1 Introduzione
L’interesse per il fenomeno dei festival cinematografici apre la strada ad una molteplicità di indagini volte ad analizzare tali eventi nella loro totalità e da più angolazioni. Oggetti complessi, effimeri, autoriflessivi e autoreferenziali nella definizione di Elsaesser (2005), i festival sono da considerarsi estremamente rappresentativi del sistema cinematografico e delle sue relazioni economiche, culturali, sociali e politiche. In essi emergono, infatti, modelli discorsivi atti ad interpretare il cinema, l’estetica, la politica, l’attivismo, il cosmopolitismo e i suoi contromovimenti (De Valck 2016: 9).
Tale assunto risulta segnatamente vero in relazione ai festival legati all’attivismo di genere,1 proprio in virtù della capacità di tali dispositivi di configurarsi quali luoghi intellettuali atti alla produzione di contro–discorsi culturali.
Nel tracciare le dinamiche che intercorrono tra festival cinematografici e movimenti omosessuali è, innanzitutto, necessario dare una definizione di tale tipologia di festival, più nello specifico identificati con il termine “ombrello” di queer film festival (QFF):
QFFs can be classified as a specialized form of identity–based film festival that have emerged from the 1970s onwards in wake of the new social movements of the 1960s. QFFs started out as places where indipendent community films could be shown and the negative portrayal of homosexuality in Hollywood films could be countered. These festivals were meeting places; they created visibility and allowed communities to grow.2
e ancora:
A very obvious factor that distinguishes queer film festivals from other film festivals, is the content they offer. While many larger festivals – at least those situated in the global West and pursuing a liberal agenda – now also show films with gay characters, queer film festivals have historically been the venues where queer images could be seen and celebrated. Today, queer film festivals are still the places where community re presentation is the central factor around which festivals and their programming revolve.3
A partire dal dossier GLQ Di Patricia White (1999) e quelli di Straayer e Waugh (2005, 2006, 2008), numerosi contributi si sono occupati di indagare: i rapporti tra festival queer e pubblico (Gamson 1996; Rich 1993, 1999); le rappresentazioni della sottocultura omosessuale nei film del cosiddetto (New) Queer Cinema e nei festival queer (Rich 1993, 1999); le relazioni con politiche identitarie e comunitarie attraverso il filtro dell’eterotopia foucaultiana (Zielinski 2008); l’intrinseca natura di oggetti capaci di cristallizzare e promulgare una cultura filmica queer (Loist 2014); i maggiori cambiamenti nella struttura organizzativa, sintomatici dell’avvento dell’economia del “dollaro rosa” (Rhyne 2007). Limite di tali testi pioneristici, tuttavia, è quello di focalizzarsi su determinati e isolati casi studio, quasi sempre corrispondenti a festival, sì eterogenei, ma tra i più antichi e noti, e soltanto nel caso di Antoine Damiens (2020) si è reso esplicito il tentativo di applicare, ove possibile, o rinegoziare “queerizzando”, per così dire, gli aspetti teorici e pratici dei Film Festival Studies anche a casi di minor rilievo.
Anche in ottica nazionale, se è vero che nel suo Omosessualità e cinema italiano (2019) Mauro Giori riesce a riconsiderare con dovizia di particolari il cinema italiano dal punto di vista dell’omosessualità, la questio relativa a una ricostruzione dei festival rappresentativi dei suddetti movimenti, rimane, tuttavia, irrisolta e comunque legata ad un approccio metodologico strettamente connesso all’oggetto filmico.
A partire da questo quadro teorico–metodologico, scopo dell’articolo è quello di analizzare il rapporto tra movimenti omosessuali e cinema attraverso i festival cinematografici e dimostrare come questi si configurino quali luoghi atti alla costruzione e sedimentazione di istanze identitarie. Più precisamente esso si focalizzerà sull'archeologia dei festival omosessuali. Si tenterà, cioè, di ricostruire storicamente quelli che definisco proto–festival, intesi come esperienze germinatrici di un primo fermento intellettuale che troverà piena espressione nei festival istituzionalizzati. Ancor più nello specifico, l’articolo effettuerà una mappatura cronologica di queste manifestazioni tra anni Settanta e Ottanta, utilizzando come fonti materiali paratestuali4 ed uno spoglio generale dei quotidiani La Stampa, l’Unità, il Corriere, poiché rappresentativi di una voce nazionale e rivelatori di un Paese che, nel corso degli anni presi in esame, apre gli occhi sulla nascita e il riconoscimento di altre identità politiche.
2 Prime esperienze italiane
2.1 Gli anni Sessanta–Settanta
Tracciare le coordinate del movimento di liberazione omosessuale coincide col tracciare quelle di una comunità transnazionale, che formula strategie retoriche, politiche ed esistenziali al fine di negoziare i propri spazi di vivibilità, facendo i conti con la realtà di questi effetti e con le limitazioni che comportano, scendendo a patti con esse, tentando di modificarle forzandone i contorni, oppure sfidandole apertamente (De Leo 2021: VII). In questi termini, il movimento omosessuale non è semplicemente la somma delle singole azioni condotte da gruppi, collettivi, associazioni, né il fiore all’occhiello di sue personalità rappresentanti, ma è il prodotto di un complesso lavoro militante, una costruzione politica in costante mutamento. In altre parole: movimento non si nasce, lo si diventa (Prearo 2015:10). Se sul fronte americano è possibile far risalire le origini di tale percorso ai moti di Stonewall e, dunque, a quell’ hairpin drop, che avrebbe avuto come risonanza il merito di far cadere le pareti del closet per abbandonare l’invisibilità,5 la politica dell’omosessualità appare in Italia all’inizio degli anni Settanta, con la nascita del F.U.O.R.I., Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, che accoglie le istanze del nuovo attivismo richiamando già nel nome l’imperativo del coming out e dichiarando la necessità di una integrazione della “rivoluzione sessuale” con quella “politica” (De Leo 2021: 165), sul modello del Black Panther Party, del Gay Liberation Front (GLF) anglosassone, del Front Homosexuel d’Action Revolutionnaire (FHAR) francese. Merito del FUORI! è l’introduzione, anche in Italia, di un movimento omosessuale di liberazione il cui progetto fosse “la lotta in una prospettiva totalizzante e rivoluzionaria”, inserendosi nella scia “delle lotte operaie e studentesche del ’68 e del ’69 in Europa e in USA, in seguito a quel sommovimento profondo impresso alla società e soprattutto alla coscienza dei giovani americani dalle insurrezioni dei ghetti neri e della temporanea affermazione rivoluzionaria del movimento nero” (Mieli 2002: 104). Gianni Rossi Barilli, storico del movimento italiano, individua nella manifestazione del giovane FUORI! del 1972 a Sanremo, contro il Congresso Italiano di Sessuologia, “una piccola Stonewall italiana”, proponendo così una versione nostrana del mito. Alla nascita del FUORI!, fuori da un canone, fuori dalle coordinate patriarcali, si accompagna la naturale necessità di appropriarsi del diritto di parola. All’interno di un quadro così delineato, trovano spazio le prime rassegne cinematografiche organizzate dal movimento omosessuale italiano che, al pari di altri canali mediali, contribuiscono, in quanto luoghi fisici e simbolici di negoziazione identitaria, all’affermazione del nascente movimento.
