A molti anni di distanza dai suoi primi romanzi, Vladimir Nabokov ha raccontato al pubblico come avesse sempre mirato a “pensare per immagini” per inventare e scrivere le proprie storie (Appel 1974: 195); le immagini a cui si riferiva il grande narratore russo avevano svariate e numerose fonti di ispirazione che non sono mai state indicate esplicitamente da lui stesso. Nabokov sarebbe tornato a parlare dell'importanza di immaginare – anziché formulare a parole – nell'ambito di un'intervista per la rete televisiva BBC, nel luglio 1962. Alla domanda in quale lingua pensasse, questi aveva risposto:
Non penso in nessuna lingua. Penso per immagini. Non credo che le persone pensino a parole, in una lingua; non muovono le labbra quando pensano. Solo una persona non istruita, di un certo tipo, muove le labbra quando legge o è intenta a pensare. No, io penso per immagini, alle volte, capita che spunti una frase in russo o in inglese (Nabokov 1997: 568, 572, traduzione mia).
In questo articolo intendo ripercorrere i contatti, diretti o meno, che ci sono stati tra Nabokov e il cinema (industria e film). L'intento è mostrare come il cinema abbia contribuito in modo rilevante a determinare sia il contenuto intrinseco che specifici aspetti di ordine compositivo della prosa del grande narratore russo.
Leggere l'opera di Nabokov da una prospettiva interdisciplinare ha significato condurre lo studio in un'area che attraversasse l'ambito degli studi sul cinema e quello delle scienze filologiche – senza escludere, in tal senso, i contributi preziosi di Nabokov medesimo (si pensi alle lezioni americane sulle novità portate dai classici della letteratura russa) (Nabokov 1987, 1996). L'obiettivo dell'articolo è dimostrare come nelle opere di esordio di Nabokov esistano rispondenze a modelli facenti parte, oltre che della letteratura e del contesto storico-culturale, anche dell'immaginario filmico anteriore o coevo al processo di composizione.
Studiosi e critici hanno, da poco, rilevato come il giovane Vladimir Nabokov mostrasse, nei primi anni fuori dalla Russia, a Berlino, un atteggiamento ambivalente rispetto al cinema.
Da un lato, al cinema Nabokov si accostava con finalità prettamente creative, per trovarvi una fonte d'ispirazione, un serbatoio di situazioni da adattare alla propria narrativa. Non era solo a Puškin (e al suo romanzo in versi, Evgenij Onegin) o Turgenev e Lermontov (per dirne due tra i più importanti) che Nabokov guardava nelle sue prime prove letterarie in lingua russa; era anche al cinema, forma d'arte per antonomasia dell'allora nascente società di massa, che lo scrittore si rifaceva. Nei primi lavori di Nabokov, accanto a tessere intertestuali di gusto sofisticato, sono presenti numerose allusioni al cinema se non veri e propri rimandi espliciti; ne esce una miscela di contenuti adatta a strati culturali diversi (alto e popolare) che poteva andare incontro con facilità agli interessi di qualsiasi tipo di lettore (da quello meno preparato a quello colto). Le intenzioni erano portare il fruitore fino alla scoperta di eventuali riferimenti extra-letterari e metterlo di fronte a concreti parallelismi – evocare una determinata scena da film era, probabilmente, un modo per parodiare certi eccessi dei film melodrammatici o polizieschi. Alludere all'immaginario del cinema era uno stratagemma che serviva a caratterizzare il personaggio inventato, a conferirgli una psicologia e un po' di colore. Per Nabokov il film era, dunque, materia a cui accedere sia a scopo commerciale che a scopo d'invenzione fantastica.
Dall'altro lato, Nabokov non ha mai nascosto di vedere nell'industria del cinema soprattutto una fonte d'introito molto preziosa. Se per alcuni anni egli scrisse testi destinati all'allora fiorente settore cinematografico, lo fece soprattutto per motivazioni di ordine materiale legate alla propria sussistenza di ex cittadino russo emigrato dalla Russia durante la guerra civile. Negli anni Venti la questione del reddito era fondamentale per il giovane Nabokov: assieme ai propri cari, una prestigiosa famiglia aristocratica di possidenti terrieri facenti parte dell'élite amministrativa di San Pietroburgo, egli aveva perso ogni bene a causa delle espropriazioni che la rivoluzione russa dell'Ottobre 1917 aveva determinato.
Occorre, inoltre, rilevare che la monografia di A. N. Smirnova ha offerto un dato ulteriore (di cui si fa cenno nelle biografie) che potrebbe aprire una prospettiva originale, ricca di spunti nuovi sul significato che il linguaggio del cinema ha avuto per il particolare stile figurato di Nabokov. Sembra che lo scrittore fosse mosso dal sincero desiderio di esercitare il mestiere di sceneggiatore fin dalla seconda metà degli anni Venti; i suoi primi romanzi altro non sarebbero che copioni, con tanto di montaggio, pensati in forma di racconto1 (Wyllie 2003, Smirnova 2007: 70-72, Field 1986: 118, 121-122, Boyd 1990: 228-232).
All'industria dello spettacolo Nabokov si avvicinò, grazie ad amici e conoscenti, ne rimase alquanto affascinato e vi partecipò in prima persona; le biografie descrivono le comparse che egli fece in almeno una decina di film (tra cui Dr. Mabuse, der Spieler / Il Dottor Mabuse di Fritz Lang, 1922), molti dei quali realizzati negli studi cinematografici berlinesi Derufa (Deutsch-Russische Film Allianz) nel periodo tra le due guerre e, con regolarità, a partire dal 1925 e fino alla fine della permanenza a Berlino (1940) (Field 1986: 118, Wyllie 2003: 5, Izakar 2009).
A parte le attività sul set cinematografico, Nabokov scrisse in veste di drammaturgo svariati lavori – a dire il vero, aveva in mente il teatro a partire dal suo primo dramma mai messo in scena, Tragedija gospodina Morna (La tragedia del signor Mourne), fino a Mest' (La vendetta), una commedia grottesca scritta nella primavera del 1924.2 Il copione di La vendetta era nato per essere trasposto sullo schermo, ma rimase incompiuto come altri dal titolo non sempre ben identificato, riferibili al medesimo periodo.
Il primo trattamento completo per film ad essere riconosciuto dalla critica come autentico è Kartofel'nyj El'f (L'Elfo delle patate, 1924), che avrebbe dovuto essere ambientato in Gran Bretagna: era un intrigo amoroso tra un'acrobata da circo, la moglie di un mago, e un nano che entra nel circo. Lewis Milestone s'innamorò del copione, che offriva già una divisione netta per scene e si basava, oltre che su elementi di suspense, su un contrasto visivo molto forte tra un punto di vista e l'altro, ma il regista non lo mise mai in scena, voleva che Nabokov sviluppasse altre linee narrative, e questi non lo fece (Boyd 1990: 376).
