Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.25 (2024), 1–7
ISSN 2280-9481

Volti e scene del crimine. Morfologie del giallo italiano tra influssi transnazionali e ibridazioni intermediali

Arianna VergariLink Campus University (Italy)

Giulia ScomazzonIULM University (Italy)

Pubblicato: 2024-08-01

Crime Unmasked: Exploring the Morphologies of Italian Giallo through Transnational Influences and Intermedial Hybridization

1 Pervasività delle narrazioni crime tra realtà e finzione

Questo numero monografico – sviluppato all’interno del progetto PRIN 2020 “Atlante del giallo. Storia dei media e cultura popolare in Italia (1954-2020)”1 – nasce dalla volontà di approfondire una riflessione sulle traiettorie diacroniche e sincroniche che hanno generato modelli identitari e culturali all’interno delle narrazioni crime italiane. Chi sono i soggetti che attraversano gli spazi della detection? Quali figure, reali o finzionali, si impongono e permangono nell’immaginario e in che modo vengono riconfigurate sotto la spinta dei cambiamenti socio-culturali, delle metamorfosi delle prassi produttive e di fruizione e degli scambi e delle influenze transazionali? Che ruolo giocano, in questa cartografia del crimine mediale, i processi di rimediazione e adattamento, l’ibridazione e la vocazione intermediale che portano le narrazioni gialle a circolare in maniera pervasiva tra televisione, cinema, radio, letteratura, giornalismo d’inchiesta e cronaca nera?

Nell’ultimo decennio, il genere crime si è consolidato come un pilastro portante dell’industria culturale italiana. Il mercato letterario nazionale è andato incontro a una nuova fase espansiva in termini di offerta e di fatturato (Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2022 a cura dell’ufficio studi AIE),2 contando stabilmente sul successo commerciale di tre massimi esponenti del genere, fondatori o interpreti di altrettante modalità di narrare il crimine e l’indagine: Andrea Camilleri, Donato Carrisi e Gianrico Carofiglio. La saga del commissario Montalbano, cuore sorgivo e pulsante del giallo mediterraneo, si snoda attraverso ventotto romanzi principali pubblicati da Sellerio nell’arco di ventisei anni (1994-2020), raggiungendo quota quindici milioni di copie vendute solo in Italia. Il ciclo dei gialli legali con protagonista l’avvocato penalista Guido Guerrieri, personaggio creato dall’ex magistrato Gianrico Carofiglio, si compone di sette libri, sempre editi Sellerio, che tra il 2002 e il 2024 hanno raggiunto un totale stimato di copie vendute che si aggira attorno ai cinque milioni. Infine, Donato Carrisi, esponente di punta del thriller psicologico contemporaneo, interprete e debitore di una tradizione statunitense e nordeuropea ben consolidata nell’immaginario italiano, compone cicli più frammentari e meno corposi, per un totale di dieci libri, pubblicati tra il 2009 e il 2022: quattro incentrati sull’investigatrice Mila Vasquez, tre sul penitenziere apostolico Marcus e sull’agente di polizia Sandra Vega e, infine, altri tre con al centro la figura dello psicologo Pietro Gerber. Opere che, sommate agli altri due bestseller trasposti in film dallo stesso Carrisi, La ragazza nella nebbia (2015) e Io sono l’abisso (2020), giungono a una quota di vendite che supera i tre milioni di copie.

Rimanendo all’interno dei confini del mercato nazionale, nello stesso periodo, la Rai, costretta a confrontarsi con l’offerta delle piattaforme video on demand internazionali, ha intensificato la produzione di fiction gialle, divenute il prodotto di punta nel prime time della Rete Ammiraglia. Nel 2023 Le indagini di Lolita Lobosco (2021-), Fiori sopra l’inferno – I casi di Teresa Battaglia (2023-), Imma Tataranni – Sostituto procuratore (2019-), tre serie che vedono come protagoniste tre figure femminili rappresentanti del potere esecutivo e giudiziario, hanno oscillato tra una media di cinque e quattro milioni di spettatori, attestandosi anche come i contenuti maggiormente visualizzati nella piattaforma streaming del servizio radiotelevisivo pubblico (Relazione e bilanci Rai al 31 dicembre 2023)3.