Dal testo Cinema al Femminile 2 (1994: 23) dell’artista femminista partenopea Lina Mangiacapre è, infatti, possibile ricavare un assunto valido sì per l’esperienza cinematografica dei gruppi femministi appunto, ma estendibile anche alla comunità omosessuale:
Nella lotta per la riappropriazione del nostro corpo non poteva sfuggire che proprio lo sguardo ci era negato; guardare con i nostri occhi il nostro mondo. La scalata all’Olimpo non vuol dire appiattire l’Olimpo, ma conoscerlo e cambiarlo a nostra immagine. Lo sguardo, esserci nel vedere, mostrare il proprio essere nel mondo, prendere coscienza, entrare in una dimensione storica, uscire dal nero tunnel del doversi riconoscere nello sguardo degli altri. […] Finalmente guardare e costruire con i propri occhi, pensare con la propria testa una nuova filosofia, dissotterrare: riemergerà la nostra Atlantide.6
Come emerso dal meticoloso lavoro di Giori (2019) e dalle testimonianze raccolte da Pini (2011) negli anni Sessanta la fruizione del dispositivo cinematografico e della sala da parte della nascente comunità omosessuale è destinata a tutt’altre pratiche rispetto alla canonica fruizione spettatoriale, e ad essa è riservata la funzione di luogo d’incontro. Ce lo spiega bene Angelo Pezzana, fondatore del movimento, in un estratto della sua autobiografia che ritengo di riportare nella sua quasi totale interezza, in quanto puntuale reportage non soltanto dell’utilizzo dello spazio–sala cinematografica in senso stretto, ma di un contesto storico e sociale di cui l’autore si fa testimone:
Questa storia appartiene a un passato in cui le occasioni di incontro – il termine giusto era andare a battere – avvenivano prevalentemente nella clandestinità di strade poco illuminate, giardinetti pubblici, parchi e pisciatoi. […] Tra i luoghi deputati un posto speciale lo avevano i cinema, anzi quei cinema che meritano legittimamente di occupare un posto speciale nella microstoria del costume omosessuale. Per anni, soprattutto d’inverno quando faceva un freddo boia, sono stati gli spazi più frequentati da quegli omosessuali in cerca chi del grande amore, chi più semplicemente di qualcuno con il quale fare sesso. Dalla fine degli anni Cinquanta in poi il cinema costituiva una via di mezzo tra il battere all’aperto, dove però c’era il rischio di non distinguere bene il tuo compagno, e l’incontro in un locale apparentemente normale. I passanti, del tutto ignari di quanto avvenisse all’interno, guardavano le locandine e tiravano dritto o decidevano di entrare. Nella maggior parte dei casi, comunque, gli avventori non si accorgevano di cosa stesse succedendo nelle ultime file o in galleria. […] Se i maschi etero ci mettevano più tempo a negoziare e concludere, noi omosessuali andavamo più per le spicce. Non c’era solo il Maffei. I veri cinema dove si andava a battere erano altri, come l’Adriano e l’Alexandra in via Sacchi, il Porta Nuova in via Nizza e l’Alpi e l’Olimpia di via Garibaldi, tutti in pieno centro. Poco importava quale fosse il film in programmazione: si pagava il biglietto senza nemmeno guardare i manifesti. Io andavo a sedermi accanto a qualcuno che mi sembrava il tipo giusto, oppure stazionavo in piedi in fondo alla sala fingendo indecisione su dove sistemarmi, ignorando la maschera che con una pila illuminava i posti liberi. In realtà era un gioco delle parti dove ognuno interpretava il proprio ruolo all’interno di una trama condivisa. Di tanti film ho visto solo alcuni frammenti, perché succedeva che spesso uscissi appena trovato il compagno di quella sera. Quel che ricordo molto bene era che tutto veniva vissuto con molta ironia e leggerezza. […] I soldatini – quasi sempre ragazzi carini e disponibili – aiutavano ad allietare il clima. So bene che raccontare certe cose non è considerato un gesto elegante. La maggior delle persone che le ha vissute preferisce dimenticarle, nasconderle, fingere che non siano mai esistite. Per non dire di chi preferisce immaginare gli omosessuali come esteti raffinati, dotati di squisita sensibilità e maestri dell’arredamento, della moda, delle acconciature per signora, geniali ballerini, artisti ricercati. Ma tutti sappiamo che non è così. Addio, cinema della mia giovinezza. […]. (Pezzana 2011: 16–19)
A determinare una svolta rispetto alle parole del militante, e rispetto a questo tipo di pratiche, saranno le nuove posizioni adottate dal movimento nella seconda metà degli anni Settanta. La federazione del 1974 del FUORI! al Partito Radicale presenta, infatti, duplici e consequenziali effetti: se da un lato provoca una frattura all’interno del movimento, determinando la migrazione di alcuni esponenti tra i più rivoluzionari (Mario Mieli, ad esempio), dall’altro provoca la creazione di un’ala liberazionista, che decide di riorganizzarsi in collettivi e gruppi a livello territoriale, spinta all’azione da un nuovo sentimento: l’orgoglio. Quello del 1974 rappresenta, infatti, l’evento che cristallizza le idiosincrasie tra due forme di progettualità: la prima anti–istituzionale, ostile all’avvicinamento con le organizzazioni politiche e all’istituzionalizzazione del movimento in occasioni formali, preferendo gli spazi autonomi dei collettivi; la seconda orientata a stabilire un dialogo con esse e a seguire la strada delle battaglie per i diritti civili di cui all’epoca il Partito Radicale si era fatto promotore (Prearo 2015: 43).
