Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.13 (2018)
ISSN 2280-9481

Fantozzi. L’eterno ritorno

Gabriele GimmelliUniversità degli Studi di Bergamo (Italy)

Gabriele Gimmelli (Milan, 1988), Ph.D. student at the University of Bergamo, is editor of the magazine Doppiozero and member of the editorial board of Imm@gine, the online journal of AIRSC. He writes for Filmidee, Blow Up, Film Tv. He is the author of Grandi Affari. Laurel e Hardy e l’invenzione della lentezza (Mimesis, 2017) and co-directed, with Diego Marcon, La morte e il principe (2017) a video-essay about the gruesome side of Totò’s comedy. He also worked with Ilaria Pezone on France – Quasi un autoritratto (2017), a portrait of film scholar and filmmaker Francesco Ballo.

Andrea Miele

Andrea Miele (Treviglio, 1990) studies editing at the Luchino Visconti Civic School of Cinema in Milan. He is the author of the video Reel Around the Fountain (2016; 2nd place at the XXXIII edition of the Adelio Ferrero Award – videos section), on La dolce vita; and Colombi, un’espansione (2017), about Luca Ferri’s short film with the same name.

Ricevuto: 2018-03-01 – Versione revisionata: 2018-05-26 – Accettato: 2018-06-07 – Pubblicato: 2018-07-12

Abstract

The idea behind this videoessay is that actor Paolo Villaggio has been gradually “swallowed” by his most famous character, the humble accountant Ugo Fantozzi, of which Villaggio, in his television debut, told the misadventures using third person narration. In 1975, when Fantozzi became a movie character, Villaggio decided to assume in first person the main role. But the intensive exploitation of the character, coupled with the rapid exhaustion of his creative vein, have forced the author-actor to a draining repetition of the same gags. While Fantozzi gradually loses its satirical characteristics to become a more childish and cartoonesque figure, Villaggio’s body, on the contrary, becomes visibly older and weaker, physically unable to support the role. Following the transformations of the character and its creator-interpreter, our work intends to propose a journey through the Fantozzi’s saga. An audiovisual essay built as a sort of medieval polyptych, in which each chapter can be considered autonomously and, at the same time, as a stage in a wider discourse around one of the most popular figures of postwar Italian cinema.

Keyword: Fantozzi; Paolo Villaggio; videoessay; slapstick comedy; corpo d’attore.

L’impostazione complessiva e i contenuti di questo lavoro nascono da un progetto a lungo discusso e profondamente condiviso dagli autori, nonché da un costante confronto. In fase d’elaborazione, Andrea Miele ha curato maggiormente la realizzazione tecnica del prodotto audiovisivo, mentre a Gabriele Gimmelli si devono la stesura del presente testo e i contributi scritti del videosaggio.

Non si può dire che la scomparsa di Paolo Villaggio abbia prodotto una discussione di ampio respiro sul suo personaggio più famoso. Anche in quest'occasione, i giudizi si sono attestati su una contrapposizione tacitamente stabilita da tempo: da una parte, coloro che ritengono Ugo Fantozzi nientemeno che “l'ultima maschera della commedia dell'arte” (Giacovelli 2002: 159);1 dall'altra, chi ha accusato (e tutt'ora accusa) Villaggio di aver abbandonato il personaggio al suo destino, dissipando il proprio talento in produzioni di scarso valore artistico (Cagnoni 2007: 44).

Da vivo, Villaggio ha più volte rivendicato l'originalità del suo Fantozzi: “Sono stato il primo a fare una satira del malessere sociale, il primo a scrivere in una prospettiva comica di tutti quelli che non avevano avuto la fortuna di primeggiare” (Villaggio in Pattavina 2009: 47). Mentre ai detrattori rimproverava di perpetuare il pregiudizio per cui ciò che muove al riso è intrinsecamente subalterno rispetto al tragico (Villaggio in Pattavina 2009: 68).

Quale che sia la verità (l'opposizione al comico lamentata dall'attore non è anch'essa, in fondo, un luogo comune?), è comunque curioso che, a oltre quarant'anni dal debutto del personaggio e a venti dall'ultimo film della serie, ancora manchino approfondite analisi di taglio critico-scientifico: una carenza già riscontrata alcuni anni fa da Giacomo Manzoli (2012: 200), tanto più curiosa se pensiamo agli studi condotti da semiologi e italianisti sulla lingua e i procedimenti comici adoperati da Villaggio nei suoi libri (Bartezzaghi 2013; Giunta 2013).