La popolarità del genere si stabilisce con forza anche nell’offerta degli aggregatori post-televisivi e post-radiofonici dove dilagano i format crime, stabili in vetta alle classifiche dei podcast più ascoltati e dei format e delle serie più seguiti e apprezzati dal pubblico italiano. Sostanziale, in questo senso, risulta, soprattutto, la diffusione pervasiva del true crime. Il true crime è un sottogenere storicamente scisso tra tendenze rappresentative scandalistiche, che alimentano nel pubblico sensazioni di paura e rabbia che fomentano visioni politiche reazionarie (Biressi 2001), e modelli culturali alti – si pensi a Capote e a Carrère in letteratura e a Morris e De-Lestrade in ambito cinematografico. A partire dal 2015, sulla scorta del successo negli USA del podcast Serial (2014-2016, 2018, 2024) e della prima stagione di Making a Murderer (2015-2018), prodotta e distribuita da Netflix, il true crime inizia ad affermarsi come prodotto di massa di qualità (Bruzzi 2016), sia sotto il profilo formale, coerentemente con l’innalzamento degli standard tecnici e produttivi della quality tv dei servizi di streaming, sia sul piano dei contenuti, mettendo al centro non più lo smascheramento del colpevole, ma l’ingiustizia sistemica e i limiti e gli errori delle giustizia. Va evidenziato che la metà degli anni Dieci vede proprio negli Stati Uniti, epicentro del nuovo true crime, l’espansione di movimenti di critica e lotta contro la violenza del potere statale inseparabili dalla comunicazione sui social network. Nuovi modi di raccontare il crimine e la sua repressione incrociano traiettorie politiche e prassi comunicative che pretendono dai media un approccio argomentato e consapevole rispetto al funzionamento e alle disfunzioni dell’apparato giuridico.

L’onda lunga di questo nuovo corso, che si sviluppa in un confronto consapevole con i codici estetici e l’impegno civile del cinema di Errol Morris (Scomazzon 2021), tocca per la prima volta l’Italia nel 2017 con il podcast Veleno di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli e si conferma con il successo di pubblico dei podcast Indagini (2022-) di Stefano Nazzi, uno dei contenuti più ascoltati sulle piattaforme online negli ultimi due anni. Allo stesso tempo, circolano con successo e in modo transmediale narrazioni incentrate su casi di cronaca nera che hanno avuto un impatto dirompente nell’immaginario collettivo. La città dei vivi (2020) di Nicola Lagioia e Willy. Una storia di ragazzi (2023) di Christian Raimo, entrambi caratterizzati da una doppia distribuzione, romanzo e audio racconto, criticano l’istanza punitiva che ossessiona l’opinione pubblica italiana.

La sempre maggiore pervasività delle narrazioni del crimine nei media italiani si intreccia a fenomeni internazionali e interseca questioni culturali nodali per la contemporaneità: l'accelerazione dei fenomeni intermediali e transmediali, trainati dagli sviluppi tecnologici e dalla convergenza dei media, il mutamento delle modalità di rappresentazione dell’identità di genere nell’industria culturale occidentale e la crescita dei processi di ibridazione tra produzioni internazionali. Si tratta di questioni con cui, come è ovvio, si confrontano tutti i generi narrativi contemporanei. La specificità del crime consiste, però, nella sua capacità di plasmare un immaginario che incide in modo profondo e diretto sull’idea comune di giustizia e che ha risvolti concreti sulla percezione pubblica dei fenomeni criminali e delle istituzioni e procedure giuridiche reali. La messa in scena della dinamica detective-colpevole-vittima costituisce, infatti, una forma di interpellazione o di interrogazione del pubblico rispetto ai sistemi di credenze e alle pratiche materiali che contribuiscono alla formazione di ideologie dominanti sui temi cruciali della responsabilità, della giustizia e della punizione.

