Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.28 (2025), 237–239
ISSN 2280-9481

L’impero della liveness. Laura Gemini, Stefano Brilli, Gradienti di liveness. Performance e comunicazione dal vivo nei contesti mediatizzati, FrancoAngeli, Milano 2023

Mario TirinoUniversità degli Studi di Salerno (Italy)

Ricevuto: 2025-10-20 – Pubblicato: 2025-12-22

Copertina dell'opera

La dimensione live pervade tante nostre esperienze mediali della contemporaneità. Eppure, si tratta di un oggetto sorprendentemente sotto-studiato nel campo dei Media Studies. A colmare il vuoto è intervenuto il volume di Laura Gemini e Stefano Brilli Gradienti di liveness (2023): un’opera ambiziosa in grado di elaborare un piccolo arsenale di concetti teorici, con cui portare più in avanti lo studio della liveness, chiarendo il complesso intreccio di relazioni tra “dal vivo”, mediatizzazione e performatività. Ma proviamo ad andare con ordine.

Il presupposto da cui muove il volume è l’osservazione della penetrazione massiva della liveness in molteplici contesti sociali (dall’educazione alle relazioni affettive). Ciò rende necessario ampliare l’impianto teorico da cui analizzare la riarticolazione della liveness negli scenari mediatizzati della digital society. Il punto di partenza resta l’approccio epistemologico alla liveness dal punto di vista dei Performance Studies. Riprendendo i lavori seminali di Richard Schechner e Victor Turner, gli autori inquadrano la liveness – definita “quella particolare forma della comunicazione dal vivo nei contesti mediatizzati che caratterizza diverse manifestazioni della performatività sociale” (2023: 13) – nel quadro di una più ampia ecologia della performance. L’obiettivo è distinguere l’ambito infinito (o quasi) dell’azione performativa (as performance) dalla performance come opera/operazione artistica, consapevole e volontaria, al cui interno agiscono i partecipanti (is performance). In questa prospettiva, ciò che definisce la riconoscibilità della performance come categoria dell’esperienza dal vivo fondata sull’interazione è l’omologia strutturale “fra forme della performance, struttura della società e forme della comunicazione” (2023: 24). Tale omologia permette di cogliere il passaggio dall’oralità (segnata dal rituale come dispositivo normativo e trasformativo) alla scrittura (fondata sul primato della dimensione visiva del teatro, come “luogo del vedere”), fino alle forme mediali digitali.

Il secondo capitolo introduce all’impatto della mediatizzazione – intesa come “meta-processo sociale in cui i media intensificano progressivamente la loro influenza nella costruzione dell’esperienza individuale e collettiva” (2023: 10) – sulla performance live. Adottando un approccio mediologico allo studio del teatro, questa sezione del testo evidenzia quanto il teatro sia sempre stato “uno spazio di sperimentazione delle innovazioni tecnologiche” (2023: 44). Per distinguersi dalla sua versione mainstream e dagli altri media, il teatro punta al potenziamento di quegli “elementi considerati realmente possibili solo a teatro, come la presenza fisica” (2023: 47), facendo del corpo (dei performer e degli spettatori) la “materia principale dell’espressione performativa” (2023: 48). Un primo step teorico osservabile qui è il tentativo di collocare analiticamente i processi della mediazione – ovvero la cospicua quantità di tentativi di adattare i media nel campo teatrale (come contenuto, dispositivo, supporto, ecc.) – nel quadro del più ampio meta-processo della mediatizzazione. È questa svolta teorica che consente agli autori di interpretare le molteplici esperienze del media-teatro (teatro immagine, video teatro, la performance online, il transmedia storytelling, i podcast, ecc.) come esempi empirici del superamento della concezione essenzialista della liveness, lungo una linea che arrivi a riconoscere che la qualità performativa del teatro “è data da scelte, proposte estetiche, politiche e linguaggi la cui attualizzazione dipende dalla spettatrice e dallo spettatore” (2023: 65).

Nel terzo capitolo, Gemini e Brilli inquadrano le trasformazioni della liveness nel contesto delle teorie dei rituali mediali, dell’intermedialità e della rimediazione, arrivando a definirla come “costruzione dentro e attraverso i media, […] legat[a] ai processi di categorizzazione e attenzione condivisa (media ritual), al confronto e alle influenze reciproche tra media (intermedialità/rimediazione), e alla pervasività dei media come orizzonti di senso (mediatizzazione)” (2023: 91). In questa prospettiva, secondo gli autori, la mediatizzazione impatta sul “dal vivo” a quattro livelli: 1) modellizzazione dell’evento performativo da parte dei media; 2) grado di continuità spazio-temporale con l’evento (moltiplicazione delle occasioni di accesso grazie alla riformulazione dell’hic et nunc); 3) costruzione del discorso della liveness (come i media orientano il modo in cui concepiamo i fenomeni dal vivo); 4) esperienza fenomenologica (i modi in cui gli spettatori definiscono la propria esperienza di partecipazione live, sulla scorta delle categorie di vicino vs. lontano e sincrono vs. asincrono).

