Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.27 (2025), 217–219
ISSN 2280-9481

Immaginare il Moloch. Ivo Blom, Quo Vadis?, Cabiria and the “Archaeologists”. Early Italian Cinema’s Appropriation of Art and Archaeology, Kaplan, Torino 2023

Carlo UgolottiUniversity of Parma (Italy)

Pubblicato: 2025-07-30

Film come Quo Vadis? (1913) di Enrico Guazzoni e Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone rappresentano veri e propri spartiacque nella storia non solo del cinema italiano ma dell’immaginario cinematografico globale. La vita della settima arte può pertanto essere divisa in un a.C. (avanti Cabiria) e in un d.C. (dopo Cabiria) per la sua forza spettacolare, per le sue scelte registiche ardite (dalla profondità dell’azione ai carrelli che sinuosamente si addentrano nella scena svelando la concretezza delle scenografie tridimensionali) e, non per ultimo, per la sua ambizione non solo narrativa ma anche politica che anticipava (e ispirava) quella dei film di D. W. Griffith. La pellicola di Pastrone ottenne un successo e una visibilità non solo nel mercato nazionale ma conquistò i pubblici di tantissimi paesi: negli Stati Uniti, alla sua uscita, venne pubblicizzato come il “daddy of spectacles” (Alovisio 2014, 11). Coniugando la maestosità misteriosa dell’antichità pagana alle meraviglie rese possibili dalla tecnica figlia del progresso, coinvolgendo quelle masse che saranno le protagoniste della Guerra mondiale prossima a venire (De Luna 2006, 73), Cabiria presentò “alle platee stupefatte del mondo intero la luccicante versione novecentesca del più affascinante sogno creativo del secondo Ottocento: l’opera d’arte totale” (Alovisio 2014, 12). Ricostruire le società di tempi lontani attraverso la visualità del film, a partire dai kolossal del muto per arrivare ai recenti “gladiatori” di Ridley Scott o alle serie televisive dedicate agli imperatori romani e alle civiltà africane, ha pertanto sempre richiesto un approccio che integra la ricerca filologica, l’immaginazione storica e spettacolare (anche a discapito delle fonti) e una capacità tecnologica e produttiva in grado di trasmettere attraverso il profilmico (e ora attraverso il digitale) “l’opulenza antiquaria” (Alovisio 2014, 57).

Ivo Blom, esperto di cinema muto e del rapporto tra film e arti visive, nel suo volume Quo Vadis?, Cabiria and the “Archaeologists”. Early Italian Cinema’s Appropriation of Art and Archaeology, ricostruisce con grande meticolosità e attraverso un raffronto continuo tra fotogramma e immagine-matrice quali furono le fonti iconografiche per i grandi kolossal del muto italiano. Pur trattandosi di opere già indagate dalla storiografia – specie in occasione degli anniversari che generano fiumi di pubblicazioni di diverso taglio e rivolte ai pubblici più disparati – l’approccio adottato dallo studioso olandese risulta innovativo sia per la sua precisione sia perché riesce a portare alla luce il ruolo centrale svolto dalla pittura ottocentesca, in particolare la cosiddetta corrente “archeologica”, nel processo di immaginazione storica che sta alla base dell’ideazione delle scenografie e dei costumi di Cabiria e Quo Vaids? (pur toccando anche numerose altre produzioni similari). Integrando l’approccio transnazionale a quello intermediale, Blom dimostra come la ricostruzione dell’antico operi una doppia rimediazione della fonte “storica”: la Cartagine di Pastrone e la Roma imperiale di Guazzoni sono tratte dai quadri di pittori come Jean-Léon Gérôme e Lawrence Alma-Tadema e dalle illustrazioni di fine Ottocento (a loro volta ispirati da visite alle collezioni archeologiche di musei italiani o francesi [Blom 2023, 56]). Si opera così un triplice salto storico e geografico in cui i lavoratori del cinema italiano agli esordi del Novecento trasfigurano l’immaginario pittorico europeo del secolo precedente per rifarsi all’antichità romano-punica. La modernità si volge al suo passato più prossimo (e a un gusto estetico già tramontato all’epoca nonostante il revival liberty coincidente con l’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902) per la ricostruzione dell’antico.

La ricerca di Blom porta alla luce diversi punti nodali rispetto al kolossal italiano di epoca muta, correttamente interpretato come finalizzato alla costruzione di una mitopoiesi nazionalista e imperialista basata sul mito della romanità (Alovisio 2014, 25-26), ma che si rivela così essere anche figlio di un gusto cosmopolita e della circolazione transnazionale di sensibilità estetiche. L’early cinema, grazie alle comparazioni operate dallo studioso, viene inquadrato nel suo essere medium “impuro”, coerentemente con la definizione di Lucia Nagib (Nagib, Jerslev 2013). Blom adotta infatti la prospettiva teorica di Ágnes Pethő (Pethő 2020) che pone al centro della sua indagine il processo di trasfigurazione secondo cui il film storico si appropria di un altro linguaggio trasponendo una “figura” all’interno del suo testo. Alcuni elementi filmici si trovano ad essere cosi caratterizzati da una natura “in-between”, in bilico tra la loro matrice pittorica e l’appropriazione cinematografica (Blom 2023, 22). La metabolizzazione di fonti artistiche per la ricostruzione dell’antico serviva quindi, afferma Blom partendo da precedenti analisi sul rapporto tra cinema e arte di Charles Tashiro (Tashiro 1996), non solo a garantire spettacolarità e a offrire agli spettatori la soddisfazione del riconoscimento ma anche a finalità di nation building e al conferimento di una legittimità borghese a un mezzo di intrattenimento di massa appena nato. Per raggiungere tale obbiettivo, il mondo romano doveva inevitabilmente passare per il realismo pittorico di fine Ottocento (Blom 2023, 285). Il circuito intermediale generato dai kolossal italiani seppe così unire arte, archeologia, letteratura e la fantasia immaginativa di registi e maestranze per finalità spettacolari, politiche e finanche religiose (Blom 2014, 286).

Il volume di Blom, dalla scrittura dotta ma scorrevole e arricchito da un vastissimo apparato iconografico, aiuta a ricostruire il percorso che ha portato alla creazione di una serie di film diventati mito per generazioni future di cinefili e film-maker che, in opere come Cabiria, hanno visto un momento di (ri)partenza per la costituzione del film narrativo come lo conosciamo oggi.

Bibliografia

Alovisio S. (2014), Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914), lo spettacolo della storia, Mimesis, Milano-Udine.

Nagib L., Jerselv A, a cura di (2013), Impure Cinema: Intermedial and Intercultural Approaches to Film, I. B. Tauris, London-New York.

Pethő A. (2020), Cinema and Intermediality: the Passion for the In-Between, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle upon Tyne.

Tashiro C. (1996), “When History Films (Try to) Become Paintings”, Cinema Journal, 3, 13-33.