Nabokov lavorò, nel 1924, a quel che sperava di vendere come soggetto originale per film, Ljubov' karlika (L'amore di un nano, 1924), se non fosse andata bene nel mercato librario. Quando, quindici anni più tardi, Nabokov racconta la storia della traduzione del testo, precisa che, pur non trattandosi di un copione vero e proprio, struttura e impostazione avevano qualcosa di cinematografico: “Although I never intended the story to suggest a screenplay or to fire a scriptwriter's fancy, its structure and recurrent details do have a cinematic slant” (Boyd 1990: 229-230).
Scrivere per il cinema dava mezzi di sostentamento a Nabokov il quale, in breve tempo, fece in modo di ricevere da ben tre registi ordini per la preparazione di soggetti originali – la stesura sarebbe avvenuta assieme all'amico e consulente Ivan Lukasch; la speranza era di essere assunto come sceneggiatore per almeno uno dei progetti ed entrare nel settore cinematografico (Boyd 1990: 231). Parallelamente, Nabokov componeva soggetti per la scena del teatro (pantomima e operetta) e dell'avanspettacolo (intermezzi musicali di ambientazione varia), e continuava a dedicarsi all'attività principale di romanziere. Dopo la prima grande pièce (La tragedia del signor Mourne), che scrisse sotto pseudonimo a Berlino, nel 1926 veniva messo in scena per il teatro il dramma Čelovek iz SSSR (Un uomo dell'URSS). A seguire, usciva il romanzo breve Re, donna, fante (Korol', dama, valet, 1928 / King, Queen, Knave, 1968). Nel 1929, Zaščita Lužina (La difesa di Lužin) veniva pubblicato a puntate su Sovremmenye zapiski dove, nel 1932, appariva anche Kamera obscura, che sarebbe stato ristampato, in edizione singola, a Parigi e poi a Berlino nel 1933; sullo stesso giornale cominciava a uscire a puntate Otčajanie (Disperazione, 1934) edito poi in volume nel 1936 e tradotto in inglese (Despair, 1937). Quest'ultimo libro fornì qualche entrata che, però, non consentiva a Nabokov una vita serena; dato che la questione di ordine finanziario era ormai vitale, egli indirizzò le sue capacità di scrittore verso l'arte del cinema, a cui aveva già consacrato una parte della sua narrativa. A questo periodo appartiene Katastrofa (Catastrofe) che Nabokov avrebbe, in seguito, personalmente tradotto in inglese, assegnandovi il nuovo titolo Details of a Sunset – malgrado non si possa parlare di sceneggiatura in senso stretto, questo testo presenta le caratteristiche di una scrittura per film a un primo stadio di trattamento.3
C'è un'altra storia scritta nel tardo 1924, Nataša, che, apparentemente, non fu mai data alle stampe e presenta tratti tipici di una sceneggiatura: la divisione in scene, la forte ellissi nel finale a sorpresa. Un giovane emigrato persuade la ragazza della porta accanto a lasciare il padre malato per trascorre un giorno con lui. I due vanno nel bosco, la fanciulla confessa di avere visto la Vergine, e lui le narra di avventure romantiche in luoghi esotici; la lunga conversazione prosegue anche dopo che entrambi ammettono di essersi inventati ogni cosa – le loro storie fantastiche sono talmente lontane dalla realtà da far pensare a reminiscenze cinematografiche. Sulla strada di ritorno la giovane, dal giornalaio, incontra il padre, che le dice di aver dimenticato i soldi a casa e le chiede di portarglieli; subito dopo, la ragazza scopre una cosa che le fa capire come la realtà possa superare di gran lunga ogni fantasia: a casa trova il corpo esanime del padre (Boyd 1990: 234).
Per quel che concerne le relazioni intermediali tra i due mezzi artistici (il cinema e la letteratura) alcuni studiosi hanno individuato convergenze di superficie che indicano, per esempio, come nei primi romanzi di Nabokov la costruzione del personaggio sia, talora, riconducibile a situazioni o drammatizzazioni cinematografiche e vada, quindi, al di là della materia autobiografica – il tema dell'esilio e del ricordo (di puškiniana memoria) che buona parte degli esperti riconosce come preminenti (Straumann 2008: 24 e sg, Wyllie 2003: 3-10).4 A titolo esemplare, basti pensare a come Lev Glebovič Ganin, protagonista del romanzo Mašen'ka (Maria, 1926) fa la comparsa in film di basso livello (Nabokov 2011: 19-20);5 figure di primo piano – quali le due adolescenti Magda in Kamera obscura e Dolores in Lolita (1955) – sono mosse da passioni e scopi ben precisi: emulano senza saperlo i modelli dei personaggi che esse stesse hanno osservato al cinema, oppure si mettono in competizione con loro – Magda vorrebbe diventare la nuova Dorianna Karenina, una diva del cinema che la disprezza quando la vede recitare. Altre volte, è l'immaginazione dei personaggi, oppure il sogno – a cui Nabokov dà ampio spazio grazie ad inserti tra un segmento descrittivo e l'altro –, a disegnare una trama di secondo livello, a sé stante; lo scrittore la presenta in termini cinematografici con un improvviso cambio di scena, la mostra grazie al flusso di pensiero di chi vi entra a far parte se non vi è già dentro. Se ne dà prova in Disperazione quando Hermann Karlovich osserva il proprio sosia che fa l'amore con la moglie “with the harps of rain aphrodisiacally burbling in the orchestra as I was sitting at my maximum distance of fifteen rows of seats” (Nabokov 1981: 33).
Queste erano le prerogative della letteratura d'esordio di Nabokov il quale, fin dal suo arrivo a Berlino, fece diversi tentativi di entrare nell'industria del cinema perché in questo settore aveva individuato l'opportunità di ricavare un reddito che le case editrici dell'emigrazione russa di Berlino non gli offrivano. Se Nabokov non aveva gran fortuna nell'editoria era perché non a tutti andavano bene storie con protagonisti suicidi, assassinati o assassini, cocainomani (come quelli, per esempio, che sono al centro del racconto Slučaynost' / Una casualità, 1924). Ai produttori, invece, i drammi a tinte forti che Nabokov offriva potevano servire a scopi commerciali a condizione di omettere le parti a sfondo più esplicitamente sessuale.
Almeno due furono le opere di narrativa che nacquero sotto forma di sceneggiatura e che ai modi della rappresentazione filmica devono molto: Re, donna, fante e Kamera obscura. Accanto a queste opere va collocato un lavoro più tardo che, allo stato odierno dell'arte, sappiamo essere stato la riscrittura di Kamera obscura: si tratta di Laughter in the Dark (Una risata nel buio, 1937), anch'esso in origine concepito come copione per film con il titolo russo Smech v temnote (1932). Questi testi nacquero paralleli al romanzo poliziesco Disperazione, in una fase intermedia tra quella dell'esordio e quella della maturità.
