Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.14 (2018)
ISSN 2280-9481

Il videomapping in Augmented Reality.
Surfacing media e urban storytelling in Cthulhu di KOMPLEX-Live Cinema Group

Mirko LinoUniversità degli Studi dell’Aquila (Italy)

Mirko Lino is Research Fellow and Adjunct Professor in History of Cinema and Cinema and Media at University of L’Aquila. He is editor in chief of “EmergingSeries Journal”. He published the book L’apocalisse postmoderna tra letteratura e cinema. Catastrofi, oggetti, metropoli, corpi (Le lettere, 2014); he edited (with S. Ercolino, M. Fusillo, L. Zenobi) Imaginary Films in Literature (Brill-Rodopi, 2016), and with S. Antosa, Sex(t)ualities. Morfologie del corpo tra visioni e narrazioni (Mimesis, 2018).

Ricevuto: 2018-07-12 – Versione revisionata: 2018-10-08 – Accettato: 2018-11-23 – Pubblicato: 2018-12-31

Abstract

This essay analyzes the Augmented Reality (AR) installations of the KOMPLEX-Live Cinema Group, who since 2013 have worked for the dissemination of digital visualities in urban spaces. KOMPLEX’s installations define AR’S media and narrative features, as a kind of surfacing media which allows digital images to come to the surface, by narrating the user’s walk through urban spaces (urban storytelling). The following analysis will consider the interactive installation Cthulhu – An Investigation on Very Low Frequencies in L’Aquila (2016) as the topic for consideration. Cthulhu is an augmented walk through the city of L’Aquila, where many districts were destroyed by a violent earthquake. These are replaced by the rich imagery taken from the literary mythology of H.P. Lovecraft novels. The AR work by KOMPLEX in Cthulhu aims to re-signify the interactive-immersive account between the user, medium and urban space. Before a formal analysis of Cthulhu, this essay will sketch out a theorical framework for the phenomenological study of Augmented Reality.

Keyword: Augmented Reality; KOMPLEX – Live Cinema Group; Post-Cinema; Surfacing Media; Urban Storytelling.

1 Inquadrare l’Augmented Reality

Nel video BroadcastAR Augmented Reality for National Geographic Channel1 (2012) viene ripresa un’installazione sviluppata da INDE2 in cui alcuni visitatori del National Geographic Museum di Rotterdam, posizionati all’interno di un reticolo sul pavimento, vengono mostrati su uno schermo dove all’improvviso appaiono le proiezioni digitali di astronauti, delfini, dinosauri, ecc. pronte a interagire con loro. Il video mostra l’incontro tra elementi reali (i visitatori) ed elementi virtuali (le proiezioni) all’interno di un contesto spaziale ben definito (il museo) che lo schermo installato contribuisce a trasformare in quello che Lev Manovich ha definito augmented space: uno spazio fisico dove si sovrappongono in maniera dinamica elementi virtuali (2006: 220).

La tecnologia esibita nel video è l’Augmented Reality (AR), capace di creare delle suggestive commistioni interattive tra elementi reali e digitali in uno spazio che diviene ibrido, dove il virtuale non sospende il reale, bensì lo arricchisce di informazioni e dati.3 BroadcastAR, inoltre, mostra gli effetti visivi che l’AR produce sui visitatori, indugiando sullo stupore impresso sui loro volti: un wow effect che sembra richiamare l’astonishment4 dello spettatore davanti alle apparizioni (e sparizioni) di immagini effimere e figure spettrali, tipiche di dispostivi precinematografici e del cinema delle origini. Questo esempio, quindi, permette di considerare l’AR alla stregua di una ricodificazione postcinematografica5 di diverse esperienze mediali del passato, caratterizzate da una spiccata innovazione e sperimentazione dei linguaggi e delle forme.

Helen Papagiannis (2014: 35) considera l’AR una medialità emergente; pertanto, alcune sue caratteristiche formali sembrano tracciare una continuità con quelle del passato: lanterna magica, fantasmagoria e il cinema delle origini “rimediando”6 le estetiche ibride, sperimentali, intermediali di queste forme del passato in chiave digitale. L’AR, infatti, sembrerebbe replicare l’esperienza del cinema delle attrazioni formalizzata da Gunning: “the craft of late nineteenth-century stage illusions consisted of making visible something which could not exist, of managing the pay of appearance, in order to confound the expectation of logic experience” (1986: 116-117). Alla stregua delle fantasmagorie e delle magie visive di Méliès,7 che con i loro “trucchi” esibivano tutto il potenziale espressivo delle rispettive medialità, anche l’AR nella sua fase attuale concorre a mostrare le proprie peculiarità tecniche, promettendo l’irruzione di elementi virtuali nello spazio fisico in maniera creativa e artistica, come dimostreranno alcuni esempi di Mobile Augmented Reality Art8 trattati nel prossimo paragrafo.

Figura 1. Un esempio di fantasmagoria; immagini tratte da BroadcastAR di INDE.
Figura 1. Un esempio di fantasmagoria; immagini tratte da BroadcastAR di INDE.
Figura 2. La colonizzazione urbana dei Pokémon.
Figura 2. La colonizzazione urbana dei Pokémon.

