Non immaginavo che la fama di Sarti Antonio, sergente, fosse arrivata fin dentro l’università. Devono aver contribuito la televisione e Oreste del Buono.
Loriano Macchiavelli, A scuola con il killer
1 Il poliziesco e la serialità: un legame sostanziale 1
Se accantoniamo i tentativi un po’ velleitari di individuare addirittura nell’ Edipo Re il progenitore del genere poliziesco e se riconosciamo che Zadig di Voltaire non è un poliziesco, ma un racconto filosofico dove si parla anche (in termini di logica) di soluzione di enigmi, possiamo pacificamente accettare l’opinione condivisa secondo la quale il primo racconto poliziesco della storia sarebbe I delitti della rue Morgue di Edgar Allan Poe (1841). Questo equivale a dire che, fin dalle sue origini, il poliziesco è un genere con una forte vocazione seriale e che l’omogeneità della serie è quasi sempre garantita dalla presenza ricorrente di uno stesso personaggio investigatore. August Dupin, protagonista de I delitti della rue Morgue tornerà infatti in altre due opere a carattere poliziesco dello stesso Poe: Il mistero di Marie Roget (1842) e La lettera rubata (1842). Il suo Epigono, Sherlock Holmes, indagherà per ben sessanta volte (4 romanzi e 56 racconti). Una settantina sono invece le inchieste che Agatha Christie affida a Hercule Poirot e oltre settanta quelle in cui George Simenon fa agire il commissario Maigret. Continuando nella disamina ci accorgeremmo che quasi tutta la letteratura “gialla” punta sulla serialità del personaggio (che tra tutti i tipi di serialità è la più diffusa, ma non l’unica). Questa considerazione ci fa dunque concludere che, per un autore, la scelta di un investigatore (o di una investigatrice) è una sorta di investimento a lungo termine: un personaggio azzeccato, che entra nel cuore dei lettori e, industria cinematografica permettendo, in quello degli spettatori, è un capitale che può essere reimpiegato molte volte. Quante? Ovviamente non esiste una risposta a questa domanda, ma la storia della letteratura poliziesca ci dice che esistono personaggi estremamente longevi e altri di cui gli autori cominciano a sentire il peso. Ancora prima che Stephen King ribadisse che Misery non deve morire, anche se il suo creatore vorrebbe tanto seppellirla per sempre, registriamo decine di tentativi (uno dello stesso Conan Doyle ai danni del grande Sherlock) di uccidere l’eroe di una serie fortunata. Perché sopprimere la proverbiale “gallina dalle uova d’oro”? I motivi possono essere molti: la paura di sentirsi ingabbiati per sempre nello stesso tipo di storie, il dubbio sulla validità delle scelte iniziali, la voglia di fornire al pubblico altri saggi della propria abilità o il desiderio di conquistare nuovi pubblici. A tutto questo si aggiunga il ruolo che, negli ultimi decenni (ma, in particolare negli ultimi anni) la serialità televisiva sta giocando nel decretare il successo di un personaggio (per un approfondimento si veda, ad esempio, il saggio di Sergio Brancato nel volume Storia e teoria della serialità [2024]): un inedito protagonista è dunque un nuovo biglietto per partecipare alla lotteria delle serie TV. Ma è davvero necessario seppellire il vecchio personaggio per far nascere quello nuovo? Ovviamente no e l’evoluzione del mercato editoriale italiano dimostra che la strategia da seguire è ben diversa.
Nel 2022 sono stati pubblicati in Italia 83.950 titoli di libri a stampa […]. Il dato del 2022 conferma quindi l’ampiezza dell’offerta editoriale nazionale: la crescita delle novità rispetto al 2010 è del 37,8%. La crescita della proposta annuale si accompagna all’ampliamento del catalogo vivo oggi pari a 1.393.199 titoli, ampliamento reso possibile dalle possibilità fornite dal commercio elettronico di rispondere a una domanda sempre più frammentata e varia. (AIE 2023: 1)
Un mercato dunque che, sebbene riesca meglio di un tempo a valorizzare il catalogo, continua a puntare sulle novità. Il che, tradotto in termini di strategia autoriale, significa che investire sui personaggi consolidati con un nuovo romanzo di tanto in tanto è una buona scelta per mantenere attuali le precedenti uscite della serie (il catalogo), ma guai a trascurare l’innovazione! E innovare significa anche abbandonare l’idea della fedeltà assoluta a una sola collana o a una sola casa editrice: sempre più spesso si assiste alla presenza di uno stesso autore nella programmazione editoriale di editori diversi e, spesso, a ogni editore si riservano i diritti su una serie differente.