Il FUORI! rappresentava se vogliamo l’ala mainstream del movimento, ma assieme a quell’esperienza si sono mosse tutta una serie di situazioni – collettivi, piccole sigle di varia natura – altrettanto importanti sebbene più underground, che comunque hanno prodotto tantissimo sia dal punto di vista culturale che politico in senso stretto.7
L’esperienza cinematografica del movimento appare, in questa prima fase, strettamente legata al luogo del cineclub, il cui sfruttamento è diretta conseguenza e, pertanto, vantaggio, ricavato dalle affiliazioni politiche dell’ala riformista del movimento con i partiti di sinistra.
Secondo un articolo pubblicato dal Collettivo Autonomo di Cinema del F.U.O.R.I. (Via di Torre Argentina 18–Roma) sul n.10 del Fuori!,8 rivista di liberazione omosessuale, sarebbe possibile datare la prima rassegna “in Europa e forse nel mondo” al 1973, proprio all’interno di un cineclub romano. Si legge:
Per la prima volta gli omosessuali sono usciti dalle ultime file dei cinema e si sono presi la sala e la cabina di proiezione. A Roma, al Filmstudio 70, noi omosessuali del Collettivo Autonomo di Cinema del F.U.O.R.I. abbiamo organizzato una rassegna di films sull’omosessualità. Come esperienza è stata molto positiva: grande accesso di pubblico fra cui la maggior parte omosessuali, e la possibilità di fare un discorso dalle molte angolazioni attraverso la presentazione di ben 18 films in 14 giorni di proiezione.
La rassegna, infatti, si sarebbe svolta dal 4 all’11 e dal 23 al 18 maggio, due settimane intervallate da una settimana di cinema femminile e femminista organizzata dal Collettivo Femminista di Cinema. Vari i criteri seguiti nella selezione dei film: 1) presentare film di omosessuali sull’omosessualità; 2) osservare la figura omosessuale recepita e raffigurata da vari registi eterosessuali; 3) smascherare in film dichiaratamente eterosessuali la componente omosessuale repressa. Un cartellone ricco e variegato, che spazia dal cinema commerciale a quello impegnato, dal cinema per cinéphiles a quello underground. Tra i titoli: Come together (GLF), Non è l’omosessuale ad essere perverso ma la situazione in cui vive (Nicht der Homosexuelle ist pervers, sondern die Situation, in der er lebt, 1970) e Sorelle della Rivoluzione (Schwestern der Rivolution, 1969), Un chant d’amour (t. l: Un canto d’amore, 1950), Couch (1964), Germania anno zero (1948), Persona (Persona, 1966), Scene di caccia in Bassa Baviera (Jagdszenen aus Niederbayern, 1969). Interessante notare nell’articolo le perplessità riguardo la gestione politica della rassegna:
[…] Occorreva trovare altri strumenti per un più proficuo contatto, non già con un pubblico ovviamente eterogeneo, ma soprattutto con gli omosessuali, che mostrano ancora grosse resistenze: buona parte di essi ci è sembrato sia venuta più per una stimolazione generica, tra la sorpresa, la curiosità e la morbosità, che per aver, sia pur larvatamente, recepito il discorso dell’‘uscir fuori’. La loro presenza alla rassegna resta comunque un fatto importante. È soltanto su loro che possiamo contare, non certo sui ‘normali’ […].
nonché della presenza di Antonioni alla proiezione di Come Together, non priva di curiosi retroscena:
prima grana è stata quella che lui voleva l’edizione inglese, mentre il pubblico, che normalmente l’inglese non lo sa, aveva preferito che, come nostro solito, facessimo la traduzione simultanea in cabina. Poi, a metà film, si alza e se ne va; una nostra compagna lo informa che alla fine della proiezione parleremo tutti insieme di quello che il film voleva dire e lui: ‘questi argomenti non mi interessano’; e lei di rimando: ‘fa male a non interessarsi’. La risposta illuminante e definitiva del grande regista è stata che la nostra compagna faceva male a dirgli che lui faceva male… (no comment).
In calce all’articolo poi, il riferimento a Fuori uno!, film autoprodotto, ma non terminato, presentato nell’edizione successiva della rassegna, di rilievo in quanto “solo esempio di cinema fatto di un collettivo di un numero imprecisato di persone senza ruoli fissi”. In realtà del prodotto audiovisivo in questione poche sarebbero le notizie, fatta eccezione per un articolo pubblicato da Panorama il 17 maggio 1973, a firma di Fabrizio Dragosei e titolato “Da omo a omo”. Così come alcuna traccia resta dell’intenzione esplicitata di un articolo più analitico su “Omosessualità e Cinema” e sui temi trattati nella rassegna, nel numero successivo della rivista. Lo svolgimento dell’evento trova ulteriore conferma in articolo a firma di Tony Garbo (1973), pubblicato sul n. 22 della rivista Men.
