1 Le cartoline cinematografiche: cinephemera imperituri
Le cartoline cinematografiche sono oggetti fra i più diffusi e utilizzati fin dai primi anni del cinema. Come scrivono Paolo Caneppele e Denis Lotti, l'industria del cinema ha contribuito a costruire la propria leggenda attraverso le immagini degli attori più celebri. Fotografi e imprenditori privati, riconoscendo l'opportunità di guadagno legata al sistema delle celebrità, hanno rapidamente iniziato a vendere una grande quantità di ritratti di star e giovani promesse (Caneppele e Lotti 2014: 84). Le cine-cartoline cominciano ad essere usate in Italia già intorno al 1913 e nel tempo assumono valenze e significati che mutano in funzione del loro utilizzo: sono strumenti narrativi, sono materiale promozionale, ma possono anche diventare, come vedremo in questo articolo, fonti e modelli per la progettazione e la realizzazione di altri paratesti cinematografici.
Fin dalle origini, dunque, i film vengono frequentemente accompagnati da cartoline illustrate che presentano i protagonisti, le scenografie e alcune scene paradigmatiche del film (Figg. 1-5). Le cartoline non sono semplici immagini, ma veri e propri inviti a esplorare un mondo narrativo. Sono inoltre, un modo per trattenere e rivivere l’emozione provata in sala, soprattutto in un’epoca in cui l’esperienza della visione di un film è unica e irripetibile. Come scrive Matilde Tortora nel suo saggio Lo schermo in tasca: “Quale spettatore, vedendo un film che lo intriga e lo desidera, non prova, a proiezione terminata, il desiderio di condursi quel film, di portarselo a casa, così da poterlo rivedere, ogni volta che vorrà, a proprio piacimento?” (Tortora 2000: 13).
Originariamente la cartolina cinematografica è usata come tutte le altre tipologie di cartoline illustrate, il discrimine è il soggetto: un oggetto postale complesso che presenta due lati ma tre partizioni: la prima per i dati del destinatario (nome e indirizzo) e i “segni postali” (affrancatura e annullo); la seconda per il messaggio; la terza per l’immagine. L’evoluzione del variare dei rapporti tra indirizzo, messaggio e immagine, tra il recto e il verso, è la linea strutturante della storia della cartolina e permette anche la sua datazione quando non è direttamente deducibile dall’immagine o dall’informazione testuale che porta sul recto (Lavender 2006: 136-140). Nel tempo, la cartolina cinematografica come oggetto postale – come messaggio o simbolo da interpretare attraverso l’immagine del fronte e testo dedicato a un destinatario ma pur sempre “aperto” alla lettura di tutti, come scrive Derrida (Derrida: 2017) – ha via via perso la sua funzione originale e lo spazio dedicato a destinatari, segni postali e messaggi, è diventato l’area espressamente dedicata alla promozione dell’evento con dettagli specifici sul film, sullo spazio di proiezione, sul contesto in cui la pellicola viene presentata o sull’occasione in cui il divo o la diva si mostra al suo pubblico. La perdita della funzione di “cartolina viaggiata”, come ha esposto Paolo Caneppele in un suo recente intervento durante una lezione dottorale all’interno del seminario “Sulla nozione di ephemera e sulle problematiche di archivio” svoltosi presso l’Università degli Studi di Udine, dal titolo “Lacrime e free cards. L’effimero tra attivismo politico e prassi archivistica” (5 maggio 2024), implica una riflessione metodologica complessa, relativamente ai modi di catalogazione dell’oggetto e quindi al suo studio. Sia che si tratti di cartoline tradizionali o delle “cosiddette freecards, che nelle metropoli europee e americane sono distribuite gratuitamente nei bar, luoghi di ritrovo e ristoranti” (Caneppele e Lotti: 84) diventando anche esse oggetto di un collezionismo che reinterpreta la moda del passato, rappresentano un importante valore documentario e culturale.
