quest’ultima, realizzata a seguito delle “frequenti domande in materia cinematografica” (Redazione 113: 1649) rimase attiva solo un anno, dopo il quale si decise di tornare alla configurazione iniziale che prevedeva che la corrispondenza relativa al cinema rientrasse tra gli argomenti della miscellanea Posta del Calendario.
Analogamente a quanto avvenuto per Il Calendario del Popolo, sul primo numero di Vie Nuove venne sottolineata l’importanza dell’interazione con il lettore, auspicando “una collaborazione viva di proposte, di suggerimenti, di idee che […] permetta di uscire dal chiuso della redazione per respirare l’aria aperta della città e delle campagne d’Italia” (Redazione 1946: 2). Poco meno di due mesi dopo iniziarono a essere pubblicate le prime lettere all’interno della rubrica I lettori scrivono.6
La quantità sempre maggiore di lettere ricevute non sempre trovava risposta dai membri della redazione e, per questo motivo, venne dato spazio alla rubrica Risposte lampo, poi rinominata Risposte brevi, una sezione dedicata a temi che potevano essere chiariti in poche battute. Tra le più longeve collaboratrici di Vie Nuove, senza dubbio è da ricordare Paola Masino, principale punto di riferimento per chi desiderava confrontarsi, soprattutto nei primi anni Cinquanta, su temi tipicamente femminili, tanto da essere a capo della rubrica Confidatevi con Paola,7 attiva tra il 18 novembre 1951 e il 13 ottobre 1956.
Accanto a queste, nel corso degli anni si svilupparono anche altre rubriche, alcune di breve durata, tra cui Piccola Posta, Piccolo mondo nuovo, Lettere di Mirella, La posta dei piccoli, altre più longeve, come Lettere al Direttore e Lettere al giornale.
Un caso diverso rispetto ai precedenti è rappresentato da Rinascita, mensile che ospitò un’unica rubrica di corrispondenza, Lettere al Direttore, che negli anni compresi tra il 1945 e il 1960 diede spazio a poco meno di dieci lettere su temi cinematografici, lasciando campo molto più aperto a discussioni politiche e storico-filosofiche.
3 Profilo del lettore
Nella maggior parte delle lettere presenti ne Il Calendario del Popolo e in Vie Nuove era indicato il nome del lettore e la città da cui scriveva, mentre in Rinascita veniva mostrato solo il nome del lettore. A partire da queste informazioni è stato possibile evidenziare quali le regioni con lettori più o meno attivi e le relative percentuali di maschi e femmine.
Come si può notare dal grafico [Fig. 1],8 le penne più attive su argomenti cinematografici sono quelle dei lettori provenienti da Emilia-Romagna, Toscana e Lazio. Nonostante nei periodici vi siano lettere che provengano da quasi tutta Italia è possibile comunque vedere una maggior presenza sul territorio di Vie Nuove, dato che sembra essere confermato anche dalla diffusione che il periodico aveva nelle diverse regioni italiane, senza cambiamenti sostanziali tra il 1953 e il 1962: 69% nel Nord, 26% nel Centro, 5% nel Sud e nelle isole, di cui Lombardia, Emilia e Toscana assorbono il 58% delle copie diffuse (Brunelli e Manoukian 1968: 662). Da segnalare, inoltre, che tra i lettori una percentuale elevata scriveva da piccoli comuni di provincia, lasciando spazio ad ipotesi su una diffusione molto elevata soprattutto grazie alla capillare presenza dalle varie Federazioni provinciali e i relativi diffusori.
Si è poi spostata l’attenzione sui nomi dei lettori al fine di comprendere la percentuale di uomini e donne [Fig. 2]. In questo caso vi sono delle percentuali differenti che, a fronte di una presenza femminile del 13% e 22% rispettivamente ne Il Calendario del Popolo e Vie Nuove, mostrano una massiccia presenza maschile, 72% e 76% che, nel caso di Rinascita rappresenta la totalità. Previsto dalle riviste stesse, qualora il lettore non avesse voluto far apparire il proprio nome per intero poteva richiederlo e questo sarebbe stato abbreviato. In alcuni casi è stato comunque possibile capire se la domanda fosse stata scritta da un uomo o da una donna attraverso la risposta, in altri no e per tale motivo nei grafici si è introdotta l’etichetta “non specificato”.
Un’ulteriore analisi è stata condotta sui nomi, in modo da verificare se vi fossero o meno casi di lettori attivi su più riviste. In questo caso la ricerca non ha indicato nessuna sovrapposizione, ovvero non sono stati evidenziati casi di lettori che scrissero su più riviste tra quelle studiate, quantomeno riguardo al cinema.
Infine, si è cercato di raggruppare i lettori per fasce d’età, ma i dati si sono mostrati troppo frammentari per poter creare – anche in via indicativa – una suddivisione di questo tipo. In questo caso, l’unico riferimento utile è l’Indagine nazionale sui lettori dei quotidiani e dei periodici, sui telespettatori, radioascoltatori e cinespettatori, un volume che riporta un’analisi promossa da Utenti Pubblicità Associati (UPA) e condotta dall’Istituto per le Ricerche Statistiche e l’Analisi dell’Opinione Pubblica (DOXA) e dalla Società Italiana Ricerche di Mercato (SIRM) nel 1958, di fatto il primo “tentativo di dare dati ufficiali sulla circolazione dei quotidiani e delle altre pubblicazioni periodiche” (DOXA, SIRM 1958: 5). Tra i vari periodici analizzati nell’Indagine vengono esclusi sia Rinascita che Il Calendario del Popolo, mentre sono presenti dati su Vie Nuove. Quanto emerge è che i lettori del campione analizzato sono così ripartiti: 16-24 anni: maschi 15.9%, femmine 4.5%; 25-34 anni: maschi 23.1%, femmine 9.7%; 35-44 anni: maschi 23.4%, femmine 8.9%; 45-64 anni: maschi 15.5%, femmine 9.6%; oltre 64 anni: maschi 7.4%, femmine 1.1% (DOXA, SIRM 1958: 311; 341).