In questa fase, l’associazione culturale romana di Via degli Orti D’Alibert, culla delle avanguardie cinematografiche, del cinema sperimentale e militante, assume una centralità primaria, tanto da farsi teatro oltre che della prima edizione di Kinomata: la donna con la macchina da presa (1976), rassegna di cinema delle donne fondata da Annabella Miscuglio e Rony Daopoulo, anche di una seconda rassegna del cinema omosessuale svoltasi dal 3 al 22 novembre 1977. Ne troviamo conferma sul n. 9 di Lamba, giornale di controcultura del movimento gay, nato per succedere al Fuori! prima che il conflitto tra Angelo Pezzana e Felix Cossolo lo portasse a divenire spazio di riflessione per i gruppi e i collettivi che non vi si riconoscevano, in un articolo titolato “Cinema desiderio”. La stessa rassegna, programmata anche a Torino, al Cabaret Voltaire, appare suddivisa in più sezioni: “Erotika omosessuale”, comprendente titoli quali La Cité des neuf portes (t. l.: La città delle nove porte, 1977), concerto di corpi maschili, nudi o travestiti; La Banque du Sperme (t. l.: La Banca del Seme 1977), in cui preponderante si fa lo stile hard core; Fouras Feeling (1977), esempio di cinema lesbico; Un chant d’amour (1950), già presentato nella rassegna del 1973 e proibito per ventiquattro anni in Francia; nonché i due titoli italiani Bette Davis (1975) e Guarda, approda un Asfodelo (1970); “Il cinema desiderante”, con Boy-friend, n. 1 e n. 2 (1976, 1977); L’hiver approche (t. l.: L’inverno sta arrivando, 1976); François e Richard (1977) e ancora un film italiano: Valentino Moon (1974); “Il travestitismo parigino” con Les intrigues de Sylvis Couski (t. l.: Gli intrighi di Sylvis Couski, 1974); “La pederastia” con Montreal Main (1975), Le gant de l’autre (t. l.: Il guanto dell’altro, 1977). E ancora Il sesso degli angeli (1976) e La tasse (t. l.: La tazza, 1977). Interessante apprendere, in quanto tentativo di raggiungere una piattaforma istituzionalizzata e con maggiore visibilità, da una nota posta in calce all’articolo, che il giornale sarebbe stato distribuito a Venezia nei giorni della Biennale.
Il cineclub romano non rappresenta, tuttavia, l’unico luogo deputato allo svolgimento di tali manifestazioni.
Come puntualmente ricostruito anche dal lavoro di Giori (2019: 294), ancora nel maggio 1977, infatti, quando a Roma la retrospettiva L’orribile verità ospita la proiezione di film legati all’omosessualità, il cineclub L’occhio l’Orecchio la Bocca, nato da una scissione del Filmstudio e gestito da Gianni Romoli, Roberto Farina, Silvia Viglia, viene fatto chiudere dalla polizia perché “reo di aver aperto una sala destinata al pubblico spettacolo senza detenere il permesso dell’autorità”. Da un articolo de l’Unità a firma di David Grieco apprendiamo che il circolo di Via del Mattonato, così come il Filmstudio, peraltro, sarebbe già stato processato e successivamente assolto “perché il fatto non costituisce reato” nel febbraio del ’75 per la stessa imputazione, che il giornalista non esita a definire come “attentato alla libertà di espressione”, con tutta probabilità manovrato dalla “lunga mano” dell’AGIS.9 La sala viene, tuttavia, riaperta con la proiezione di Reflections in a Golden Eye (Riflessi in un occhio d’oro, 1976) di John Huston e il titolo della rassegna, in seguito a un’assemblea tenutasi all’interno dello stesso circolo, cambiato in un più provocatorio “Festival omosessuale”, nel cui programma oltre la presenza di film d’autore, la proiezione dei recenti lavori underground di collettivi gay nostrani (ancora Fuori Uno e Una Filma10) o di singoli registi indipendenti, di quel cinema, insomma, che in un articolo del 1979 Rosario Russo, giovane militante bolognese, definisce come l’unico in grado di “opporsi al cinema del Capitale”.11
In questi termini il 1977 si configura come occasione per scontrarsi con i quadri tradizionali della militanza rivoluzionaria e sperimentare un impegno politico che non si accontenta dell’ideologia comunista, ma trae ispirazione dall’estetica politica dell’underground e sbatte in faccia alla vecchia guarda gli elementi di una rivoluzione culturale senza passato e senza futuro, una rivoluzione radicale del presente nel presente (Prearo 2015).
Ed esplose il ’77! […] Non era solo Autonomia operaia ad occupare la scena ma una serie di gruppi, gruppetti, sigle e single che componevano la grande variegata galassia del ’77”. 12
Dà corpo a quanto citato, il fatto che il 6 e il 7 dicembre dello stesso anno al Teatro 2 di Parma sarebbe stato organizzato dal Kollettivo Teatrale Trousses, Merletti, Cappuccini e Cappelliere, quello che una brochure, conservata presso gli archivi del Centro di documentazione Aldo Mieli di Carrara, definisce “il primo festival di cinema/musica/teatro gay”, con lo spettacolo en travesti Pissi pissi bao bao. La rassegna, comprendente teatro, musica e cinema, avrebbe visto la partecipazione del gruppo Immondella–Elusivi con Mario Mieli, e del gruppo lesbico Le Gaie. Per il cinema la proiezione di Jean Genet con Un chant d'amour (1975); Oscar Melano con Alla più bella (1975); Isabel Mendelsohn con Boxing match (t. l.: L’incontro di boxe, 1973) e I want a girl (t. l.: Voglio una ragazza, 1975); due proiezione, inoltre riservate a film militanti, quali un audiovisivo del Collettivo donne omosessuali e Una filma del gruppo F.F.A.G (Frocie Folli Audiovisive Gotiche). Per la sezione musica Ivan Cattaneo, membro C.O.M.