Questo lungo preambolo aveva dunque l’obiettivo di collocare la nascita del personaggio di Marco Gherardini, detto Poiana, all’interno di un quadro di riferimento che è, al tempo stesso, di tipo creativo e di tipo industriale (nell’accezione, per nulla dispregiativa, di “industria culturale”).
2 Il mondo di Poiana
Il sodalizio letterario tra Loriano Macchiavelli e Francesco Guccini inizia con la pubblicazione, nel 1997, di Macaroni, il primo romanzo poliziesco che vede, nel ruolo di protagonista, il maresciallo Santovito. Gli anni Novanta sono quelli della grande rinascita del giallo italiano: nel 1990 esce da Sellerio Carta Bianca, di Carlo Lucarelli, prima inchiesta del commissario De Luca; nel 1994 è la volta del commissario Montalbano, di Andrea Camilleri, con La Forma dell’acqua, sempre per Sellerio. L’editore siciliano è probabilmente il primo a credere che la specificità letteraria del poliziesco di casa nostra si concretizzi soprattutto in uno spostamento dell’attenzione dal mondo urbano, sfondo ideale di buona parte della narrativa del crimine, a quello rurale e montano (nel 1997, sempre Sellerio, pubblicherà il mio L’anno che uccisero Rosetta, ambientato appunto in un paesino delle alpi piemontesi), seguito però a ruota dalle altre case editrici. Mondadori intuisce quindi che la collaborazione tra Loriano Macchiavelli, colui che con la serie di Sarti Antonio ha mantenuto vivo il poliziesco italiano nel suo periodo più difficile, e il cantore (musicale e letterario) dell’Appennino Tosco-Emiliano darà frutti ottimi. E, in effetti, il successo dei romanzi della serie di Santovito è clamoroso, almeno per ciò che concerne i primi titoli. Nel 2007, dopo dieci anni e cinque romanzi, la serie si interrompe. Ma la voglia di raccontare la montagna anche nelle sue pieghe più oscure rimane viva ed è così che nel 2011 esce, sempre a firma di Guccini e Macchiavelli, Malastagione (Mondadori) il primo romanzo avente come protagonista l’ispettore del Corpo Forestale dello Stato Marco Gherardini, detto Poiana. Primo di una serie che avrebbe dovuto essere più longeva e che invece viene condannata a semplice trilogia non tanto dalla volontà degli autori quanto da un’imprevista irruzione della realtà nel mondo possibile della narrazione.
La costruzione di un nuovo eroe del poliziesco implica sempre la ricerca di un delicato equilibrio tra ripetizione e originalità, poiché, contrariamente ad altri generi letterari, il giallo, se vuole essere credibile, non ammette un’infinità di opzioni per ciò che concerne le caratteristiche dell’investigatore. Un romanzo d’amore può vedere, nel ruolo di protagonista, una persona qualsiasi: un commercialista, un’insegnante, uno studente, una pensionata e così via, poiché a tutti è dato di amare e di essere amati; ma quello di investigare, di svelare le trame criminali e di fermare i delinquenti non è un destino equamente ripartito tra la popolazione terrestre. Per dirla nei termini della semiotica greimasiana, il detective deve essere modalizzato attraverso il “Saper–fare” e il “Poter–fare” e, in aggiunta, attraverso il “Voler–fare” o il “Dover–fare”; in altri termini, l’investigatore deve avere le competenze per investigare, il potere per farlo e la voglia (o, almeno, il senso del dovere) di rischiare la vita per scoprire la verità. Malgrado la fantasia degli autori si sia sbizzarrita nell’ideazione dei detective più singolari (tra questi meritano una menzione particolare i gatti investigatori di Lilian Jackson Braun2), la tradizione realistica del giallo letterario accetta con difficoltà le soluzioni improbabili: se a indagare è un dilettante (un’insegnante, una fioraia, un parroco, un autore televisivo…) dotato di un inconsueto “Voler–fare”, quasi sempre al suo fianco c’è un professionista che possiede il “Saper–fare” e il “Poter–fare”. Insomma: direttamente o indirettamente, il poliziotto, il carabiniere, l’avvocato, il magistrato o l’investigatore privato entrano in scena. E allora, tanto vale, invece di relegarli al ruolo di comprimari, farli assurgere ad eroe. È però innegabile che nelle pagine dei polizieschi italiani (e non solo) vi siano molti più commissari di quanti la polizia abbia mai avuto in tutta la sua storia e poco meno numerosi sono i marescialli (primo tra tutti quello di Mario Soldati): come innovare dunque senza rinunciare ad attingere tra le forze dell’ordine? Guardia di finanza e vigili urbani riscuotono scarsa simpatia tra il pubblico. Rimane la Guardia Costiera (difficile però collocarla in Apennino) e il Corpo Forestale dello Stato. Macchiavelli e Guccini decidono allora che il loro nuovo personaggio seriale, Marco Gherardini, sarà un Forestale. Ma qualsiasi scelta è gravida di conseguenze per lo sviluppo dei “Possibili narrativi”. Nel momento in cui viene concepita la nuova serie, il Corpo Forestale dello Stato
svolge attività di polizia giudiziaria e vigila sul rispetto della normativa nazionale e internazionale concernente la salvaguardia delle risorse agroambientali, forestali e paesaggistiche e la tutela del patrimonio naturalistico nazionale, nonché la sicurezza agroalimentare, prevenendo e reprimendo i reati connessi. (Legge n. 36 del 6/2/2004)
Per quanto possa svolgere attività di polizia giudiziaria in ogni campo, la Forestale, tanto nella realtà quanto nell’immaginario collettivo, lega il proprio operato più alla difesa dell’ambiente che non alle indagini per omicidio e, almeno stando alle regole di Van Dine, senza omicidio non c’è romanzo poliziesco. E infatti, Malastagione si apre proprio con l’immagine di un cinghiale con un piede umano in bocca: perfetta sintesi di mondo criminale e mondo rurale. A scoprirlo è Adumàs, paesano con una certa passione per il vino, che nell’intera trilogia assumerà, pur con una certa riluttanza, il compito di aiutante di Marco Gherardini detto Poiana. La scelta dei nomi e dei soprannomi ci riporta tanto all’universo quasi mitologico del primo romanzo di Francesco Guccini (Croniche epafaniche, Feltrinelli, 1989), quanto a quello non meno leggendario della serie del maresciallo Santovito.
Tuttavia, anche se l’immaginario paese di Casedisopra può essere considerato come la trasformazione in chiave di Terzo Millennio del paese, profondamente novecentesco, che faceva da sfondo alla serie precedente, nella nuova “location” i richiami alle tensioni ancestrali o alle antiche faide di un’umanità segregata tra le montagne sono semplici elementi di colore e non partecipano alla costruzione tragica del crimine. Anzi, la stessa dimensione tragica sembra lasciare il posto a un certo clima di commedia, a una certa indulgenza verso il cosy–crime (quello che in Italia abbiamo lungamente definito “giallo–rosa”) e anche il protagonista, piuttosto ben disposto verso le avventure erotico–sentimentali, sembra indicarci questa via. Beninteso, in questa considerazione non c’è alcun giudizio di valore: nella storia del poliziesco dramma e comicità hanno dato luogo, mescolandosi, ad autentici capolavori (si pensi al ruolo dell’ironia o del sarcasmo nell’hard-boiled). Prestare attenzione a questo aspetto significa solo mostrare come le caratteristiche di base del personaggio seriale condizionino le scelte tematiche e stilistiche. Se a scatenare gli istinti criminali nella serie del maresciallo Santovito era quasi sempre il ritorno di un passato mai pacificato, nella trilogia di Poiana è la contemporaneità a farla da padrona: la speculazione edilizia in Malastagione, la devastazione dell’ambiente montano in La pioggia fa sul serio (Mondadori, 2014) e lo strano rapporto tra abitanti storici e nuovi montanari (sospesi tra ideali hippy e cultura new age) in Tempo da elfi (Giunti, 2017).