In Re, donna, fante e Kamera obskura, Nabokov trattò i protagonisti diversamente da come aveva fatto in precedenza, li propose sotto una luce nuova: abbandonò la maniera sentimentalistica di Maria, li fece mentire, tradire, prostituire in maniera tale da renderli tutti, o quasi, grotteschi. Nabokov ne svelò una qualità che doveva renderli interessanti agli occhi del lettore medio: ne svelò quel che egli stesso chiamava pošlost' [volgarità, nda] – la stessa volgarità che Gogol' aveva saputo magistralmente esprimere a proposito dell'animo russo ne Le anime morte. Come Gogol', Nabokov fa un lavoro di scavo nel personaggio per andare oltre i buoni sentimenti che c'erano nella sua opera fino a Maria, annullarli e fotografare solo la decadenza dei costumi.
Tra le opere di Nabokov pensate in termini cinematografici quella che forse meglio esemplifica questo aspetto inerente la psicologia dei personaggi è The Eye (L'occhio, 1930), romanzo di cui Wyllie ha fornito un'analisi comparativa esauriente (Wyllie 2003: 18-23). Esiste un'altra opera che merita particolare attenzione dato che in essa numerose sono le connessioni coi lavori che Nabokov avrebbe dedicato al cinema. Si tratta del secondo romanzo: Re, donna, fante completato a Berlino nell'estate del 1928, pubblicato subito in russo dalla casa editrice Slovo e, l'anno seguente, in tedesco da Ullstein. Nabokov aveva in mente il mercato del cinema quando compose Re, donna, fante: come in Una risata nel buio, si narra qui la storia di un triangolo sentimentale con qualche nascosto rimando a un possibile incesto tra Franz, un giovanotto venuto a Berlino dalla campagna, e la seducente zia incontrata in città. Sia l'uno che l'altro romanzo si valgono di frequenti monologhi interiori – espediente narrativo questo che Nabokov desumeva non tanto da Joyce (che non aveva ancora letto)6 quanto dal romanzo psicologico russo oltre che dal cinema a lui coevo.
C'è un elemento significativo che buona parte degli eroi nabokoviani condivide coi personaggi dell'espressionismo cinematografico e ne complica la psicologia: l'essere doppi, chi per davvero e chi solo a parole, cosa che li avvicina alle creature diaboliche presenti in tanti film di argomento fantastico che spopolavano nelle sale cinematografiche dell'epoca. Ganin di Maria si sente dissociato, il protagonista di Disperazione ha un sosia che uccide dopo un gioco delle parti, altri rivestono il ruolo del buono e del cattivo a un tempo (Kamera obskura), e altri ancora hanno lievi disturbi della personalità (Re, donna, fante). La costruzione dei personaggi ruota intorno a un motivo centrale di derivazione letteraria – quello del Doppelgänger – che, tra l'altro, nella Germania del dopoguerra trovava ampia risonanza grazie al cinema e ispirava i contenuti di svariate forme d'arte. Malgrado Nabokov tendesse a negare qualunque influsso diretto da parte di altri autori (fatta eccezione per Puskin e pochi altri ancora), è possibile che egli si servisse del tema del doppio non solo dietro l'influsso dei modelli letterari (a partire da Dvojnik / Il sosia, Fëdor Dostoevskij, 1846) ma, anche a seguito delle forti impressioni lasciate da immagini emblematiche viste al cinema.
Le carte manoscritte di Nabokov, contenenti commenti ad alcuni film dell'epoca, consentono di giustificare un interesse profondo nei confronti del cinema che non può essere ricondotto unicamente alla soddisfazione di un desiderio di svago.7 Oltre tutto, egli doveva conoscere bene le fonti letterarie consacrate al doppio retrostanti a un intero filone cinematografico che era stato in auge fino a pochi anni prima nella Repubblica di Weimar; alla letteratura del Romanticismo, al romanzo gotico, e ai loro eroi erano improntati diversi drammi dell'espressionismo cinematografico, che quasi certamente non avevano lasciato Nabokov indifferente. Per Nabokov dovevano essere immediati i paralleli tra Caligari e Cagliostro o Faust, Cesare e Frankenstein alla visione de Das Cabinet des Dr. Caligari (Il gabinetto del Dottor Caligari, Robert Wiene, 1920) e leggere i rimandi ai temi dell'inconscio di uno Stevenson o di un Dostoevskij (in questo e altri film del periodo) doveva essere altrettanto naturale (Scheunemann 2003: 128-136; Eisner 1969: 109-113).
Lang, Wiene, Murnau, Ejzenštejn tra i nomi dei registi che hanno esercitato un certo fascino sulla prosa di Nabokov. Ma anche Carl Theodor Dreyer (La passion de Jeanne d'Arc / La Passione di Giovanna D'arco, 1928) e il cinema gotico (Orlac's Hände / Le mani dell'altro, Robert Wiene, 1924; Der letzte Mann / L'ultima risata, Friedrich Wilhelm Murnau, 1924) accanto alle commedie di Buster Keaton, Harold Loyd, Charlie Chaplin, Hardy e i fratelli Marx (Smirnova 2007: 70). In particolare, fu l'espressionismo tedesco, con le sue tematiche e le sue atmosfere, a impressionare Nabokov il quale vi poteva trovare un laboratorio di tessere narrative nuove da integrare al materiale umano che gli fornivano in abbondanza i classici della letteratura russa ed europea da lui tanto amata (e studiata) sin dalla fanciullezza.
Le scenografie espressioniste, esternazione dello stato mentale e delle emozioni dei personaggi, unite a inquadrature e movimenti di camera tesi a enfatizzare l'una o l'altra prospettiva soggettiva, devono aver dato a Nabokov elementi nuovi di riflessione. La novità dei film espressionisti consisteva nell'utilizzare angolazioni, montaggio, illuminotecnica e materiale profilmico al fine di comunicare quel senso di angoscia che, fino ad allora, era convenzione esprimere con un primo piano che desse spazio alla mimica facciale dell'attore piuttosto che con altri mezzi specifici del dispositivo cinematografico; specchi, ombre e giochi di luce e controluce, oggetti dalla valenza simbolica contribuivano ad approfondire fino all'eccesso la psicologia di uno o più personaggi.
Allo stesso modo, Nabokov aveva trattato gli oggetti in Details of a Sunset: al personaggio principale appaiono due visioni completamente diverse l'una dall'altra, una in atmosfera grottesca e una come in un bel sogno. Le due visioni sono segno di come egli vede la strada in cui si trova improvvisamente abbandonato all'inizio del racconto: riguardano entrambe due possibili finali e, in qualche modo, prefigurano le due alternative date a colui che scopre di non essere padrone del proprio destino (Wyllie 2003: 11-17).
Accanto a Re, donna, fante l'altra opera giovanile che testimonia della fascinazione esercitata dal cinema su Nabokov è Kamera obskura: un romanzo sul cinema e che dal cinema trae spunti per l'intreccio. Per quel che riguarda la trama, basti una piccola osservazione: eccetto la morte, i temi tradizionali di Nabokov (l'immagine della Russia, il meccanismo della memoria, la nostalgia e il primo amore, lo specchio come confine tra due mondi, ecc.), fino ad allora presenti quasi sempre e in gradazione diversa nei romanzi, sbiadiscono per lasciare posto ad altri temi connessi con il mondo del cinema.
