Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.25 (2024), 215–217
ISSN 2280-9481

Schermare il mondo. Francesco Casetti, Schermare le paure. I media tra proiezione e protezione, Bompiani, Milano, 2023

Filippo Giuseppe GrimaldiUniversità degli Studi dell’Aquila (Italy)

Pubblicato: 2024-08-01

Che cosa è lo schermo? È questo l’interrogativo che Francesco Casetti pone al fondo del suo ultimo e fondamentale lavoro, Schermare le paure. I media tra proiezione e protezione.

Cosa significa per gli individui preoccuparsi della propria difesa? In che modo l’idea freudiana – citata da Casetti – secondo la quale “Per l’organismo vivente la protezione dagli stimoli è una funzione quasi più importante della ricezione degli stessi?” (p. 191) può spiegare la nostra relazione con i media? Cosa accomuna e quale bisogno soddisfano i media schermici di epoche differenti? Quali strategie di immunizzazione offrono in un’epoca in cui la fiducia per lo sviluppo della modernità è sostituita da una condizione di resilienza?

Proseguendo e portando a compimento un discorso sul cinema e l’esperienza che rende quest’ultimo libro il capitolo conclusivo di una trilogia che include L’occhio del Novecento e La galassia Lumière, – anch’essi editi da Bompiani – Schermare le paure delinea una geografia mediale che attraversa territori storicamente e spazialmente distanti – il Couvent des Capucines degli spettacoli fantasmagorici, i movie palaces statunitensi e le bolle digitali del XXI secolo – esaminandoli a partire da un elemento comune: lo schermo. È questo il percorso tracciato dal teorico, la cui proposta di considerare i media all’interno del complesso proiezione/protezione rovescia l’idea mcluhaniana di media come protesi che estendono i sensi, favorendo una visione che identifica un medium con un dispositivo protettivo.

Ampliando la riflessione sugli spazi ipertopici della galassia postcinema – ampliamento che implica un ripensamento (in termini foucaultiano-deleuziani) dei media non come dei semplici dispositivi, ma come assemblages che includono lo spettatore in un concatenamento di componenti eterogenee – e approfondendo la relazione tra gli schermi, gli spazi (esteriori) mediatizzati e quelli (interiori) del fruitore, la ricerca medio-archeologica di Casetti è innanzitutto una genealogia dello schermo. Soffermandosi sulla derivazione etimologica del termine, quella di scudo – significato che il termine italiano condivide con la lingua inglese (screen), francese (écran) e tedesca (Schirm) – l’autore ricorda come lo schermo venisse precedentemente considerato come “una superficie che offriva protezione o difesa da agenti esterni […], Era un filtro, un divisorio, uno scudo, una forma di mascheramento” (p. 17). Sono questi i significati, apparentemente desueti, che gli screenscapes contemporanei rilanciano, invitandoci a riflettere retrospettivamente su forme mediali del passato e sulla funzione di filtro delle superfici schermiche.

Suddiviso in cinque capitoli corredati di un’introduzione, un epilogo e di quattro intermezzi dedicati a film esemplari del complesso proiettivo/protettivo – Matinee di Joe Dante, The Most Dangerous Game di Irving Pichel ed Ernest B. Schoedsack, Pleasantville di Gary Ross e gli Screen Tests di Andy Warhol – il testo di Casetti è una meditazione ontologica sui media le cui implicazioni evocano l’ontologia del cinema di Stanley Cavell. Condividendo con il filosofo statunitense la concezione dello schermo cinematografico come barriera che, nascondendo gli spettatori dal mondo che contiene, nasconde il mondo dagli spettatori, Casetti avanza l’ipotesi, fortemente convincente, che questa funzione costituisca lo schema di puro funzionamento dello schermo in quanto oggetto tecnico.

