Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.26 (2024), 31–48
ISSN 2280-9481

Cinephemera andata e ritorno. Le cartoline per e di Anselmo Ballester

Stefania BabboniUniversity of Parma (Italy)

Stefania Babboni, PhD, has been the scientific-technical reference of the Centro per le Attività e le Professioni delle Arti e dello Spettacolo - CAPAS of the University of Parma since February 2020. Graduated in Conservation of Cultural Heritage, she obtained a PhD in Art History and Entertainment at the University of Parma in 2010. Over the years, she has combined his research activity with the organization of exhibitions and conferences and the activity of musealization and cataloguing of archive funds for public and private institutions. She has published contributions in journals and collective volumes, she has co-edited the volume Comunicazione e Creatività. Narratrici di storie e nuove forme di racconto del sé e del mondo (Postmedia Books, 2023) with Sara Martin and she has published Anselmo Ballester e il cinema dipinto (Electa, 2024) with Elisa Bini.

Sara MartinUniversity of Parma (Italy)

Sara Martin is associate professor of cinema at the University of Parma. Since 2019 she has been director of CAPAS (Centro per le Attività e le Professioni delle Arti e dello Spettacolo) at the University of Parma. Sara Martin’s main lines of research concern the relations between cinema, costumes and set design as wels as the history of film criticism. Among her publications: Scenografia e Scenografi, 2013, Gino Peressutti. L’architetto di Cinecittà, 2013, L’Abito necessario. Fili trame e costumi nel cinema e nella televisione, 2022, Culture del film. La critica cinematografica e la società italiana, 2020 (edited with Michele Guerra).

Ricevuto: 2024-11-11 – Versione revisionata: 2024-12-02 – Accettato: 2024-12-03 – Pubblicato: 2024-12-19

Cinephemera Round Trip. Postcards for and by Anselmo Ballester

Abstract

The essay analyzes the postcards by Anselmo Ballester, the famous painter, illustrator, and poster designer. His postcards are analyzed in their double role of ephemera of his personal collection, and paratexts created for his clients, in the period between the silent era, until the 1950s. The assay will examine only a limited number of postcards when compared to the extent and variety of his artistic production. The subject of our investigation will be the postcards included in the Anselmo Ballester Fund, preserved at the Centro Studi e Archivio della Comunicazione - CSAC - of the University of Parma. Comparing cine-postcards, preparatory sketches, and posters from the Ballester collection, spanning a period of fifty years, we will focus on how photographic postcards of national and international movie stars, represented the main models for the painter, aimed at creating an iconography consistent, and adaptable to multiple cinematographic genres. We aim to demonstrate how two ephemeral materials can be juxtaposed, becoming both a source and a model on which a new cinematographic paratext can be developed.

Keyword: Anselmo Ballester; Sketches; Sketchbook; Posters; Postcards.

Ringraziamenti

Il saggio è frutto delle riflessioni e delle discussioni comuni tra le due autrici; in particolare, Sara Martin è autrice del primo e dell’ultimo paragrafo, Stefania Babboni del secondo e del terzo paragrafo. Le autrici ringraziano: Elisa Bini per l’aiuto nell’indagine d’archivio; il Centro Studi e Archivio della Comunicazione – CSAC dell’Università di Parma per i materiali e il supporto fornito durante la ricerca; Claudio, Lidia, Rita e Silvia Procesi, nipoti di Anselmo Ballester, per la consueta disponibilità.

1 Le cartoline cinematografiche: cinephemera imperituri

Le cartoline cinematografiche sono oggetti fra i più diffusi e utilizzati fin dai primi anni del cinema. Come scrivono Paolo Caneppele e Denis Lotti, l'industria del cinema ha contribuito a costruire la propria leggenda attraverso le immagini degli attori più celebri. Fotografi e imprenditori privati, riconoscendo l'opportunità di guadagno legata al sistema delle celebrità, hanno rapidamente iniziato a vendere una grande quantità di ritratti di star e giovani promesse (Caneppele e Lotti 2014: 84). Le cine-cartoline cominciano ad essere usate in Italia già intorno al 1913 e nel tempo assumono valenze e significati che mutano in funzione del loro utilizzo: sono strumenti narrativi, sono materiale promozionale, ma possono anche diventare, come vedremo in questo articolo, fonti e modelli per la progettazione e la realizzazione di altri paratesti cinematografici.

Fig. 1 Bianca Stagno Bellincioni, postcard, stampa fotomeccanica, 137 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043503S Fig. 2 Gloria Swanson, postcard, gelatina bromuro d'argento su carta, 88 x 138 mm, CSAC Fondo Ballester, D043504S

Fin dalle origini, dunque, i film vengono frequentemente accompagnati da cartoline illustrate che presentano i protagonisti, le scenografie e alcune scene paradigmatiche del film (Figg. 1-5). Le cartoline non sono semplici immagini, ma veri e propri inviti a esplorare un mondo narrativo. Sono inoltre, un modo per trattenere e rivivere l’emozione provata in sala, soprattutto in un’epoca in cui l’esperienza della visione di un film è unica e irripetibile. Come scrive Matilde Tortora nel suo saggio Lo schermo in tasca: “Quale spettatore, vedendo un film che lo intriga e lo desidera, non prova, a proiezione terminata, il desiderio di condursi quel film, di portarselo a casa, così da poterlo rivedere, ogni volta che vorrà, a proprio piacimento?” (Tortora 2000: 13).