Sia che si tratti della risoluzione finzionale di un mistero per l’appagamento delle aspettative logico-ludiche dei consumatori sia che implichi il confronto con fatti investigativi e giuridici reali, il crime istituisce un nesso necessario e tensivo con la verità. In una prospettiva analitico-pragmatica si può asserire che il crime funzioni come la promessa del disvelamento di una verità dirimente. In questo senso, l’attuale popolarità del genere può fornire uno strumento efficace per analizzare i mutamenti culturali e socio-politici associati al superamento del paradigma postmoderno, inteso come dominio estetico ed etico dello scetticismo e dell’ironia, attraverso il recupero delle nozioni di autenticità e responsabilità (Donnarumma 2011, Malavasi 2017). Il crime contemporaneo ricorre con sempre maggiore consapevolezza a modalità discorsive che fuoriescono dai confini dell’intrattenimento escapista e, a tratti, morboso, a lungo ricondotti a questo genere. In ambito italiano, ad esempio, emerge un interesse originale, sebbene ancora limitato, per il paradigma del procedural e del legal drama, tradizionalmente marginalizzato e/o ibridato con il genere della commedia (Vitiello 2013), nutrendo un’estetica della giustizia ispirata a ideali garantisti che hanno faticato a imporsi nell’immaginario italiano nonostante le evoluzioni dei codici e delle procedure giuridiche effettive (Amodio 2016). Anche l’espansione e l’approfondimento dei modelli identitari messi in campo dalla polarità detective-criminale, nonché dal loro necessario e perturbante fuori campo, ovvero la vittima, favorisce una relazione più complessa e articolata con i fenomeni del crimine e della legge, oltreché con il problema etico e culturale della colpa.

Tuttavia, il superamento del paradigma postmoderno, a cui può essere associata l’impressione di un progresso qualitativo delle narrazioni crime e true crime nel mercato (post)televisivo, è complicato dalla proliferazione della cosiddetta “cultura del dubbio”, esacerbata dalla sovrabbondanza e dall’inaffidabilità delle fonti di informazione nell’era dei social media. L’ossessione nazionale per la rielaborazione narrativa di casi di cronaca nera avvolti nel mistero o generatori di spaccature profonde in un pubblico da sempre diviso tra una maggioranza di colpevolisti e una minoranza di innocentisti si rafforza con la formazione di una “società dell’indagine” (Perissinotto 2008) e col propagarsi delle teorie del complotto.

2 Mappature: linee di tendenza del giallo italiano tra tradizione e innovazione

I saggi qui raccolti evidenziano bene la complessità morfologica del genere nel contesto italiano, restituendo una mappatura, di certo non esaustiva, che riesce però a tener conto sia di una tradizione storica del giallo italiano che delle spinte innovative già visibili nei profondi mutamenti delle esperienze più recenti, in una dialettica tra stereotipi e contro-stereotipi, tra continuità e rotture. Infatti, se da un lato vi è il riconoscimento delle molteplici influenze estere riscontrabili soprattutto in un desiderio di internazionalizzazione – sia che si tratti di un’europeizzazione sulla scia del nordic o country noir o di un’americanizzazione sulla scia della consolidata tradizione noir o hard-boiled – e attraverso cui viene anche nutrita la promessa di una circolazione internazionale, dall’altro lato risulta lampante la ricerca costante di una specificità tutta italiana. La rivendicazione, dunque, di un “made in Italy” che adatta, trasla, riloca gli stilemi, le atmosfere e le figure delle narrazioni crime internazionali, ad esempio ibridandole con la commedia – generando spesso giani bifronte come il “giallo-rosa” – e tramite complessi processi di “localizzazione” (Buonanno 2008, 2012) cucendole addosso a un sistema produttivo che vuole guardare all’autenticità e all’innovazione, ma allo stesso tempo fatica a scrostare la patina dei numerosi cliché profondamente radicati nelle rappresentazioni del nostro paese.

La triade criminale-investigatore/investigatrice-vittima viene esplorata attraverso una molteplicità di approcci analitici e teorici, in un’ottica interdisciplinare, tra paradigmi cognitivi e semiotici, gender studies, così come ricostruzioni storiche e d’archivio. Questo permette di scandagliare sia i tratti monolitici che le stratificazioni, a tratti trasgressive, di queste figure, sempre inserite e analizzate all’interno di una fitta rete discorsiva, di significati socio-culturali suscettibili alle variazioni dei quadri storici e politici, nonché geografici. Proprio lo spazio, ad esempio, è uno dei file rouge che accomuna molti degli articoli del numero, nei termini di location produttive, di ambientazione, ora urbana ora rurale e periferica, di ricollocazioni e geografie identitarie, di dinamiche tra pubblico e privato, oltre chiaramente di spazi simbolici, dal bar alle aule dei tribunali.