Kamera obskura racconta la storia di Bruno Kretchmar (poi Albinus), critico d'arte e amante del cinema, che vive felicemente con la moglie Annelise (Elisabeth) e la giovane figlia (Irma) a Berlino alla fine degli anni Venti. All'uomo non manca nulla, né il benessere né una posizione in società. Dopo nove anni di tranquilla vita coniugale senza aver mai tradito la moglie, Kretchmar si lascia sedurre da una sconosciuta che lavora come maschera e che egli incontra al cinema una sera. La sconosciuta ha solo sedici anni e si chiama Magda Peter, viene da una povera famiglia del Lumpenproletariat che vede in lei un'unica dote, l'avvenenza, e la manda a fare la modella per nudo artistico in un atelier di pittori. Kretchmar perde la testa per l'adolescente, la mantiene e per lei, alla fine, lascia moglie e figlia. Ma Magda è invaghita di un altro, un artista americano di nome Robert Gorn che torna nella sua vita dopo anni, e tradisce Kretchmar il quale non sa o finge di non sapere. In seguito a un incidente automobilistico Kretchmar perde la vista e va a vivere assieme all'amante in una grande casa, dove lei continua a vedere segretamente Gorn, con il quale ha ormai una relazione amorosa che non trova freno.
Il libro offriva il racconto che l'autore prometteva sin dalle prime pagine: “un giorno lasciò la moglie per un'amante giovane; l'amò; non ne fu riamato; e la sua vita finì nel peggiore dei modi” (Nabokov 2016: eBook loc. 41). In realtà, Kamera obskura, che era stato ideato e scritto in meno di sei mesi per divenire un copione cinematografico (Boyd 1990: 362-363; 2010: 430, nota 652),8 narrava una storia destinata a essere messa in scena e filmata; ma questa storia non fu accolta ad Hollywood – da Sergej Bertenson, ex segretario al Teatro d'Arte di Mosca, già al lavoro come sceneggiatore per la United Artists e traduttore per Milestone – poiché, a detta dello stesso Nabokov, era troppo “scabrosa” per essere presentata in tutti i suoi risvolti al grande pubblico (Field 1986: 160; Boyd 1990: 376).
Kamera obskura sarebbe poi stato pubblicato in russo per una stretta cerchia di lettori (per i lettori russofoni che abitavano fuori dalla Russia sovietica) e, quarant'anni più tardi, avrebbe trovato pubblicazione in lingua inglese sotto altro titolo (Laughter in the Dark). L'edizione inglese non avrebbe perso alcuno dei temi ad effetto né la tendenza verso la visionarietà che la critica letteraria aveva ravvisato nel romanzo russo (Nabokov 2014: eBook loc. 55). Della forma originaria quest'ultimo libro conservava caratteristiche che Nabokov, all'inizio, aveva adottato per conferire una dimensione cinematografica alla narrazione, ovvero per scrivere un copione che riguardasse anche l'ambiente dello spettacolo. Basti pensare all'argomento scandaloso della storia, la quale ruota intorno a un triangolo sentimentale tra un uomo sposato che ama il cinema (e più precisamente il film a colori, nella seconda stesura), un uomo del cinema (che diviene un produttore, sempre nella stesura successiva), e una minorenne che sogna di fare l'attrice di cinema: le allusioni alla prostituzione minorile e all'infedeltà coniugale facevano del libro un ottimo copione per un Kammerspielfilm con delitto secondo la maniera del tempo. A parte le situazioni legate al mondo del cinema (lui e lei si incontrano per la prima volta al cinema, l'ambiente di lei è il set cinematografico e lei ha una parte in un film che lui finanzia), c'è una soluzione retorica che fa entrare il mondo del cinema nei contenuti del testo e ne offre una chiave di lettura; si tratta del parallelismo, che viene ben segnalato al lettore dal narratore, tra quanto Kretchmar vede al cinema – una sequenza di melodramma in cui lui minaccia di morte lei con una pistola in una camera d'appartamento – e quanto egli tenta di realizzare a metà e alla fine del romanzo – sparare a Magda, che infine spara a lui.
Abbiamo visto come carte autografe attestino che Kamera obskura sia nato per dare vita a un copione per film; a confermare questa tesi sono anche le soluzioni stilistiche nel romanzo. Alla fine di ogni segmento narrativo, descrizioni di spazi e ambienti (sia in esterno che in interno) seguono e precedono uscite e entrate dei personaggi; è il narratore a cambiare posizione, a sfilarsi dal discorso indiretto libero dei vari personaggi per tornare in un lampo al punto di vista super partes della narrazione principale; grazie a questo espediente il narratore propone al lettore una rapida visione d'insieme come se le intenzioni fossero non tanto di raccontare chi fa cosa, quanto di mostrare dove ci si trova – per fare un parallelo con il linguaggio del cinema, è come se Nabokov ci mostrasse lo spazio a mezzo di una inquadratura di ambientazione.
La critica ha persino formulato un'ipotesi su come avrebbe dovuto finire Kamera obskura in termini specificatamente cinematografici; secondo Boyd, il finale era stato pensato in origine proprio per dare forma a una scena9 che doveva essere vissuta dal solo punto di vista di Kretchmar giunto da Magda per ucciderla a colpi di pistola. Tale scelta comportava che l'azione dovesse passare attraverso un'unica lunga inquadratura che simboleggiasse la visione soggettiva di Kretchmar, la sua percezione delle cose (visto che questi era divenuto cieco), occorreva presentare uno schermo in nero; in fuoricampo si sarebbero potuti udire i suoni salienti, dal silenzio ai pensieri di Kretchmar fino al respiro dei due, e, alla fine, il rumore degli spari prima della morte inattesa di lui (Boyd 1990: 368). La scelta di una prospettiva unilaterale era, comunque, in linea con l'architettura generale del testo: quel che vede o pensa l'uno o l'altro personaggio è reso da Nabokov mediante il discorso indiretto libero senza che vi sia intrusione da parte del narratore. In tal senso, Nabokov non si discosta dalla lezione di Dostoevskij: i suoi personaggi sono liberati dalla presenza di un narratore che sappia e giudichi ogni cosa. Scompare il narratore tradizionale che Bachtin aveva chiamato “demiurgo” per lasciare spazio a un vero e proprio montaggio di voci interiori diverse che, talora, aprono digressioni e condensano, dunque, il tempo dell'intreccio su piani temporali diversi.
Prerogativa dei romanzi giovanili di Nabokov era la costruzione di una situazione vista da una moltitudine di punti di vista diversi – esemplare in tal senso è il racconto “Pis'mo v Rossiju” (“A Letter that Never Reached Russia” / “Una lettera che non raggiunse mai la Russia”,10 1925). Questa architettura del testo a focalizzazione interna multipla, con un uso insistito del punto di vista soggettivo per provocare un effetto di sorpresa nel lettore, avvicinava la parola all'immagine. Numerose sono le soluzioni narrative che insistono sul visivo e, come abbiamo visto, non meno importanti sono i Leitmotiv (uno su tutti quello del “doppio”11) che devono qualcosa ai modi della rappresentazione filmica nei romanzi di Nabokov risalenti al periodo berlinese (1922-1937). È lecito pensare che il letterato si accostasse ai procedimenti estetici del film non solo per curiosità intellettuale ma, soprattutto, per valersene. Il giovane Nabokov vedeva nel cinema qualcosa di moderno e immaginativo che lo attraeva; a quei tempi, egli non era un teorico né insegnava, era interessato al cinema più per scrivere letteratura che teorizzare su di essa: in ciò si distingueva dai formalisti russi coi quali aveva in comune qualche idea.