4 Il cinema nelle rubriche di corrispondenza di Vie Nuove, Il Calendario del Popolo e Rinascita
Cosa scrivevano i lettori riguardo al cinema? Per rispondere a questa domanda, successivamente allo spoglio dei periodici, si è deciso di suddividere per categorie quanto presente, in modo da poter condurre un’analisi. A tale scopo, si sono individuati cinque temi che, sebbene non rappresentino la totalità, risultano di ampio interesse per il lettore.
Entrando nel vivo delle richieste presenti9 – e procedendo utilizzando un criterio cronologico – una distinzione che sembra caratterizzare il periodo compreso tra la fine degli anni Quaranta e i primi Cinquanta evidenzia un diverso interesse nei confronti della cinematografia italiana e straniera. In particolare, accanto a lettori interessati maggiormente al cinema italiano ne Il Calendario del Popolo e Rinascita, pressoché uguale è la richiesta di informazioni in ambito cinematografico italiano e straniero all’interno di Vie Nuove. Anticipando in parte le conclusioni, si può affermare che queste differenze ricalcano essenzialmente il ruolo di “intermediari” che essi dovevano ricoprire all’interno della politica culturale comunista: guide culturali e politiche, ma nel caso di Vie Nuove anche un settimanale sempre più popolare e in grado di rispecchiare i gusti dei lettori.
In merito al cinema straniero le domande più frequenti risultano relative ad approfondimenti e commenti riguardo a specifici film. È il caso di Giudizio su un film (Alcuni lettori 1950: 23), lettera in cui un gruppo di lettori chiede un giudizio sull’americano Stanotte sorgerà il sole (We Were Strangers, 1949), o un lettore di Vestone (BS) che domanda se Enamorada (1946) abbia o no un contenuto rivoluzionario (S.F. 1950: 23). Ampia la presenza di lettori interessati al cinema sovietico, come un gruppo di lettori di Finale Emilia (MO) che, probabilmente interessati alla proiezione, domandano quali siano i film prodotti in URSS e nelle “democrazie popolari” distribuiti in Italia e in possesso del regolare visto di censura. La risposta è molto dettagliata, specificando che l’unico film in Italia in possesso del visto prodotto in un “paese democratico” è il cecoslovacco La Sirena (Siréna, 1947).
Più contenuto, invece, l’interesse verso il cinema straniero ne Il Calendario del Popolo, in cui si leggono richieste su quali siano gli attori protagonisti de Il fiore che non colsi (The Constant Nymph, 1942) o un parere sul francese La gabbia degli usignoli (La cage aux russignols, 1944). In quest’ultimo caso la risposta venne data interpellando il giudizio di Ugo Casiraghi che nel numero successivo lo definì come “un film un po’ dolciastro ma piacevole e raccontato con cura e con amore” (Casiraghi 1952: 1316). Cade invece sul cinema britannico l’interesse di Ivan Parmeggiani di Locate di Triulzi (MI), che domanda i motivi per cui la redazione non abbia valorizzato il film Moulin Rouge (1952). La risposta è semplice: “non per cattiveria, ma perché il film non ci è piaciuto, non ci è sembrato in alcun modo educativo” (Redazione 1954: 1745). In questo caso si fa esplicito riferimento al motivo per cui il film non viene ritenuto di particolare interesse, ma in molti altri casi sorge spontaneo domandarsi quali fossero gli elementi per giudicare un film come “bello” o “brutto”, se vi fosse una linea fornita dal Partito o se venisse tutto lasciato alla discrezione del giornale. A tal proposito è interessante ricordare una risposta di Mino Argentieri durante un’intervista condotta nel 2001:
[…] non credo che allora ci fossero posizioni ufficiali nel partito di fronte a questo o quel film. Un vizio che ha avuto il suo corso, ma che comincia a declinare dopo il ’56. […] Non si può dire che, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, ci fosse qualcuno che alzasse il telefono per impartire consigli su come giudicare un film… Però, c’erano film che al partito stavano politicamente più a cuore" (Argentieri 2001: 64-65).
A cuore stava anche il cinema di propaganda, ampiamente trattato all’interno di pubblicazioni prodotte dalla Direzione Centrale del Pci destinate a fornire le linee guida per il lavoro politico e culturale, in particolare nel Quaderno del Propagandista, successivamente rinominato Quaderno dell’attivista, ma anche nei periodici oggetto di questo articolo. Un esempio è contenuto nella lettera del Prof. Giuseppe Menoni da Castelnovo di Sotto (RE) che, d’accordo con la politica democristiana sul divieto di inviare in Unione Sovietica “pellicole italiane neorealistiche che godono di mettere a nudo le […] miserie” (Menoni 1955: 2108), propone, invece, l’invio di documentari sul lavoro, sulla ricostruzione o pellicole che “fanno onore” (Ibidem). Questa la risposta:
Ma come? Al posto dei film neorealisti che sono il vanto del cinema italiano, che sono universalmente riconosciuti come grandi opere d’arte lei vorrebbe che mandassimo in URSS quelle misere cose che sono i documentari sulla ricostruzione, volgari pellicole di propaganda governativa talmente mal fatti che non c’è pubblico, in una qualsiasi della sale italiane, dalle Alpi alla Sicilia, che non fischi e non protesti quando è costretto a subirne la proiezione? Ci farebbe una bella figura davvero la cinematografia italiana! (Redazione, Ivi).