A proposito della dialettica tra “locali” e “forestieri” tipica delle ambientazioni rurali è interessante notare come la scelta di un Ispettore della Forestale abbia permesso ai due autori di superare il cliché del protagonista “straniero” inviato in montagna per punizione (è, il caso, ad esempio, del Vicequestore Rocco Schiavone di Antonio Manzini). Quello di Marco Gherardini è lo sguardo di uno che ama il paese in cui agisce, che lo ama da sempre e che lo capisce e che desidera difenderlo dalla modernità. E questo è sicuramente uno sguardo originale.
Nel privilegiare un’ambientazione rurale per una serie poliziesca bisogna però fare i conti con una sequenza di problemi e di peculiarità (si legga a questo proposito il bel saggio di Alice Jacquelin, sulla “territorializzazione del poliziesco europeo” [2022]); il primo di questi è la verosimiglianza. Come la Cabot Cove di Jessica Fletcher (3500 abitanti) sembra avere un tasso di omicidi superiore a quello dei peggiori quartieri di Detroit o di Città del Messico, così Casedisopra appare come uno dei luoghi più criminogeni d’Italia. Gherardini è un Forestale, non può essere incaricato dai superiori o dalla magistratura di indagini su gravi reati: per potersi occupare di un caso di omicidio, Poiana deve praticamente imbattersi nel cadavere e a Casedisopra non dovrebbe essere così usuale trovare corpi senza vita sui sentieri. Prima o poi, quindi, la serie avrebbe dovuto affrontare questo problema, ma, come dicevamo, a porre fine alle indagini dell’ispettore Gherardini è una violenta irruzione del reale nell’immaginario: nel 2015, il Disegno di Legge “Riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche” stabilisce che il Corpo Forestale dello Stato venga riassorbito in un’altra forza di polizia e il 31 dicembre 2016, la “Forestale” smette di esistere, trasformandosi in “Comando per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare” all'interno dell'Arma dei Carabinieri. Poiana potrebbe dunque riprendere a indagare come Carabiniere, ma, a quel punto, le specificità del personaggio si perderebbero e diventerebbe uno dei tanti marescialli della serialità italiana: uscito nel 2017 e ambientato presumibilmente nel 2016, il terzo volume della trilogia, Tempo da elfi, dedica ampi spazi alla confluenza della Forestale nella Benemerita e appare evidente che Marco Gherardini, detto Poiana, di diventare carabiniere non ha alcuna voglia. Talvolta, anche i più attenti sforzi nella costruzione del personaggio seriale possono rivelarsi dei cattivi investimenti per colpa di elementi esterni alla creazione letteraria, a riprova di quanto esile sia, soprattutto nel poliziesco, la barriera tra mondo reale e mondo possibile.
3 Nascita, morte, resurrezione e molte vite di Sarti Antonio, sergente
L’attenzione alle specificità delle forze dell’ordine italiane non è però una delle preoccupazioni di Macchiavelli quando, quasi per gioco, all’inizio degli anni Settanta crea Sarti Antonio, il questurino colitico e irascibile che vede la luce in Le piste dell'attentato (Campironi, 1974). Sarti Antonio è infatti un “sergente”, grado assente nella suddivisione gerarchica della polizia italiana, allora come ora. Eppure, questa figura apparentemente incongrua diviene ben presto un personaggio-chiave nel panorama del giallo italiano. Il ciclo di romanzi a lui dedicati anticipa infatti quelli di Renato Olivieri con il commissario Ambrosio o quelli di Luciano Secchi con Riccardo Finzi (entrambi nati nel 1978), per citare solo due dei personaggi seriali destinati a ritornare più volte nelle librerie negli anni successivi. Più in generale, l’esordio di Macchiavelli precede quello di molti protagonisti della narrativa poliziesca di fine secolo, da Attilio Velardi ad Andrea G. Pinketts, da Andrea Camilleri a Carlo Lucarelli. Oggi, insieme a Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Macchiavelli è normalmente considerato il “padre” del nuovo giallo italiano.
Riprendendo quanto detto in precedenza, nei romanzi del “ciclo bolognese” di Macchiavelli, lo schema è quello già evocato del dilettante coinvolto in un’indagine, con la differenza che in questo caso il dilettante è il comprimario: Rosas, studente (e in seguito docente) universitario, extraparlamentare di sinistra, che possiede le capacità di ragionamento e analisi che mancano al fondamentalmente ottuso questurino. I casi sono quasi sempre risolti in coppia, ma è Rosas a dimostrarsi determinante nell’arrivare a una conclusione logica nella ricostruzione di ogni delitto.