Una delle idee che Nabokov condivideva coi formalisti – e che deve aver attinto da riflessioni teoriche – riguardava un procedimento narrativo ben determinato del romanzo moderno russo; se ne dava esempio nei film d'avanguardia coevi (russi e non)12 e ne scrivevano i formalisti russi nelle loro pagine di critica letteraria – basti pensare a Viktor Šklovskij o Jurij Tynjanov, che avevano animato la Società per lo studio del linguaggio poetico (OPOJAZ) e, in quegli anni, si occupavano attivamente di sceneggiatura e questioni legate all'adattamento cinematografico (Gurevič 1970: 9-24, Gornickaja 1973: 20-24). Il procedimento in oggetto era chiamato straniamento (ostranenie) – tecnica il cui effetto principale consiste nel defamiliarizzare la percezione di oggetti o situazioni abituali. L'effetto di straniamento, in Nabokov, fa parte di uno schema narrativo che punta sullo scarto tra i livelli della narrazione. Complementare allo straniamento è l'ironia tragica la quale viene dal dislivello percettivo tra personaggio e lettore. I diversi punti di vista su un singolo episodio, cosa o persona distanziano il lettore dal protagonista; il protagonista vede solo una parte delle cose e non quel che vede il lettore, mentre a quest'ultimo è dato costruirsi una visione d'insieme man mano che la trama evolve.13
Il romanzo russo di Nabokov tende a produrre un effetto di straniamento grazie a una rappresentazione fortemente visiva di cose e persone – attraverso lo sguardo di ciascun personaggio assistiamo a una scena dopo l'altra, un po' come nel cinema potrebbe fare il montaggio lineare di piani sequenza veicolanti la visione soggettiva di soggetti diversi. Ciascuna scena passa attraverso i differenti punti di vista; i punti di vista sono montati assieme con frasi di raccordo tra un discorso indiretto libero e l'altro, tra un paragrafo e l'altro, senza, tuttavia, segni di interpunzione che circoscrivano l'enunciato. Ne deriva uno stile della narrazione di impronta particolarmente soggettiva che trova esemplificazioni significative nella resa di vicende sentimentali e incontri; soprattutto nelle descrizioni dei personaggi che appaiono in scena di volta in volta e sono osservati da chi in scena c'è già. La presa libera di parola – non di molto lontana dal flusso di coscienza di Joyce – fa sì che Nabokov si accosti a un personaggio e all'altro e ne riveli i pensieri come potrebbe fare l'impiego di una voce fuori campo nella colonna sonora di un film.
C'è un romanzo importante di Nabokov, La difesa di Lužin, che ricorda il mediometraggio La febbre degli scacchi (Šachmatnaja gorjačka, Vsevolod Pudovkin, 1925). A parte la trama che giustifica evidenti associazioni tra film e romanzo,14 alcune inquadrature rimandano esplicitamente a soluzioni visive di ascendenza avanguardistica che Nabokov avrebbe utilizzato nella sua opera di qualche anno più tardi; una scena, in particolare, mostra tale corrispondenza: al chiaro di luna il protagonista, giocatore di scacchi, osserva come ipnotizzato la propria ombra riflessa su una parete: la voce narrante (la macchina da presa nel film) dà spazio all'interiorità del personaggio per descrivere il fenomeno di dissociazione della personalità che inizia a manifestarsi in lui alla vista dell'ombra, simbolo di una realtà che si raddoppia.
In generale, quasi tutti i personaggi di Nabokov condividono con il loro creatore qualche caratteristica – la critica ha sottolineato il peso della componente autobiografica – e, in genere, un senso di straniamento rispetto al passato, al proprio vissuto personale. Quante volte il personaggio principale di Nabokov (se non lo stesso Nabokov) cerca di evocare il passato e osservarne le immagini (che crede di aver memorizzato), senza riuscire, però, a metterne a fuoco i contorni? Ne dà prova in maniera esemplare il particolare procedimento del ricordo così come è presentato nel racconto “Krug” (“The Circle” / “Il cerchio”, 1936); il protagonista cerca di ricordare ma, nei suoi ricordi, non vede altro che immagini sfocate dietro a oggetti che gli impediscono la vista: i tendaggi in garza arabescata alla finestra [“his memory retained the feminine forms of a statue showing its dimpled sugar-white buttock through the patterned gauze on a whole-glassed window”], un volto che scivola tra l'ombra e la luce come un incanto [“above all, above all, those eyes gliding through shine and shade, those features still indistinct but already threathening him with fatal fascination, the face of Tanya whose birthday was being feted”] (Nabokov 1973: 258, 263). In questo e altri brani presi dalla prima prosa di Nabokov, la sensazione di straniamento riguarda sia il lettore che il personaggio e può avere luogo dato che di questi oggetti non si dà mai una descrizione esaustiva: è lo stesso personaggio a non distinguerli bene, malgrado tenti continuamente di farlo. In tal senso, lo straniamento avviene grazie alla psicologia del personaggio. Kretchmar possiede una spiccata immaginazione che lo aliena dalla propria condizione presente,15 Lužin, e alcuni altri eroi nabokoviani (Magda, Dreyer, Ganin, Hermann), hanno ricordi dai contorni non distinti, vale a dire che non hanno rielaborato e che, quindi, non riescono o non vogliono rievocare.16 L'anello di congiunzione che unisce tanti personaggi diversi in Nabokov è quello dell'uomo moderno che si sente diverso dalla società che lo circonda, da cui si estranea ma di cui è anche parte indissolubile: ne è il prototipo per antonomasia Akaki Akakievič in Šinel' (Il cappotto, Nikolaj Gogol', 1843), che è stato oggetto di critica da parte di Nabokov, il quale vi leggeva affinità con La metamorfosi di Kafka.
Il mondo criminoso che Nabokov descriveva nei suoi primi lavori non era tanto quello che poteva osservare intorno a sé a Berlino quanto un prodotto dell'immaginazione, di quel che leggeva nella cronaca e vedeva al cinema. L'immaginazione a cui pensa Nabokov trova esito nella pagina scritta; ma questa si spinge oltre una descrizione che si limiti a dare una fotografia della situazione. Nabokov vuol far sentire la situazione, come altri celebri scrittori prima di lui avevano fatto nella storia della letteratura russa. Per far sentire la situazione ce la mostra attraverso il punto di vista dei personaggi: è il senso della vista ad essere valorizzato nella materia viva dei romanzi. Nabokov aveva diretto grande attenzione verso questo aspetto; anche nelle lezioni di letteratura che tiene negli Stati Uniti si parla diffusamente delle potenzialità letterarie date da questa facoltà percettiva per la restituzione di un ambiente o di un'epoca (Nabokov 1996: 88-89, 94, 411-423).