Come si può notare, la risposta data fa riferimento a pellicole di propaganda governativa e al pubblico, quest’ultimo utilizzato come indicatore del basso gradimento di tali film. Una riflessione interessante sul cinema documentario era stata anticipata due anni prima, nel 1953, dal lettore Carlo Volpi di Jesi (AN), in cui esternò il suo stupore nel vedere come, nel secondo dopoguerra, “il documentario abbia assunto una parte di secondo piano, quando per le sue particolari funzioni avrebbe dovuto essere un fattore essenziale della nuova arte cinematografica”, per proseguire lamentando che i documentari “che sono apparsi ed appaiono in maggior numero hanno avuto ed hanno per soggetto chiese, santi, processioni, come se nel nostro paese non esistessero altri soggetti od altri oggetti degni” (Volpi 1953: 1418). A pochi mesi di distanza da questo, sul settimanale Vie Nuove, un lettore, domandando quali le prospettive del cinema realista italiano avrà risposta da Carlo Lizzani, che annoverando come prioritari i principi di verità, sincerità e rigore d’indagine non nascose la necessità della collaborazione del pubblico, “dal modo con cui il pubblico migliore, più cosciente, appoggerà i film coraggiosi e realisti […]. Da soli possiamo fare ben poco!” (Lizzani 1953: 3).
Riguardo ai temi della propaganda, della censura e della difesa del cinema italiano una presenza molto ampia è rintracciabile tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà dei Cinquanta.10 È in tale contesto che si inserisce una lettera di Franco Sgroi pubblicata su Rinascita in cui definisce la situazione del cinema italiano:
Restrizioni e remore di ogni sorta cercano di mandare a monte i film d’ispirazione sociale: ostilità dei produttori, cioè diniego di capitali, censure governative e para-governative che agiscono preventivamente come un incubo paralizzatore, ecc… […]. Per contro si dà via libera a prodotti che non aspirano ad alcun livello artistico, ma che assolvono al compito, attualissimo, di deviare l’attenzione del pubblico dagli inquietanti problemi del giorno. Al medesimo compito rispondono i film americani […] (Sgroi 1950: 495).
Il dibattito fu al centro di numerose attenzioni da parte della stampa comunista, motivo, probabilmente, per cui troviamo numerosi lettori interessati ai film di propaganda, alla difesa del cinema italiano e alla censura. Con l’avanzare degli anni Cinquanta si evidenzia un interesse dei lettori verso nuovi temi come il rapporto tra cinema e infanzia, la tecnologia, ma anche una vera e propria ossessione verso i divi, il gossip e una crescente richiesta di informazioni su come entrare nel mondo del cinema, che sulle pagine di Vie Nuove durerà per tutto il decennio.
4.1 Cinema e infanzia
Nell’aprile 1951, sulle pagine della rivista Cinema prese il via un’inchiesta condotta da Antonio Pitta ed Ettore Capriolo dedicata a sondare “le opinioni, i gusti e i desideri del pubblico” (Pitta A., Capriolo E. 1951: 199) che apriva con un primo esito dedicato ai ragazzi e alle ragazze tra i 10 e 15 anni:
il ragazzo preferisce i soggetti avventurosi (“western”, polizieschi, di capa e spada, di guerra), nonché i comici, specie se accompagnati da uno stuolo di belle figliole; le ragazze invece, mostrano, accanto a un vivo gusto per l’avventura, una decisa preferenza per il “genere” sentimentale" (Ivi: 198).
A distanza di due anni, tra il 19 luglio e il 2 agosto 1953, sul periodico Pioniere dell’Associazione Pionieri d’Italia (API) venne ospitato il concorso “Qual è il film che ti è piaciuto di più? E perché lo preferisci agli altri che hai visto?”,11 in cui vennero riportate, su tre numeri, le risposte di 32 giovani (24 femmine e 8 maschi) che mostravano una sostanziale diversità nei gusti individuati dall’inchiesta di Cinema, sottolineata anche nelle diverse conclusioni a cui arrivarono i due periodici. Per Cinema, infatti, le risposte rivelavano una “mancanza di senso critico, un’assoluta condiscendenza al fenomeno divistico, un profondo interesse per l’avventura e il sesso” (Ivi: 200), mentre Pioniere si complimentava per aver scelto “[…] spettacoli belli e veramente artistici, spettacoli che insegnano l’amore per gli uomini, la Patria, il desiderio della libertà, e di un mondo migliore” (Silvana 1953: 14).
Nonostante questi esiti, il dibattito su un cinema per l’infanzia era ancora in fase embrionale, tanto che, spostando l’attenzione sulle lettere, solo Gaetano Ciaralli di Roma, nell’ottobre 1951, inviando un ritaglio di un articolo di giornale firmato Nicola Pende dal titolo “L’influenza del film sui giovani” in cui egli afferma che nei giovani “la sfera psichica subconscia irrazionale istintiva emotiva […] prepondera sulla sfera razionale” (Cdp 1951: 980) cercherà delle risposte a tale affermazione. La risposta, in realtà, venne spostata su un piano nettamente differente, accusando Pende – a seguito dei suoi legami politici con il fascismo – di conoscere solo alcuni giovani, quelli borghesi, e non quelli della classe operaia. Si dovrà aspettare il 1954 per notare un cambiamento, soprattutto da parte di genitori che si interrogavano riguardo a film adatti ai bambini. È il caso di Anna Maria Fornari di Terni, che domanda se il film Giochi proibiti (Jeux interdits, Clément, 1952) sia adatto ai bambini, o Laura R. di Savona, una madre che vorrebbe sapere quali le pellicole adatte al figlio, Aniello Marano di Napoli, un lettore che dopo aver avuto notizia di un festival del cinema per ragazzi a Venezia chiede cosa si stia facendo per lo sviluppo di tale settore della cinematografia o Andreina Pagnini di Firenze, sempre in merito ai lavori sul cinema per l’infanzia.12 A quest’ultima lettrice rispose Ivano Cipriani, precedentemente attivo sulle colonne del periodico della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) Pattuglia, scrivendo di grandi difficoltà derivanti sia dal timore da parte dei produttori nella realizzazione di film a cui non sia garantito un ritorno in termini monetari, sia da parte dei gestori delle sale cinematografiche, timorosi a presentare film senza divi. Oltre a questo – sottolinea – anche le possibili ostilità da parte dei giovani, da anni abituati a vedere film presenti nei normali circuiti (Cipriani 1955: 3). L’assenza di qualsiasi filtro, infatti, lasciava i giovani liberi di vedere ciò che passava sugli schermi, e come sottolinea l’esito dell’inchiesta di Pitta e Capriolo “nel film gioca moltissimo la presenza della ‘star’” (Pitta A., Capriolo E. 1951: 200).
