Nel 1955, appena un anno dopo l’inizio delle trasmissioni televisive in Italia, lo storico e critico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti si interrogava sulla televisione come fatto artistico. Il suo intervento – pubblicato prima su Mercurio e in seguito sulla rivista SeleArte – si inserisce nell’ampia e ben nota riflessione dello studioso lucchese sulle profonde relazioni tra immagine audiovisive e arti figurative.1 Non sorprende perciò che la televisione attirasse la sua attenzione non solo come elemento sociale e massmediatico, ma soprattutto come possibilità di espansione e sperimentazione dei linguaggi visivi. Sebbene il medium, scrive Ragghianti, non sia ancora stato esplorato in ottica estetica e artistica, ciò non significa che non vi si presti. Se la televisione intende rafforzarsi, deve farlo affidandosi all’elemento creativo e intellettuale, poiché l’interesse per la novità tecnologica, come già accaduto per altri media, svanisce velocemente. La questione della televisione come fatto d’arte – problema “pericoloso e delicato in sé”, poiché richiede rigore di vedute e capacità di analisi – si pone con urgenza, secondo Ragghianti, a tutti coloro che si interessano di immagini nella società contemporanea.
A settant’anni di distanza da questo pioneristico articolo, la relazione tra arte e televisione presenta una ricca tradizione e un’inesausta vivacità. Riconsiderarla in prospettiva sia storica che estetica, compiendo una sintesi esaustiva, è quanto si prefigge e compie brillantemente Francesco Spampinato nel suo volume Art vs. Tv. A Brief History of Contemporary Artists’ Responses to Television, pubblicato da Bloomsbury. Come specifica il sottotitolo, il libro ha un approccio sostanzialmente storico, pur tagliando trasversalmente la materia attraverso alcuni temi nodali.
Dal titolo, invece, emerge subito un elemento fondamentale: quel “versus”, che indica anzitutto una tensione constante tra il medium e le pratiche artistiche che hanno puntato a smontarlo, infiltrarvisi, utilizzarlo a proprio favore, sovvertirlo, riconfigurarlo. Come scrive Spampinato nell’introduzione, gli interventi degli artisti spesso conflittuali, compiuti attraverso forme di resistenza, appropriazione o parodia, compongono “a slow but efficient process of demystification and deconstruction of television as a scopic regime”, come forma visiva della realtà di matrice capitalista e consumista. A questa esplicita tensione si affianca un’innegabile attrazione che spinge gli artisti negli Stati Uniti, in Italia, Regno Unito, Germania o altrove ad accostarsi all’apparato massmediatico e a tutti i fenomeni ad esso correlati. Esempio lampante di questa relazione a doppio taglio, in bilico tra fascinazione e tensione, critica ed emulazione è costituito dalle opere televisive di Andy Warhol, cui il libro dedica ampie sezioni di analisi approfondita.
Le opere e i processi degli artisti che si confrontano con il mezzo televisivo sono presentate come forme di autentica teoria massmediologica in atto, che testa limiti e aporie, potenzialità e problematiche della tv in tutte le sue sfaccettature. Il volume mantiene strettamente intrecciata l’analisi delle opere con i discorsi critico-teorici sui media, a partire dalla fondamentale distinzione deleuziana tra società della disciplina e società del controllo, e dalle riflessioni di Weber sul rapporto tra corpo e spazio implicato dalla fruizione televisiva, con un dislocamento della visione dal corpo (una tele-visione, appunto) che riconfigura la percezione spettatoriale a livello cognitivo ed emotivo. Il rapporto con l’estetica e la massmediologia prosegue richiamando, tra gli altri, Marshall McLuhan, Umberto Eco, Rosalind Krauss, Paul Virilio, Jean Baudrillard, Lev Manovich, Hito Steyerl, in un dialogo serrato e proficuo. Ulteriore elemento del discorso è il portato interpretativo dei curatori delle mostre dedicate ad arte e tv, tappe decisive per fare il punto in un ambito tanto prolifico. Il regesto fornito dall’autore delle esposizioni promosse dal 1969 al 2015 rappresenta uno strumento di grande interesse per il crescente e interessante campo di indagine della storia delle mostre d’arte e della curatela.
Il percorso promosso dal libro ha inoltre il merito di dimostrare come la relazione con il video e la tv sia riscontrabile in movimenti, gruppi, tappe dell’arte ad ampio spettro, dallo spazialismo alla performance, da Fluxus alla body art o all’azionismo: parafrasando il poema e brano musicale The Revolution Will Not Be Televised di Gil Scott-Heron (1970), la molte svolte e identità dell’arte contemporanea sono state invece frequentemente “televised”, e dal dopoguerra l’arte è stata attraversata dal medium tanto quanto la tv è stata oggetto delle pratiche artistiche. Il percorso tracciato da Spampinato spazia dalle prime sperimentazioni con il video in funzione di “anti-televisione” (secondo capitolo) alla divulgazione dell’arte in tv e alla figura dell’artista come celebrity nel sistema socio-culturale moderno (quarto capitolo), dalle forme con cui l’arte si è interfacciata all’informazione televisiva, denunciandone la natura propagandistica e costituendo forme di guerrilla tv (la cui vicenda storica è ricostruita in modo particolareggiato nel terzo capitolo) alle ricodificazioni spesso ironiche, parodistiche, provocatorie di programmi per bambini, soap opera o reality show (quinto capitolo). Si giunge infine, nel sesto capitolo, all’era attuale del producer-consumer (prosumer) e alle più recenti declinazioni del rapporto tra arte e nuovi media come la rete web, le piattaforme di condivisione, i social network, in un panorama fitto di questioni ancora aperte. Che ne è dell’artista in un contesto in cui chiunque può realizzare e diffondere immagini, produrre il proprio podcast e show, creare un canale personale e, citando lo storico slogan di YouTube, broadcast themselves?
Nel tracciare in maniera limpida un quadro esaustivo dei legami storici e concettuali tra arte e tv, il volume di Francesco Spampinato consegna già la risposta: in un’epoca ipermediatizzata nella quale la televisione rappresenta ancora il grande modello per le nuove forme mediali, l’apporto critico, creativo e tensivo degli artisti – per decostruire, riformare, illuminare i media – è quanto mai indispensabile. Se la ricerca artistica sulla tv si connota da sempre, come rileva l’autore nell’introduzione, come indagine sull’incolmabile iato tra realtà e rappresentazione, quando la seconda, in ottica baudrillardiana, sembra sopravanzare sulla prima, questa indagine diviene vitale per non perdere il contatto con la realtà. La funzione di sana demistificazione, di necessaria destrutturazione, di critica radicale o di illuminante reinvenzione operata dagli artisti sui media e sul loro funzionamento è dunque più cogente che mai. Come affermava Ragghianti, la novità tecnologica e la sorpresa sociale introdotte dai media passano in fretta; per radicarli e renderli “adulti” serve l’apporto intellettuale, creativo e critico che vi si infonde per generare – da, con, o contro di essi – qualcosa di nuovo e significativo.
Bibliografia
Ragghianti C.L. (1955). “La televisione come fatto artistico”, SeleArte.19: 25-31.
Carlo Ludovico Ragghianti, La televisione come fatto artistico, “SeleArte”, IV, 19, luglio-agosto 1955, pp 25-31.↩︎