Secondo Helen Papagiannis (2014), quindi, l’AR ripercorrerebbe le medesime tappe che hanno caratterizzano i media prima di giungere a sviluppare modi di rappresentazione e produzione convenzionali;9 pertanto, vivrebbe una stagione di ricchezza espressiva e di profonda sperimentazione intermediale, di confronto con gli altri linguaggi, al fine di “drammatizzare” ed esibire, le proprie potenzialità visive10 e articolare una dimensione narrativa plasmata sulle proprie specificità tecnologiche.

L’AR nasce come una tecnologia per la visualizzazione di informazioni: non a caso il termine viene coniato da Caudell e Mizell (1992) a proposito di alcuni interventi tecnici sui Boeing eseguiti attraverso visori HUD (Head-Up Display)11 che permettevano all’operatore di visualizzare in sovraimpressione diversi dati tecnici. Grazie all’integrazione della geolocalizzazione e la diffusione di dispositivi mobili – smartphone, tablet e diversi prototipi di glass12 – questa tecnologia ha cominciato a essere impiegata per la costruzione di spazi ibridi, dove reale e virtuale negoziano la loro compresenza e influenzano reciprocamente le loro forme. Ed è a partire dalla triplice intermediazione tra reale, virtuale e interfaccia, che l’AR ha arricchito le sue possibilità espressive, divenendo un medium che non solo tematizza la polimorfia degli spazi, ma che si mostra esso stesso in continua trasformazione. Pertanto, considerare l’AR semplicemente una tecnologia sarebbe alquanto riduttivo; mentre, considerare le sue ricorrenze estetiche, i modi in cui esibisce le epifanie digitali, l’uso dei device e delle rispettive interfacce, all’interno dei discorsi del cinema e della sua rilocazione negli spazi urbani,13 della “ri-mediazione” del cinematico nei dispositivi mobili14 e della tracimazione dell’immagine cinematica nel campo della media art,15 permette, a mio parere, di comprendere le possibili configurazioni spaziali tra utente, contenuto, spazio e medium16 che definiscono alcuni assetti entro i quali costruiamo le nostre esperienze e organizziamo i nostri saperi con i media contemporanei.

In questo contributo si proverà, quindi, a unire i punti sin qui tracciati, prendendo come caso studio l’analisi formale del percorso urbano aumentato Cthulhu: An Investigation on Very Low Frequencies in L’Aquila (2016), sviluppato da KOMPLEX-Live Cinema Group. Attraverso questo caso specifico, si proverà ad avviare una riflessione sulla rilocazione delle istanze fruitive e visive del primo cinema all’interno delle polimorfie espressive dell’AR, insistendo sulla sua profonda interazione con la superficie urbana.

2 L’AR come surfacing media e urban storytelling

Le applicazioni dell’AR sono molteplici. Da una parte, si accostano alla logica dell’estrazione di dati e informazioni da marker e QR code: pensiamo all’ambito brand oriented17 dove tendenzialmente si generano esperienze passive (lean back experience18) di animazioni virtuali di oggetti statici,19 o micronarrazioni per fidelizzare il consumatore, fruibili sullo smartphone, senza richiedere l’interazione dell’utente; o a quello dell’editoria,20 dove articoli e approfondimenti vengono estratti dalla carta stampata e rilocati per essere letti sul proprio dispositivo mobile. Dall’altra parte, invece, sono notevoli gli sviluppi in ambito medico-scientifico, come avviene, ad esempio, per lo sviluppo di augmented surgery table21 dove viene intensificata la portata visiva delle epifanie grafiche e informazionali. L’AR, quindi, nella sua polimorfia e polifunzionalità, appare imbrigliata in una serie di effetti meramente mostrativi, organizzati su immagini che emergono da oggetti e superfici statiche. È soprattutto l’ambito artistico sperimentale, invece, a insistere verso la sperimentazione di diverse tipologie di articolazioni narrative a seconda delle esperienze dell’utente e la qualità delle immagini che emergono. Rewa Wright (2015: 2) sottolinea come l’AR contribuisca alla riconfigurazione delle nozioni di interfaccia, partecipazione dell’utente ed esperienza mediale in relazione a una dimensione spaziale che, come abbiamo accennato, si rivela ibrida e complessa. La sfida in termini artistici sembrerebbe quella di innescare una relazione con lo spazio circostante che superi le limitazioni della galleria o dello spazio espositivo,22 al fine di concentrarsi principalmente sull’area urbana e gli spazi pubblici. La Mobile AR(t), argomento centrale degli studi di Wright, illustra la complessità fenomenologica dello spazio aumentato; una questione che per Lev Manovich (2006: 225) diventa anche estetica e riguarda la centralità dell’utente nell’esperienza mediale. In questa prospettiva, ad esempio, il collettivo Manifest.Ar si propone di usare l’AR per trasformare il senso profondo degli spazi pubblici attraverso l’installazione di oggetti virtuali,23 che richiedono all’utente pratiche di walk through tra elementi urbani “aumentati” da interferenze digitali. È proprio la combinazione tra interfaccia mobile, geolocalizzazione e spazio a contribuire a definire i contenuti in AR come la narrazione di un’esperienza urbana (urban storytelling). Ad esempio, Alter Bahnof (2012) di Janet Cardiff e Georges Bures Miller mostra lo schermo di uno smartphone posto al centro di un’inquadratura che riprende il flusso di gente in transito dalla stazione ferroviaria di Kassel in Germania; al di fuori della cornice ritagliata dallo smartphone viene riproposto il medesimo scenario urbano, colto però in un altro momento, mentre la voce di Cardiff (in audio binaurale) racconta frammenti di narrazioni, provando a guidare – e a confondere – gli utenti.