Fig. 3 Greta Garbo e Nils Asther, postcard, stampa fotomeccanica, 131 x 81 mm, CSAC Fondo Ballester, D043473S Fig. 4 Dolores del Rio - Rod la Roque, postcard, stampa fotomeccanica, 131 x 81 mm, CSAC Fondo Ballester, D043498S Fig. 5 Douglas Fairbanks, postcard, stampa fotomeccanica, 146 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043512S

Originariamente la cartolina cinematografica è usata come tutte le altre tipologie di cartoline illustrate, il discrimine è il soggetto: un oggetto postale complesso che presenta due lati ma tre partizioni: la prima per i dati del destinatario (nome e indirizzo) e i “segni postali” (affrancatura e annullo); la seconda per il messaggio; la terza per l’immagine. L’evoluzione del variare dei rapporti tra indirizzo, messaggio e immagine, tra il recto e il verso, è la linea strutturante della storia della cartolina e permette anche la sua datazione quando non è direttamente deducibile dall’immagine o dall’informazione testuale che porta sul recto (Lavender 2006: 136-140). Nel tempo, la cartolina cinematografica come oggetto postale – come messaggio o simbolo da interpretare attraverso l’immagine del fronte e testo dedicato a un destinatario ma pur sempre “aperto” alla lettura di tutti, come scrive Derrida (Derrida: 2017) – ha via via perso la sua funzione originale e lo spazio dedicato a destinatari, segni postali e messaggi, è diventato l’area espressamente dedicata alla promozione dell’evento con dettagli specifici sul film, sullo spazio di proiezione, sul contesto in cui la pellicola viene presentata o sull’occasione in cui il divo o la diva si mostra al suo pubblico. La perdita della funzione di “cartolina viaggiata”, come ha esposto Paolo Caneppele in un suo recente intervento durante una lezione dottorale all’interno del seminario “Sulla nozione di ephemera e sulle problematiche di archivio” svoltosi presso l’Università degli Studi di Udine, dal titolo “Lacrime e free cards. L’effimero tra attivismo politico e prassi archivistica” (5 maggio 2024), implica una riflessione metodologica complessa, relativamente ai modi di catalogazione dell’oggetto e quindi al suo studio. Sia che si tratti di cartoline tradizionali o delle “cosiddette freecards, che nelle metropoli europee e americane sono distribuite gratuitamente nei bar, luoghi di ritrovo e ristoranti” (Caneppele e Lotti: 84) diventando anche esse oggetto di un collezionismo che reinterpreta la moda del passato, rappresentano un importante valore documentario e culturale.

Le cartoline servono dunque come testimonianze visive di esperienze cinematografiche vissute, offrono uno spaccato della moda, del gusto estetico, delle strategie di comunicazione della società, nel periodo in cui sono state create e distribuite. In questo senso, vanno studiate come materiali storici, che hanno la funzione di aumentare la comprensione di un determinato periodo, la modalità di promozione e diffusione di un genere cinematografico, uno specifico film, un divo, una stella nascente dell’industria cinematografica (Figg. 6-8). Dal punto di vista grafico e dei contenuti ad esso connessi le cartoline nel cinema sono spesso progettate con uno stile distintivo che riflette l’epoca e il genere del film. La grafica, i colori, i font e le tipografie utilizzate contribuiscono a creare una determinata atmosfera che influenza la percezione del pubblico, diventando strumenti di connessione emotiva e costruttori di una memoria culturale. La conservazione, la catalogazione e lo studio delle cine-cartoline sono dunque da considerarsi parte integrante dello studio sulla cultura cinematografica. L’approccio di metodo è pervaso della necessità di una unificazione del campo attorno al concetto rinnovato di arte figurativa come comunicazione visiva, che travalica il discrimine del “materiale effimero”, come sottospecie di materiale minore dell’opera d’arte.

Le cartoline rappresentano una risorsa per la comprensione della socialità quotidiana di un’epoca, per la ricostruzione della storia del collezionismo e, nel caso specifico che andiamo qui a esporre, una componente importante del modus operandi del pittore e illustratore Anselmo Ballester.

Fig. 6 Loretta Young, postcard, stampa fotomeccanica, 140 x 90 mm, CSAC Fondo Ballester, D043499S Fig. 7 Estelle Taylor, postcard, stampa fotomeccanica, 135 x 85 mm, CSAC Fondo Ballester, D043502S Fig. 8 Isa Miranda, postcard, stampa fotomeccanica, 147 x 103 mm, CSAC Fondo Ballester, D043494S

2 Cosa sono, allora, le cartoline per Anselmo Ballester?

La vicenda personale di Anselmo Ballester (1897-1974), pittore e illustratore noto per la vasta produzione di bozzetti e manifesti cinematografici realizzati dagli anni del muto fino alla soglia degli anni Sessanta del Novecento per le più grandi case cinematografiche nazionali e internazionali del tempo (Della Torre 2014; Pizzo 2003; Quintavalle 1981), si cala all’interno degli studi sui documenti effimeri spesso destinati all’oblio (Iskin and Salsbury 2020; Comand e Mariani 2019a; Comand e Mariani 2019b), in senso ampio e da più punti di vista, in relazione alle cartoline di divi e dive che Ballester era solito collezionare da un lato e alle cartoline e alle brochure cinematografiche e commerciali che disegnava dall’altro, come emerso da una recente analisi (Babboni e Bini 2024) e come attesta il ricco Fondo Anselmo Ballester conservato allo CSAC dell’Università di Parma,1 comprensivo di cartoline, schizzi, bozzetti, locandine e manifesti di medio e grande formato.

