Il lavoro di Silvia Vacirca ci ricorda la continuità e la vitalità del dibattito sull’adattamento cinematografico, inserendosi in un ambito di interesse tutt’altro che esaurito, come testimoniano alcune recenti pubblicazioni dedicate alle declinazioni contemporanee del tema. Laddove, infatti, l’adattamento viene collocato entro cornici ampie e trasversali – come quelle dell’intermedialità, si pensi al volume curato da Carluccio et al. (2023), delle relazioni tra testi e contenuti nei contesti delle tecnologie mediali contemporanee, si veda il volume curato da Fusillo et al. (2020) o delle forme testuali attuali, come indaga il volume curato da Cangiano e Sambugaro (2023) – l’autrice sceglie di tornare all’elemento costitutivo di tali articolazioni: il rapporto tra testo filmico e testo letterario.
Non si tratta, è bene precisarlo, di un passo indietro rispetto agli orientamenti critici più recenti sull’adattamento, bensì di un ampliamento di prospettiva: un arricchimento di sguardi e di strumenti che consente di delineare in modo più completo il complesso sistema di stratificazioni che caratterizza le relazioni tra cinema e letteratura, includendo, ad esempio, l’analisi dei costumi di scena e degli spazi architettonici.
La questione dell’adattamento cinematografico viene analizzata attraverso una serie di ricognizioni puntuali che delineano una direttrice storica e teorica, in particolare di matrice semiotica, alla quale si affiancano alcuni aspetti di natura più procedurale, come la sceneggiatura e i costumi. Una volta definite queste coordinate di riferimento, l’autrice approfondisce l’analisi attraverso due casi di studio emblematici: Adaptation (Il ladro di orchidee, 2002) di Spike Jonze e scritto da Charlie Kaufman e Shining, esaminato lungo il duplice versante dell’adattamento cinematografico di Stanley Kubrick del 1980 e della versione televisiva fortemente voluta da Stephen King per il suo omonimo romanzo, uscita nel 1997.
Chiude il volume l’intervista a Bernardo Zapponi raccolta da Gabriele Lucantonio, incentrata sul valore testuale, oltre che procedurale, della sceneggiatura.
L’impostazione analitica, come chiarito nelle pagine iniziali, si fonda sulla decostruzione di una diffusa metafisica del testo originale rispetto a quello derivato. Ne consegue l’idea secondo cui “l’adattamento di un’opera letteraria non espressamente pensata per il cinema – come invece lo sono i ‘soggetti’ scritti apposta dagli sceneggiatori – sia sempre un tradimento di quell’opera, della sua integrità, complessità, articolazione, vastità di motivi, riferimenti, rimandi, profondità. Tradimento che ha varie gradazioni d’importanza e che, soprattutto, non sempre risulta efficace nella nuova forma, diventando un film ‘all’altezza del modello originario’ o magari semplicemente un buon film, un successo” (2025: 11, corsivo dell’autrice).
L’analisi storico-teorica proposta dall’autrice assume la forma di una ricognizione dei principali momenti e assi critici, condotta volutamente “a volo d’uccello”. Si tratta di una scelta che, se da un lato può risultare riduttiva o eccessivamente semplificata per chi si occupa in modo specialistico di queste problematiche, dall’altro risponde a un preciso intento metodologico: restituire una mappa orientativa, capace di delineare i nodi fondamentali di un campo di studi complesso e in costante trasformazione. In tal senso, la panoramica offerta non si limita a introdurre, ma tende a suggerire connessioni e traiettorie interpretative che suggeriscono ulteriori approfondimenti.
Particolare rilievo è attribuito alla prospettiva lotmaniana della semiosfera, richiamata per “chiarire meglio in cosa consista la nebulosa pratica dell’adattamento” (2025: 37). L’intento critico risponde all’esigenza di collocare l’adattamento entro un discorso analitico più ampio, fondato su connessioni interculturali in cui testi differenti entrano naturalmente in dialogo tra loro, secondo dinamiche analoghe a quelle dei processi biologici.