Figura 3. 28 di KOMPLEX.
Figura 3. 28 di KOMPLEX.

Alter Bahnof illustra un’intrigante fusione tra interfaccia, spazio reale e narrazione orale, che ribadisce come l’esperienza visiva e narrativa della città venga sempre di più mediata dagli schermi di dispostivi portatili. In Biomer Skelter (2013) di Tamiko Thiel e Will Pappenheimer, invece, le sperimentazioni tra spazio e narrazione convergono in forme di embodiment virtuale e metropolitano, tramite un fitto scambio tra dati biologici e spazio urbano: a partire dalla frequenza dei battiti del cuore degli utenti, analizzato da un’app, sulla città vengono disseminate diverse tipologie di piante visualizzabili tramite smartphone e tablet; maggiore sarà la frequenza dei battiti, maggiore sarà la presenza della vegetazione virtuale nello spazio urbano, generando così un nuovo cityscape24 che “racconta” anche lo stato fisico dell’utente.

Figura 4. Locandina digitale di Cthulhu e del workshop in AR tenutosi presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila.
Figura 4. Locandina digitale di Cthulhu e del workshop in AR tenutosi presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila.

Altri due brevi esempi, questa volta inerenti ai tentativi di diffusione commerciale e videoludica dell’AR, contribuiscono a definirne maggiormente la componente narrativa in relazione allo spazio urbano. Il primo esempio riguarda il video One Day25 (2012) prodotto da Google per la promozione dei suoi glass.

Figura 5. I tentacoli di Cthulhu nel portico presso la Piazza del Duomo.
Figura 5. I tentacoli di Cthulhu nel portico presso la Piazza del Duomo.

One Day mostra un’ipersoggettiva (Eugeni 2015: 49-63) delle interazioni dell’utente con le informazioni e i dati estrapolati dalla superficie urbana e ricodificate tramite i Google Glass. L’ambiente urbano e gli altri spazi percorsi (la strada, la libreria, l’accesso alla metro, ecc.) si trasformano in un’interfaccia immersiva per diverse tipologie di interazione con le rappresentazioni grafico-dinamiche di dati e informazioni (data visualization). In questa maniera, il percorso interattivo dell’utente funziona da volano per la narrazione di un’esperienza mediale sempre più integrata nel tessuto urbano.

Il secondo esempio riguarda la famosa app Pokémon GO (2016) sviluppata da Niantic Lab, che permette ai giocatori di catturare tra le strade di diverse città del mondo le entità digitali appartenenti al mondo dei videogame della Nintendo. L’app, come sottolinea Adriana De Souza e Silva, rientra nella categoria degli Hybrid Reality Game26 (HRG), ovvero quelle esperienze ludiche che utilizzano la città come campo di gioco (De Souza e Silva 2017: 21). Peculiarità di questa app-game, rispetto agli altri HRG, è l’utilizzo dell’AR per attivare i contenuti del gioco (la visualizzazione degli animaletti del mondo dei Pokémon che i giocatori devono catturare) rilocando così l’esperienza videoludica nello spazio urbano.27 In questa maniera il gioco viene arricchito da un’esperienza urbana: una narrazione configurata sulla geolocalizzazione e i percorsi tracciati dagli utenti per raggiungere i diversi obiettivi.

Figura 6. Altre immagini tratte da Cthulhu.
Figura 6. Altre immagini tratte da Cthulhu.

Gli esempi sin qui trattati fanno riferimento a una forma occasionale di storytelling che, a partire dalle relazioni tra utente, spazio e schermo del device, lungo intense sovrapposizioni tra spazi reali e virtuali, esplicita la narratività intrinseca al medium. Appare evidente come queste esperienze si rivolgano alla superficie urbana, intesa come palcoscenico per l’apparizione di entità digitali. Il territorio si trasforma in uno spazio informazionale e computazionale (Farman 2013) dove dati e informazioni si commutano in forme grafiche digitali che appaiono sulle superfici urbane (facciate, scorci, edifici e altre architetture). L’AR, allora, sembra configurarsi in una forma mediale specifica: un surfacing media che permette di assistere all’emersione di immagini digitali (to surface) tra le superfici urbane (surfaces), “ri-mediando” sui territori del digitale quelle esperienze visive che, come abbiamo accennato precedentemente, appartenevano alle tradizioni della lanterna magica e della fantasmagoria. In questa maniera, la dimensione fantasmatica dell’immagine all’origine del cinema viene “ri-locata” dai teatri del diciottesimo secolo (Allen 2018) agli spazi urbani contemporanei. Inoltre, la città con le sue superfici, gli spazi e le architetture viene attraversata e mappata dalle esplorazioni degli utenti; in questo modo, si presta a essere manipolata come una forma (iper)testuale, dove si articolano diverse tipologie di urban storytelling. Un modello, questo, ampiamente utilizzato da KOMPLEX-Live Cinema Group, i cui lavori contribuiscono a rendere l’urban storytelling la forma narrativa dominante per le esperienze e le interazioni aumentate.