La scarsità di pubblicazioni cui fare riferimento ci ha dunque convinti a ripartire direttamente dai film. Una re-visione attenta della saga fantozziana che non solo ne ha messo in luce i molti pregi (l'uso efficace dell'iperbole visiva, la paradossale “autenticità” di situazioni e caratteri dietro l'apparente esasperazione) e gli altrettanto innumerevoli difetti (una diffusa sciatteria tecnica, la tendenza a riciclare malamente trovate già utilizzate altrove); ma che ci ha permesso d'individuare nell'attore-autore Villaggio un possibile elemento chiave per analizzarne sia gli aspetti positivi, sia quelli negativi.

La forte centralità della figura attoriale ci ha spinti pertanto a optare per la forma del saggio audiovisivo.2 Abbiamo scelto di articolare il lavoro come una sorta di polittico, nel quale ciascun capitolo si presentasse come un discorso autonomo intorno a un aspetto specifico del personaggio Fantozzi, osservandone le modifiche nel corso degli anni attraverso un'ampia scelta di esempi. Allo stesso tempo, i cinque capitoli, visti in successione, intendono proporre un percorso complessivo (benché tutt'altro che definitivo) all'interno della saga fantozziana: un percorso che, appunto, ha come fulcro il corpo attoriale3 di Villaggio.

Il punto di partenza del nostro itinerario precede la serie cinematografica, prendendo le mosse dai monologhi recitati da Villaggio in trasmissioni televisive divenute di culto, come Quelli della domenica (1968). Rivedendo oggi quelle performance, si rimane colpiti soprattutto da un dettaglio: come ricorda Valentina Pattavina, “l'attore si piazza al centro della pedana e racconta […] le proprie esperienze di vita impiegatizia alla Cosider, divise ora con Fantozzi, ora con un tale Semenzi, ora con un certo ragioniere Filini” (2009: 31).

Nei monologhi per la televisione, dunque, l'io narrante è quello di Villaggio stesso, che si limita, per così dire, a riportare le disavventure del suo personaggio, alle quali immagina d'aver assistito personalmente. La consuetudine, mantenuta anche nei raccontini pubblicati successivamente su L'Europeo, verrà meno una volta che Fantozzi, sull'onda del successo televisivo ed editoriale, verrà portato sul grande schermo. “Ciò che sino a quel momento i lettori e gli spettatori televisivi hanno potuto raffigurarsi solo ricorrendo all'immaginazione, adesso ha preso forma. Ugo Fantozzi ha finalmente una faccia, ed è quella di Paolo Villaggio” (Pattavina 2009: 49). Una faccia e un corpo, precisiamo noi, mentre l'io narrante degli sketch televisivi sopravvive soltanto nella voice over.

Tale passaggio non è tuttavia privo di conseguenze. Ha osservato Claudio Giunta:

I personaggi della letteratura di solito non cambiano […] Fantozzi invece è cambiato. Ma ovviamente la distanza che separa Paolo Villaggio dal personaggio che ha inventato è molto minore di quella che separa Fleming da Bond, Guareschi da don Camillo, Bonelli da Tex Willer, perché al cinema Villaggio è Fantozzi (2013: 199).

Diventare Fantozzi, dunque, ha significato per Villaggio dover ridurre la distanza dal suo personaggio fino a farla scomparire. Un'identificazione senza dubbio funzionale alla costruzione di una figura riconoscibile, necessaria a creare un immediato dialogo con il pubblico, ma che ha finito per condizionare le successive interpretazioni dell'attore genovese – con l'eccezione, forse, di quelle per Fellini, Olmi, Strehler4 e pochi altri.