La straordinaria carriera di Ballester accompagna non solo la storia del cinema del nostro Paese, dalle origini a quando si consolida il racconto cinematografico, ma anche la storia del manifesto nella sua accezione più ampia; come mezzo autonomo in grado di veicolare modelli di comportamento e favorire processi di identificazione; come prodotto finito che anticipa, affianca e orienta la fruizione e il consumo di un film, come parte integrante, dunque, della visione e dell’esperienza cinematografica di generazioni di spettatori (Franchi e Mosconi 2002). La varietà di esperienze maturate da Ballester, dalla grafica di giornale al fumetto, dalle brochure al manifesto, prevedono una retorica dell’immagine alla cui base, in tutti gli ambiti della sua produzione, dimora una ricerca approfondita e una documentazione storica scrupolosa. Le sue fonti principali sono i volumi di ambito teatrale, scenografico e costumistico della sua biblioteca, figurini di moda e la sua personale raccolta di postcards con divi e dive, repertori visivi che fungono da modello per costruire un’icona somigliante (Babboni e Bini 2024: 53; Quintavalle 1981: XXI). Si tratta di vere e proprie fonti grafiche che servono a delineare quei volti che ritroveremo su migliaia di bozzetti sottoposti dall’artista alla committenza. Nel dettaglio, le cartoline fotografiche e cinematografiche che Ballester è solito raccogliere con la finalità specifica di realizzare un’iconografia conforme e per creare un repertorio visivo di scena adattabile ai diversi generi cinematografici, si affiancano a quelle che al contempo esso stesso realizza graficamente per la pubblicistica cinematografica e commerciale ad ampio spettro.2 Entrambi i generi di cartoline sono stati donati nel 1980 dalle figlie Liliana e Gloria allo CSAC dell’Università di Parma, dove successivamente sono state archiviate e musealizzate. Sia le cartoline realizzate da Ballester che quelle da lui collezionate, rappresentano un archivio della memoria per lo studio della cultura cinematografica, dalla modalità di commercializzazione della pellicola alla ricezione dell’esperienza filmica, e un tassello imprescindibile per ricostruire alcune delle fonti grafiche e culturali a supporto dell’artista nella realizzazione del corredo cinematografico.

La formazione e l’esperienza diretta maturata nel mondo del cinema fin dall’infanzia da parte di Ballester, quando a Parigi conosce il mondo cinematografico allora nascente, ha fortemente inciso nel processo creativo dell’artista. Egli elaborava spesso il concetto alla base del manifesto desumendo i primi studi a matita direttamente dalle scene del girato, trasferendo su carta quanto il regista imprimeva sulla pellicola, avvallandosi poi successivamente delle immagini dei divi e delle dive che conservava per creare immagini conformi e adattabili a più scene a seconda delle richieste della committenza e del genere cinematografico che andava proponendo e promuovendo. Dalle sue annotazioni personali, redatte in tarda età, si apprende che: “…mentre io stesso eseguivo bozzetti per le scene e costumi, ma soprattutto migliaia di manifesti per il cinema, ho visto la lavorazione di centinaia di film, con il mio contatto con il mondo cinematografico durato oltre 50 anni…” (Ballester 1973: 86). Ballester, dunque, dopo la visione del film visto in lavorazione o in proiezione riservata in anteprima, sviluppa il concetto che enuncia per sintesi grafica, con disegni preparatori a matita su fogli bianchi di quaderno e in scene disegnate rapidamente in successione, a creare una sorta di moderno sketchbook (Babboni e Bini 2024: 24; 57-70; 82). L’illustratore approfondisce poi con la ricerca, all’interno della sua personale biblioteca, nei “libri di letteratura e storia, riviste, giornali e stampe, cartoline illustrate di opere d’arte, guide turistiche, biografie di grandi artisti” (Ballester 1973: 84) o nel repertorio di divi e dive ritratte sulle postcards per desumere i tratti salienti dei volti degli attori, per andare poi a creare schizzi e bozzetti, che sono alla base dello sviluppo del manifesto cinematografico.

Fig. 9 Pola Negri, postcard, stampa fotomeccanica, recto, 137 x 90 mm, CSAC Fondo Ballester, D043530S Fig. 10 Anselmo Ballester, Pola Negri, disegno, matita su cartoncino, verso, 137 x 90 mm, CSAC Fondo Ballester, D043530S_VS

È la cartolina riprodotta in stampa fotomeccanica in bianco e nero pubblicata dalla G.B. Falci Editore di Milano (CSAC, Fondo Ballester D043530S) che vede ritratta in primo piano l’attrice Pola Negri (Fig. 9) quella che meglio di altre, conferma in modo inequivocabile questo utilizzo. Ballester abbozza sul verso della cartolina un essenziale schizzo a matita del profilo dell’attrice (Fig. 10) riprendendo pedissequamente la fotografia del recto, usa dunque la cartolina per catturare le fattezze del volto della diva, come esercizio e preludio per l’esecuzione di uno futuro schizzo. Di fatto, la cartolina nelle mani di Ballester non è mai statica né passiva, né semplice oggetto da collezione: ha una vita propria che interviene nelle dinamiche di produzione artistica del pittore stesso, chiamato a lavorare su altri paratesti.

Fig. 11 G. A. Carta, Francesca Bertini, postcard, stampa, recto, 160 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043526S Fig. 12 Francesca Bertini in dame aux Camelias, postcard, stampa, verso, 160 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043526S_VS

La cartolina che vede ritratta Francesca Bertini (Fig. 11) (CSAC, Fondo Ballester D043526S) nei panni dell’eroina di Alexandre Dumas La signora delle Camelie, nel film omonimo del 1915 diretto da Gustavo Serena per la Cesar Film (Fig. 12), è – a nostro avviso – alla base delle fattezze riproposte da Ballester nello schizzo e nel bozzetto di Assunta Spina, o nel bozzetto di Ivonne, la bella della danza brutale. Entrambi i bozzetti, conservati nell’archivio privato degli eredi a Roma,3 presentano la Bertini, posta di fianco, con il volto posato e il mento in alto, come la cartolina stampata a Roma dai Fratelli Palombi che ripropone un ritratto della Bertini di Alberto G. Carta, direttore della fotografia del film di Gustavo Serena.