3 KOMPLEX-City: interferenze intermediali

KOMPLEX-Live Cinema Group,28 composto da Mariano Equizzi, Paolo Bigazzi Alderigi, Luca Liggio, dal 2013 lavora sulla disseminazione di contenuti in AR sul tessuto urbano di diverse città, o in occasione di festival di cinema (festival anchorage) sviluppando storytelling tematici, frammentari e non-lineari, legati a immaginari letterari, cinematografici e tecnologici. Le narrazioni richiamano principalmente il cyberpunk come in 28 (2013), disseminato nel quartiere Vanchiglia di Torino, The Disappearance of Hagan Arnold (2016), ispirato al personaggio del film di fantascienza Project X (1968) e installato a Sofia, Gizmo (2017) presso il Museolab del Fantastico (MuFant) di Torino, Report on the Probability (2015) preparato per la 51a Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro – solo per citare alcuni lavori.

Figura 7. Altre immagini tratte da Cthulhu.
Figura 7. Altre immagini tratte da Cthulhu.

Riferendosi a 28, Simone Arcagni ha sottolineato come il nucleo dell’esperienza fruitiva risieda negli intrecci tra flusso cinematografico, geolocalizzazione e spazio urbano:

Therefore, the public spaces and the city become the new core and the new landscape of the cinema of flows, “expanded” from potentiality and the ubiquity of new media, “augmented” from the effects of connection and geolocation. Geolocation, in KOMPLEX’s hand, is not anymore just a form of “site specific” and geographic games, it transforms in a special location of narrative fragment for the audience to connect. (2013: 3)

L’AR secondo KOMPLEX rimarca una spiccata eterogeneità linguistica ed espressiva che sfrutta ampiamente l’indeterminatezza che caratterizza le medialità emergenti in un eclettico reticolo di interferenze intermediali. Come ha dichiarato Mariano Equizzi nell’intervista raccolta da Domenico Morreale:

When I discovered augmented reality, I realized it was the best way to express the story. It isn’t enough to tell stories. We had the chance to hide them in the city and make them cultic, as some street art based on subtraction of elements. I’m interested in the viewer who becomes part of the adventure and discovery. Augmented reality is closer to this type of interference than the arrogance by the monolithic media, such as film. (2013: 25)

Nelle installazioni di KOMPLEX le facciate, gli scorci e le architetture vengono mappate attraverso diverse serie di fotografie – una facciata viene colta durante diverse fasi (giorno, tramonto, sera) e in diverse condizioni atmosferiche, in modo da essere sempre leggibile dall’app HP Reveal29 – a cui si innestano contenuti audiovisivi da scoprire. Il risultato finale è un videomapping della città schizofrenico e imprevedibile: la sua ricodifica digitale in un tessuto narrativo “nascosto” tra le superfici e gli scorci architettonici.

L’urban storytelling di KOMPLEX viene configurato sulle istanze interattive del live cinema, pratiche (video)ludiche, immagini cinematografiche, frammenti audiovisivi, che spesso, lo stesso Equizzi, in diversi workshop,30 ha ricollegato all’attitudine sperimentale della video-arte, dell’hackerism, della net art e land art. Questi riferimenti rimandano alla complessità della società ipertecnologica e ipermediale contemporanea, riportando al centro l’importanza delle sperimentazioni e rappresentazioni filmiche e letterarie postmoderne che hanno provato a decodificarne il senso profondo. Nei percorsi aumentati l’utente si trova immerso in trame complottistiche alla Thomas Pynchon, in allucinazioni mediali alla Cronenberg e visioni del cyberspazio alla William Gibson. Ecco, allora, che l’estetica delle installazioni in AR trasforma la città in un ricco ipertesto in cui vengono disseminati diversi stimoli audio-video che restituiscono il senso della complessità mediale contemporanea. Viene quindi ripresa l’indagine sulla tecnologia che ha caratterizzato le raffigurazioni e gli immaginari di una “paranoia high-tech” (Jameson 2007: 54), tipica delle narrazioni cyberpunk del postmodernismo, riconoscendovi il punto di riferimento tematico-estetico per sviluppare le riflessioni sul potenziale espressivo dell’AR.31

4 Cthulhu, ovvero, risemantizzare L’Aquila

Come è stato finora accennato, le narrazioni aumentate di KOMPLEX si riferiscono a immaginari controversi e complessi, la cui logica appare sfuggente. Pertanto, le rielaborazioni digitali si prestano a un’intensificazione dei corredi simbolici attraverso la pratica postmoderna del pastiche di immaginari letterari e filmici. Così avviene in Cthulhu: An Investigation on Very Low Frequencies in L’Aquila, un percorso in AR installato in occasione di un workshop sull’Augmented Reality tenutosi nell’ottobre 2016 presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila.

I luoghi emblematici del centro storico del capoluogo abruzzese, assieme ad alcune facciate di edifici ancora sotto sicurezza, sono stati trasmutati nel palcoscenico per l’apparizione digitale di Cthulhu, il celebre mostro mitologico dei romanzi di H.P. Lovecraft.

Puntando lo smartphone su alcune facciate e monumenti e usando il pointer della app HP Reveal, l’utente vedrà apparire lentamente il mostro lovecraftiano da dietro le mura del Forte Spagnolo del sedicesimo secolo, mentre tra le colonne del portico all’altezza di Piazza del Duomo compaiono i suoi famigerati tentacoli. Altre tracce visive di Cthulhu emergono dai volumi geometrici dell’Auditorium costruito da Renzo Piano subito dopo il sisma del 2009, o tra gli austeri nudi della Fontana Luminosa, così come tra le facciate squadrate e modulari del Dipartimento di Scienze Umane.