Quel che avvicina la narrativa di Nabokov al linguaggio delle immagini in movimento va individuato nel peso che le figure retoriche di significato (specie quelle riferibili al senso della vista) hanno in entrambi i mezzi artistici. Quanto alla letteratura, Nabokov non poteva fare a meno delle tecniche narrative già esemplarmente collaudate dai prosatori russi. Ispirandosi a Tolstoj, Nabokov caratterizzava gli ambienti a seconda della soggettività dei personaggi servendosi della sinestesia, procedimento retorico che la critica ha riconosciuto come saliente nella poetica dell'autore. Nabokov ai suoi personaggi fa vedere i suoni e sentire i colori, a imitazione dei poeti simbolisti che aveva tradotto.17
La novità dello stile di Nabokov deve molto al cinema, non senza la mediazione di quelli che lo scrittore considerava i suoi maestri. Fino alla comparsa di Puškin e Gogol', nella letteratura russa “il cielo era azzurro, il crepuscolo scarlatto, le fronde verdi, gli occhi di una bella ragazza scuri, le nuvole grigie, e via dicendo...” Lermontov, Gogol', Tolstoj andarono oltre il dato sensibile e lo interpretarono, videro altri colori: grazie alle loro descrizioni fantasiose fu dato pensare che “il sorgere del sole potesse essere di un verde pallido” e “la pioggia blu”. Che “la pioggia potesse essere di un blu intenso in un giorno senza nuvole” appariva inaudito agli scrittori che venivano prima e che non avevano presente l'arte degli impressionisti francesi (di Manet, per esempio) (Nabokov 1996: 88-89). Nabokov attribuiva ai romanzieri russi una qualità pittorica che egli avrebbe fatta propria e di cui registi della levatura di Sergej Ejzenštejn, nel ventennio tra le due guerre mondiali, avevano scritto (e avrebbero continuato a scrivere) pagine memorabili. Se ne dà descrizione esaustiva nelle lezioni americane di Nabokov:
Si può definire immagine l'evocazione, mediante parole, di qualcosa che intende rivolgersi al lettore e al suo senso del colore, del disegno, del suono, del movimento o qualsiasi altro senso della percezione, in modo tale da imprimere nella sua mente una visione di vita fittizia che diventa per lui viva come un ricordo personale. Per creare queste intense immagini, lo scrittore dispone di una vasta gamma di mezzi, dal secco epiteto espressivo alle elaborate immagini verbali e alle metafore più complesse. (Nabokov 1987: 231)
Nabokov parlava di una qualità ben precisa della scrittura, la definiva obraznost' (figuratività); altrove, proseguiva a mettere in risalto la componente immaginifica della prosa di coloro che lo avevano ispirato come narratori:
Il modello similitudine:
Tra terra e mare la nebbia era come un velo.
Questa è una similitudine. Collegamenti tipo “come” e “quale” sono tipici della similitudine: un oggetto è come un altro oggetto. Se voi però aggiungete che la nebbia era come un velo da sposa, avete una similitudine sostenuta, con elementi moderatamente poetici; se invece dite, la nebbia era come il velo di una sposa grassa con un padre ancor più grasso e in parrucca, avete una similitudine divagante, sciupata da un prolungamento illogico, come quelle che Omero usava a fini di narrazione epica e Gogol' per grotteschi effetti di sogno. (Nabokov 1987: 233-234)
In questo articolo ci si è limitati a delineare alcune aree di interesse rispetto al tema specifico di come Nabokov si sia accostato al cinema e al linguaggio cinematografico, per condividerne elementi che hanno diretto la sua prosa in russo verso esiti di modernità. Per quel che riguarda un'analisi particolareggiata dei testi e personaggi, come pure delle soluzioni narratologiche (e di eventuali relazioni tra queste ultime e stilemi di film ben definiti e/o date correnti cinematografiche – Kammerspielfilm, cinema d'avanguardia in senso lato, ecc.), il discorso merita di essere trattato estensivamente previa ricerca d'archivio.
Bibliografia
Appel, Alfred Jr. (1974). Nabokov's Dark Cinema. New York: Oxford University Press.
Averin, Boris (2003). Dar Mnemosiny: Romany Nabokova v kontekste russkoj avtobiografičeskoj tradicii. San Pietroburgo: Amfora.
Boyd, Brian (2010). Vladimir Nabokov: Russkie gody, Simposium: San Pietroburgo.
Boyd, Brian (1990). Vladimir Nabokov: The Russian Years. Princeton: Princeton University Press.
Eisner, Lotte (1969). “The Simphonies of Horror. The Sway of the Doppelgänger.” In The Haunted Screen. Expressionism in the German Cinema and the Influence of Max Reinhardt, 95-113. Berkeley-Los Angeles: University of California Press.
Field, Andrew (1986). VN: The Life and Art of Vladimir Nabokov. New York: Crown Publishers.
Gornickaja, N. (1973). “Problemy kinodramaturgii v periodike 20-ch godov.” In Iz istorij Lenfil'ma. Stat'j, vospominanija, dokumenty. 1920-1930-e gody. 3-tij tom, a cura di M. Ju. Blejman e N.S. Gornickaja, 11-26. Leningrado: Iskusstvo.
Gurevič, Stella Davidovna. (1975). “Prichod pisatelej v posleoktjabr'skij kinematograf. Problema vybora materiala i stanovlenie scenarnoj formy.” In Sovetskie pisateli v kinematografe (20-30 gody), a cura di Stella Davidovna Gurevič, 9-24. Leningrado: LGITMiK.
Izakar, Anna (2009). “Nabokov, Šachmaty, kino.” Seans 10 (22 aprile 2009). http://seance.ru/blog/nabokov2/ (ultimo accesso 07-06-2017).
Nabokov, Vladimir (1987). Lezioni di Letteratura russa. Gogol', Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Čechov e Gor'kij nelle lezioni di un grande maestro, a cura di Fredson Bowers, tr. dall'inglese di Ettore Capriolo. Milano: Garzanti Libri.
Nabokov, Vladimir (1996). Lekcii po russkoj literature. Čechov, Dostoevskij, Gogol', Gorkij, Tolstoj, Turgenev. Mosca: Nezavisimaja gazeta.
Nabokov, Vladimir (1997). “Intervju televideniju BBC, 1962.” In Sobranie sočinenij amerikanskogo perioda v 5-ych tomach. Tom 2, a cura di S. B. Il'ina, A. K. Kononova e A. M. Ljuksemburg, 567-577. San Pietroburgo: Simposium.
Scheunemann, Dietrich (2003). “The Double, the Decor, and the Framing Device: Once More on Robert Wiene's 'The Cabinet of Dr. Caligari'.” In Expressionist Film. New Perspectives, a cura di Dietrich Scheunemann, 125-156. Rochester (NY): Camden House.
Smirnova, Anastasja (2007). Vladimir Nabokov i kino. Zarubežnye ekranizacii prozy V. Nabokova. Jaroslav': JaGPU.
