Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.27 (2025), 211–212
ISSN 2280-9481

Sul concetto di Street Photography. Lorenzo Marmo, Street Photography. La modernità, New York, il cinema, Mimesis, Milano-Udine 2024

Caterina MartinoUniversity of Calabria (Italy)

Pubblicato: 2025-07-30

Gli studi sulla fotografia non hanno ancora avviato una disamina sistematica dei generi fotografici, così come invece è già avvenuto nell’ambito degli studi sul cinema. La principale motivazione di questa assenza è il difficile inquadramento dei generi fotografici all’interno di strutture costituite da elementi sintattici e semantici predominanti la cui reiterazione determina il riconoscimento di uno specifico impianto narrativo e semiologico e la conseguente collocazione dell’opera fotografica all’interno di un preciso genere escludendone un altro. Un difficile inquadramento perché l’immagine fotografica per le sue caratteristiche ontologiche, estetiche e linguistiche sfugge a qualsiasi griglia interpretativa: sebbene sia possibile riconoscere e determinare l’esistenza di una serie di genere fotografici, questi ultimi sono però passibili di elementi ibridi, concatenanti, polivalenti. Pertanto, in fotografia il genere fotografico non è uno schema da acquisire o applicare alla produzione fotografica ma è un atteggiamento o un’intenzione del fotografo, un modo di pensare la fotografia, una forma direttamente correlata a una certa maniera di esperire e osservare la realtà.

Partendo da questo assunto, con il volume Street Photography. La modernità, New York, il cinema Lorenzo Marmo attiva un percorso critico nel tentativo di delineare i tratti essenziali di ciò che definisce come il “concetto di Street Photography” (p. 7). Da un punto di vista teorico l’operazione compiuta da Marmo implica il rimando a diversi scritti, filosofici e non solo, sulla fotografia (tra i tanti, quelli di Roland Barthes, Walter Benjamin, Susan Sontag, ecc.) ma anche di fotografi contemporanei (la cui caratteristica essenziale, ci insegna Jeff Wall, è un’intesa attività di scrittura e di pensiero sulla fotografia) a partire dalla “prima ‘bibbia’ del genere” (eppure, scrive Marmo, confutabile in diversi punti; p. 47), ovvero il volume Bystander: A History Of Street Photography di Colin Westerbeck e Joel Meyerowitz (1994). Dal punto di vista storico significa sondare la cronologia della fotografia e l’evoluzione del suo linguaggio al fine di individuare autori, casi, esperienze, opere in cui si palesa o si esplica il concetto di Street Photography. Infine, dal punto di vista dell’analisi dell’immagine fotografica significa sondare stili e stilemi, apparati retorici e compositivi, livello connotativo e denotativo della foto (direbbe Barthes).

Questi tre livelli di indagine consentono a Marmo di analizzare la Street Photography attraverso alcune importanti categorie: il linguaggio fotografico (dalle scene del delitto di Atget alle scene etnografiche di William Klein); le forme (dalla documentazione alla messa in scena); la questione dell’autorialità (i grandi nomi, gli amatori e gli anonimi); il metodo (dalla progettazione alla performance il fotografo si muove nello spazio e compie delle azioni in un “corpo a corpo tra artista, apparecchiatura e spazio urbano”, p. 23); le caratteristiche ontologiche dell’immagine (tra oggettività e surrealismo). I risultati di questa analisi portano all’individuazione di alcune peculiarità del genere: la narrazione (caratterizzata da un asse spaziale e uno temporale, proprio come il cinema) la modernità (la fotografia come medium che ha contribuito alla modernizzazione dello spazio urbano e della vita che lo caratterizza, o meglio, scrive Marmo, alla “metamorfosi della cultura urbana novecentesca”, p. 50), il paesaggio urbano (quasi costante: i luoghi, la città, la strada) e il paesaggio umano (la presenza fisica e reale dell’uomo all’interno dello scatto o la sua presenza simbolica e surreale attraverso le tracce di uno spazio che ha antropizzato).

Sulla base di queste nozioni, non è un caso che Marmo indichi New York come contesto esemplare di Street Photography, perché a partire dalla fine dell’Ottocento la city diventa centro nevralgico di una certa attitudine a fotografare lo spazio e la vita moderna, quindi il paesaggio urbano e umano, in chiave narrativa e progettuale. In particolare, Marmo circoscrive il discorso all’arco temporale che va “dalla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento alla fine degli anni Trenta del Novecento” (p. 52), anni in cui si sono susseguite diverse imprese fotografiche diventate, poi, archetipo globale. In altre parole, esiste una Street Photography tipicamente newyorkese che ha dettato le regole, i tratti, i metodi della fotografia di strada esportandoli successivamente in altri contesti geografici e culturali. La Street Photography americana e internazionale fonda se stessa sull’evoluzione del rapporto tra il mezzo fotografico e lo spazio urbano: dalle immagini sociologiche dal basso di Jacob Riis (letteralmente, negli slums, nei bassifondi), alla fotografia della strada prima pittorialista e poi diretta di Alfred Stieglitz, agli scatti dall’alto di Berenice Abbott (una visione formale e nostalgica che viene replicata da Sergio Leone in C’era una volta in America, 1984).

Street Photography. La modernità, New York, il cinema è, in definitiva, un volume che evidenzia la dimensione allo stesso tempo contemplativa e celebrativa di questo genere fotografico che punta l’attenzione sulla vita dello e nello spazio urbano (da qui il suo legame con la modernità e l’atteggiamento del flâneur). Lo street photographer osserva e cattura. La Street Photography testimonia, narra e ispira racconti.