Fig. 13 Jwan Mosjukin, postcard, stampa fotomeccanica, 147 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043513S Fig. 14 Rudolph Valentino, postcard, stampa fotomeccanica, 138 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043501S

In un’epoca in cui il divismo si coniugava prettamente al femminile, nel Fondo Ballester non mancano le stelle maschili del cinema muto, come la cartolina pubblicata da Ross Verlag di Ivan Il'ič Mozžuchin (Fig. 13) (CSAC, Fondo Ballester D043513S), attore e regista di origini russe naturalizzato francese, e quella distribuita di Rodolfo Valentino (Fig. 14) (CSAC, Fondo Ballester D043501S), il primo attore italiano a far parte dello star system hollywoodiano.

Le cartoline dei divi che rientrano nel novero della cultura materiale (Dei e Meloni 2015), utili per ricostruire le dinamiche di consumo partecipativo (Capuzzo 2006) come componete della microstoria, come oggetti della socialità quotidiana, assumono dunque in Ballester anche altre accezioni. Cosa sono, allora, le cartoline per Ballester? Sono mezzi di comunicazione o articoli da collezione (Cecere 2005)? Entrambi, ma non solo. Diventano anche un mezzo di lavoro. Rappresentano la necessità di Ballester di conservare un repertorio di immagini, che verrà rimodulato a seconda del bisogno. La cartolina collezionata è il momento in cui il tempo della diva e del divo è ridotto a una dimensione fisica bidimensionale, è il momento che fissa e preserva immutata un’icona, è il mezzo che perdura allo scorrere veloce a ventiquattro fotogrammi al secondo dell’immagine proiettata nei film che Ballester vede in anteprima.

Fig. 15 Marlene Dietrich, postcard, gelatina bromuro d'argento su carta, 145 x 105 mm, CSAC Fondo Ballester, D043485S Fig. 16 Foto Vaselli, Amedeo Nazzari, postcard, gelatina bromuro d'argento su carta, 143 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043509S

Come è stato recentemente analizzato nel volume Anselmo Ballester e il cinema dipinto, gli esempi sono molteplici, come la cartolina con autografo di Isa Miranda (CSAC, Fondo Ballester D043494S) (Fig. 8), probabile modello per il ritratto dell’attrice negli schizzi realizzati da Ballester per il film del 1935 Come le foglie di Mario Camerini (CSAC, Fondo Ballester D044922S e D044923S) o quella stampata da Rotalfoto di Milano di Marlene Dietrich (CSAC, Fondo Ballester D043485S) (Fig. 15), possibile fonte per lo schizzo realizzato da Ballester di Shanghai Express (Josef von Sternberg, 1932).

Nel Fondo Ballester, accanto ai volti di dive e divi ritratti da anonimi esecutori, è anche possibile ritrovare alcune fotografie realizzate da studi di primo piano come, ad esempio, lo Studio Foto Vaselli. È il caso della fotografia al bromuro d’argento (Fig. 16) di Amedeo Nazzari (CSAC, Fondo Ballester D043509S), probabile modello per il volto dell’attore in primo piano nello schizzo a tempera su cartoncino del film del 1940 di Nunzio Malasomma, Dopo Divorzieremo (CSAC, Fondo Ballester D018215S), piuttosto che nel bozzetto del film Sancta Maria diretto da Pier Luigi Faraldo ed Edgar Neville nel 1941, o ancora guida per il film che lo vede protagonista con il capo reclinato nel manifesto de La Fiammata (Alessandro Blasetti, 1952) (CSAC, Fondo Ballester D045266S).

Fig. 17 Ingrid Bergman, postcard, stampa fotomeccanica, 150 x 114 mm. CSAC Fondo Ballester, D043489S Fig. 18 Anselmo Ballester, Io ti salverò, 1954, manifesto, stampa offset, 1400 x 1000 mm CSAC Fondo Ballester, D018198S

La fotografia di Ingrid Bergman (CSAC, Fondo Ballester D043489S), pubblicata dalla Casa Editrice Ballerini e Fratini di Firenze (Fig. 17), è una assai probabile guida per il manifesto di Io ti salverò (Spellbound, Alfred Hitchcock, 1945) nella riedizione del 1954, ancor meglio per le due versioni dei manifesti del film, dal cui impianto grafico non solo emerge la profonda cultura di Ballester, ma anche la retorica dell’immagine del manifesto che egli stesso ha creato e che gli consente di presentare non una, ma più soluzioni per la distribuzione italiana del film, nel tentativo riuscito di rispondere alle variegate esigenze della committenza. Esistono, pertanto, due versioni realizzate da Ballester; in entrambe i protagonisti emergono con i loro volti ben riconoscibili e i loro nomi in primo piano, tra i vortici verdi dell’inconscio (Fig. 18) (CSAC, Fondo Ballester D018198S) o avvolti da una surreale nube rossa che si dipana come la patologia psichica del protagonista (CSAC, Fondo Ballester D043570S).