Stegner, Page (1966). Escape into Aesthetics: the Art of Nabokov. New York: William Morrow & Com-Apollo Editions.
Straumann, Barbara (2008). Figurations of Exile in Hitchcock and Nabokov. Edimburgo: Edinburgh University Press.
Wyllie, Barbara (2003). Nabokov at the Movies: Film Perspectives in Fiction. Londra: McFarland & Co.
Opere letterarie e drammaturgiche
Nabokov, Vladimir (1927). Čelovek iz SSSR (The Man from the USSR). In The Man from the USSR and Other Plays, a cura di e tr. di Dmitrij Nabokov. New York-London: Bruccoli Clark- Harcourt Brace Jovanovich, 1984.
Nabokov, Vladimir (1937). Despair. Londra: Penguin Books Ltd., 1981.
Nabokov, Vladimir (1930) “Kartofel'nyj El'f.” In Vozvraščenie Čorba. Berlino: Slovo.
Nabokov, Vladimir (1924). “Katastrofa” (Details of a Sunset). In Details of a Sunset and other Stories. New York, Toronto: McGraw-Hill, 1976.
Nabokov, Vladimir (1926). Mašen'ka. San Pietroburgo: Azbuka-Attikus, 2011.
Nabokov, Vladimir (1924). “Mest'.” Zvëzda 11(11): 22-25, 1996.
Nabokov, Vladimir (1924). “Nataša.” In Una bellezza russa ed altri racconti, tr. di Dmitrij Nabokov, Franca Pece, Anna Raffetto e Ugo Tessitore, a cura di Dmitrij Nabokov, 2008.
Nabokov, Vladimir (29 gennaio 1925). “Pis'mo v Rossiju”. Rul'.
Nabokov, Vladimir (1924). “Slučaynost” (A Matter of Chance). In Tyrants Destroyed and Other Stories. New York-Toronto: McGraw-Hill, 1975.
Nabokov, Vladimir (1932). Smech v temnote. Rekonstrukcija A. Ljuksemburga. In Sobranie sočinenij amerikanskogo perioda v pjati tomach. Lolita. Smech v temnote. Tom 2, a cura di S. B. Il'ina, A. K. Kononova, A. M. Ljuksemburg, 392-564. San Pietroburgo: Simposium, 2003.
Nabokov, Vladimir (1936). “The Circle.” In A Russian Beauty and Other Stories, tr. di Dmitrij Nabokov e Simon Karlinsky con Vladimir Nabokov, 253-268. New York-Toronto: McGraw-Hill Book Company, 1973.
Nabokov, Vladimir (1924). Tragedija gospodina Morna. In Tragedija gospodina Morna. P'esy, lekcij o drame. San Pietroburgo: Azbuka-Klassika, 2008.
Nabokov, Vladimir (1932-1937). Una risata nel buio, tr. di Franca Pece. Milano: Adelphi eBook, 2016.
Nabokov, Vladimir (1968). “Introduzione.” In Re, donna, fante (King, Queen, Knave), tr. dall'inglese di Ettore Capriolo. Milano: Adelphi eBook, 2014.
Testi inediti
Nabokov, Vladimir (1924). Ljubov' karlika.
La grande attenzione che Nabokov dedicò al cinema e, in particolare, al linguaggio cinematografico, sin dai primi passi che egli fece come scrittore, è uno degli aspetti meno esplorati della sua opera. Alcuni cenni sono dati dallo studioso Brian Boyd nel suo lavoro biografico sullo scrittore russo; analisi concernenti l'influsso che ha avuto il cinema come modo di rappresentazione (convenzioni narrative specifiche del cinema, sia sul piano scenografico che drammaturgico) sulle opere di esordio di Nabokov sono offerte da Barbara Wyllie nella monografia Nabokov at the Movies: Film Perspectives in Fiction (2003). Le riflessioni che Wyllie propone nel suo volume vertono, in particolare, sui rapporti con il cinema americano e contengono spunti di enorme interesse per lo studioso di cinema; il capitolo “The Impact of German and Soviet Film on Nabokov's Early Russian Fiction” merita di essere approfondito da un punto di vista comparativo che consenta di accostare film e scrittura per trovarne le corrispondenze e, dunque, presentare risultati nuovi che trovino giustificazione non solo a un primo superficiale livello (analisi del testo) ma anche a un secondo più complesso livello (opera di scavo). Per arrivare a questi risultati occorre consultare estensivamente sia i materiali di lavoro che le carte d'archivio manoscritte presenti nel fondo intitolato a Vladimir Nabokov (Vladimir Nabokov Archive).↩
Mest' racconta la storia di un anziano professore di biologia che, sospettando ingiustamente la moglie di tradimento, per spaventarla a morte le fa trovare nel letto uno scheletro. In questa commedia sono presenti almeno due aspetti particolarmente cari a Nabokov che ricordano i modi di rappresentazione del teatro: al centro della trama l'equivoco dell'adulterio e la trovata grandguignolesca come finale ad effetto.↩
Boyd offre una sinossi del trattamento che permette di evincere alcuni tratti che aprono a una dimensione spettacolare della storia:
Mark, a hearty young German bourgeois, drinks just enough to lose his footing and get killed by a tram on the very day he would have found out his fiancée had left him for another woman. But here the resemblance ends. Not only are fate's ironies subtler and far more plausible here, but the story anticipates the Nabokov to come. Details of background description – a frieze lit up by the dying sun, the speak of light above a tramcar's wire – create a sense of mystery and beauty and space around the waning day, a world much larger than Mark's burg of barbers and beer. The device of the false continuation: here although we are led to infer Mark must have been merely stunned by the tram, we gradually notice that the thoughts still running through his consciousness make sense only if he has died […] We experience the plunge the dead person makes (Boyd 1990: 232).
Sulle valenze che oggetti e fenomeni hanno nella letteratura di Nabokov è stato scritto molto. Boris Averin ha presentato la tesi secondo cui è l'ombra come allusione al cinema ad essere una delle metafore puntualmente presenti nella prosa di Nabokov, specie a partire da Maria. L'ombra è, in quest'ultimo romanzo, metafora del cinema e, di conseguenza, l'ombra del protagonista allude alla sua doppiezza, a una vita irreale sullo stesso piano di una messinscena per set cinematografico. Altri studiosi rilevano come dominante il simbolismo dello specchio (Ju. Levin, E. G. Rjakova, Ju. Zajceva) (Averin 2003: 280-282 e sg).↩
“Nel capanno del balagan i mostruosi vetri sfaccettati dei fari diretti, come cannoni, verso la folla delle comparse di un biancore cadaverico fervevano di luce, con suoni misteriosi, sparavano a bruciapelo un bianco micidiale bagliore, rischiarando la cera dipinta sui volti come pietrificati e, stridendo, si spegnevano; ma su questi vetri ingannevoli rinfocolavano a lungo ancora sguardi rossastri, vergogna di noi uomini.” Sempre a proposito del personaggio di Ganin il narratore commenta: “Non si faceva scrupoli: più di una volta vendette la propria ombra in questo modo a tanti di noi. In altre parole, andava al set cinematografico in veste di comparsa ...” (Nabokov 2011: 19-20, traduzione mia).↩
È stato lo stesso Nabokov a smentire eventuali prestiti da Joyce per l'edizione americana del 1968:
[...] devo ammettere di essere stato un po' sorpreso trovando nel mio testo russo tanti brani a 'monologue intérieur', privi però di qualsiasi rapporto con Ulysses, che a quell'epoca conoscevo appena. Ma naturalmente ero stato esposto sin dalla più tenera età ad Anna Karenina dove c'era un'intera scena composta di queste intonazioni, cento anni fa nuove come l'Eden, e oggi sin troppo usate. D'altro canto le mie piccole bonarie imitazioni di Madame Bovary che i buoni lettori non mancheranno di riconoscere costituiscono un voluto omaggio a Flaubert (Nabokov 2014: eBook loc. 72).