Interprete carismatico, da un punto di vista strettamente attoriale Villaggio non è mai stato, per usare un'espressione di Claudio Vicentini, un “inventore di linguaggio”: ovvero uno di quei grandi comici (da Chaplin a Keaton, da Groucho Marx a Totò) che, partendo da un personaggio-tipo, sono riusciti a fargli compiere quella peculiare torsione deformante tale da renderlo una figura più potente, solida e vitale (2007: 163-70). Al contrario, secondo Vicentini, Fantozzi è il caso esemplare di una creazione di grande originalità e forza comica che finisce per congelarsi nella formula del “tipo”, vale a dire in “una composizione di cliché, inalterabile, che si lega all'attore […] riutilizzabile con nomi diversi in situazioni più o meno differenti” (2007: 146). In effetti, se si pensa a titoli come Rag. Arturo de Fanti, bancario precario (1980), Fracchia la belva umana (1985) e Ho vinto la lotteria di capodanno (1988), che per ragioni di compattezza abbiamo preferito escludere dalla nostra trattazione, appare evidente come i personaggi interpretati dall'attore genovese siano varianti de facto del più famoso ragionier Ugo (Buratto 2003: 93-94).

Le cause di questo rapido logoramento sono molteplici: l'intenso sfruttamento del personaggio; l'inaridirsi della vena creativa di Villaggio e dei suoi gagmen; il mutamento del contesto sociale (va ricordato che, mentre i primi due Fantozzi escono nel bel mezzo degli anni di piombo, gli ultimi sono successivi a Tangentopoli); l'ascesa dei “nuovi comici” (Benigni, Troisi, Verdone, Nuti).

Le immagini della saga fantozziana rispecchiano con buona approssimazione molto di quanto abbiamo scritto fin qui. E più eloquente di ogni altra cosa, lo ribadiamo, è ancora una volta il corpo di Villaggio, ormai tutt'uno con quello di Fantozzi. Le sfumature più propriamente “umane” del personaggio (la dignità, la stoica capacità di sopportazione, il genuino ribellismo), che abbiamo cercato di riassumere nella seconda sezione del videosaggio, sbiadiscono insieme con gli intenti più apertamente satirici della serie. Coadiuvato da Neri Parenti (che dirige la saga fra il 1980 e il 1996), Villaggio ricorre in dosi sempre più massicce alle risorse del cartoon e della slapstick comedy,5 trasformandosi progressivamente in un “corpo carnevalesco” di bachtiniana memoria (ventre largo, lingua sporgente, occhi a palla, frequenti allusioni scatologiche).6 Scorrendo le gag che abbiamo antologizzate7 nel terzo capitolo del nostro lavoro, sembra quasi che l'interprete voglia saggiare fino in fondo la resistenza fisica del personaggio, anche a costo di distruggerlo (e quindi, in un certo senso, di autodistruggersi). Distruzione che, come abbiamo cercato di mostrare nel capitolo successivo, non risparmia nemmeno l'onomastica del protagonista: da un lato mediante la storpiatura sistematica del cognome (di volta in volta Fantocci, Bambocci, Pupazzi); dall'altro attraverso l'utilizzo, non meno sistematico, dell'epiteto “merdaccia”, ennesimo riferimento all'area oro-fecale.

Tuttavia, a dispetto della progressiva cartoonizzazione del personaggio, non si può non constatare come il corpo dell'interprete diventi, con gli anni, inevitabilmente sempre più vecchio, stanco e privo di agilità. Anche per questo motivo la riattivazione sistematica delle gag, pur rifacendosi a uno dei meccanismi basilari della comicità – la ripetizione (Bergson 1991: 54) – non sempre sortisce l'effetto voluto, lasciando spesso più imbarazzati che divertiti. La figura della ripetizione e i temi del decadimento fisico (dell'interprete) e della morte (del personaggio) sono appunto al centro dell'ultimo capitolo del nostro lavoro, nel quale il ricorso agli strumenti dell'audiovisivo è stato determinante.

Più che nelle altre sezioni del videosaggio, qui abbiamo cercato di “forzare” le immagini attraverso l'effetto rewind, in modo da esplicitare un aspetto che, come dimostrano i titoli più tardi della serie (da Fantozzi va in pensione, 1988, in poi), era già ampiamente presente: la perennità di Fantozzi, la sua paradossale immortalità. Vuoi per ragioni contrattuali, vuoi per l'incapacità di trovare una conclusione adeguata alla saga, Villaggio e i suoi collaboratori hanno infatti “condannato” il personaggio a una sorta di eterno ritorno: una coazione a ripetere che, a tratti, sembra essere l'argomento centrale degli ultimi film.

In altre parole, quello che a prima vista potrebbe sembrare semplice virtuosismo di montaggio,8 ci è sembrato invece il modo più coerente per (non) concludere il nostro percorso audiovisivo intorno alla figura di Fantozzi. Un finale aperto, che rende manifesto il loop nel quale Villaggio e il suo alter ego cinematografico, volenti o nolenti, per calcolo consapevole o per semplice pigrizia, sono rimasti imprigionati per sempre.