Questa premessa metodologica introduce il capitolo dedicato alla sceneggiatura, concepita come testo aperto e processuale, sospeso tra forma narrativa e composizione visiva. La sceneggiatura viene così delineata come un campo complesso, di cui l’autrice traccia una breve storia, mettendo in evidenza le intersezioni tra le dimensioni testuali e figurative, le competenze professionali coinvolte nella realizzazione cinematografica e l’ambiguità autoriale propria del discorso filmico, con un focus sull’ambito italiano che trova un suo completamento nell’appendice dedicata all’intervista a Zapponi.
Uno degli aspetti che contribuiscono ad ampliare e approfondire l’analisi critica dell’adattamento cinematografico è l’attenzione riservata ai costumi di scena, considerati come parte integrante dei processi di traduzione visiva e narrativa del testo letterario. Si tratta, in effetti, di una questione che incide sin dagli inizi sulla storia degli adattamenti, segnalando una costante tensione tra scrittori e cinema; si pensi alla reazione di Giovanni Verga di fronte alla riduzione filmica di Cavalleria rusticana, criticata dallo scrittore per l’incongruenza dei costumi utilizzati.
Dopo aver indagato la dimensione simbolica degli abiti nella letteratura, attraverso una solida rete di esempi eterogenei, l’analisi si sposta sul contributo dei fashion studies, concentrandosi sui casi di due celebri adattamenti: Romeo e Giulietta di Shakespeare, nelle versioni di Franco Zeffirelli (1968) e Baz Luhrmann (1996), e Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, nelle versioni di Robert Z. Leonard (1940) e Joe Wright (2005).
Definite le coordinate teoriche entro cui collocare l’adattamento, Vacirca affronta due casi studio tanto rilevanti quanto complessi: Adaptation di Spike Jonze e la doppia trasposizione, cinematografica e televisiva, del romanzo Shining di Stephen King. L’analisi, condotta con rigore e profondità, restituisce la complessità dei discorsi che attraversano il campo dell’adattamento, indagando – anche grazie all’autoriflessività che pervade Adaptation – il cortocircuito tra l’individualità poetica dello sceneggiatore e gli inamovibili cliché imposti dall’industria cinematografica, tra il “rispetto” verso la densità di un testo letterario e la sua necessaria traduzione in racconto filmico.
L’argomentazione trova un ulteriore momento di approfondimento nel caso di Shining, che consente all’autrice di estendere la riflessione alla specificità delle forme filmiche utilizzate da Kubrick per restituire il senso profondo del romanzo di King, attraverso un intenso lavoro sulla costruzione spaziale dell’Overlook Hotel. Tale analisi offre inoltre l’occasione per tornare con lucidità critica sull’annosa questione delle tensioni tra scrittori e registi, tra il principio di fedeltà e il tradimento sistematico, e, più in generale, tra adattamento cinematografico e televisivo.
In definitiva, il lavoro di Vacirca si muove su un terreno denso e irregolare, attraversabile da molteplici prospettive e metodologie, riuscendo a coniugare – pur nella sintesi – la solidità di approcci più classici con aperture a campi di studio meno battuti, come i fashion studies. I numerosi esempi tratti trasversalmente dalla storia del cinema sostengono e articolano l’argomentazione, restituendo la varietà di stili, figure e strategie che animano i processi di adattamento, ricordandoci che ogni adattamento è una storia del cinema e della letteratura a sé.
Bibliografia
Cangiano, Mimmo, Filippo L. Sambugaro (2023) (eds). Adaptation as a Transmedial Process. Theories and Practices. Roma: Sapienza Università Editrice.
Carluccio, Giulia, Masecchia, Anna e Stefania Rimini (2023) (a cura di). Cinema, letteratura, intermedialità. Roma: Carocci.
Fusillo, Massimo, Lino, Mirko, Faienza, Lucia e Lorenzo Marchese (2020) (a cura di). Oltre l’adattamento? Narrazioni espanse: intermedialità, transmedialità, virtualità. Bologna: il Mulino.