Un primo contatto con la prosa di James Joyce avvenne quando Nabokov studiava a Cambridge, nel 1922, e sentì le letture di estratti dal monologo di Molly Bloom nell'Ulysses. Sappiamo per certo che, alla fine della primavera del 1931, Nabokov lesse il romanzo di Joyce (Boyd 1990: 194, 364; 2010: 425).↩
Barbara Wyllie riporta la descrizione che Nabokov fa di Orlac, il protagonista mostruoso di Le mani dell'altro:
I remember perfectly certain scenes in Orlac: the nocturnal train crash in which the concret artist [Conrad Veidt, ndr] loses his hands – steam, smoke, infernal confusion – and the “executed” murderer's unexpected return, his broken neck bolstered by a terrible brace, his face masked, mechanical claws in place of the hands that have been grafted onto Orlac's limbs (2003: 17).
Cfr. Vladimir Nabokov Archives (Montreux), Lettera di Nabokov a Walter Minton del 4 novembre 1958.↩
In cima all'ultimo paragrafo dell'ultima pagina di Laughter in the Dark sarebbe persino apparsa una frase che diceva: “Una postilla del regista all'ultima scena muta”. La frase era un'intrusione del narratore il quale, con un tono ironico e distaccato, prendeva parola per indicare la chiave di lettura del testo: Laughter in the Dark era un libro sul dramma di chi aveva trasformato la propria vita in un film (Nabokov 2003: 564). Wyllie rileva che, anche nel racconto “Leonardo” (1930), Nabokov si presentava al lettore come “regista” della trama per giustificare il proprio ruolo di narratore onniscente. Altrove, la studiosa riporta le dichiarazioni di intenti che Nabokov ha lasciato con riferimento a Kamera obskura: “I wanted to write the entire book as if it were a film... [T]he scenes and the dialogue... follow a cinematic pattern... On the whole it was a generale idea. I wasn't thinking of the form of the screenplay; it's a verbal imitation of what was then termed a 'photoplay'” (Wyllie 2003: 30, 68).↩
Il racconto “A Letter that Never Reached Russia” è ricompreso in A Russian Beauty and Other Stories (Una bellezza russa e altri racconti, 1973), libro che comprende in un solo volume tre delle quattro raccolte antologiche di tutti i racconti dell'autore.↩
In romanzi come La difesa di Lužin e Disperazione, il personaggio si guarda allo specchio alla ricerca di un'immagine confortante di se stesso e, sempre allo specchio, alle volte sono descritti gli oggetti.↩
Per quel che riguarda il procedimento dello straniamento basti pensare ad alcune opere importanti delle avanguardie russe; il riferimento va alla FEKS (Fabbrica dell'attore eccentrico), che allo straniamento dedicò intere sequenze (di animazione e non) in particolare ne Il cappotto (Šinel', Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg, 1926), La Nuova Babilonia (Novij Vavilon, Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg, 1927); si pensi anche ad alcune soluzioni stranianti nei film muti di Vsevolod Pudovkin o di Sergej Ejzenštejn. Sulle numerose tecniche che portano a effetti di deformazione dello spazio e situazioni stranianti nel cinema espressionista si veda Lotte Eisner, The Haunted Screen. Expressionism in the German Cinema and the Influence of Max Reinhardt.↩
Tra i primi a ragionare di questa tecnica fu Viktor Šklovskij nell'articolo “Iskusstvo kak priëm” (Poetika, 1919).↩
Nabokov conosceva Pudovkin sin dai primi anni post rivoluzionari; una parte delle scene di La febbre degli scacchi sono girate a Berlino, agli studi Derufa, e in alcune di queste appare anche Nabokov; la storia del giocatore di scacchi che dimentica la moglie perché la passione per il gioco lo assorbe completamente sarebbe stata alle origini del soggetto di La difesa di Lužin (Izakar 2009).↩
In Laughter in the Dark, Albert Abinus (Bruno Kretchmar) viene presentato come un sognatore, un critico d'arte senza fantasia, un estimatore delle nuove forme d'arte al punto da interessarsi al cinema d’animazione a colori che ritiene naturale prosecuzione della miglior pittura realista fiamminga. Questa è una delle differenze, tra la prima stesura in russo e la seconda in inglese, che vale la pena rilevare perché indica come il tema del cinema diventi un punto di forza per Nabokov, che decide di ampliarlo alla caratterizzazione dei personaggi – Axel Rex (Robert Gorn), antagonista di Albinus per l'industria dello spettacolo non disegna fumetti (la sua specialità sono le caricature) ma produce e dirige film.↩
In tal senso, la letteratura di Nabokov è pervasa da continui tentativi di impossessarsi di un passato che è andato perduto per sempre; questo tendere verso qualcosa che non potrà più esistere provoca come un sentimento di malinconia. La malinconia è senza dubbio un sentimento che nutrono diversi personaggi nabokoviani, in particolare nei primi romanzi, scritti a Berlino, dopo aver lasciato la Russia, nel 1919. Era da quest'angolazione, che evidenziava la dimensione autobiografico-sentimentale che, fin dall'inizio, molta critica a lui coeva interpretò la sua opera. Da parte sua, Nabokov tendeva a negare, anche sprezzantemente, l'influsso diretto dei modelli di altri autori. C'era chi vedeva nel sistema dei personaggi di Nabokov una sorta di teatro delle maschere che la sola fantasia dell'autore avrebbe prodotto. Questa linea di interpretazione non avrebbe mai perso vitalità anche dopo che Nabokov sarebbe stato inserito dalla critica post-strutturalista nel contesto della letteratura mondiale (Stegner 1966).↩
L'inclinazione di Nabokov per il linguaggio figurato e il fantastico veniva sicuramente anche dalla poesia simbolista (non solo quella russa di Andrej Belyj, Aleksandr Blok) e da quella di altissimo tono evocativo del Romanticismo inglese. A Berlino, egli traduceva in russo per periodici diversi Paul Verlaine, Lord Byron, John Keats, Shakespeare, Rupert Brooke, Pierre de Ronsard, Alfred Tennyson, William Butler Yeats, Charles Baudelaire, Alfred de Musset, Arthur Rimbaud, Goethe; egli stesso scriveva poesia che trovò svariati luoghi di pubblicazione.↩