4.2 Il cinema, un sogno per ragazzi e ragazze
Sull’onda di un immaginario composto da Gary Cooper, Tyrone Power, Gregory Peck, Clark Gable o Rita Hayworth, Linda Darnell, Silvana Pampanini, Sofia Loren e Gina Lollobrigida, la stampa comunista propose concorsi per il pubblico femminile, tra cui “Alla ricerca di volti nuovi” per il cinema rappresentò senza dubbio uno dei casi di maggior successo di Vie Nuove.13 Senza addentrarsi nella storia di questi, basterà dire che essi proponevano di contrastare il divismo cinematografico hollywoodiano con film italiani che avessero come protagoniste ragazze comuni selezionate attraverso varie fasi e successivamente scelte per un provino da parte di alcune case cinematografiche. Il fatto che le selezioni fossero rivolte esclusivamente ad un pubblico femminile creò, di riflesso, una vera e propria invasione di lettere di ragazzi interessati ad una carriera cinematografica.14 Se tra le prime lettere vi è quella di Giordano Renzi di Modena che chiede quali siano le scuole di cinematografia in Italia (anche per corrispondenza),15 più dirette saranno le domande di altri lettori. “Vorrei sapere, oltre al valore finanziario di un soggetto cinematografico, se la casa di produzione paga il soggettista prima o a film realizzato” (Ricci 1952: 2) – chiede V. Ricci di Vallecorsa (FR), consigli sulla struttura dei soggetti – domanda invece Tommaso D’Ambrosio, compaesano di Ricci, che come risposta avrà: “impossibile darne perché questo soggetto non è un soggetto, così come è presentato” (Masino 1952: 22)16 o il giovane Osvaldo Moreno che scrive dalla Francia e che per ben tre volte inviò un proprio soggetto alla rubrica Confidatevi con Paola. Seppur si tratti di un lavoro migliorabile, considerata la tenacia del ragazzo, Paola Masino si sentì fiduciosa e lo invitò a riscrivere il tutto per una quarta volta.17
La grande presenza di lettere contenenti indicazioni sulla scrittura di un soggetto o pareri riguardo questi, è giustificabile anche dal fatto che molti registi fossero disponibili ad accogliere nuove idee, così come il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.18 Probabilmente sono questi i motivi per cui la redazione di Vie Nuove si trovò invasa da lettere riguardanti soggetti cinematografici. Se in un primo momento vennero date risposte, ad un certo punto le cose mutarono cercando di mettere in guardia i giovani dalle loro aspirazioni. È il caso di una risposta data al quattordicenne Gianfranco M. che, seppur abbia frequentato l’avviamento commerciale e le sue aspirazioni siano per il cinema, Paola Masino non esitò a far riflettere, sia perché ancora di età inferiore a quella consentita per l’accesso ad una scuola di cinema, sia perché non in possesso del diploma di scuola media. Dunque, “perché non approfitti di questi quattro anni per conseguirlo? Ti sarà utilissimo anche se in seguito la tua passione per il cinema sarà andata scemando” (Masino 1955: 21).
Se nella prima metà degli anni Cinquanta la maggior parte dei giovani lettori vorrebbe scrivere un proprio soggetto, a partire dal 1956 le lettere mostrano uno spostamento degli interessi verso un ventaglio di professioni più ampie: registi, sceneggiatori, operatori, critici cinematografici o attori.19
4.3 “Gina Lollobrigida sa cucinare?”
Il 1956 fu un anno particolarmente difficile per il Pci, sconvolto dai fatti di Ungheria a cui fece seguito l’allontanamento dal Partito di molti intellettuali (Cfr. Medici 2001:18). Si tratta, però, anche di un anno che segna la svolta, infatti
dopo l’VIII congresso del Pci, si cominciò a respirare un’aria nuova. Di pari passo, cambiava la società italiana, nella quale venivano modernizzandosi le strutture economiche e gli stili di vita; cambiava il rapporto tra politica e cultura, tra intellettuali e potere; nel campo del cinema, si veniva trasformando l’assetto dell’industria e del mercato cinematografico, il ruolo degli autori, la composizione del pubblico, il rapporto con il cinema hollywoodiano […] (Ivi: 18-19).
In linea con i cambiamenti interni al Pci e della più ampia società italiana, proprio a partire dal 1956 le pagine delle riviste iniziarono ad accogliere una richiesta sempre maggiore di notizie relative ai divi nostrani, in particolare Gina Lollobrigida e Sofia Loren, ma anche stranieri. Accanto a domande come: “Vorrei sapere quanti anni ha e quanti film ha fatto l’attore americano Randolph Scott” (Visconti 1956: 39), “L’attrice Isa Miranda preferisce il teatro o il cinema?” (Sartoni 1956: 38) o “Vorremmo una breve biografia dell’attore Erno Crisa” (Alberganti et al. 1956: 38), le rubriche di corrispondenza, in particolar modo quelle di Vie Nuove, iniziano a pubblicare lettere su temi ben lontani dalla politica iniziale di “nutrimento della volontà politica e di formazione ideologica del popolo di sinistra” (Gundle 1991: 238).
