In un contesto culturale come quello italiano, tradizionalmente caratterizzato dalla pervasività dell’immagine materna nel discorso collettivo e nelle rappresentazioni mediali, è possibile rintracciare il legame intercorso – soprattutto a partire dal secondo dopoguerra – tra maternità, divismo e celebrità all’interno della produzione cinematografica nazionale? Il recente volume di Maria Elena D’Amelio La Diva Madre. Saggi su maternità e divismo nel cinema italiano ne restituisce una prima ricostruzione, proponendo una storia culturale del divismo femminile italiano tra anni Cinquanta e Settanta attraverso la prospettiva tematica del materno.
Nato a “partire da sé”, ovvero dall’esperienza della maternità vissuta dall’autrice “in un periodo di vita complesso dal punto di vista esistenziale e lavorativo” (p. 11), La diva madre unisce l’interesse culturologico per il materno a quello sugli star studies e raccoglie, ampliandoli, alcuni saggi precedentemente pubblicati da D’Amelio a proposito dell’intreccio tra immagine divistica e discorsi sociali legati a sessualità, intimità e vita familiare. Come dimostrano i casi di studio presi in esame, le vicende (spesso scandalose) delle dive hanno incrociato alcune delle trasformazioni in atto nell’ambito dell’istituzione familiare lungo i decenni di riferimento, aprendo a discussioni pubbliche sulla morale e accelerando talvolta il cambiamento anche legislativo che in quel periodo ha coinvolto il diritto di famiglia (pp. 12-13). La scelta di Anna Magnani, Sophia Loren, Ingrid Bergman, Claudia Cardinale e Stefania Sandrelli come soggetto di analisi è dunque motivata, da un lato, dal loro riconosciuto status divistico e, dall’altro, dall’immaginario materno veicolato in maniera diversa da ciascuna attrice, sia on screen, attraverso i ruoli interpretati, che off screen, a causa degli scandali in cui sono state variamente coinvolte.
Il periodo di riferimento va dall’immediato dopoguerra – connotato da quella forma di “mammismo” che vede il sovrapporsi dell’immaginario materno ai corpi delle maggiorate e a un tipo di erotismo privo di inquietudini (Capussotti 2004) – fino all’inizio della crisi che dalla seconda metà degli anni Settanta investirà inesorabilmente l’industria cinematografica italiana. Si tratta dunque di anni che mostrano il passaggio da un divismo materno come quello di Magnani, Loren e in parte Bergman a quello delle nuove attrici degli anni Sessanta, segnato da una femminilità “post matriarcale” (p. 13).
Il primo capitolo offre sostegno teorico ai saggi raccolti nel volume, attraverso un’introduzione sulle possibili intersezioni tra divismo, maternità e scandali mediatici. Insieme a una ricostruzione storica degli intrecci tra divismo e maternità, l’autrice fornisce alcune coordinate per potersi orientare lungo le riflessioni femministe che lungamente hanno ragionato su come superare l’impasse della valorizzazione della maternità senza cadere, da una parte, nell’essenzialismo né, dall’altra, nell’abiezione. La chiave di lettura proposta da D’Amelio è quindi quella di indagare tale rapporto attraverso la lente dello star scandal (Lull, Hinerman 1997), capace per sua stessa natura di infrangere i tabù legati al materno e alla sessualità femminile (p. 43). Gli scandali divistici esaminati nei capitoli successivi – e che riguardano annullamenti matrimoniali, figli nati da coppie non sposate, gravidanze fuori dal matrimonio, e così via – permettono infatti di avere uno “sguardo telescopico” sul cinema italiano e i mutamenti sociali a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta (p. 47).