Le apparizioni sono accompagnate da musiche elettroniche gravi e a bassa frequenza: un sound design che lavora suggestivamente sulle cosiddette Very Low Frequencies (bassissime frequenze che secondo alcuni scienziati faciliterebbero le previsioni di movimenti tellurici rilevanti), stabilendo un nesso tematico tra l’immaginario letterario, la speculazione scientifica e la tragedia del sisma del 2009. A completare il fitto tessuto di stimolazioni, all’utente vengono presentati stralci di romanzi dello scrittore americano, frammenti audiovisivi, immagini realizzate con la computer graphic e diversi contributi video di Angelo Cerchi (appassionato esegeta delle opere di Lovecraft) dagli spiccati toni cripto-apocalittici.

Cthulhu è un pastiche mediale; un’allucinazione letteraria-visuale che usa l’Augmented Reality (AR) per risemantizzare gli spazi urbani e le superfici della città, offrendo all’utente un percorso aumentato, lungo la quale raccogliere una fitta tessitura intermediale attorno alle mitologie lovecraftiane.

Il riferimento alle Very Low Frequencies collega il percorso urbano a una rielaborazione simbolica del terremoto, trasformando il complesso e lento processo di ricostruzione in fieri della città in uno schermo visionario: una simbolizzazione della catastrofe attraverso un’intermediazione letteraria e la sua rilocazione urbana. Inoltre, alcune epifanie visive, essendo “incastonate” in facciate ed edifici ancora da ricostruire, si fanno portavoce di una poetica della provvisorietà con cui interpretare il vincolo tra immagine digitale e spazialità urbana.

Come le precedenti esperienze di KOMPLEX, anche Cthulhu offre all’utente l’opportunità di una riscrittura simbolica della città attraverso l’interfaccia dello smartphone e la realtà fenomenica delle superfici urbane in ricostruzione. L’installazione diventa un percorso dettato dalla sommatoria di diverse epifanie visive: immagini digitali pertinenti al mito letterario sul mostro sono pronte per essere “risvegliate” non da un’invocazione, quanto dalla presenza dell’utente e del suo mobile device. L’utente, alla stregua di un rabdomante ipermediale, ricerca i contenuti disseminati sul territorio, trasformando la basica esperienza mostrativa in un percorso narrativo disarticolato, non-lineare, frammentato; in altre parole, si trova immerso in un film puzzle in cui l’ordine delle scene è stabilito dal percorso spaziale che viene intrapreso spontaneamente.32 Viene così attuata una profonda deterritorializzazione dell’immaginario letterario, a partire dalla sua intrinseca essenza visuale.

Tramite lo smartphone, l’utente compie dei gesti spaziali: una volta geolocalizzata la facciata architettonica “aumentata” sulla piattaforma HP Reveal, questi vi si collocherà frontalmente, esattamente nelle consuete modalità di un visitatore, ma invece di scattare una fotografia, raccoglierà dei contenuti mediali nascosti. In questo modo, l’utente viene coinvolto attivamente nel processo di riconfigurazione dello spazio circostante e nella risemantizzazione delle pratiche mediali contemporanee: diventa una figura complessa che oltre a utilizzare il device, visita l’installazione, la “percorre” riscrivendo l’ordine del racconto.

5 Conclusione

La città per KOMPLEX vive delle sue complessità e contraddizioni; diventa una superficie attraversata da flussi e interferenze intermediali, dove la giustapposizione tra reale e virtuale delinea una mappatura “non cartografabile, in quanto sorta nella zona di intersezione tra spazio urbano e cyberspazio” (Montani 2014: 95 – enfasi aggiunta).

L’esperienza di Cthulhu sembra indicare negli “spazi urbani aumentati” la nuova dimensione spaziale per l’immagine in movimento, dove il virtuale, con le sue interferenze e sovrapposizioni sullo spazio fisico, diventa una potente forza che riconfigura il materico (Manovich 2006: 236). Le esperienze di KOMPLEX non si esauriscono unicamente in una serie di epifanie visive. Piuttosto, è proprio l’intrinseca effimerità delle immagini virtuali, assieme alla loro disseminazione tra gli spazi pubblici, a richiedere al nuovo medium una struttura narrativa adeguata, e che in questo saggio ho provato a definire urban storytelling. Questo racconto urbano, mediato da una tecnologia che nasce come mostrativa, sembra riproporre le sperimentazioni formali alimentate dalla dialettica mostrazione-narrazione tipica della creatività del cinema delle attrazioni (Gunning 1986, 1989; Gaudreault 2004; 2009) e altresì dal coinvolgimento dinamico dell’utente e del rapporto eclettico che questi instaura con lo spazio della fruizione.