Al di là della creazione di un’insolita coppia di investigatori (specie in anni in cui i militanti politici di sinistra e i poliziotti erano decisamente in contrasto, spesso violento), la peculiarità più rilevante dei romanzi che Macchiavelli dedica a Sarti Antonio è la presenza ingombrante di un narratore che non si limita a chiosare, in prima persona, i fatti che racconta, ma che più di una volta interagisce direttamente con il personaggio. Fin dalle prime righe di Fiori alla memoria (Garzanti, 1975), secondo volume della serie, si possono leggere passaggi come questo:
Un bel giorno Sarti Antonio, sergente, esce dal bagno, si tiene le mani sulla pancia e mi dice: Vado da «lui» e gli chiedo il trasferimento. Quando è arrabbiato lo chiama «lui». Io gli dico: – Fai bene! – Si massaggia un po’ e fa una smorfia: – Altro che colite! Quello mi fa morire… Ma io non ne ho nessuna voglia. Lo guardo in faccia e lo vedo un po’ giallo: – La colite? – E cosa se no? – Ci pensa sopra e continua a massaggiarsi. Dice: Ieri sera mi ha fatto venire una crisi di nervi e adesso soffro le pene dell’inferno. Proprio ne ho abbastanza! – Così lo porto in ottoecinquanta fino alla Centrale; durante il viaggio Sarti Antonio, sergente, riprende un po’ di colore, con l’aria fresca che gli entra dal finestrino abbassato. […] Al ritorno, l’ottoecinquanta la guida lui e non apre più bocca. Gli chiedo: – Va meglio con la colite? Non vi dico quello che mi risponde perché riguarda la mia persona e non la presente storia. Non mi preoccupo e continuo: – Potevi parlargli del trasferimento… Ho proprio paura che, stavolta, quello che mi risponde riguardi anche la presente storia e le storie future.
Come si è detto, a rivolgersi al personaggio non è un co-protagonista, bensì il narratore stesso. Questa propensione alla metalessi si intensifica via via che la serie procede: nel terzo romanzo, Ombre sotto i portici (Garzanti, 1976), tra i sospettati fa capolino anche un certo Loriano Macchiavelli, “scrittore di teatro e di gialli”, separando così nettamente l’autore dal narratore3. Quest’ultimo, nel ciclo dei polizieschi di Sarti Antonio, assume da un lato la funzione di un classico narratore onnisciente, capace di congiungere il racconto a un contesto più ampio, sociale e ambientale (in questi romanzi viene messa in grande rilievo la città di Bologna, con i cambiamenti che attraversa su un piano politico e soprattutto urbanistico), ma al contempo si dimostra solo un modesto testimone degli avvenimenti, caratterizzato da una serie di limiti riconducibili alla parzialità dell’esperienza umana. Il narratore non riesce a comprendere cosa Rosas abbia in mente quando, come i più classici detective della letteratura gialla, dimostra di essere giunto a conclusioni che non condivide con nessuno, o deve incalzare Sarti Antonio (l’unico che gli risponde) perché incominci a riflettere a voce alta, mettendo a parte lui e il lettore dei suoi piani, dei suoi ragionamenti, delle sue ipotesi.
Per quanto Macchiavelli illustri la nascita di un narratore così inusuale nella letteratura popolare di genere ricorrendo all’influenza di Brecht (“ho sempre amato moltissimo il teatro di Brecht, il teatro politico, il modo di scrivere di Brecht; e credo di essermelo portato dietro e di averlo travasato nella scrittura del romanzo poliziesco” [Rai Cultura 2018]), va però sottolineato come la debolezza e la parzialità dell’istanza narrante, che non ha presa sulla vicenda ed è incapace di intervenire sul narrato, mescolata alla malleabilità del piano diegetico, avvicini decisamente Macchiavelli alle prassi della postmodernità. La natura postmoderna della produzione di Macchiavelli si farà via via più marcata man mano che la serie procede, soprattutto nei romanzi e nei racconti pubblicati negli anni Ottanta.