Se l’attraversamento dei luoghi diviene pratica espressiva in grado di attivare ulteriori livelli di indagine, non meno pregnante è l’attraversamento temporale con cui, a diversi livelli, si sono confrontati/e gli autori e le autrici dei saggi, confermando la necessità di ripensare la storia del giallo “come chiave privilegiata per rileggere la storia culturale del nostro paese alla luce delle trasformazioni del sistema mediale”4. Una simile storia non può che evidenziare l’inefficacia di ogni progressione lineare cronologicamente sistematica, ma esige salti e rimandi, fratture e interruzioni, delle pieghe di riversibilità attraverso cui costruire nuove genealogie, tramite cui esplorare non solo le permanenze degli immaginari e delle prassi degli anni Cinquanta, Sessanta o soprattutto Settanta nel contemporaneo, ma anche, con un movimento inverso, far luce sul passato tramite le lenti interpretative della contemporaneità. Da questo tracciato risulta ancora l’attualità di un’“Italia dei misteri” che fabbrica adattamenti e rimediazioni, siano essi reali o finzionali. Il fumetto, il romanzo o la cronaca nera sono i principali bacini cui ancora attinge molta narrativa crime televisiva e cinematografica, attuando processi più o meno sofisticati di rimodellamento “contro la tirannia del testo” (Manzoli 2006).

Rimanendo in una prospettiva storica, sicuramente l’avvento della televisione è uno dei momenti cruciali che permette al giallo di ramificarsi nella cultura popolare e attraverso cui una intrinseca natura seriale, che certo non era estranea già al genere letterario, trova una nuova dimora, in configurazioni inedite che intensificano alcuni meccanismi di fidelizzazione, se non proprio di branding (Turnbull 2019 [2014]). E a distanza di anni è ancora la televisione, insieme alle piattaforme, a farsi portavoce di istanze di rinnovamento: emblematico, ad esempio, è il caso della recente proliferazione sul piccolo schermo di personaggi femminili, soprattutto investigatrici. Da questa angolazione, è interessante vedere come il giallo riesca a intercettare e rielaborare i paradigmi della femminilità e mascolinità in determinati periodi storici, attraverso trame e strategie visive che problematizzano il rapporto tra ruoli socialmente prescritti, personaggi e identità di genere (Dresner 2007, Gates 2011, Buonanno 2017, Re e D’Amelio 2021, 2023).

Sicuramente quello del detective rimane il personaggio più imbrigliato nelle evoluzioni del genere, tant’è che “il pervenire della crime fiction alla sua maturità espressiva e artistica nel corso del XIX secolo costituisce in gran parte la storia della maturazione della figura complessa e moderna dell’investigatore” (Calabrese e Rossi 2018: 15). Dilettante o professionista, privato o appartenente alle forze dell’ordine, con saldi principi morali o criminale esso stesso, la figura dell’investigatore ha costantemente trainato l’interesse del pubblico, trascinandolo in complessi processi identificativi tra appagamento ed esorcizzazione (Curti 2022). Proprio il detective è al centro di molti saggi di questo numero. Luca Prono esplora una possibile rifrazione prismatica, nonché seriale, del personaggio dell’Assassino (o Dottore) di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di Elio Petri, intravedendone un antecedente nell’Aldo Marchi de Il bivio (1951) di Fernando Cerchio. Attraverso questa ricostruzione archeologica, che si avvale dei paratesti d’archivio sia inerenti alle fasi di sviluppo dei film che ai giudizi censori, Prono evidenzia la possibilità di storicizzare questa figura, da un lato recuperando l’influenza che il cinema italiano di genere degli anni Cinquanta ha avuto sul successivo cinema d’autore degli anni Settanta, dall’altro individuando dei germi di serializzazione nel viaggio estero che Marchi/L’assassino compiono reincarnandosi in Jude Mazzo, protagonista della sceneggiatura Investigation (1986), scritta da Paul Schrader per un remake americano di Indagine, effettivamente poi mai realizzato. In ambito letterario anche Alessandro Perissinotto e Matteo Pollone, con uno sguardo attento ai meccanismi del mercato editoriale, esplorano l’alternanza tra il ricorso a personaggi consolidati e la necessità di innovazione, dunque tra ripetizione e originalità, focalizzandosi in particolare sulla creazione di due investigatori nell’opera di Loriano Macchiavelli. Da una parte Marco Gherardini, detto Poiana, ispettore della Forestale, protagonista della più recente trilogia del binomio Macchiavelli & Guccini (2011, 2014, 2017) e dall'altro il più celebre Sarti Antonio sergente, apparso per la prima volta nel 1975. Individuando radicali metamorfosi, prima fra tutte il passaggio dalla città all’ambientazione rurale, gli autori esplorano l’universo macchiavelliano alla luce della dialettica tra mondi reali e mondi possibili, senza trascurare il peso narrativo della natura transmediale dei personaggi.