Contestualmente il FUORI! continua ad affermarsi, guadagnando lo spazio della sala cinematografica. A partire dal 1978, in occasione della Settimana Internazionale dell’Orgoglio Omosessuale (Torino, 19–25 giugno 1978), infatti, presso il Cinema Artisti di via Giulia di Barolo 24, si tiene non soltanto il sesto Congresso Nazionale del FUORI!: liberazione omosessuale e diritti civili, ma dal 19 al 25 giugno la sala dello stesso cinema ospita la 1° Settimana del film omosessuale. L’apertura dell’evento è fissata alle 15.30 di lunedì 19, con la presentazione della rassegna cinematografica a cura di Riccardo Giurina e di una tavola rotonda sul tema “Lo stereotipo omosessuale nei films commerciali” (l’intervento previsto di Ettore Scola viene successivamente cancellato), con proiezione di scene tratte dai più noti film commerciali. Il programma prevede una doppia proiezione serale, alle ore 20.30 e 22 e a sabato 24, ore 24, è fissata la proiezione di film sul tema “Lo sfruttamento erotico dell’omosessuale nei film pornografici”, con sottotitolo “Lasciate ogni pudore o voi che entrate”. Il programma della rassegna, inaugurata con la proiezione de I bagni del sabato notte (Saturday Night at the Baths, 1975) presenta tra i titoli: Morire a Roma (1973), Domenica, maledetta domenica (Sunday Bloody Sunday, 1971), Tripla Eco (The Triple Echo, 1972), Ocaña (Ocana, an Intermittent Portrait, 1978), Certo, certissimo anzi probabile (1968), La milleur façon de marcher (t. l.: Il modo migliore di camminare, 1975). Da un articolo del n.19 del Fuori!, a firma dello stesso Roberto Giurina (1978), otteniamo preziose informazioni riguardo la gestione e l’organizzazione dell’evento. Il primo bilancio che ci viene offerto è quello relativo alla partecipazione, un pubblico numeroso forse perché “curioso di vedere l’omosessualità finalmente mostrata, esibita; forse un pubblico che cercava in quegli spettacoli il fantasma di una parte repressa della propria sessualità”.13 Il secondo, quello relativo ai criteri di selezione dei film, ad opera dello stesso scrittore e di Angelo Pezzana, definito “ninfa Egeria della manifestazione”. Se in prima istanza, infatti, la scelta sarebbe dovuta ricadere su film inediti in Italia, con notevole risonanza internazionale (Il diritto del più forte di Fassbinder (1975), A bigger splash di Hazan (1974), nonché i primi film della factory di Warhol), l’articolo ci informa di problemi burocratici insormontabili come l’acquisto di diritti e il versamento di esose cauzioni, che avrebbero costretto l’organizzazione a ripiegare su un programma a carattere storico, non privo anch’esso di difficoltà date dal complesso reperimento di pellicole non più recenti. Si legge “contro questo scoglio si è arenata la possibilità di scegliere alcuni film di argomento lesbico che ha lasciato inespresso uno dei temi della rassegna”. Si prosegue con una breve recensione dei film presentati ed un cenno alla pornografia, atta non tanto a soddisfare capricci voyeristici quanto a discutere l’immagine dell’omosessuale ossessionato dalla dimensione fallica:
Se un certo tipo di cinema commerciale tende a ridicolizzare l’aspetto più appariscente del comportamento gay, qui siamo in pieno grottesco. Non si capisce perché nei film pornografici ogni misura venga dilatata ai limiti del parossismo, il corpo si riduca a mero campo di conquista per repressi e voyeurs: tutto il resto passa sotto silenzio anche perché non esiste (per fortuna) dialogo e sonoro. […] Chiaramente è stato infranto il tabù del film porno a 8mm, al di fuori delle mura domestiche: come dire, … anche il porno è politico, oltre che pubblico.
È, dunque, chiaro che la Settimana del cinema omosessuale non si svolga casualmente in concomitanza con il congresso del FUORI!, ma che entrambe le manifestazioni convergano nell’affrontare il medesimo problema sotto angolazioni differenti. Se le relazioni di Enzo Cucco, Laura Fossetti, Enzo Francone, lo stesso Pezzana, infatti, trattano della condizione umana e sociale dell’omosessuale nell’ambito della società contemporanea, soprattutto riguardo i diritti civili, altrettanto impegno assume la rassegna cinematografica, che mette in evidenza il modo in cui il soggetto gay viene “usato” e modellato dall’industria della celluloide. Se nella commedia all’italiana, infatti, l’omosessuale ha una sua precisa collocazione macchiettistica ed è personaggio ghettizzato, prigioniero della sua diversità e suscitatore di troppo facili battute da parte degli spettatori, dall’America proviene una campionatura ancor più stereotipata e la tipicizzazione caratteriale (si pensi a Festa di compleanno per il caro amico Harold, 1970) assume toni che possono considerarsi parametri del cinema antiomosessuale, e che affogano il personaggio in un contesto di situazioni che sanno, inevitabilmente, di deja–vu. La voce del movimento si fa scomoda e assordante anche su territorio europeo e, mentre a Ginevra, “città fredda, infrastrutturata da un convenzionalismo e da una società repressiva influenzata da un calvinismo ancora troppo latente”,14 dal 31 ottobre al 19 novembre si conclude il primo festival del cinema omosessuale, che la censura svizzera massacra tagliando circa il 30% dei film, ancora a Torino dal 22 al 29 aprile 1979, presso il Cinema Sempione di Corso Vercelli 144 si svolge la 2° Settimana internazionale di film Lesbici e Omosessuali. Il programma, forse il più ricco ed innovativo fra le tre edizioni, presenta materiali la cui ricerca è affidata a Baldo Vallero, già gestore del Movieclub di Torino, e che spaziano dal cinema americano a quello svedese. Due giorni di proiezione, il 26 e il 28 aprile, sono, infatti, dedicati all’audiovisivo Damned Queers (1977) del Collettivo gay svedese, di cui è stato possibile rinvenire un carteggio di ringraziamento per l’ospitalità indirizzato al Fuori!, corredato di due riviste omosessuali, Fjollan e Uppror. Tra i titoli: In the best interest of the children (Iris Feminist Collective, 1977), documentario sulla difficoltosa condizione della lesbica madre negli Stati Uniti, Two+ Two (t. l.: Due+ Due, 1978), Ornella da Vedo Nudo (1972), A comedy in six Innatural act (Una commedia in sei innaturali atti, 1975), e una “rassegna birichina di film erotici”.