Vi è, prima di tutto, l’esplicitazione di un debito nei confronti del mystery canonico, che la voce del narratore, ambiguamente posto in uno spazio tra l’allodiegesi e l’eterodiegesi, conferma. Come l’amico di Auguste Dupin, come il dottor Watson o come il capitano Arthur Hastings, anche il narratore di Macchiavelli assume la posizione del testimone, pur configurandosi come esterno. In tale scelta si manifesta una continuità “manierista” con i modi del poliziesco classico. Il narratore di Macchiavelli, che fatica a comprendere i ragionamenti e le strategie dei suoi personaggi, che occupa spazio pur non avendo un corpo (in macchina prende posto nel sedile posteriore, in questura osserva gli scambi tra i personaggi in piedi perché ovviamente non c’è una sedia per lui, etc.), non è in fondo troppo diverso dal biografo di Philo Vance nei romanzi di Van Dine: una figura di cui il lettore non sa nulla, che non prende mai la parola, che agli occhi di tutti è come invisibile, identificato in tutto e per tutto con una funzione all’interno del racconto.
Il rapporto con i classici del giallo è poi inscritto nella parabola stessa del personaggio di Sarti Antonio, che come Sherlock Holmes finisce per diventare insopportabile agli occhi del suo creatore. La soluzione di Macchiavelli è prima di tutto quella che oggi si chiamerebbe un’“espansione” dell’“universo narrativo” del “ciclo bolognese”: in L’archivista (Mondadori, 1981), in Una lama tra le nuvole (il Messaggero, 21 giugno – 23 agosto 1986, 14 settembre 1986) e in Sarti Antonio e il malato immaginario (2000 Incontri, nn. 1/2 –6, gennaio/febbraio-novembre/dicembre 1987; n. 11, novembre 1988) il protagonista è Poli Ugo, un collega di Sarti Antonio; quest’ultimo è ridotto a comprimario. Una scelta più drastica, paragonabile a quella di Doyle, è infine quella di uccidere la sua creazione. Così, nell’ultimo capitolo di Stop per Sarti Antonio (Cappelli, 1987), il questurino è tenuto sotto tiro dall’ambiguo agente segreto americano John Smith:
Io so che John Smith tirerà il grilletto. Non posso vedere la fine di Sarti Antonio. Assieme a lui ho passato una buona parte di vita. Me ne vado.
Nelle righe successive, Macchiavelli immagina la testa di Sarti Antonio aperta dal colpo ravvicinato di arma da fuoco, ma, come in Il problema finale (1893) di Doyle, la morte del personaggio avviene in realtà fuori campo:
Quel colpo di pistola! Io l'ho inteso. Se n'è andato. Sarti Antonio, sergente, se n'è andato. Convinto, fino all'ultimo, che l'americano non gli avrebbe sparato. È una consolazione? Forse per lui, che non sa di essere morto. E io? Di chi scriverò, ora? Se n'è andato un personaggio al quale ero affezionato. Di più, molto di più. Se n'è andato e non saprò mai il perché. Non saprò mai cosa avesse scoperto per meritare la morte.
Questo finale illumina un altro aspetto del poliziesco secondo Macchiavelli: l’ambiguità delle soluzioni (o almeno di quelle dei romanzi di questo periodo), che minano il rigore del procedimento poliziesco e si aprono esplicitamente al gioco metanarrativo. La morte del protagonista fa di Stop per Sarti Antonio un giallo privo di soluzione, al punto che l’autore aggiunge una postilla nella quale si rivolge direttamente ai lettori:
Chi ha seguito gli avvenimenti sulla carta, non è da meno di Sarti Antonio, sergente. Per me la storia è finita con il colpo di pistola; non ho altre curiosità e mi terrò i punti interrogativi. Non sono acuto come Rosas, non sono testardo come Sarti Antonio, non sono paziente come voi e, per dirla come va detta, non me ne importa nulla. Ora. Siete persone perbene e non vi serve, come serviva ai vostri nonni, l'ultimo capitolo nel quale l'acuto investigatore metteva sul tavolo la soluzione di un mistero a tutti i costi. […]
Lasciamo i giochi dove sono e passiamo oltre, passiamo al prossimo romanzo. Ma se proprio c'è chi ama il rischio o pensa che qui qualcuno abbia barato e vuole scoprire le carte ad ogni costo, mandi una lettera all'editore e protesti; l'editore mi costringerà, pena la trattenuta dei diritti d'autore, a scrivere il XXII capitolo e lo invierà ai coraggiosi, a chi non si fida e non è convinto fino in fondo.