“Gina Lollobrigida sa cucinare?” (Maltagliati 1956: 38) – domanda un’ammiratrice di Napoli; “io mi leggo tutte le riviste in cui si parla di Sofia Loren; la faccenda del suo matrimonio mi ha interessato enormemente e vorrei conoscere altri particolari, non ho vergogna a dirlo, di natura intima, che i giornali non pubblicano!” (Roberti 1958: 2812) – prosegue sul filone della cronaca rosa un’altra giovane. Quello che più incuriosisce non sono tanto le domande relative alla vita privata delle attrici, temi ampiamente trattati e in voga nei rotocalchi femminili del periodo, quanto l’atteggiamento del tutto differente mostrato dalle redazioni. Se alla domanda di Noemi Roberti riguardo la vita intima della Loren si risponderà con un’immagine dell’attrice sorridente e circondata da oche, Vie Nuove farà rispondere direttamente Lollobrigida. Lo spostamento dei lettori verso alcuni temi “frivoli” – seppur di grande interesse da parte di una porzione di essi – sarà oggetto, proprio su Vie Nuove, di una domanda del bolognese Giovanni R: “Cara Vie Nuove, la maggioranza dei giornali e di conseguenza una grande parte dell’opinione pubblica guarda oggi con stupore e con un certo disgusto a quel fenomeno che si chiama divismo […]. Ma non siamo tutti un poco colpevoli?” (R. Giovanni 1958: 38). Il settimanale, quasi assolvendo le proprie responsabilità, proporrà delle risposte di attori come Anna Magnani, Armando Fragna e Giacomo Rondinella, mentre Il Calendario del Popolo, rispondendo ad una lettrice attratta dagli “affari degli altri”, mostrerà il totale disinteresse.20
Noi troviamo che occuparci degli affari degli altri è – ci scusi – pettegolo e sciocco: e quindi, pettegolo e sciocco è il costume di una società che s’interessa dei fatti privati delle grandi case aristocratiche – in ispecie di quelle di reali a spasso – o di quelli di personaggi in vista, da Coppi a Gassman, da Rossellini-Bergman a Walter Chiari-Ava Gardner. Non solo i rotocalchi ma anche i quotidiani (talvolta – parrebbe incredibile – persino quelli di sinistra!) sono pieni zeppi di fidanzamenti, matrimoni, divorzi, cresime, battesimi, ecc. […]. Ma rotocalchi e quotidiani si giustificano per la ragione che i lettori s’interessano a queste vicende. Il che è vero: ragion per cui i lettori hanno la stampa che meritano; e quella stampa fa di tutto per avere lettori sempre più degni di lei. (Redazione 1959: 3324).
L’attacco, sebbene diretto principalmente alla lettrice, fece riferimento anche alla stampa di sinistra, dettaglio che venne colto dal lettore Paolo Frenna di Venezia, mettendo Il Calendario del Popolo nella condizione di ricordare le responsabilità della stampa comunista e condannare definitivamente certi atteggiamenti,21
1°) perché la mentalità del lettore di sinistra, rivolta a ben gravi problemi, è aliena dal prendere in considerazione argomenti futili e sciocchi […]: 2°) perché se anche, talvolta, si manifestasse su questo terreno un cedimento di parte dei lettori verso forme deteriori di interesse […], sarebbe sommamente deplorevole favorirlo… (Redazione 1959: 3419).
4.4 Cinema e tecnologia
Negli anni Cinquanta, non passa certo inosservato un – seppur limitato – numero di lettere dedicate al rapporto tra cinema e tecnologia. Nel 1949, Gianni Canestrini di Pordenone chiedeva notizie sull’uscita di film italiani in technicolor22 seguito, nel 1953, da un gruppo di lettori interessati a sapere se in Unione Sovietica la produzione di film a colori fosse iniziata prima del secondo conflitto mondiale. Ma è tra il 1955 e il 1960 che si concentrano la maggior parte delle domande su questo tema. Si tratta, in genere, di domande sul funzionamento di cinerama, cinemascope, vistavision,23 che solo in un caso – relativo alla diffusione di cinemascope e del cinerama – misero la redazione di Vie Nuove nella condizione di rispondere tralasciando la tecnica e spostando l’attenzione sul diverso uso della tecnologia in URSS e in Italia. Alla domanda di Iviano Sartori di Ferrara sulla diffusione del cinerama e cinemascope in Unione Sovietica risponderà Roberto Manetti, precisando che il cinerama non è ancora diffuso, mentre la produzione di film in cinemascope è invece orientata in un senso ben preciso, “in modo funzionale e aderente allo spirito del film e contribuisce a mostrare con ampiezza di respiro l’opera” (Manetti 1955: 3), a differenza dell’Italia, dove è impiegato “con fini esclusivamente commerciali, […] giocando soltanto sull’attrazione che il pubblico subisce di fronte a nuove forme spettacolari” (Ibidem). Tutto ciò pare ricordare un articolo del 1953 pubblicato su Il Calendario del Popolo in cui si decise di analizzare la tecnologia 3D in voga a Hollywood per fare ordine rispetto alla grande quantità di articoli relativi a film usciti con questa tecnologia. In particolare, facendo riferimento a Bwana Devil (1952) e L’uomo nell’ombra (Man in the Dark, 1953), definiti come film mediocri, la critica venne mossa nei confronti dell’utilizzo del 3D quale mezzo per “aumentare l’effetto choc sullo spettatore” (Korach 1953: 1481), tanto da vietare le proiezioni stereoscopiche ai minorenni in Inghilterra e in Austria.