Nelle ultime pagine del suo fondamentale Expanded Cinema, Gene Youngblood, riferendosi alle possibilità visivo-espressive in seno alle sperimentazioni con il medium cinematografico, scrive:

the art of holographic cinema circa 1970 is comparable to that of conventional cinema circa 1900. The few scientists who have made the first crude holographic films are the Edisons and Lumieres of our time. Through the hologram window we peer into a future world that defies the imagination, a world in which the real and the illusory are one, a world at once beautiful and terrifying. (2013: 399)

KOMPLEX deterritorializza le istanze sperimentali del cinema e riconfigura le regole del coinvolgimento dello spettatore immergendolo in uno storytelling intermediale e spiccatamente urbanocentrico che funziona come un intrigante accesso ai territori di un immaginario a tratti imprevedibile. In accordo con le parole di Youngblood, questo immaginario (pre)vede la collisione creativa di mondi bellissimi e terrificanti; esattamente come può apparire Cthulhu nel momento in cui irrompe sopra il Forte Spagnolo, o su altri spazi simbolici dell’Aquila, interferendo, quindi, con la bellezza di quei monumenti che sono sopravvissuti all’apocalisse del terremoto del 2009.

Bibliografia

Allen, Patrick (2018). “A Brief History of Immersion, Centuries Before VR.” http://theconversation.com/a-brief-history-of-immersion-centuries-before-vr-94835 (ultimo accesso 23-11-2018).

Arcagni, Simone (2010). Oltre il cinema. Metropoli e media. Torino: Kaplan.

Arcagni, Simone (2012). Screen City. Roma: Bulzoni.

Arcagni, Simone (2013). “28 by KOMPLEX.” Screen City Journal 1(3): 1-8.

Arcagni, Simone (2016). Visioni digitali. Video, web, nuove tecnologie. Torino: Einaudi.

Azuma, Ronald (1997). “A Survey of Augmented Reality.” Presence: Teleoperators and Virtual Environments 6(4): 355-385.

Bisogni, Maurizio (2014). Realtà aumentata. Per la comunicazione di prodotto. Milano: Tecniche Nuove.

Bolter, David J. e Richard A. Grusin (2002 [1999]). Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi. Milano: Guerini e Associati.

Casetti, Francesco (2008). “L’esperienza filmica e la ri-locazione del cinema.” Fata Morgana 4: 23-40.

Casetti, Francesco (2015). La Galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene. Milano: Bompiani.

Caudell, Thomas e David Mizzel (1992). “Augmented Reality: An Application of Heads-Up Display Technology to Manual Manufacturing Processes.” In Proceedings of the Twenty-Fifth Hawaii International Conference on System Sciences, 659-669. Washington: IEEE Computer Society Press.

Communication Strategies Lab (2013). Realtà Aumentate. Esperienze, strategie e contenuti per l’Augmented Reality. Milano: Apogeo.

De Rosa, Miriam (2013). Cinema e postmedia: i territori del filmico nel contemporaneo. Milano: Postmedia.

De Rosa, Miriam e Vinzenz Hediger, a cura di (2016). Post-what? Post-when? Thinking Moving Images Beyond the Post-medium/Post-cinema Condition. Cinéma & Cie. International Film Studies Journal 16(26-27).

De Souza e Silva, Adriana e Larissa Hjorth (2009). “Playful Urban Spaces. A Historical Approach to Mobile Games.” Simulation and Gaming 40(5): 602-625.

De Souza e Silva, Adriana (2017). “Pokémon GO as an HRG: Mobility, Sociability, and Surveillance in Hybrid Spaces.” Mobile Media & Communication 5(1): 20-23.

Denson Shane e Julia Leyda, a cura di (2016). Post-Cinema: Theorizing 21st Century Film. Falmer: Reframe Books.

Engberg, Maria e David J. Bolter (2014). “Cultural Expression in Augmented and Mixed Reality.” Convergence: The International Journal of Research into New Media Technologies 20(1): 3-9.

Eugeni, Ruggero (2015). La condizione postmediale. Media, linguaggi e narrazioni. Brescia: La Scuola.

Farman, Jason, a cura di (2013). The Mobile Story: Narrative Practices with Locative Technologies. London: Routledge.

Federici, Francesco (2017). Cinema esposto. Arte contemporanea, museo, immagini in movimento. Udine: Forum.

Gaudreault, André (2004). Cinema delle origini. O della “cinematografia-attrazione”. Milano: Il Castoro.

Gaudreault, André (2009). From Plato to Lumière: Narration and Mostration in Literature and Cinema. Toronto-Buffalo-London: University of Toronto Press.

Geroimenko, Vladimir, a cura di (2014). Augmented Reality Art: From an Emerging Technology to a Novel Creative Medium. Cham: Springer International.

Gunning, Tom (1986). “The Cinema of Attraction: Early Cinema, its Spectator and the Avant-Garde.” Wide Angle 8(3): 63-70.

Gunning, Tom (1989). “The Aesthetic of Astonishment: Early Films and the (In)Credulous Spectator.” Art and Text 34: 114-133.

Jameson, Fredric (2007 [1991]). Postmodernismo, o la logica culturale del tardo capitalismo. Roma: Fazi.

Lischi, Sandra (2012). “Film da percorrere: l’installazione ‘cinematografata’.” Predella 31. http://www.predella.it/archivio/index43d5.html?optionid (ultimo accesso 23-11-2018).

Manovich, Lev (2001). Il linguaggio dei nuovi media. Milano: Olivares.

Manovich, Lev (2006). “The Poetics of Augmented Space.” Visual Communication 5(2): 219-240.

Marcheschi, Elena (2015). Videoestetiche dell’emergenza. L’immagine della crisi nella sperimentazione audiovisiva. Torino: Kaplan.

Montagna, Lorenzo (2018). Realtà virtuale e realtà aumentata. Nuovi media per nuovi scenari di business. Milano: Hoepli.