Si tratta di un lavorìo necessario a preparare il terreno per la concettualizzazione della liveness mediatizzata. L’obiettivo degli autori è pervenire a una teoria costruttivista della liveness. La definizione di partenza intende la liveness come “sia un tipo particolare di esperienza sul piano individuale che un tipo di discorso sul piano comunicativo” (2023: 105). Osservare una situazione come liveness significherebbe, in quest’ottica, distinguere quella specifica esperienza dalle altre secondo “i gradi di continuità spazio-temporale con l’evento” e le qualità che si associano a tale continuità (2023: 108). Chiarendo i fattori che agiscono sulla continuità spazio-temporale (come le affordance funzionali/relazionali e il fenomeno della gradualità, che fa sfumare le dicotomie tra simultaneo/registrato e presenza/distanza), Gemini e Brilli pervengono a una convincente classificazione di tre gradi di continuità spazio-temporale, “ordinabili in base alla prossimità all’evento performativo” (2023: 111): 1) l’attualità, come “condivisione di un ‘presente’” (2023: 112), che corrisponde a una finestra arbitraria entro la quale un evento non è ancora considerato “passato” (pensiamo ai commenti relativi al finale di stagione di una serie); 2) la “simultaneità”, come “risultato di un processo cognitivo che correla la percezione dell’ambiente e le conseguenze dell’azione” (2023: 113) (per esempio gli effetti dell’interazione in una chat su Twitch); 3) la “co-presenza”, che implica una continuità spaziale e temporale. Questa ricca teorizzazione si completa con le qualità associate ai tre gradi di prossimità con l’evento: all’attualità sono associate qualità come connessione con la realtà sociale e testimonianza; alla simultaneità sono collegate qualità come effimerità (irripetibilità dell’evento), imprevedibilità, rischio condiviso (tra spettatore e performer), fedeltà (assenza di correzioni ex post), interazione tra pubblico e performer; alla co-presenza, infine, sono connesse qualità quali densità della presenza (ricchezza percettiva che implica anche una separazione dallo spazio domestico) e multisensorialità (particolarmente ricca nella co-presenza fisica). I media creano moltissime nuove forme di simultaneità e co-presenza, pur all’interno di logiche opache e vincoli materiali.

Come esito di questo prezioso lavoro di raffinamento teorico, si giunge a una definizione della liveness come “un certo tipo di esperienza (piano fenomenologico), basata sull’osservazione di una continuità spazio-temporale con l’evento (piano ontologico), influenzata dai discorsi che la definiscono, valorizzano e caratterizzano (piano retorico)” (2023: 126). Questi discorsi definiscono i contorni e promuovono il valore dell’esperienza live, attraverso molteplici oggetti e dispositivi (trailer, brochure, paratesti di vario tipo), e con il concorso di diversi attori sociali (istituzioni mediali, tecnologie, pubblici, creatori della performance). Se ne deduce che “la liveness è […] inscindibile dalla mediatizzazione, perché da questa dipendono le categorie di ‘prossimità’ e ‘distanza’ nella contemporaneità, […] in senso epistemico, perché dai processi di intermedialità e rimediazione emerge la possibilità di confrontare i diversi sensi della mediazione e dell’immediatezza; […] in senso valoriale, perché attraverso le rappresentazioni mediali costruiamo il valore associato a determinate forme di contatto; […] in senso materiale, perché i media producono nuove forme di continuità spazio-temporale” (2023: 132).

Il principale merito del volume è di quello di aver sganciato lo studio della liveness dal ristretto campo dei Performative Studies per riportarlo nel più vasto ambito dei media studies: così facendo, gli autori hanno operato un enorme lavoro di chiarificazione teorica, arrivando a illuminare i modi in cui la mediatizzazione modifica i caratteri essenziali della nostra esperienza del “dal vivo” e gli stessi discorsi sociali che la accompagnano, riformulando categorie come intimità, prossimità, continuità, relazionalità. A questo merito essenziale se ne aggiunge un secondo, ovvero la capacità di analizzare un ricco corpus di pratiche artistiche attraverso il concetto di “gradienti di liveness”. Tale attività di analisi, che occupa l’intero quarto capitolo, consente di arricchire lo studio delle forme di performance live mediatizzata, a partire anche dalla centralità dell’esperienza spettatoriale nelle molteplici fenomenologie digitali possibili, tra social network, Intelligenza Artificiale e agenti non umani.