Le cartoline servono dunque come testimonianze visive di esperienze cinematografiche vissute, offrono uno spaccato della moda, del gusto estetico, delle strategie di comunicazione della società, nel periodo in cui sono state create e distribuite. In questo senso, vanno studiate come materiali storici, che hanno la funzione di aumentare la comprensione di un determinato periodo, la modalità di promozione e diffusione di un genere cinematografico, uno specifico film, un divo, una stella nascente dell’industria cinematografica (Figg. 6-8). Dal punto di vista grafico e dei contenuti ad esso connessi le cartoline nel cinema sono spesso progettate con uno stile distintivo che riflette l’epoca e il genere del film. La grafica, i colori, i font e le tipografie utilizzate contribuiscono a creare una determinata atmosfera che influenza la percezione del pubblico, diventando strumenti di connessione emotiva e costruttori di una memoria culturale. La conservazione, la catalogazione e lo studio delle cine-cartoline sono dunque da considerarsi parte integrante dello studio sulla cultura cinematografica. L’approccio di metodo è pervaso della necessità di una unificazione del campo attorno al concetto rinnovato di arte figurativa come comunicazione visiva, che travalica il discrimine del “materiale effimero”, come sottospecie di materiale minore dell’opera d’arte.
Le cartoline rappresentano una risorsa per la comprensione della socialità quotidiana di un’epoca, per la ricostruzione della storia del collezionismo e, nel caso specifico che andiamo qui a esporre, una componente importante del modus operandi del pittore e illustratore Anselmo Ballester.
2 Cosa sono, allora, le cartoline per Anselmo Ballester?
La vicenda personale di Anselmo Ballester (1897-1974), pittore e illustratore noto per la vasta produzione di bozzetti e manifesti cinematografici realizzati dagli anni del muto fino alla soglia degli anni Sessanta del Novecento per le più grandi case cinematografiche nazionali e internazionali del tempo (Della Torre 2014; Pizzo 2003; Quintavalle 1981), si cala all’interno degli studi sui documenti effimeri spesso destinati all’oblio (Iskin and Salsbury 2020; Comand e Mariani 2019a; Comand e Mariani 2019b), in senso ampio e da più punti di vista, in relazione alle cartoline di divi e dive che Ballester era solito collezionare da un lato e alle cartoline e alle brochure cinematografiche e commerciali che disegnava dall’altro, come emerso da una recente analisi (Babboni e Bini 2024) e come attesta il ricco Fondo Anselmo Ballester conservato allo CSAC dell’Università di Parma,1 comprensivo di cartoline, schizzi, bozzetti, locandine e manifesti di medio e grande formato.
La straordinaria carriera di Ballester accompagna non solo la storia del cinema del nostro Paese, dalle origini a quando si consolida il racconto cinematografico, ma anche la storia del manifesto nella sua accezione più ampia; come mezzo autonomo in grado di veicolare modelli di comportamento e favorire processi di identificazione; come prodotto finito che anticipa, affianca e orienta la fruizione e il consumo di un film, come parte integrante, dunque, della visione e dell’esperienza cinematografica di generazioni di spettatori (Franchi e Mosconi 2002). La varietà di esperienze maturate da Ballester, dalla grafica di giornale al fumetto, dalle brochure al manifesto, prevedono una retorica dell’immagine alla cui base, in tutti gli ambiti della sua produzione, dimora una ricerca approfondita e una documentazione storica scrupolosa. Le sue fonti principali sono i volumi di ambito teatrale, scenografico e costumistico della sua biblioteca, figurini di moda e la sua personale raccolta di postcards con divi e dive, repertori visivi che fungono da modello per costruire un’icona somigliante (Babboni e Bini 2024: 53; Quintavalle 1981: XXI). Si tratta di vere e proprie fonti grafiche che servono a delineare quei volti che ritroveremo su migliaia di bozzetti sottoposti dall’artista alla committenza. Nel dettaglio, le cartoline fotografiche e cinematografiche che Ballester è solito raccogliere con la finalità specifica di realizzare un’iconografia conforme e per creare un repertorio visivo di scena adattabile ai diversi generi cinematografici, si affiancano a quelle che al contempo esso stesso realizza graficamente per la pubblicistica cinematografica e commerciale ad ampio spettro.2 Entrambi i generi di cartoline sono stati donati nel 1980 dalle figlie Liliana e Gloria allo CSAC dell’Università di Parma, dove successivamente sono state archiviate e musealizzate. Sia le cartoline realizzate da Ballester che quelle da lui collezionate, rappresentano un archivio della memoria per lo studio della cultura cinematografica, dalla modalità di commercializzazione della pellicola alla ricezione dell’esperienza filmica, e un tassello imprescindibile per ricostruire alcune delle fonti grafiche e culturali a supporto dell’artista nella realizzazione del corredo cinematografico.