Discostandosi da un’interpretazione heideggeriana che definisce gli oggetti in base all’uso prestabilito e favorendo un’analisi degli schermi che pone al centro il loro funzionamento, Casetti trae ispirazione da Gilbert Simondon per definire l’essenza tecnica dell’oggetto-schermo. Focalizzandosi sulla “presenza di un gruppo di elementi eterogenei che sviluppano connessioni reciproche, e che nel far questo configurano quello che tradizionalmente si definisce un dispositivo o un assemblage” (p. 19), egli osserva come un oggetto tecnico non esista in sé, ma diventi tale in virtù di una serie di disposizioni ed operazioni che ne definiscono il modo di esistenza. Pertanto, “un oggetto diventa uno schermo quando interagisce con un gruppo di elementi ed è connesso con una serie di pratiche che lo rendono tale” (p. 18). Assumendo il pensiero simondoniano come background teorico del suo lavoro, l’autore sottolinea come i processi attraverso i quali l’oggetto diventa schermo si realizzino al punto di incrocio tra un’ambiente tecnico e uno geografico, dando origine a un milieu associé, un ambiente tecno-geografico che contraddistingue il contesto all’interno del quale l’oggetto tecnico svolge la propria funzione.

Muovendo da queste premesse e a partire dal secondo capitolo, Casetti ragiona sulle conseguenze epistemico-ontologiche di un’esposizione indiretta degli individui al mondo, la cui esperienza è parte del processo di innervazione con il quale Walter Benjamin descrive l’inserimento in un corpo individuale o collettivo – un innesto che riconfigura l’organizzazione, il funzionamento e gli obiettivi di un corpo. Innervandosi negli spazi, gli schermi producono un duplice movimento di deterritorializzazione e di ri-territorializzazione spaziale che perimetra “il terreno di gioco di ogni dispositivo” (p. 31).

È a questo punto che la riflessione si sposta dalla componente tecnica alla componente biologica degli assemblaggi mediali; estendendo l’idea, espressa in La galassia Lumière, dello spettatore come elemento dinamico degli assemblages, Casetti teorizza un complesso proiezione/protezione, descrivendo così il meccanismo di disconnessione e riconnessione che permette ai soggetti di avere un contatto a distanza con la realtà. Da un lato, il complesso proiezione/protezione è “ciò che Simondon chiama ‘schema puro di funzionamento’” (p. 35), uno schema che rivela “la logica sottostante a una serie di dispositivi diversi tra loro come la Fantasmagoria, il cinema, il radar, le sale di controllo e le bolle elettroniche” (ibidem); dall’altro, intervenendo sulla protezione e sulla ricezione degli stimoli, il complesso articola delle strutture sensoriali coincidenti con forme di tecno-sensibilità che costituiscono la risorsa fondamentale del complesso proiezione/protezione, spiegandone la logica e la capacità di affrontare le sfide dell’Antropocene.

Da qui l’estrema attualità del libro, che affianca al quesito “che cos’è uno schermo?” una serie di altri interrogativi: quando c’è uno schermo? Qual è la relazione schermo-cervello? In che modo gli schermi convertono gli ambienti mediante atti di enunciazione?

Attivando un dialogo proficuo tra le principali teorie mediali e cinematografiche del passato – da Benjamin a McLuhan, da Epstein a Kracauer, ecc. – e fonti archivistiche meno note che, oltre ad esprimere la cinefilia dei primi teorici del cinema, esprimono la cinefobia di inizio Novecento, Casetti riformula l’idea stessa di mediazione, facendola coincidere con un processo di distanziamento dalla realtà che tuttavia ci riconcilia con essa: “Se i media sono protesi delle facoltà umane, come afferma McLuhan, forse possiamo dire, con un po’ di ironia, che il complesso proiezione/protezione è la perfetta protesi dell’ipotetico organo di Freud” (p. 194). In Schermare le paure, Francesco Casetti pone le basi per uno studio biopolitico degli schermi in grado di gettare nuova luce sul carattere immunitario dei media.