Montani, Pietro (2014). Tecnologie della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva. Milano: Raffaello Cortina.

Morreale, Domenico (2013). “A Self Reflection Through the Cyber Mirror: 28 by KOMPLEX.” Screen City Journal 1(3): 20-28.

Ndalianis, Angela (2004). Neo-Baroque Aesthetics and Contemporary Entertainment. Cambridge (Mass)-London: The MIT Press.

Papagiannis, Helen (2014). “Working Towards Defining an Aesthetics of Augmented Reality: A Medium in Transition.” Convergence: The International Journal of Research into New Media Technologies 20(1): 33-40.

Pappenheimer, Will (2013). “Critical Space.” NMC – Journal of the New Media Caucus. http://median.newmediacaucus.org/tracing-newmediafeminisms/critical-space/ (ultimo accesso 23-11-2018).

Pucci, Marco (2014). Storia della Realtà Aumentata. http://www.marcopucci.it/storia-della-realta-aumentata/ (ultimo accesso 23-11-2018).

Schraffenberger, Hanna e Edwin van der Heide (2014). “Everything Augmented: On the Real in Augmented Reality.” CITAR Journal 6(1): 17-29.

Stadler Reinhold, Lehel (2016). “The Decline of Virtual Reality and the Rise of Augmented Reality. A Digital Reshape of Public Spaces.” Journal of Urban and Landscape Planning 1: 12-21.

Thorburn, David e Henry Jenkins, a cura di (2003). Rethinking Media Change. The Aesthetics of Transition. Cambridge (Mass)-London: The MIT Press.

Wright, Rewa (2014). “Art, In Your Pocket: New Current in Mobile Augmented Reality.” Journal of Creative Technologies 4. https://ojs.aut.ac.nz/journal-of-creative-technologies/index.php/JCT/article/view/20 (ultimo accesso 23-11-2018).

Wright, Rewa (2015). “Mobile Augmented Reality Art and the Politics of Re-assembly.” ISEA 2015- Proceedings of the 21st International Symposium on Electronic Art. http://isea2015.org/publications/proceedings-of-the-21st-international-symposium-on-electronic-art/ (ultimo accesso 23-11-2018).

Youngblood, Gene (2013 [1970]). Expanded Cinema. Bologna: CLUEB.


  1. https://vimeo.com/31479392 (ultimo accesso 28-06-2018).

  2. Compagnia specializzata nella realizzazione di progetti di comunicazione e promozione con l’AR e la Computer Vision: https://www.indestry.com/augmented-reality-company/ (ultimo accesso 28-06-2018).

  3. Come sottolinea Ronald Azuma, l’AR si sviluppa a partire dalle sperimentazioni con gli ambienti virtuali (virtual environments), ma a differenza di questi, che annullano la percezione del reale, si assiste piuttosto alla sovraimpressione di dati e informazioni nel mondo fisico, senza la sostituzione di quest’ultimo con una simulazione di ambienti in computer graphic: “Virtual Enviroments technologies completely immerse a user inside a synthetic environment. While immersed, the user cannot see the real world around him. In contrast, AR allows the user to see the real world, with virtual objects superimposed upon or composited with the real world. Therefore, AR supplements reality, rather than completely replacing it. Ideally, it would appear to the user that the virtual and real objects coexisted in the same space” (1997: 356).

  4. Mi riferisco alla teorizzazione del cinema delle attrazioni e ai suoi effetti sullo spettatore sviluppata da Tom Gunning (1986, 1989) e ripresa da André Gaudreault (2004).

  5. Si veda la mappa delle forme del postcinema presentata da Simone Arcagni (2016: 36).

  6. Con il termine ri-mediazione si fa riferimento alla famosa teoria di Bolter e Grusin (2000) che illustra la tendenza dei media contemporanei di assorbire le forme, le tecniche e i linguaggi dei media precedenti.

  7. Si pensi all’espediente dello stop trick per far apparire e scomparire “magicamente” elementi dall’inquadratura.

  8. A tal proposito, rimando agli stimolanti contributi di Rewa Wright (2014, 2015), dove lo sviluppo di una dimensione artistica dell’AR viene decodificata a partire dalla teoria delueuziana dell’assemblaggio. Inoltre, si veda l’ampia indagine sulle forme artistiche dell’AR curata da Vladimir Geroimenko (2014).

  9. Sulle tappe espressive e formali delle medialità emergenti, si vedano Thorburn e Jenkins, soprattutto l’esempio che gli autori fanno in riferimento al comic novel, identificandovi una tendenza “neobarocca”, rivolta a scompaginare le forme ereditate dalla tradizione, spentasi dopo l’imposizione di un formato standard, quello “a striscia”, da inserire nei quotidiani (2003: 6). Sulla tendenza “neobarocca” dell’intrattenimento mediale contemporaneo, si veda anche Angela Ndalianis (2004).

  10. Papagiannis, ad esempio, ricorda come nel cinema delle origini la trasformazione dell’immagine da statica a in movimento fosse un espediente stilistico per enfatizzare la differenza tra l’immagine fotografica e quella cinematografica. Alla stessa maniera, diversi contenuti in AR, fruibili tramite dispositivi mobili – smartphone, tablet, visori o glass – sfruttano questo medesimo espediente, questa volta, però, per indicare l’irruzione del mondo virtuale in quello reale (2014: 36).