4.5 TV, cinema e cultura
Il cattivo rapporto tra il mondo comunista e la tecnologia, in particolare sugli usi di questa, sarà al centro di articoli che videro come protagonista la TV. Come ricorda Sandro Bellassai, l’atteggiamento comunista nei confronti della televisione “appare improntato, da un lato a una più che comprensibile diffidenza per la gestione democristiana dei programmi della RAI, dall’altro, a una prudente e occasionale apertura di credito alle potenzialità ‘modernizzanti’ del mezzo stesso.” (Bellassai 2000: 131). Con atteggiamento di diffidenza – e alle volte di disprezzo – il nuovo mezzo di comunicazione venne attentamente analizzato anche dai lettori e, in particolare, il celebre quiz “Lascia o raddoppia?”, in onda dal 26 novembre 1955 e condotto da Mike Bongiorno.24 Vie Nuove, nonostante gli avesse dedicato una copertina nel febbraio 1956, ben poco scrisse sulla TV negli anni compresi tra il 1954 e il 1956 (Cfr. Garofalo 2016: 66) e lo stesso si può dire del rapporto cinema-TV da parte dei lettori. Contenuto anche l’interesse dei lettori de Il Calendario del Popolo, di cui nulla emerge fino al febbraio 1956, mese in cui venne pubblicata la lettera di Bruno Gelmini di Ostiano (CR).
Il «lascia o raddoppia» rientra nel piano generale di politica culturale americana tendente a far deviare l’attenzione dell’uomo comune dal campo dei problemi reali, per trasportarla in quello della inutile curiosità. […] Niente di culturale, quindi, nel «Lascia o raddoppia»: ed è veramente pietoso e mortificante che il primo successo della TV italiana non avvenga sul campo della cultura ma su quello della curiosità, del giuoco, della scommessa. I venditori di apparecchi televisivi accendano pure moccoli all’americano che inventò il «Lascia o raddoppia»! (Gelmini 1956: 2251).
Le critiche proseguirono anche nei numeri successivi, come quella di Luigi Rubagotti di Brescia, che nell’aprile dello stesso anno segnalò varie sviste ed errori nel quiz concludendo con l’invitare la TV ad abbandonare la storia, evitando così – con un gioco di parole – di raddoppiare ogni volta i propri errori (Rubagotti 1956: 2299) o Nicola Bernardelli di Roma, che segnalerà un errore nella pronuncia di “ciclope” da parte del conduttore (Bernardelli 1956: 2396). Ironico è invece il tono j’accuse (ma non certo quello polemico) di Stanislao Goretti, che facendosi voce del popolo comunista scrisse: “povera gente come siamo, non abbastanza moderna ed evoluta, incapace di appassionarsi alle drammatiche vicende di «Lascia o raddoppia» ed insensibile ai problemi della maggiore o minore voluminosità dei seni delle concorrenti” (Goretti 1956: 2420).
Riguardo al rapporto tra cinema e TV, questo venne sollevato da un solo lettore, Aldo Bassi di Milano, che nel gennaio 1959 chiese semplicemente se esistesse una concorrenza tra il cinema e TV. La risposta, di Libero Solaroli, mise in evidenza come, a fronte degli abbonati alla TV passati da 88.818 nel 1954 a 595.000 nel 1957, toccando il milione nel 1959, corrispondesse una drastica diminuzione degli spettatori cinematografici (42.300.000 unità) tra il 1954 e il 1957, spiegando che “se lo spettacolo cinematografico è basato solo sul divertimento puro (e probabilmente lo è per una buona metà dei casi in Italia, dato che nel 1957 il 50.7% dei films circolanti era americano) è naturale che lo spettatore preferisca lo spettacolo televisivo che è gratuito o quasi […]” (Solaroli 1959: 46).
A partire da questa risposta è possibile isolare tre aspetti che di fatto rappresentano i motivi per cui la televisione non veniva accettata dal mondo comunista. Il primo è messo in luce dalle cifre che dimostrano come la televisione abbia in qualche modo sottratto una notevole fetta di spettatori al cinema. A tal proposito è bene ricordare gli sforzi compiuti dal Pci per orientare gli spettatori verso un gusto che andasse oltre l’estetica e che cogliesse, invece, aspetti più profondi, che negli spettacoli televisivi – e qui entra un secondo aspetto – veniva a mancare. Vi è, infine, l’aspetto economico, che in questo caso riguarda l’aumento del prezzo dei biglietti degli spettacoli cinematografici, utilizzato come giustificazione nello spostamento del pubblico cinematografico verso quello televisivo.
L’atteggiamento dei comunisti nei confronti della TV iniziò a mutare a partire dal 1960, anno in cui nacque la rubrica televisiva “Tribuna Elettorale” in cui vennero ospitati i principali esponenti della politica italiana. Tuttavia, questo non rappresentò una completa accettazione della televisione e il totale riconoscimento delle sue implicazioni socioculturali, tanto che ne Il Calendario del Popolo a una domanda del lettore Vincenzo Belloni di Pavia riguardante le preferenze da parte della redazione del periodico, rispose: “Ciò che preferiamo dei programmi televisivi? L’intervallo” (Redazione 1960: 3996).
5 Conclusioni
La presenza di lettere di cinema nelle rubriche di corrispondenza ha mostrato una ricezione molto diversa a seconda del periodico che le ospitava, così come certi atteggiamenti che si possono cogliere attraverso la lettura delle risposte. In linea generale si può affermare che Il Calendario del Popolo non mostrò mai adesione a temi che invece furono ospitati da Vie Nuove, come l’interesse crescente verso temi “meno impegnati”. Considerato come il periodico per eccellenza del Pci, Rinascita mostra invece una linea costante durante il periodo analizzato semplicemente evitando di ospitare certe lettere. D’altronde, a differenza degli altri due periodici analizzati, in quest’ultimo non è stato rintracciato nessun articolo che invitasse i lettori a porre domande alla redazione, cosa che non stupisce se si pensa che si trattava di un mensile che aveva come scopo primario quello di fornire le “linee guida” del buon comunista. Tuttavia, l’analisi dei periodici consente di riflettere su varie questioni.