Fig. 19 Michel Morgan, postcard, stampa fotomeccanica, 150 x 105 mm, CSAC Fondo Ballester, D043493S Fig. 20 Anselmo Ballester, Destini di donne, 1954, bozzetto, tempera su cartoncino, 735 X 345 mm, CSAC Fondo Ballester, D000557S

Ancora la cartolina della Cines (CSAC, Fondo Ballester D043493S) stampata dalla Casa Editrice Ballerini e Fratini di Firenze (Fig.19), che vede ritratta Michel Morgan nel film L’Ora della Verità (La minute de vérité, Jean Delannoy, 1952), appare d’indubbia ispirazione per Ballester nello schizzo del film Gli Orgogliosi (Les Orgueilleux, Yves Allégret, 1953) (CSAC, Fondo Ballester D045120S) e per l’esemplare bozzetto a tempera che vede la Morgan nei panni di Giovanna d’Arco nella trilogia diretta da Marcello Pagliero, Jean Delannoy e Christian Jacque Destini di donne (Destinées, 1954). La Morgan è calata nella tipica iconografia della combattente guerriera, con armatura e stendardo (Fig. 20), pur mantenendo un’immagine fortemente aderente al reale, anche grazie allo sguardo magnetico dell’attrice, sapientemente tradotto da Ballester (CSAC, Fondo Ballester D000557S).

Fig. 21 Dolores del Rio, postcard, stampa fotomeccanica, 140 x 90 mm, CSAC Fondo Ballester, D043496S Fig. 22 Anselmo Ballester, La malquerida, manifesto, stampa offset, 2000 x 1400, CSAC Fondo Ballester, D043580S
Fig. 23 Shirley Temple, postcard, stampa fotomeccanica, 140 x 90 mm, CSAC Fondo Ballester, D043471S Fig. 24 Anselmo Ballester, Capitan Gennaio, 1936, schizzo, tempera su cartoncino, 130 x 130 mm, CSAC Fondo Ballester, D045257S

Ancora il ritratto fotografico (Fig. 21) dell’attrice Dolores del Rio (CSAC, Fondo Ballester D043496S), funge da probabile modello per il volto dell’attrice messicana protagonista nel manifesto (Fig. 22) del film La donna che non si deve amare (La malquerida, Emilio Fernandez, 1949) (CSAC, Fondo Ballester D043580S), mentre il ritratto pubblicato da Ross Verlag (Fig. 23) e dalla Casa Editrice Ballerini e Fratini di Firenze di Shirley Temple (CSAC, Fondo Ballester D043471S) sembra decisamente essere la fonte di ispirazione per i due schizzi a tempera del film di David Butler Capitan Gennaio (Captain January, 1936), anch’essi conservati allo CSAC dell’Università di Parma, che vedono trasporre la giovane attrice, dolce e sorridente, con i famigerati “riccioli d’oro” secondo l’immagine che al tempo veniva veicolata dell’enfant prodige (Fig. 24) (CSAC, Fondo Ballester D045257S).

Nel lavoro di Ballester emerge uno stretto legame tra la scrittura grafica e la struttura narrativa del film che ne sta a monte. Dopo la visione del girato, sviluppato concettualmente negli sketchbook e approfondito con una ricerca costante delle fonti, l’artista sugli schizzi inizia a “creare una gamma di volti”ingombranti” e di tipi umani destinata a crescere senza limiti di tempo” (Babboni e Bini 2024: 77). Alla fase innovativa e di personale rielaborazione del linguaggio grafico contemporaneo di Ballester, espressa anche nei bozzetti, segue l’inevitabile scelta del committente che predilige le immagini di più sicuro effetto sulla massa, fortemente legata all’immagine divistica del momento, a partire dal periodo del muto per arrivare alle soglie degli anni Sessanta. “Ballester ha iniziato ispirandosi alla grande tradizione delle affiches teatrali, dipingendo le dive del muto italiano entro un modello di spazio stereotipato, è arrivato via via ad inserire nei suoi cartelloni una doppia prospettiva, con l’attore protagonista in primo piano e una o due scene in secondo piano, organizzate gerarchicamente secondo una loro sintassi” (Babboni e Bini 2024: 83). Lungo tutta la sua carriera, dunque, ha risposto alle esigenze di una committenza che ricercava costantemente la presenza del divo o la diva contraddistinto da caratteri somatici calzanti facilmente identificabili. Dalle pagine di un’intervista concessa a Mario Verdone nel febbraio del 1969, è lo stesso Ballester, infatti, a darne conferma: “Come ho già detto, vi era l’inevitabile”ossessione” dei ritratti dei “divi” (e delle pretese di questi di figurare vistosamente sui manifesti). Era quindi impossibile creare un piacevole soggetto di fantasia che avesse una parvenza di “opera d’arte”, e che non fosse deturpato dall’intrusione di qui volti e dei loro nomi così ingombranti. Perciò la nostra capacità e fantasia di pittori poteva meglio esprimersi sugli “schizzi” che (come il piccolo bozzetto e gli studi che si fanno prima di eseguire un quadro) rappresentano la genuina ispirazione e l’eventuale abilità di ideatori, disegnatori e coloristi” (Verdone 1981: 45). La maggior parte dei manifesti realizzati da Ballester, in tutto l’arco della sua produzione, si sviluppa dunque attorno alla valorizzazione del volto e del corpo delle star mentre il racconto dell’opera cinematografica è richiamato il più delle volte attraverso elementi simbolici, enunciati per sintesi grafica, messi in dialogo con il divo o la diva protagonisti dei film, che insieme alla tavolozza cromatica utilizzata lasciano presagire il genere della pellicola promossa.