Questa nota di chiusura, esplicita parodia della “sfida al lettore” presente nei primi romanzi di Ellery Queen, porterà effettivamente, l’anno successivo, alla pubblicazione di La fine di “Stop per Sarti Antonio” sulla rivista Febbre gialla (n. 2, aprile 1988).
La sfiducia nei meccanismi del poliziesco è per Macchiavelli prima di tutto una sfiducia di natura politica, specie nei romanzi pubblicati dopo la strage del 2 agosto 1980, più volte citata in racconti e romanzi e cruciale in Stop per Sarti Antonio; è la sfiducia di un autore (di sinistra) che si dà al giallo negli anni di piombo, con i loro depistaggi, insabbiamenti e verità negate o fabbricate. Sul piano del racconto, però, questa sfiducia assume la forma di un gioco con il genere, come già dimostrato nel romanzo che precede Stop per Sarti Antonio, Sarti Antonio e il malato immaginario, nel quale al mistero vengono date tre soluzioni: una da parte di Poli Ugo, il protagonista, l’altra da Sarti Antonio, e la terza dal narratore:
non me la sento di prendere per oro colato le decisioni di Poli Ugo, vice ispettore aggiunto, e di Sarti Antonio, sergente. Lo stesso dovrebbe fare il lettore, visto che gli scrittori di storie d'indagine (e anche gli altri) barano (ed è il momento di proclamarlo forte e senza falsi pudori) e con le righe scritte fanno ciò che vogliono e che più conviene.
Questa esasperazione della dimensione ludica del poliziesco (che si fa largo contemporaneamente all’incupirsi delle storie raccontate, meno divertenti rispetto a quelle degli anni Settanta) trova piena realizzazione in quello che nel citato finale di Stop per Sarti Antonio è citato come il “prossimo romanzo”. La rosa e il suo doppio (Cappelli, 1987), il libro che Macchiavelli pubblica dopo la morte del suo personaggio più celebre, è una risposta al (o un “palinsesto del”) più celebre romanzo postmoderno italiano, Il nome della rosa (Bompiani, 1980) di Umberto Eco, di cui ripensa il finale (in maniera non dissimile da ciò che farà anni dopo Pierre Bayard con L'assassinio di Roger Ackroyd [Christie 1926] e Il mastino dei Baskerville [Doyle 1901-1902]) intrecciando però diversi livelli di finzione: quello da lui stesso proposto, quello del romanzo di Eco e quello della trasposizione cinematografica di quest’ultimo, Il nome della rosa (The Name of the Rose, Jean–Jacques Annaud, 1986). Per quanto La rosa e il suo doppio sia forse “il più sperimentale […]; sicuramente il più ambizioso” (Carloni 2004: 108) dei romanzi di Macchiavelli, esso rappresenta più che altro l’estremizzazione di soluzioni già presentate dall’autore all’interno dei suoi romanzi e racconti polizieschi4.