In primo luogo, è emersa una disomogeneità tra la linea editoriale e politica, sia nel quantitativo di lettere ospitate, che nelle risposte. Se nel periodo iniziale le rubriche di corrispondenza del Calendario del Popolo sono piuttosto scarne di domande, esse prenderanno una certa sostanza nei primi anni Cinquanta, ma è proprio in quel periodo che la rivista “subisce forti pressioni «cominformiste», accentuando il proprio orientamento comunista” (Brunelli e Manoukian 1968: 660) e rispecchiando un’ideologia molto forte, a tratti anche arretrata. Opposto il caso di Vie Nuove, settimanale che con il passare del tempo mostra un impegno politico sempre minore, ritornano sulle orme iniziali solo vicino alle elezioni o in alcuni numeri esclusivamente dedicati alla politica, allontanandosi sempre più da un modello comunista rigoroso, come può invece essere considerato quello di Rinascita.
In seconda istanza, si evidenziano scelte editoriali differenti che spostano la curiosità dei lettori su temi molto diversi. Le lettere mostrano in tale senso una sorta di ideale prosieguo verso gli articoli pubblicati, ricalcando nella maggior parte delle volte il modello della rivista stessa. Se in un primo periodo i periodici mostrano, ad esempio, un forte interesse verso il cinema sovietico, dovuto all’adesione del Partito ad una ben definita linea e spesso accompagnata da una sorta di mito creato anche grazie a pagine e pagine di racconti volti a idolatrare ogni aspetto sociopolitico e anche cinematografico, le lettere sembrano muoversi in quella direzione, chiedendo approfondimenti sui temi precedentemente trattati. Lo stesso si può dire anche nel caso delle lettere su un cinema per l’infanzia o quelle relative alla tecnologia, temi che sembrano nascere a seguito di alcuni articoli precedentemente pubblicati. Ciò che emerge è, dunque, un lettore che difficilmente si allontana da una certa rosa di temi anche se questo non esclude alcune voci esterne, specie negli anni Cinquanta, che portarono a cambiamenti sostanziali in Vie Nuove. Se l’obiettivo pedagogico di tale periodico era – in linea con la politica culturale – quello di elevare culturalmente i lettori, si nota chiaramente che una parte di essi era invece interessata alle cronache mondane dei divi del cinema o all’ingresso nel mondo dello spettacolo. “Mondanità? sia pure” (AA.VV. 1957: 143) – affermava Concetto Marchesi durante un intervento all’VIII Congresso del Pci, dichiarandosi favorevole ad allentare “quella rigida impostazione pedagogica, quel tono grigio e un po’ burocratico che per lungo tempo caratterizzò il giornalismo del Pci” (Consiglio 2006: 96), che di fatto durò fino al 1956.
È proprio a partire da quell’anno che è possibile notare con evidenza una frattura tra le riviste analizzate. Se Vie Nuove risulta uno tra i periodici più diffusi è da attribuire principalmente ad un’impostazione simile al rotocalco popolare, cosa che invece non può essere detta nei riguardi de Il Calendario del Popolo e Rinascita, ancora costruiti su un’idea pedagogica lontana dai gusti del lettore medio: maschio, emiliano e di mezza età. Infine, è interessante notare, soprattutto nel caso dei giudizi relativi alla televisione, come ad un certo punto i lettori e i membri delle redazioni siano essenzialmente sulla stessa linea. L’analisi delle lettere mostra dunque che il coinvolgimento dei lettori auspicato nei primissimi mesi del secondo dopoguerra venne raggiunto, così come un certo tipo di gusto, di mentalità e di ideologia.
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Nel caso de Il Calendario del Popolo verranno ricordate in occasione dei quindici anni della rivista: “[…] abbiamo fondato circoli, organizzato manifestazioni, fatto e promosso centinaia di conferenze e dibattiti in ogni parte d’Italia, promosso un secondo e terzo Congresso per la diffusione della Cultura, bandito concorsi (il Premio Cattolica, il Premio Mobbi, il Concorso delle Epigrafi, tanti concorsi per autodidatti) […]” Redazione (1960). “Quindici anni”. Il Calendario del Popolo 15(186): 3900.↩
Lo studio prenderà in esame esclusivamente le lettere pubblicate, escludendo dunque quelle ricevute dalla redazione e mai date alle stampe.↩
Si vedano: Redazione (1944). “Programma.” Rinascita 1(1): 1-2; Manacorda, Gastone (1951). “Il partito e la sua funzione di guida nel campo della cultura.” Rinascita 7(3): 128-131.↩
Cfr. Lucia, Piero (2003). Intellettuali italiani del secondo dopoguerra. Impegno, crisi, speranza. Napoli: Guida.↩
Il primo numero del settimanale Vie Nuove uscì il 22 settembre 1946 proseguendo le pubblicazioni fino al 1971, Rinascita nacque come mensile nel giugno 1944 e cessò le pubblicazioni nel 1991. Infine, Il Calendario del Popolo appare tra la stampa di partito con un primo numero datato 27 marzo 1945 e risulta tuttora in attività.↩
I nomi delle rubriche nel corso degli anni subirono alcune modifiche. Ad esempio, I lettori scrivono cambiò in I lettori scrivono, Vie nuove risponde e infine in Vie Nuove risponde.↩