Fig. 25 La figlia del mare da Il Gesto, 1917, copertina, stampa, CSAC Fondo Ballester, D045270S

Il complesso sistema di esperienze e di riferimenti culturali che Anselmo Ballester matura nel corso del tempo hanno un minimo denominatore comune volto a creare una gamma di “volti ingombrati” e restituiscono una figura capace di unire pratiche e spunti diversi. Si veda ad esempio la copertina realizzata per Il Gesto (Fig. 25), in cui il pittore propone il primo piano della Marchesa Clelia Antici Mattei, protagonista de La figlia del mare (Clelia Antici Mattei e di Ugo Falena, 1917) (CSAC, Fondo Ballester D045270S), pellicola muta prodotta dalla TESPI Film. La trama racconta di un pittore che su una spiaggia salva la giovane Clelia Antici-Mattei il cui volto gli ricorda quello di una donna amata. Nel titolo è indicato il doppio ruolo della marchesa, come esplicita il paragrafo interno recitante “La marchesa entra così nel novero dell’autrici-attrici dell’arte muta”. Al di là del gioco di parole, l’inciso interno palesa quanto mostra l’immagine di Ballester che traspone graficamente la marchesa, all’interno di una cornice ovaleggiante, mentre sovrasta i flutti del mare e campeggia quale icona incontrastata sulla copertina della rivista con le vesti di una moderna regina longobarda. A fianco è già presente la nota firma distintiva dell’artista, con una “a” minuscola all’interno della “B” maiuscola di Ballester, che ritroveremo costantemente sui manifesti cinematografici per tutta la sua carriera.

Fig. 26 Albert Dieudonné, postcard, stampa fotomeccanica, 132 x 81 mm, CSAC Fondo Ballester, D043490S Fig. 27 Anselmo Ballester, Napoleone, 1927, schizzo, tempera su cartoncino, 83 x 81 mm, CSAC Fondo Ballester, D045183S

L’indubbia abilità calligrafica dell’artista, sul solco di precise fonti e modelli, consente un’approfondita resa del racconto cinematografico, con la visione diretta del girato piuttosto che attraverso le fotografie di scena, che diventano a tutti gli effetti un archivio della memoria e una carrellata delle icone popolari del Novecento. È il caso della cartolina con foto di scena (CSAC, Fondo Ballester D043490S), ristampata in Italia dalla G. B. Falci di Milano (Fig. 26), che vede Albert Dieudonné protagonista del Napoleone (Napoléon, 1927), diretto da Abel Gance, film per cui Ballester realizza una serie di schizzi a tempera. Tra i vari schizzi, quello che su campitura verde propone in primo piano il volto feroce di Napoleone (CSAC, Fondo Ballester D045183S) riflette inequivocabilmente l’aderenza con il primo piano dell’attore voluto da Abel Gance, con i tratti di Dieudonné fedelmente riproposti (Fig. 27). L’aderenza con i primi piani ossessivamente voluti da Abel Gance è sorprendente e la necessità di una fonte iconografica per definire al meglio il volto di Dieudonné indiscutibile. Del resto, Ballester “mutua l’approccio della sua personale messa in scena pittorica non solo dalla tradizione del manifesto a lui coeva, ma anche dal montaggio cinematografico dei primi film, soliti utilizzare le inquadrature in funzione della storia raccontata per aumentare il coinvolgimento e il primo piano come strumento fondamentale per la costruzione psicologica del personaggio” (Babboni e Bini 2024: 77). Indagare le opere finite di Ballester è come scrutare un “cinema ritrovato” (Campari 1981: 11) quello vissuto e visto al suo tempo, quello fissato nei suoi manifesti e quello dipinto e anticipato nei suoi bozzetti, in un sapiente ininterrotto racconto mediato tra cinema e arte, frutto del rapporto incessante tra scrittura cinematografica e scrittura narrativa, tra fonti iconografiche e trasposizione dipinta, mediata e quindi restituita al pubblico attraverso un paesaggio di carta che muta con il variare dei decenni. Guardare alle cartoline della collezione privata di Ballester è come osservare un archivio della memoria, una parte, tra le tante, del processo creativo dell’artista.

3 La cartolina di Anselmo Ballester: veicolo di un messaggio collettivo e promozione cinematografica

Fig. 28 Anselmo Ballester, Olympia, stampa litografica, recto, 150 x 106 mm, CSAC Fondo Ballester, D043479S Fig. 29 Anselmo Ballester, Olympia, stampa litografica, verso, 150 x 106 mm, CSAC Fondo Ballester, D043479S_VS

La cartolina, abitualmente rivolta a una comunicazione transitoria, diventa anche qualcosa di diverso rispetto a quanto analizzato fino ad ora, ovvero un mezzo commerciale per veicolare un messaggio che diventerà parte integrante della visione e dell’esperienza cinematografica di generazioni e generazioni di spettatori. È questo il caso del dépliant-cartolina che Ballester realizza per Olympia (Fig. 28), il film diretto da Leni Riefenstahl, con il verso utilizzabile come cartolina, nel consueto formato 150 x 106 mm (CSAC, Fondo Ballester D043479S_VS). Il film documentario sui giochi olimpici di Berlino del 1936, commissionato dal Comitato Olimpico internazionale, è tradotto da Ballester con la figura nuda di una atleta donna illuminata dal basso, posta al centro di uno stadio, mentre nel mezzo si stagliano i cinque anelli che rimandano ai continenti che partecipano alle Olimpiadi. Sul verso, oltre al consueto spazio per il destinatario, l’enfasi grafica è posta sulle trombe (Fig. 29), che generalmente annunciano l’arrivo della fiamma olimpica, oggi considerata un’antica tradizione ma concepita per la prima volta proprio a Berlino su un progetto, peraltro, elaborato dalla Riefenstahl per conto del Terzo Reich. Il film della regista viene del resto prepotentemente promosso, come ricostruisce Leonardo Quaresima “vinse il Deutscher Staatspreis nel 1938 e la Coppa Mussolini per il miglior film straniero alla Mostra di Venezia dello stesso anno. Altri premi la Riefensthal ricevette in Svezia e in Francia, oltre a un riconoscimento ufficiale da parte del Comitato Olimpico. Olimpia fu distribuito in tutta l’Europa (esclusa l’Unione Sovietica) e inoltre in Cina, India, Giappone, Australia e in quasi tutti i paesi della America latina (non uscì invece negli Stati Uniti). Oltre a quella tedesca furono realizzate altre tre versioni: francese, inglese, italiana. Altre copie furono sottotitolate in 16 lingue diverse” (Quaresima 1984: 90).