La formazione e l’esperienza diretta maturata nel mondo del cinema fin dall’infanzia da parte di Ballester, quando a Parigi conosce il mondo cinematografico allora nascente, ha fortemente inciso nel processo creativo dell’artista. Egli elaborava spesso il concetto alla base del manifesto desumendo i primi studi a matita direttamente dalle scene del girato, trasferendo su carta quanto il regista imprimeva sulla pellicola, avvallandosi poi successivamente delle immagini dei divi e delle dive che conservava per creare immagini conformi e adattabili a più scene a seconda delle richieste della committenza e del genere cinematografico che andava proponendo e promuovendo. Dalle sue annotazioni personali, redatte in tarda età, si apprende che: “…mentre io stesso eseguivo bozzetti per le scene e costumi, ma soprattutto migliaia di manifesti per il cinema, ho visto la lavorazione di centinaia di film, con il mio contatto con il mondo cinematografico durato oltre 50 anni…” (Ballester 1973: 86). Ballester, dunque, dopo la visione del film visto in lavorazione o in proiezione riservata in anteprima, sviluppa il concetto che enuncia per sintesi grafica, con disegni preparatori a matita su fogli bianchi di quaderno e in scene disegnate rapidamente in successione, a creare una sorta di moderno sketchbook (Babboni e Bini 2024: 24; 57-70; 82). L’illustratore approfondisce poi con la ricerca, all’interno della sua personale biblioteca, nei “libri di letteratura e storia, riviste, giornali e stampe, cartoline illustrate di opere d’arte, guide turistiche, biografie di grandi artisti” (Ballester 1973: 84) o nel repertorio di divi e dive ritratte sulle postcards per desumere i tratti salienti dei volti degli attori, per andare poi a creare schizzi e bozzetti, che sono alla base dello sviluppo del manifesto cinematografico.
È la cartolina riprodotta in stampa fotomeccanica in bianco e nero pubblicata dalla G.B. Falci Editore di Milano (CSAC, Fondo Ballester D043530S) che vede ritratta in primo piano l’attrice Pola Negri (Fig. 9) quella che meglio di altre, conferma in modo inequivocabile questo utilizzo. Ballester abbozza sul verso della cartolina un essenziale schizzo a matita del profilo dell’attrice (Fig. 10) riprendendo pedissequamente la fotografia del recto, usa dunque la cartolina per catturare le fattezze del volto della diva, come esercizio e preludio per l’esecuzione di uno futuro schizzo. Di fatto, la cartolina nelle mani di Ballester non è mai statica né passiva, né semplice oggetto da collezione: ha una vita propria che interviene nelle dinamiche di produzione artistica del pittore stesso, chiamato a lavorare su altri paratesti.
La cartolina che vede ritratta Francesca Bertini (Fig. 11) (CSAC, Fondo Ballester D043526S) nei panni dell’eroina di Alexandre Dumas La signora delle Camelie, nel film omonimo del 1915 diretto da Gustavo Serena per la Cesar Film (Fig. 12), è – a nostro avviso – alla base delle fattezze riproposte da Ballester nello schizzo e nel bozzetto di Assunta Spina, o nel bozzetto di Ivonne, la bella della danza brutale. Entrambi i bozzetti, conservati nell’archivio privato degli eredi a Roma,3 presentano la Bertini, posta di fianco, con il volto posato e il mento in alto, come la cartolina stampata a Roma dai Fratelli Palombi che ripropone un ritratto della Bertini di Alberto G. Carta, direttore della fotografia del film di Gustavo Serena.
In un’epoca in cui il divismo si coniugava prettamente al femminile, nel Fondo Ballester non mancano le stelle maschili del cinema muto, come la cartolina pubblicata da Ross Verlag di Ivan Il'ič Mozžuchin (Fig. 13) (CSAC, Fondo Ballester D043513S), attore e regista di origini russe naturalizzato francese, e quella distribuita di Rodolfo Valentino (Fig. 14) (CSAC, Fondo Ballester D043501S), il primo attore italiano a far parte dello star system hollywoodiano.