A questa parte introduttiva seguono gli approfondimenti dei casi di studio, a partire da quello di Anna Magnani, eletta simbolo materno del cinema del dopoguerra già da Roma città aperta (R. Rossellini, 1945). Per quanto riguarda la vita privata, la maternità di Magnani è centrale nel processo di annullamento del matrimonio con Goffredo Alessandrini, avvenuto nel tribunale di San Marino nel 1952. Per ottenere l’annullamento l’attrice era infatti tenuta a dimostrare l’impossibilità di consumare il matrimonio (impotentia coeundi) nonostante fosse già madre di Luca Magnani, nato nel 1942 da una relazione extraconiugale (pp. 51-53). Attraverso un’analisi approfondita della sentenza di annullamento, conservata presso l’Archivio di Stato di San Marino, D’Amelio ricostruisce la narrazione che nella perizia medica presenta Magnani come affetta da vaginismo isterico. Diagnosi che, secondo le argomentazioni dell’autrice basate sulle carte d’archivio, è stata coadiuvata dalla performance melodrammatica dell’attrice durante la visita.
Il secondo saggio della raccolta (e terzo capitolo del volume) ripercorre due degli scandali divistici più celebri del secondo dopoguerra, ovvero le relazioni fuori dal matrimonio di Sophia Loren con Carlo Ponti e di Ingrid Bergman con Roberto Rossellini. Grazie allo spoglio di rotocalchi popolari (primo fra tutti “Oggi”), D’Amelio evidenzia come le narrazioni portate avanti sulle due dive fossero dei racconti di “peccato e redenzione” (p. 92), in cui il comportamento fuori norma adottato dalle attrici viene infine riabilitato pubblicamente proprio attraverso la maternità. Entrambi i casi hanno avuto la funzione di “cartina di tornasole per elaborare i cambiamenti della mentalità nella società civile, che utilizza[va] il divismo come modello di riferimento per la rappresentazione della sessualità femminile” (p. 92).
Allo stesso modo, la rivoluzione dei costumi e dell’affettività che investe gli anni Sessanta emerge in trasparenza dai discorsi intorno a Claudia Cardinale e Stefania Sandrelli, madri nubili e moderne, al centro del quarto capitolo. Le due giovani dive della Vides delineano infatti “il primo ritratto abbozzato di una figura femminile nuova, che rifiuta di farsi ingabbiare in una narrazione vittimistica da ‘ragazza perduta’ e rivendica la decisione di aver scelto e voluto una maternità anche al di fuori del matrimonio” (p. 102). In particolare, è Sandrelli a vivere la sua gravidanza (frutto della relazione con Gino Paoli) pubblicamente e con orgoglio, senza conseguenze a livello lavorativo né timore di creare scandalo – contrariamente allo scalpore mediatico provocato dal caso di Claudia Cardinale, con la scoperta della sua maternità tenuta nascosta per una decina d’anni (pp. 98-117).
Il testo di Maria Elena D’Amelio si chiude con un breve capitolo, in veste di conclusioni, su maternità e divismo contemporaneo, incentrato in questo caso sulle “mamme influencer” (p. 127), oggi al centro (come lo erano le attrici dei decenni precedenti) dei processi di produzione simbolica sul materno. Tra tutte, è Chiara Ferragni a incarnare al meglio il new momism, ovvero un nuovo immaginario postfemminista in cui “si considera raggiunta la parità di genere e ci si concentra sul successo individuale ispirato alla logica neoliberista della gestione manageriale di sé” (p. 124).
In conclusione, mantenendo una coerenza monografica, il volume dimostra come le “dive madri” del cinema italiano, in linea con i rivolgimenti sociali e culturali del periodo, abbiano trasgredito le norme legate al materno contribuendo a corrodere quella “mistica della maternità” (p. 29) che, dissimulata o declinata in forme inedite, permane anche nel contemporaneo.
Bibliografia
Capussotti, Enrica (2004). Gioventù perduta. Gli anni Cinquanta dei giovani e del cinema in Italia. Firenze-Milano: Giunti.
Lull, James and Hinerman, Stephen (1997). Media Scandals: Morality and Desire in the Popular Culture Marketplace. New York: Columbia University Press.