Come accennato precedentemente, però, la crime fiction non è popolata da soli uomini. Sofia Torre e Valentina Re delineano la complessità delle detective donne nel panorama televisivo contemporaneo. La prima utilizza la cornice processuale per analizzare il ritratto di due avvocate e una PM, protagoniste di tre differenti serie tv, ovvero La legge di Lidia Poët (2023-), Circeo (2022) e Il processo (2019). L’incrocio tra sessualità e ricerca della giustizia, sia quella personale che collettiva, diventa il punto privilegiato per analizzare il modo in cui viene articolato un female gaze, tra il tentativo di mettere in scena il desiderio femminile in tutte le sue trasgressioni e la reiterazione di paradigmi conservatori. La detective, così, si configura come luogo di tensioni visuali, politiche e sociali in cui, ancora una volta, risulta nodale l’imbricazione tra la sfera professionale e quella privata, che porta a delle negoziazioni costanti tra un dialogo con le strutture del potere tradizionalmente maschili e il recupero di una dimensione corporea come viadotto per l’appropriazione di un’agency. Valentina Re, invece, nell’analizzare alcune detective televisive, adotta un’altra prospettiva, concentrandosi sul rapporto tra personaggi femminili e ambiente, a partire da una mappatura delle possibili articolazioni attraverso cui questa relazione tra investigatrici e spazi esperiti produce differenti narrazioni. Re esplora l’“eccentricità” delle protagoniste, così come delle location, attraverso un’attenzione non solo alle forme rappresentative, ma anche ai contesti produttivi e ai processi di rimediazione e di influenze transnazionali. Focalizzandosi su due serie tv, entrambe adattamenti di romanzi, ovvero Petra (2020-) ambientata a Genova e Fiori sopra l’inferno – I casi di Teresa Battaglia (2023-) ambientata nel paese immaginario di Travenì, l’autrice esplora la configurazione di inedite geografie affettive, sulla scia di più ampi processi di rilocazione.

Fortemente incentrato sullo spazio è anche il saggio di Marco Grosoli, che sceglie il film La mazzetta (1978) di Sergio Corbucci, adattamento dell'omonimo romanzo di Attilio Veraldi, e insolita ibridazione tra hard-boiled e commedia, per approfondire la morfologia rappresentativa di Napoli in un parallelo con l’opera chandleriana. Sasà Iovine, infatti, come Philip Marlowe a Los Angeles, si sposta avanti e indietro, in un movimento centrifugo che lo porta fuori Napoli, e che di fatto elimina Napoli stessa dalla rappresentazione filmica, insieme alla sua porosità. Così, la natura endemicamente urbana del noir viene travisata, e il cuore della città arriva a coincidere con il bar, uno spazio non geografico, genericamente pubblico, dove la corruzione si “nasconde in bella vista”.

Rimanendo negli anni Settanta ma spostandosi sul panorama televisivo, il saggio di Paola Valentini si focalizza sulla genesi dello sceneggiato I giovedì della signora Giulia (1970), tratto dall’omonimo romanzo (1970) di Piero Chiara, facendone l’occasione per una rivalutazione della creatività intermediale connessa alle scritture del giallo. La figura di Piero Chiara, intellettuale di primo piano nell’Italia del dopoguerra, radicato in un territorio di confine, la Svizzera, che è stato laboratorio di contaminazioni transnazionali, catalizza su di sé questioni fondamentali tra gli anni Sessanta e Settanta. La scomparsa della signora Giulia, solo parzialmente risolta nella riscrittura televisiva, interroga il vuoto valoriale post-ideologico, la paranoia nei confronti del potere e dell’evanescenza del reale imploso nel caleidoscopio delle immagini massmediali.