Fig. 30 Anselmo Ballester, Olympia, stampa litografica, interno, 150 x 212 mm, CSAC Fondo Ballester, D043479S_01

Nella promozione interna del dépliant (Fig. 30), anche Ballester si adegua al testo recitante: “…questo film rivela con meravigliosa e sorprendente evidenza la bellezza plastica dei muscoli tesi nello sforzo supremo e la fierezza dello spirito incrollabile deciso alla conquista di un primate”, inserendo nei due riquadri in calce una donna e un uomo, entrambi raffigurati a mezzo busto, con l’evidenza dei muscoli in primo piano, quasi a riprendere le novità sugli angoli delle inquadrature e ai primi piani estremi effettuati della Leni Riefenstahl, mentre reggono rispettivamente un giavellotto e la fiamma olimpica. L'angolazione dal basso proposta da Ballester conferisce autorevolezza alle figure e rende omaggio alle tecniche cinematografiche adottate dalla Riefenstahl, con una resa accentuata dei profili che proiettando fuori campo, in altra dimensione gli atleti e la bellezza dei loro corpi.

Ecco, ancora, che Ballester propone al centro due corpi nudi femminili che flettendo la schiena incorniciano i cinque cerchi olimpici per esaltare graficamente quanto Riefenstahl aveva realizzato con Olympia, che come il testo esplicita: “…ha elevato l’inno all’umanità operante. La nuda purezza del corpo umano viene posta dinnanzi agli occhi come un incomprensibile mistero dionisiaco, più bello – perché più vero – dei prototipi dell’arte classica”. Anselmo Ballester si adegua a Olimpya, dunque, promuovendo il culto del corpo ritratto in pose perfette, come lo stesso documentario celebrava. È la perfezione della figura femminile a primeggiare cosi come è il lavoro della Riefenstahl a trionfare, grazie alla bellezza delle riprese e del montaggio, nonché delle tecniche impiegate, di cui si evidenziano gli aspetti innovativi per l’epoca4: “4000.000 metri di negativo girato, 6.000 metri di positivo utile, 43 operatori, macchine da presa automatiche, a catapulta, a rivoltella, subacquee, aeree, sospese a paracadute o a palloni frenati, montate sui carrelli girevoli o aerei, teleobbiettivi e rallentatori, obbiettivi 500, detti”la grande Berta” queste sono le cifre fantastiche dei film Olimpia che Leni Riefenstahl ha realizzato in 16 giorni di ripresa ed in due anni di montaggio, creando il capolavoro della cinematografia” (Quaresima 1984: 90).

Fig. 31 Anselmo Ballester, David e Betsabea, postcard, stampa litografica, 157 x 110 mm, CSAC Fondo Ballester, D043477S

Il dépliant o la cartolina come paratesto, come luogo privilegiato di un’azione sul pubblico che può direzionare il gusto e l’interpretazione del testo filmico, diventa dunque per Ballester non solo un mezzo che compartecipa alla creazione del manifesto, ma esso stesso un mezzo per promuovere una celebrità e veicolare la fruizione di una pellicola.

Anche il film del 1951 di Henry King con Gregory Peck e Susan Hayward Davide e Betsabea (David and Bathsheba), sfarzoso kolossal di tradizione hollywoodiana, con tre candidature agli Oscar, è reso in cartolina da Ballester (Fig. 31) con la trasposizione di un interno arricchito da drappi e colonne con David che seduce e prende per mano Betasbea (CSAC, Fondo Ballester D043477S). Ballester punta l’attenzione sulla meraviglia del Technicolor, dichiarandolo nel titolo (come da vincoli contrattuali imposti dalla società) e facendo ricorso a un’ampia gamma cromatica nella campitura grafica, ben resa dalla stampa a cura della Lito Folletto di Napoli, palesando l’attrattiva che si poteva, dunque, esercitare nei confronti del pubblico italiano con il cinema a colori d’importazione. Non solo, in questa cartolina Ballester è in grado di coniugare il divismo della star con quello del produttore Darryl F. Zanuck, dello sceneggiatore Philip Dunne e del regista Henry King, il cui nome raramente prevaleva su quello degli attori.

Nell’immaginario creato dall’universo di celluloide la cartolina è spesso l’incontro da parte del pubblico con un divo o una diva, con la foto di scena, con la promozione di un film, il culmine di un punto di vista, un vero e proprio invito a vivere dentro a un mondo narrativo. La cartolina è l’esperienza spettatoriale cinematografica che si fa materia, è l’impulso creativo e produttivo dell’artista, è lo strumento unitario del consenso che accoglie e direziona momentaneamente l’interesse dello spettatore.