Le cartoline dei divi che rientrano nel novero della cultura materiale (Dei e Meloni 2015), utili per ricostruire le dinamiche di consumo partecipativo (Capuzzo 2006) come componete della microstoria, come oggetti della socialità quotidiana, assumono dunque in Ballester anche altre accezioni. Cosa sono, allora, le cartoline per Ballester? Sono mezzi di comunicazione o articoli da collezione (Cecere 2005)? Entrambi, ma non solo. Diventano anche un mezzo di lavoro. Rappresentano la necessità di Ballester di conservare un repertorio di immagini, che verrà rimodulato a seconda del bisogno. La cartolina collezionata è il momento in cui il tempo della diva e del divo è ridotto a una dimensione fisica bidimensionale, è il momento che fissa e preserva immutata un’icona, è il mezzo che perdura allo scorrere veloce a ventiquattro fotogrammi al secondo dell’immagine proiettata nei film che Ballester vede in anteprima.
Come è stato recentemente analizzato nel volume Anselmo Ballester e il cinema dipinto, gli esempi sono molteplici, come la cartolina con autografo di Isa Miranda (CSAC, Fondo Ballester D043494S) (Fig. 8), probabile modello per il ritratto dell’attrice negli schizzi realizzati da Ballester per il film del 1935 Come le foglie di Mario Camerini (CSAC, Fondo Ballester D044922S e D044923S) o quella stampata da Rotalfoto di Milano di Marlene Dietrich (CSAC, Fondo Ballester D043485S) (Fig. 15), possibile fonte per lo schizzo realizzato da Ballester di Shanghai Express (Josef von Sternberg, 1932).
Nel Fondo Ballester, accanto ai volti di dive e divi ritratti da anonimi esecutori, è anche possibile ritrovare alcune fotografie realizzate da studi di primo piano come, ad esempio, lo Studio Foto Vaselli. È il caso della fotografia al bromuro d’argento (Fig. 16) di Amedeo Nazzari (CSAC, Fondo Ballester D043509S), probabile modello per il volto dell’attore in primo piano nello schizzo a tempera su cartoncino del film del 1940 di Nunzio Malasomma, Dopo Divorzieremo (CSAC, Fondo Ballester D018215S), piuttosto che nel bozzetto del film Sancta Maria diretto da Pier Luigi Faraldo ed Edgar Neville nel 1941, o ancora guida per il film che lo vede protagonista con il capo reclinato nel manifesto de La Fiammata (Alessandro Blasetti, 1952) (CSAC, Fondo Ballester D045266S).
La fotografia di Ingrid Bergman (CSAC, Fondo Ballester D043489S), pubblicata dalla Casa Editrice Ballerini e Fratini di Firenze (Fig. 17), è una assai probabile guida per il manifesto di Io ti salverò (Spellbound, Alfred Hitchcock, 1945) nella riedizione del 1954, ancor meglio per le due versioni dei manifesti del film, dal cui impianto grafico non solo emerge la profonda cultura di Ballester, ma anche la retorica dell’immagine del manifesto che egli stesso ha creato e che gli consente di presentare non una, ma più soluzioni per la distribuzione italiana del film, nel tentativo riuscito di rispondere alle variegate esigenze della committenza. Esistono, pertanto, due versioni realizzate da Ballester; in entrambe i protagonisti emergono con i loro volti ben riconoscibili e i loro nomi in primo piano, tra i vortici verdi dell’inconscio (Fig. 18) (CSAC, Fondo Ballester D018198S) o avvolti da una surreale nube rossa che si dipana come la patologia psichica del protagonista (CSAC, Fondo Ballester D043570S).
Ancora la cartolina della Cines (CSAC, Fondo Ballester D043493S) stampata dalla Casa Editrice Ballerini e Fratini di Firenze (Fig.19), che vede ritratta Michel Morgan nel film L’Ora della Verità (La minute de vérité, Jean Delannoy, 1952), appare d’indubbia ispirazione per Ballester nello schizzo del film Gli Orgogliosi (Les Orgueilleux, Yves Allégret, 1953) (CSAC, Fondo Ballester D045120S) e per l’esemplare bozzetto a tempera che vede la Morgan nei panni di Giovanna d’Arco nella trilogia diretta da Marcello Pagliero, Jean Delannoy e Christian Jacque Destini di donne (Destinées, 1954). La Morgan è calata nella tipica iconografia della combattente guerriera, con armatura e stendardo (Fig. 20), pur mantenendo un’immagine fortemente aderente al reale, anche grazie allo sguardo magnetico dell’attrice, sapientemente tradotto da Ballester (CSAC, Fondo Ballester D000557S).