Mentre i tanti collettivi sul territorio prendono coraggio e le iniziative si fanno sempre più frequenti e disseminate, come, ad esempio, la due giorni di spettacoli film e dibattiti che si tiene a Taranto nel dicembre del 1979 e che vede la presenza di Angelo Pezzana, Mario Mieli, Gianni Vattimo, Dario Bellezza e Alfredo Cohen, il luogo scelto per la 3° Settimana internazionale del film lesbico e omosessuale (1980) è ancora Torino, presso il Cinema Giardino di Via Montefalcone 62, dal 27 aprile al 4 maggio. Il tema scelto per questa edizione, “pregiudizio ed emarginazione omosessuale”. Ancora una volta un articolo pubblicato sul n. 25 del Fuori!15 ci conferma il notevole successo della rassegna, la cui terza edizione risulta ricca di novità. Oltre al numero di proiezioni, che supera le tre al giorno, e di cui alcune vengono espressamente pensate per gli studenti, in anteprima viene riprodotto un film americano del 1971, Pink Narcissus, di autore allora sconosciuto,16 e alle proiezioni si aggiunge una lezione sull’omosessualità tenuta da Angelo Pezzana e Bruno Di Donato in una scuola media inferiore. Per la prima volta in Italia si ammette la presenza di omosessuali dichiarati in una scuola inferiore, alla presenza di studenti minorenni e con il coinvolgimento di alcuni genitori presenti, ed è in questa occasione che viene proiettato l’audiovisivo prodotto dal FUORI! Omosessualità, Orgoglio e Pregiudizio, già presentato durante le conferenze di “Torino Enciclopedia” e approvato per la divulgazione nelle scuole dall’Assessore alla Pubblica Istruzione. Il programma prevede la proiezione di: Teorema (1968), Il garofano verde (The Trials of Oscar Wilde, 1960), Zanzibar (Collettivo donne), Splendori e miserie di Madame Royale (1970), Una giornata particolare (1977), Ragazze in uniforme (Madchen in Uniform, 1931), Immacolata e Concetta (1980), Modesty Blaise (Modesty Blaise, 1966), Un amore difficile (da Sessomatto, 1973), La fuga (1964), Fellini Satyricon (1969).
2.2 I primi anni Ottanta
Dopo le forti contrapposizioni e i tesi massimalismi ideologici che caratterizzano il decennio precedente, gli anni Ottanta vengono da più parti considerati gli anni della leggerezza, dell’edonismo, dell’individualismo, di quel “riflusso” atto ad indicare il superamento della faticosa subordinazione al primato dell’impegno politico e la ricerca di evasione, da parte delle fasce più giovani, in un disimpegno che si dimostra ricco di novità e fermenti artistici e culturali, non solo in Italia ma anche in Europa. Mentre a Barcellona, infatti, il 5, 6 e 7 dicembre si tiene la II Mostra de Cinema Gay, il collettivo di Bologna Circolo XXVIII giugno (ex collettivo frocialista) apre un dialogo con la città durante la “seconda giornata dell’orgoglio omosessuale”: alla giunta comunale viene strappata la sede per un centro culturale polivalente (il Cassero di Porta Saragozza), vengono installate cinque bacheche gay, dove affiggere comunicati, volantini, copie di Lambda (immediatamente ribattezzate ba–checche), e si ottiene l’adozione di libri ad argomento omosessuale nelle biblioteche comunali e di quartiere. Persino la mentalità “bigotta e codina” della provincia lombarda viene, in questa fase, scardinata e, sebbene “[…] un po’ scandalizzata dall’imprevista riunione di omosessuali” come titola giovedì 6 marzo 1980 un articolo a cinque colonne del Corriere della sera, anche Bergamo diviene sede di un ennesimo festival del film omosessuale organizzato dal FUORI!. La rassegna, distribuita in sei serate nell’arco di 15 giorni, termina, infatti, con un dibattito su “omosessualità e politica” cui prendono parte Pezzana stesso e per il Pci il segretario provinciale di Bergamo. Tra le proiezioni: Il caso Myra Breckinridge (Myra Breckinridge, 1971), Flesh (Flesh, 1968), ancora Un chant d’amour e I bagni del sabato notte, Valentino (1977), Cathedral (t. l.: Cattedrale, 1971), Holding (t. l.: Presa, 1971). L’Unità attacca le posizioni del FUORI! parlando di “anarchismo pansessista” senza però disconoscere le doti del fondatore definendolo “intellettuale avvezzo alla polemica, rinvigorito dalla fierezza quasi sprezzante di chi ‘ha trovato la forza di essere sé stesso’, condito dall’ironia sorniona e misurata del torinese colto”. 17
Apprendiamo da un comunicato stampa del FUORI! dell’aprile 1981, che la rassegna, nonostante i tentativi di ostracismo si sarebbe sviluppata in una sua seconda edizione presso il Cinema Alba, via Biava 4. Il comunicato, a firma del collettivo bergamasco, invita, infatti, gli enti in indirizzo (Assessorati alla pubblica istruzione, gruppi sociali, movimenti politici, stampa) al dibattito previsto a conclusione della rassegna stessa, 9 aprile ore 20.15. Il tema “essere liberi in una città come Bergamo”, è suggerito da una serie di fatti di cronaca, strettamente legati proprio alla rassegna, tra cui: rifiuto dell’Eco di Bergamo di pubblicare l’annuncio della rassegna del cinema; imposizione di presentare in Questura il visto di censura dei film; costante presenza di due agenti di P.S. nell’atrio del cinema; multe per divieto di sosta nel piazzale di via Biava (per la prima volta, a memoria del custode); minaccia di interdizione del dibattito finale. Nonostante i vani tentativi di repressione emerge chiaro, dunque, l’intento, ormai comune, di “tirar fuori il cinema omosessuale (e sessuale in genere) dal buio della paura e della censura”.18 Nel 1981, infatti, l’associazione AIACE in collaborazione con la Regione Piemonte, con la Biennale di Venezia, il FUORI!, e altre istituzioni tra cui il London Gay Films Festival e la London Film Coop, si occupa dell’organizzazione de L’altro Cinema ’81, altra rassegna di enorme importanza. Nel comunicato stampa a firma della stessa associazione emerge chiaro l’intento di una kermesse dedicata a un cinema “altro” appunto, in quanto non allineato ai diktat del cinema commerciale, un cinema “inventato con pochi soldi, con forme di produzione diverse, distribuito (quando è distribuito) attraverso canali spesso impensati o impensabili, proiettato in posti quasi mai ufficiali”. L’edizione del 1981 si presenta come progetto itinerante, atto alla proiezione di una trentina circa di film inglesi, francesi, tedeschi, americani, italiani, tra Torino (da lunedì 13 a domenica 19 luglio, Cinema Puntodue d’essai), e Milano (da lunedì 13 a lunedì 20 luglio, Cinema Garden), con l’intenzione di fornire un panorama quanto più puntuale possibile di questa particolare produzione, delle sue difficoltà e della sua storia. Tra i titoli: Omosessualità, ovvero diversi in periferia (1978), Freia und Ferry (1980), Apparence Feminine (t. l.: Aspetto femminile, 1980), La marche gay (t. l.: La marcia gay, 1980) e Ixe (Ixe, 1980), Tiergarten (t. l.: Zoo, 1980) e Faux pas de deux (t. l.: Falso passo a due, 1977), La race d’ep (The Omosexual Century, 1979), Corner of the circle (t. l.: Angolo del cerchio, 1975), Chercher la femme, travestiti, transessuali ed altre storie (1980), Milan Bleu (t. l.: Milano Blu, 1979), Una filma (1977), FOCII (1975), The naked civil servant (Il funzionario nudo, 1975), Trio (1980).