4 Conclusioni

Fig. 32 Greta Garbo, postcard, gelatina bromuro d'argento su carta, 140 x 90 mm, CSAC Fondo Ballester, D043472S Fig. 33 Cary Grant, postcard, stampa fotomeccanica, 140 x 90 mm, CSAC Fondo Ballester, D043470S Fig. 34 Anna Magnani, postcard, stampa fotomeccanica, 152 x 88 mm, CSAC Fondo Ballester, D043518S

Le cartoline di Ballester, in sintesi, si inseriscono in una pratica che non si limita alla mera riproduzione di immagini esistenti, ma costituiscono anche una riflessione sul cinema stesso. La sua capacità di creare immagini grafiche che riprendono e reinterpretano fotogrammi, ritratti e icone del grande schermo, diventa una forma di “archivio visivo” che aiuta a costruire e consolidare le memorie cinematografiche di un'epoca (Figg. 32-34). I volti delle dive, le pose, i primi piani, tutte queste immagini diventeranno, attraverso il lavoro del cartellonista, ephemera che veicolano una narrativa visiva destinata a un’esperienza collettiva. La riflessione sull’uso delle cartoline della collezione di Ballester evidenzia un aspetto fondamentale del suo lavoro: la capacità di “trasformare” la realtà cinematografica attraverso il filtro della propria arte grafica, reinterpretando le immagini di scena e le fotografie di divi e dive per costruire una sintesi visiva che possa parlare a più livelli. In mano al cartellonista, le cine-cartoline sono più di oggetti da collezione, più di un oggetto atto a trasmettere o trasferire un messaggio “aperto”, più di veicoli pubblicitari; sono parte integrante del processo creativo di un artista che, attraverso il suo lavoro, ha contribuito a definire l’immagine del cinema nel Novecento. Rappresentano un esempio peculiare di come un materiale effimero possa essere al contempo un mezzo di comunicazione, un archivio della memoria e uno strumento di creazione. Attraverso questi oggetti Ballester ha saputo intrecciare la cultura visiva del cinema con una riflessione più profonda sul ruolo dell’immagine nella comunicazione e nell’esperienza cinematografica, dimostrando come anche gli oggetti più fugaci possano avere un impatto duraturo nell’arte e nella cultura visiva.

Fig. 35 Anselmo Ballester, Lettre d'Amour, 1916, postcard, stampa, 155 x 106 mm, CSAC Fondo Ballester, D043478S Fig. 36 Anselmo Ballester Distilleria e fabbrica di liquori Caretti, 1927, calendario, stampa, 105 x 70 mm, CSAC Fondo Ballester, D043483S Fig. 37 Anselmo Ballester Termoletto, postcard, s.d., stampa, 159 x 116 mm, CSAC Fondo Ballester D043482S

Bibliografia

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Fonti

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Fondo Ballester - CSAC dell’Università di Parma


  1. https://www.csacparma.it/ricerca/. Presso il Centro Studi e Archivio della Comunicazione - CSAC dell’Università di Parma sono custodite 2217 opere, tra bozzetti, schizzi, disegni, locandine, manifesti, cartoline che documentano il lavoro di Anselmo Ballester a partire dal 1913, secondo la datazione dell’opera più antica ivi conservata. Il Fondo Ballester presso CSAC è esito di due donazioni, effettuate il 25 settembre 1980 e il 14 giugno 1982, per scelta condivisa delle sorelle Liliana e Gloria Ballester (si rimanda a: Babboni e Bini 2024: 43; 46–51).↩︎

  2. Anselmo Ballester, noto per lo più come pittore di manifesti cinematografici, è attivo anche nel segno della grafica pubblicitaria, realizza infatti loghi, calendarietti, brochure, insegne pubblicitarie e cartoline, per i prodotti più variegati. A titolo esemplificativo appartenenti al Fondo Ballester di CSAC si possono citare ad esempio: (Fig. 35) la cartolina Lettere d’Amoru del 1916 (CSAC Fondo Ballester, D043478S) dove una leziosa dama ancorata a stilemi tardo ottocenteschi sorregge il prezioso taccuino per registrare i momenti e le riflessioni più importanti; oppure (Fig. 36) il Calendarietto per la distilleria e fabbrica di liquori Caretti di Roma (CSAC Fondo Ballester, D043483S), dell’anno 1927, propone un ambiente interno arredato suoi toni del rosso, mentre una bottiglia e un bicchiere da liquore affiancano una giovane donna, comodamente adagiata mentre con apparente indecisione sceglie su un catalogo di distillati. Anche (Fig. 37) la cartolina Termoletto (CSAC Fondo Ballester D043482S) per pubblicizzare il brevetto R. Campisani salute benessere, atto ad agevolare la cura nelle forme reumatiche e ad eliminare dolori da contusioni e distorsioni, mostra una giovane donna, legata a stilemi più contemporanei, mentre l’innovativa coperta con spina elettrica avvolge la figura come un foglio di papiro srotolato.↩︎

  3. https://www.archivioanselmoballester.com/attori/bertini-francesca/ Durante l’81ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dal 29 agosto al 6 settembre 2024, si è tenuta la mostra Anselmo Ballester. Nascita di un archivio a cura di Luca Siano, atta a presentare il sito sopramenzionato istituito nel 2024 a cinquant’anni dalla morte di Ballester per volere degli eredi.↩︎

  4. L’intera vicenda produttiva del film è ricostruita nel dettaglio da Leonardo Quaresima nel volume Leni Rifensthal, Il Castoro, 1984, in particolare sul film si vedano le pagine 74–95.↩︎