Paranoia e potere ritornano anche nel saggio di Annalisa Pellino e Federico Selvini, che scelgono di esplorare quella materialità, spesso trascurata negli studi sul giallo italiano, attraverso cui si concretizzano le atmosfere e le scene del crimine e dell’indagine. In una ricognizione che dagli anni Cinquanta e Sessanta arriva a tratteggiare i mutamenti intercorsi con l’avvento del nuovo millennio, l’analisi degli oggetti tecnici e dispositivi ottici e sonori di registrazione e riproduzione consente non solo di evidenziare quello stretto legame tra detection e sorveglianza, ma anche più in generale tra il cinema stesso e le pratiche del controllo. Dai dispositivi emanati da un potere centralizzato fino a quelli diffusi dai processi di democratizzazione della sorveglianza, risulta lampante l’inevitabilità di considerare ancora una volta il giallo come una forma culturale in grado di riflettere i mutamenti significativi del nostro paese.

Un altro fondamentale archetipo delle narrazioni gialle, oltre al detective, è costituito dal criminale, che non funge solo da antagonista, ma in molti racconti si innalza a protagonista, facendo leva sull’intimo desiderio spettatoriale di entrare nella mente del criminale per meglio comprenderne le dinamiche e abbracciarne anche le spinte trasgressive e devianti. Una delle figure più celebri nel panorama italiano è sicuramente Diabolik, comparso per la prima volta nel 1962, ideato dalle sorelle Giussani. Il saggio di Giorgio Busi Rizzi, Rodolfo Dal Canto e Lorenzo Di Paola esplora le strategie estetiche e semiotiche di adattamento e rimediazione che dal fumetto conducono alla recente trilogia cinematografica diretta dai fratelli Manetti (2021, 2022, 2023), delineando i tratti di un vero e proprio diabolikverse, in cui a mutare non è solo il personaggio principale ma anche quello femminile di Eva Kant così come l’ambientazione. Ancorando saldamente i testi ai differenti contesti di produzione e ricezione, a partire ad esempio dal boom economico degli anni Sessanta dove la violenza e l’erotismo del fumetto poliziottesco funzionano come disgregatori delle ipocrisie del mondo borghese, il saggio esplica la natura palinsestuale e intermediale di un criminale che ha segnato l’immaginario italiano.

Criminali sono anche le figure analizzate nel saggio di Alessia Francesca Casiraghi, che indaga il peso dell’ereditarietà della colpa nel coming of age di giovani eredi di organizzazioni criminali italiane al centro di due serie: Suburra. La serie (2017-2020) e Bang Bang Baby (2022). Aureliano, Spadino e Alice appaiono come degli anti-eroi che navigano nelle acque torbide delle loro famiglie e della loro psiche, in un momento cruciale di formazione in cui i processi di soggetivizzazione si scontrano con le imposizioni della legge paterna. Servendosi di differenti metodologie, dal cognitivismo fino agli studi sulla psicopatologia dello sviluppo, l’autrice traccia quei percorsi intricati attraverso cui un’affiliazione mafiosa darwinianamente inevitabile si allinea all’abbandono di una imago genitoriale idealizzata.

Infine, ultima figura analizzata in questo numero è quella della vittima. Arianna Vergari si interroga sull’ossessione del cinema e della televisione italiane a rimediare fatti di cronaca nera con al centro la scomparsa e la morte di giovani donne, attraverso delle narrazioni tradizionali centrate prettamente sull’eroismo maschile, dove la scomparsa o lo smembramento del corpo femminile rispecchiano il bisogno di dominare e neutralizzare le minacce percepite dalla differenza sessuale e dall’abiezione. Il saggio, aprendo anche a un confronto con i paradigmi americani, esplora dunque le implicazioni teoriche socio-culturali inerenti alle rappresentazioni del cadavere femminile, come corpo sensazionale ed ermeneutico, in grado di accogliere e insieme destabilizzare i meccanismi veicolati da determinate norme sessuali e culturali.

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  1. https://atlantedelgiallo.unilink.it/↩︎

  2. https://network.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda105-9396-2023.10.18/Rapporto_2023_sintesi%2018%20ottobre.pdf?IDUNI=4xsecauddsllnktziucrbsdy7674↩︎

  3. https://www.rai.it/dl/doc/1716985918037_Bilancio%20Rai%202023.pdf↩︎

  4. https://atlantedelgiallo.unilink.it/index.php/about/↩︎