Interessante, in tal senso, l’iniziativa di presentare nel settembre dello stesso anno, in seguito ad una selezione ad opera del pubblico, i film più votati alla Mostra Internazionale d’ Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Officina. In un articolo de La stampa sera, si legge:
Senza clamori si è aperta dunque al Puntodue d’essai Altrocinema rassegna di cinema diverso. Quest’anno i film programmati potranno, grazie all’intervento dell’Aiace e della Biennale, essere proiettati in settembre alla Mostra di Venezia. Gli spettatori sono chiamati a esprimere le loro opinioni imbucando nella solita urna il tagliandino con il titolo prescelto […] Per ora il favorito è il tedesco federale Lothar Lambert, autore di Fau pas de deux e di Tiergarten. 19
Da un articolo de La Stampa20 apprendiamo, poi, del carattere privato della manifestazione e dell’ammontare del costo di una tessera d’ingresso, valida per tutte le proiezioni, a 5000 lire (3000 per i soci). D’altro canto, la precedente edizione della rassegna Altro Cinema Europeo, che avrebbe dovuto anch’essa svolgersi in collaborazione con la Mostra veneziana, si era conclusa con una lettera di dissenso da parte dell’ufficio di presidenza dell’AIACE nei confronti della stessa Biennale. Si legge:
[…] Dell’altro/cinema dell’AIACE, così, si è parlato poco, lo si è visto anche meno. Salvo poi ricordarsene – comodo alibi – quando si è in difficoltà nei confronti di chi grida allo statuto violato e ai bei tempi andati del ’68. Decidetevi allora, caro Lizzani, caro Consiglio Direttivo, cari colleghi dell’ufficio stampa e cari critici e operatori culturali, che preparate i cataloghi e organizzate i programmi: cosa fare di questo altro/cinema? Vi piace o vi serve? Ci credete o vi fa soltanto comodo? Meglio essere chiari, non credete? Così che l’anno prossimo si possa fare insieme un buon lavoro. Altrimenti, ognuno vada per la sua strada, senza equivoci o fraintendimenti. A noi, il pubblico e le opere dell’altro cinema. A voi, quale pubblico e quali opere?
L’intento di portare sullo schermo l’immagine di un’omosessualità chiara e senza equivoci, che attraverso solide e funzionanti strutture collettive dimostra la presenza dell’omosessuale anche lì dove “il capitale ha disdetto i suoi impegni, i codici hollywoodiani impedito realizzazioni, i produttori speculato su immagini distorte e rese e piegate alla funzionalità del ritorno quantuplicato del capitale”, è condivisa dal collettivo bolognese che, dal 4 al 13 marzo 1982 organizza, grazie ad un finanziamento dell’allora assessore alla cultura, Sandra Soster, una rassegna cinematografica presso il cineclub l’Angelo azzurro di Bologna, comprendente circa 60 film gay. L’immagine negata – rassegna internazionale di cinema omosessuale – viene accolta con un successo di pubblico inaspettato e, con il suo carattere spiccatamente internazionale, si dimostra una delle più nutrite mai realizzate in Europa (il festival del luglio precedente organizzato da Gaypied in Francia conta meno titoli e di minor interesse). In anteprima per l’Italia, infatti, la kermesse porta sul grande schermo Un anno con tredici lune (In einem Jahr mit 13 Monden, 1978) e la ripresa di due film già distribuiti sul mercato italiano Le amicizie particolari (1964) e Amici per la pelle (1955). Un omaggio oltre che a Visconti e Pasolini anche all’underground ed in particolare a Warhol, McDowald, Anger, Brakhage, Rice, nonché all’omosessualità in cineteca con Desiderio del cuore (Michael, 1924) e The house with closed Shutters (t. l.: La casa con le persiane chiuse, 1910), a cui si affiancano tre capolavori indiscussi della storia del cinema Zero in condotta (Zero de conduit, 1931), Le sang d’un poete (Il sangue di un poeta, 1930) e Un chant d’amour (1950). La scelta di una retrospettiva, in tal senso, trova motivo di essere in quanto capace di porre l’accento sul faticoso percorso di evoluzione della figura dell’omosessuale. Uno sguardo interessato è riservato anche al porno-gay Il etait une fois un omosexuel e La chambre des fhantasmes che insieme allo squallore delle riprese, accompagnano un porno decisamente “cheap e assolutamente privo di qualsiasi capacità stimolatrice”. Non mancano all’interno della rassegna i film di movimento In the best interest of the children (1977) e Una filma (1977), già citata e travagliata opera romana dei F.F.A.G.. Un rapido sguardo anche alle produzioni francesi contemporanee Perchè no? (Pourqoi pas! 1977) e Deux Lions au soleil (Due leoni al sole, 1980), nonché a film d’artista come Rara Film (1967–1969), Immagine (1975) e Oceana (1979).