Una copia delle lettere pubblicate (e non) nella rubrica è conservata presso l’Archivio del Novecento dell’Università La Sapienza di Roma, Fondo “Paola Masino”, fasc. “Confidatevi con Paola”. Cfr. Bernardini Napoletano, Francesca (ed.) (2004). L’archivio di Paola Masino – Inventario, Ministero per i beni e le attività culturali Direzione Generale per gli Archivi: Roma.↩
Nella costruzione del grafico si è tenuto conto delle sole lettere che riportano la provenienza, escludendo dunque le restanti (40 lettere in Vie Nuove e 3 ne Il Calendario del Popolo), che rappresentano il 17% del campione totale analizzato.↩
188 lettere in Vie Nuove, 53 ne Il Calendario del Popolo e 9 in Rinascita.↩
Tra le molte, si ricordano: Grandi, B. (1949). “Film di propaganda e realtà.” Vie Nuove 4(46): 19; Trombadori, Antonello (1952). “Come difendere il cinema realista?.” Vie Nuove 7(11): 2; Bollero, Marcello (1952). “Cinema e censura preventiva.” Vie Nuove 7(16): 2; Bigiaretti, Libero (1952). “Malinconia del censurato”. Vie Nuove 7(24): 2; Id (1952). “Libertà per i censori.” Vie Nuove 7(27): 2; Unus Ex Comitibus Brixae – Posta del Calendario (1953). Il Calendario del Popolo 9(104): 1444; Felice, A (1954). Il Calendario del Popolo 10(117): 1745.↩
Redazione (1953). “Un nuovo concorso a premi.” Pioniere 4(25): 14.↩
Fornari, Anna Maria (1954). Il Calendario del Popolo 10(113): 1649; R., Laura (1954). Il Calendario del Popolo 10(115): 1697; Marano, Aniello (1954). “Il cinema per l’infanzia in Italia.” Vie Nuove 9(33): 3; Pagnini, Andreina (1955). “Il cinema per i più piccoli.” Vie Nuove 10(49): 3. Sul ruolo dell’educazione comunista dell’infanzia si veda anche: Bellassai, Sandro (2000). La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del PCI (1947-1956). 321-360. Roma: Carocci.↩
Cfr. Gundle, Stephen (1991). “Cultura di massa e modernizzazione: Vie Nuove e Famiglia Cristiana dalla guerra fredda alla società dei consumi.” In Nemici per la pelle. Sogno americano e mito sovietico nell’Italia contemporanea, ed. by Pier Paolo D’Attorre, 244. Milano: FrancoAngeli; Gundle, Stephen (1995). I Comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La sfida della cultura di massa (1943-1991). 146. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale; Id., (2009). Figure del desiderio. Storia della bellezza femminile italiana. 217-224. Roma-Bari: Laterza.↩
L’ipotesi è suggerita dal fatto che esse sono presenti solo su Vie Nuove e dal 1950, anno in cui venne lanciata la prima edizione del concorso.↩
Redazione (1950). “Le scuole di cinematografia.” Vie Nuove 5(41): 23.↩
Da ricordare che già nel 1949 (nn. 53-59; 61), Il Calendario del Popolo pubblicò una “guida tecnica” su soggetto, trattamento, sceneggiatura, materiale plastico, ripresa, montaggio, proiezione produttori, noleggiatori ed esercenti di sale.↩
Masino, Paola (1955). “Soggetto cinematografico.” Vie Nuove 10(16): 21.↩
Masino, Paola (1954). “Soggetti cinematografici.” Vie Nuove 9(9): 20.↩
Si vedano: De Angelis, Claudio (1956). “Per fare l’operatore cinematografico.” Vie Nuove 11(13): 2; Baldini, Ugo (1956). “Diventare sceneggiatore.” Vie Nuove 11(47): 38; M., Gina (1957). “Diventare attrici.” Vie Nuove 12(2): 39; Giunta, Tiberio (1957). “Iniziazione alla cinecamera.” Vie Nuove 12(4): 38; Un lettore (1957). “Offresi attore.” Vie Nuove 12(6): 3; Bellone, U. (1957). “Doppiatori cinematografici.” Vie Nuove 12(6): 38; Melotti, Giorgio (1958). “Per diventare critici cinematografici.” Vie Nuove 13(5): 38-39.↩
Le posizioni della rivista rimangono le stesse anche in una precedente risposta del 1957 data ad Aurelio Bianchi di Torino in cui si legge “[…] abbiamo sempre deplorato e preso in giro certe sciocche curiosità che appassionano il grosso pubblico. Spesso, nel «Posto di blocco» abbiamo citato alcuni saggi di quelle notizie: ed abbiamo commentato: E a noi che ce ne importa?” Redazione (1957). Il Calendario del Popolo, 13(154): 2660.↩
La rivista, seppur ironicamente, invitava i lettori stessi a prendere “provvedimenti”. A tal proposito si legge: “Quando vedete in tram una ragazza leggere un «fumetto», compatitela: sogna, poverina, il suo romanzo d’amore e se ha le traveggole il sangue giovane. Ma quando a leggere il fumetto è una donna matura, toglietele gentilmente il giornale dalle mani, fatela scendere con voi alla prossima fermata, conducetela alla prossima piazza e qui dopo aver con un campanello convocato il popolo, fatela curvare e sculacciatela per pubblico esempio”. Redazione (1957). Il Calendario del Popolo 13(155): 2684.↩
Canestrini, Gianni (1949). “Technicolor in Italia.” Vie Nuove 4(31): 2.↩
Miotti, Aldo (1955). “Origine e tecnica del ‘cinemascope’.” Vie Nuove 10(47): 22; Cek, Boris (1957). “‘Cinerama’ e ‘Vistavision’.” Vie Nuove 12(42): 38; Grassi, Mario (1959). “Il cinescopio.” Il Calendario del Popolo 15(181): 3659; Piazza, Roberto (1960). “Lenti speciali per il cinemascope.” Vie Nuove 15(4): 49.↩
Cfr. Crapis, Giandomenico (2002). Il frigorifero del cervello. Il Pci e la televisione da «Lascia o raddoppia?» alla battaglia contro gli spot. Roma: Editori Riuniti.↩