  11. Il primissimo prototipo di HUD fu sviluppato da Ivan Sutherland nel 1966: https://youtu.be/NtwZXGprxag (ultimo accesso 28-06-2018).

  12. Dai Google Glass, che non hanno mai avuto una commercializzazione sistematica, a Microsoft Hololens, ancora in fase di affinamento e a oggi fuori dal commercio di massa.

  13. Si vedano Manovich (2001), Casetti (2008, 2015), Arcagni (2010, 2012).

  14. Si vedano Eugeni (2015), Arcagni (2016).

  15. Si fa riferimento alla nozione di expanded cinema di Gene Youngblood (1970). Sulla tracimazione del cinematico in altri contesti, soprattutto video-artistico, si vedano anche De Rosa (2013), Federici (2017), Marcheschi (2015).

  16. Per Lev Manovich, infatti, il concetto di augmentation non si riduce all’esposizione di un meccanismo tecnologico, che si può rintracciare facilmente nei modi dell’ubiquitous and pervasive computing ascrivibile ai sistemi di sorveglianza e ai monitor disseminati negli spazi urbani, ma si afferma come una pratica estetica e culturale in cui il mondo reale e quello virtuale si presentano sincronicamente nel campo visivo dell’utente; una tendenza che secondo lo studioso ricorre nelle sperimentazioni spaziali delle gallerie d’arte, del museo e del cinema (2006).

  17. In ambito italiano si vedano: Communication Strategies Lab (2013), Bisogni (2014), Montagna (2018).

  18. Papagiannis (2014: 2).

  19. La lattina della Coca-Cola, la mascotte dei Kellog’s o il packaging dell’happy meal di McDonald, solo per fare alcuni esempi: https://www.youtube.com/watch?v=hYkJJz1WeWw; https://www.youtube.com/watch?v=oWpdoPl90IA; https://www.youtube.com/watch?v=6byhYIfeEcg (ultimo accesso 28-06-2018).

  20. Si veda l’app Nòva AJ, che permette di leggere gli articoli del noto supplemento del Sole 24 Ore dalla carta stampata al proprio smartphone: https://www.ilsole24ore.com/art//2014-01-24/alla-frontiera-possibile-064317.shtml?uuid=ABE2ktr (ultimo accesso 28-06-2018).

  21. Sul dibattito dell’utilizzo dell’AR in ambito medico, si veda, a titolo esemplificativo, Douglas et al. (2017): https://www.oatext.com/virtual-reality-and-augmented-reality-advances-in-surgery.php/#Article (ultimo accesso 28-06-2018).

  22. Per collocare l’AR in uno spazio della sperimentazione espressiva, Wright usa il termine post-gallery (2015).

  23. Come si legge sul sito ufficiale del collettivo: “The group sees this medium [AR] as a way of transforming public space and institutions by installing virtual objects, which respond to and overlay the configuration of located physical meaning”. https://manifestarblog.wordpress.com/about/ (ultimo accesso 28-06-2018).

  24. Secondo gli autori, Thiel e Pappenheimer (2013), Biomer Skelter è definibile come: “a crowd sourced public artwork that connects body rhythms to potential ecosystems as it repaints a cityscape with prolific virtual flora […] Mind-body states cause virtual instantiation, manifesting a mixed reality topology in engagement with the real space of the city. The fields and forests of virtual vegetation left behind trace the participants’ changing psychosomatic conditions and transform the medium of the cityscape”. http://biomerskelters.com/bsk2.html (ultimo accesso 28-06-2018).

  25. https://www.youtube.com/watch?v=Vb2uojqKvFM (ultimo accesso 28-06-2018).

  26. Uno degli esempi di HRG più famosi è Ingress (anche questo da Niantic Lab nel 2012). De Souza e Silva, tuttavia, lamenta in Pokémon GO l’assenza di una piattaforma online che contribuisca ad accrescere la socialità tra i giocatori, nonostante la presenza di diverse pagine sui social.

  27. Per approfondire le modalità di trasformazione della città in campo di gioco, si veda anche De Souza e Silva, Hjorth (2009).

  28. Per visionare i lavori di KOMPLEX e le user’s experience video a essi correlati rimando al sito ufficiale: http://www.komplex.city/ (ultimo accesso 28-06-2018).

  29. Precedentemente l’app si chiamava Aurasma.

  30. Mi riferisco soprattutto a quello dal titolo SURR-AR-LISM. Un workshop su di una potenziale letteratura visuale, tenutosi presso il Politecnico di Torino nell’ottobre del 2015.

  31. Non è un caso che una prefigurazione della tecnologia dell’AR in ambito letterario si possa ritrovare nel romanzo Virtual Light (1993) di William Gibson, dove i personaggi che indossano degli occhiali predisposti riescono a vedere diverse porzioni architettoniche di San Francisco profondamente trasformate. Questo, però, non è l’unico caso letterario che in qualche maniera “anticipa” lo sviluppo tecnologico dell’AR. Come ricorda Marco Pucci (2014), una logica rivelatoria dell’AR si trova nel romanzo The Master Key. An Electrical Fairy Tale, scritto da Frank L. Baum nel lontano 1901.

  32. Si potrebbe considerare Cthulhu alla stregua di un “film da percorrere”, poiché l’esperienza fruitiva è vincolata alla mobilità sia dell’utente sia del device. Si veda Sandra Lischi (2012).