Un articolo a firma di Enzo Terzano ci informa che la stessa rassegna sarebbe stata presentata dal collettivo Boccadoro, già attivo nei due anni precedenti a Pistoia, presso lo Spaziouno di Firenze. Lo scopo dell’evento, viene specificato in un comunicato, non è puramente culturale, ma è momento della lotta omosessuale per l’affermazione di diritti, volto a distruggere la visione grottesca e superficiale che troppo spesso viene data all’omosessualità anche nel cinema. Si legge:
I ghetti in cui siamo invitati a chiuderci ci soffocano. […] Vogliamo (ri)vedere e far (ri)vedere quei registi e quelle registe, gli attori e le attrici che hanno rifiutato di nascondersi e di mutilarsi. L’immagine omosessuale è un’immagine particolare della sessualità in generale; il disagio omosessuale è un atto d’accusa contro il disagio diffuso e profondo della sessualità in generale. L’immagine sessuale è incompatibile con l’appiattimento massificato dei sensi. Rifiuta le confezioni culturali ad uso e consumo privato. È la proiezione reale di un’utopia possibile.
3 Conclusioni
Questa mappatura diacronica, rispondente a logiche prettamente storiche in virtù dell’enorme e frammentaria mole di materiale rinvenuto, risulta prima fase necessaria agli sviluppi della ricerca. La ricostruzione storica degli eventi, supportata dall’utilizzo di fonti d’archivio, è infatti necessaria a comprendere come, già a partire dai proto–festival, primi spazi di negoziazione identitaria e esperienze culturali incubatrici dei festival veri e propri, eventi e manifestazioni cinematografiche fossero strumenti al servizio del movimento omosessuale come pratiche di visibilità. Se il primo Festival Internazionale del Cinema con Tematiche Omosessuali “Da Sodoma a Hollywood” è infatti databile al 1986 queste prime esperienze risultano germinatrici di un nuovo, più maturo e consapevole fermento intellettuale, che vede in queste prime aggregazioni culturali la possibilità di un’affermazione identitaria. L’ipotesi di partenza, dunque, è che il dispositivo festival, che negli anni presi in esame si esplica nei luoghi prima del cineclub, poi della sala cinematografica tout court, da spazio fisico trovi altra e nuova dimensione in uno spazio intellettuale, atto alla costruzione e sedimentazione di istanze identitarie e, perciò, politiche. Tale presupposto troverà conferma e sviluppo in prossime ricerche.
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I materiali di riferimento sono stati raccolti durante lo spoglio degli archivi della Fondazione Sandro Penna di Torino, della Biblioteca Gruppo Abele e della Biblioteca Maurice di Torino, del Centro di Documentazione Aldo Mieli di Carrara, dell’archivio Filmstudio di Roma. Essi sono supportati dalle testimonianze dirette e preziose di Maurizio Cagliuso, Enzo Cucco, Giovanni Minerba, Gianni Romoli, Luca Locati Luciani, Stefano Pierpaoli, acquisite dall’autore tramite interviste condotte durante il lavoro di ricerca di archivio.↩︎
La centralità dei moti di Stonewall è stata recentemente posta al vaglio critico. Nel film Screaming Queens: The Riot at Compton’s Cafeteria e nel saggio Una storia del movimento trangender: esperienza, omonormatività e pratiche disciplinari, la studiosa Susan Stryker fa risalire le origini della rivolta al 1966, quando un altro gruppo di trans, travestite, drag queen e altri soggetti “degeneri” diedero origine agli eventi della Compton’s Cafeteria nel distretto di Tenderloin, a San Francisco. In Prearo, Massimo (2015). Politiche dell’orgoglio. Sessualità, soggettività e movimenti sociali. Pisa: Edizioni ETS, pp. 39–56.↩︎
Mangiacapre, Lina (1994). Cinema al Femminile 2 1980-1990. Napoli: Cornucopia. “Le tre Ghinee”–Nemesiache.↩︎
Intervista a Porpora Marcasciano, Mattioli, Valerio (2015). Quarant’anni di militanza, https://www.vice.com/it/article/wdwab4/vita-vera-porpora-marcasciano-militanza-lgbt-intervista-423.↩︎
Collettivo Autonomo di Cinema del F.U.O.R.I. (1973). “Cinema e omosessualità”. Fuori!, n. 10, luglio/agosto.↩︎
Grieco, David (1977). “Anche la polizia in campo contro l’associazionismo”. L’ Unità, 6 maggio.↩︎
Il film, girato con scarsissimi mezzi e in super 8, sarebbe stato prodotto dal gruppo autonomo F.F.A.G. (Frocie Folli Audiovisive Gotiche), nato all’interno del cineclub, come ricorda lo stesso Gianni Romoli, per sopperire alle esigenze burocratiche della rassegna a tematica omosessuale. Il F.F.A.G. («fag» in inglese equivale a frocio) rappresenta, sostanzialmente, il movimento di passaggio da un modo serioso di intendere l’omosessualità, come quello del FUORI!, ad uno più giocoso, spumeggiante e “camp”. Una Filma, segna lo “scandaloso” debutto del collettivo nel cinema di sperimentazione.↩︎
Russo, Rosario (1979). “Cinema omosessuale”. Lambda, n. 20, gennaio–febbraio, p. 15.↩︎
Marasciano, Porpora (2014) Antologaia. Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni Settanta. Roma: Alegre, p. 156, in Priaro, Massimo (2015), La fabbrica dell’orgoglio, Pisa: Edizioni Ets, p. 77.↩︎
Mariotti, Giovanni. Espresso, n. 26.↩︎
Kant, Emanuel (1978). “Gay–films in Svizzera”. Fuori!, n. 20, novembre/dicembre, p. 18.↩︎
s.n. (1980). “Film omosessuale: Festival a Bergamo e Torino”, FUORI!, n. 25, p. 11.↩︎
Il film è stato recentemente ri–accreditato a James Bidgood.↩︎
Serra, Michele (1980). “Non pesa la classe quando si parla di omosessualità?”. L’Unità, 11 marzo, p. 4.↩︎
Perona, Piero (1981). “Così il cinema gay andrà alla Biennale”. La Stampa Sera, 16 luglio, Anno 113, n. 192.↩︎
Perona, Piero (1981). “Così il cinema gay andrà alla Biennale”. La Stampa Sera, 16 luglio, Anno 113, n. 192.↩︎
Anonimo(1981). “I gay visti dal cinema. Trenta film dal mondo”, in La Stampa, 11 luglio, anno 115, n. 163.↩︎