Fantozzi. L'eterno ritorno, di Gabriele Gimmelli, Andrea Miele, su Vimeo.
Fantozzi. L'eterno ritorno, di Gabriele Gimmelli, Andrea Miele (https://vimeo.com/user39074071), su Vimeo (https://vimeo.com/271902468/7191451081).
Fantozzi. L'eterno ritorno, di Gabriele Gimmelli, Andrea Miele (https://vimeo.com/user39074071), su Vimeo (https://vimeo.com/271902468/7191451081).

Bibliografia

Bartezzaghi, Stefano (2013). “Così Fantozzi”. In Paolo Villaggio, Fantozzi, Rag. Ugo. La tragica definitiva trilogia (Fantozzi, Il secondo tragico libro di Fantozzi, Fantozzi contro tutti), 5-15. Milano: Rizzoli.

Bergson, Henri (1991 [1900]), Il riso. Saggio sul significato del comico. Milano: Rizzoli.

Buratto, Fabrizio (2003). Fantozzi. Una maschera italiana. Torino: Lindau.

Cagnoni, Emilio (2007). Fantozzi Kafka. Il ragioniere sotto processo e le sue tragicomiche metamorfosi. Palermo: L'Epos.

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Grant, Catherine (2017). “Star Studies in Transition: Notes on Experimental Videographic Approaches to Film Performance”. Cinema Journal – The Journal of the Society of Film and Media Studies 56(4): 148-156. https://c.ymcdn.com/sites/cmstudies.site-ym.com/resource/resmgr/in_focus_archive/InFocus_56-4.pdf (ultimo accesso 16 maggio 2018).

Jandelli, Cristina (2010). I protagonisti. La recitazione nel cinema contemporaneo. Venezia: Marsilio.

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Vicentini, Claudio (2007). L'arte di guardare gli attori. Venezia: Marsilio.


  1. Per una definizione del concetto di maschera, un riferimento d'obbligo è Fo 1997: 21 e sg. Per una panoramica dei rapporti fra maschera e grottesco nel cinema italiano, si legga invece De Gaetano 1999.

  2. Sull'efficacia dell'approccio audiovisivo allo studio della performance attoriale rinviamo alle osservazioni di Catherine Grant (Grant 2017: 155).

  3. Fra i contributi più recenti sull'attore segnaliamo: per un inquadramento teorico, Pitassio 2003; per uno studio della performance e degli stili di recitazione, Vicentini 2007 e Jandelli 2010; per le specificità del caso italiano, Pierini 2017.

  4. Per una lettura attenta e perspicace delle collaborazioni dell'attore con i tre registi citati, si veda Cagnoni 2007: 54-67; 73-75.

  5. Villaggio (Faldini e Fofi, 1984: 322) cita i cartoons Warner e MGM, le slapstick comedies e i primi film di Tati come fonti d'ispirazione; sul tema, si veda anche Buratto 2003: 63-64; 89. Per un quadro generale sulla slapstick comedy, si legga Paulus and King 2010; e, con particolare riferimento al corpo attoriale, Clayton 2007.

  6. Si leggano le osservazioni di Alan O'Leary sul ricorso al realismo grottesco in un filone per certi versi sovrapponibile alla saga fantozziana, il cinepanettone (O'Leary 2013: 53); in particolare, si veda il concetto di “abiezione dislocata”, mutuato da Peter Stallybrass e Allon White, in cui l'umiliazione del più debole (nel nostro caso, Ugo Fantozzi) serve a rafforzare la precaria identità normativa di un pubblico prevalentemente maschile ed eterosessuale (O'Leary 2013: 58-60).

  7. Sulle possibilità analitiche del videosaggio “compilativo” rimandiamo nuovamente a Grant 2017: 151-53.

  8. A questo proposito, si legga quanto scrive Grant riguardo al video di Laura Mulvey Gentlemen Prefer Blondes (remix remixed 2013) (2013): “In materializing something that was already there through the reproduction of exploratory techniques of replay and pause, Mulvey succeeds in creating an analytic and affectual artifact that performatively stages and invites an experience of increasingly close and sustained attention to it” (Grant 2017: 149).