Prima di tutto, la progressiva affermazione di Macchiavelli all’interno del panorama del romanzo popolare italiano fa sì che l’autore possa giocare, nelle storie del ciclo bolognese, con il mondo dell’editoria. È il caso dei racconti L'assassino è al telefono, pubblicato su TV Sorrisi e Canzoni nel 1982 e inizialmente intitolato Hanno ucciso Oreste del Buono (la versione originale vedrà la luce solo quindici anni dopo, in Rambelli e Camerlo 1997), e di Un affare in alto mare, ambientato durante il Mystfest di Cattolica del 1986, nel quale Sarti Antonio incontra Cornell Woolrich, in realtà morto nel 1968:
«Sono felice di rivederla, signor Cornelio». «Anch’io. Un italiano molto gentile.» Porge a Sarti Antonio un libro: «Questo mio libro per ricordo». Il titolo è in inglese, naturalmente: Deadline at Dawn, di Cornell Woolrich. «Non potrò leggerlo, ma lo conserverò con cura. Che le darò in cambio?» «Un altro libro poliziesco di autore italiano molto bravo. Tale Loriano Macchiavelli. Il titolo è: Un diavolo per capello. Parto domani, signor Sarto.» «Avrà il libro.»5
Un’apertura ulteriore dell’autore è quella nei confronti del fumetto e dell’illustrazione. Se il già citato Sarti Antonio e il malato immaginario è pubblicato con illustrazioni di Magnus, due anni prima, nel 1985, su Orient Express, Sarti Antonio diventa anche un personaggio dei fumetti. Luigi Bernardi, fondatore e direttore della rivista, presenta così la riduzione di Le piste dell’attentato a opera del futuro giallista Gianni Materazzo:
Sarti Antonio, sergente in servizio alla questura di Bologna, è personaggio giustamente famoso presso gli aficionados di narrativa gialla. Di lui, Loriano Macchiavelli ha già scritto quasi una decina di exploit (che potrebbe essere un record di durata per il nostro paese, così asfittico nel proporre serial che non campino una sola stagione). Sarti Antonio è anche protagonista di avventure televisive e, hic et nunc, fumettistiche: un uomo a più dimensioni, quindi, proprio come si addice agli eroi del nostro tempo. (Bernardi 1985: 4)
Più interessante, però, è il rapporto del “ciclo bolognese” con la televisione. Nel 1978 Rai Due trasmette le quattro puntate di Sarti Antonio Brigadiere, uno sceneggiato tratto dal romanzo Passato, presente e chissà, pubblicato da Garzanti nello stesso anno con una copertina che rimanda inequivocabilmente alla serie (nella grafica, il fotogramma di una pellicola sembra uscire da un televisore: su di esso, una foto di scena con Massimo Dapporto, Armando Marra e Flavio Bonacci, rispettivamente Rosas, Felice Cantoni e Sarti Antonio). Per quanto nata sotto i migliori auspici, la miniserie delude profondamente Macchiavelli: ne nasce una polemica con il regista, Pino Passalacqua (anche autore della sceneggiatura, con Marco Zavattini) sulle pagine del Radiocorriere TV, e la successiva vendetta dell’autore, che si fa beffe della televisione in Sarti Antonio: un diavolo per capello. Nel romanzo, infatti, Sarti Antonio è chiamato a interpretare sé stesso all’interno di una produzione TV, e a obbedire alle direttive dell’ottuso regista Pino Acquachiara. Se qui il rimando al mondo televisivo, per quanto platealmente inverosimile (nonché piuttosto slegato dall’intreccio poliziesco) è del tutto interno alla narrazione, diverso è il caso dei riferimenti alla messa in onda della ben più celebre serie L'ispettore Sarti, con Gianni Cavina, andata in onda tra il febbraio e il maggio 1991 sempre su Rai Due.
La serie riprende il personaggio a tredici anni di distanza da Sarti Antonio Brigadiere e a tre dal film L’archivista, dedicato a Poli Ugo (interpretato da Flavio Bucci; Sarti Antonio appare in un paio di scene, ancora interpretato da Flavio Bonacci), scritto dallo stesso Macchiavelli con Gianluca Farinelli e Nicola Mazzanti, girato nel 1985 (ma trasmesso su Rai Uno solo nel 1988) e tratto dal racconto Papà svanito nel nulla. Misteriosa scomparsa dell'imbianchino buono (Il Resto del Carlino, 30 luglio 1983). Se nelle interviste e nella promozione dell’epoca si insiste sul confronto tra L'ispettore Sarti e il poliziesco televisivo prodotto all’estero (è lo stesso Cavina a specificare che il questurino è “un poliziotto diverso da tutti gli altri, non è un superuomo alla maniera dei detectives americani né un pacioccone alla Derrick” [Scaringi 1991: 29]), il raffronto va condotto all’interno del panorama nazionale, che dalla seconda metà degli anni Ottanta sembra proporre al pubblico un poliziesco che guarda consapevolmente al passato, spesso con il rassicurante puntello dell’adattamento letterario: nel 1984 (lo stesso anno in cui debutta la prima stagione del ben più innovativo La piovra) Rai Due trasmette i sei episodi di I racconti del maresciallo, da Soldati, sedici anni dopo lo sceneggiato omonimo interpretato da Turi Ferro; nel 1991, su Rai Uno, Ugo Tognazzi torna protagonista di una serie poliziesca, Una famiglia in giallo, a vent’anni da FBI - Francesco Bertolazzi investigatore, e dopo il tentativo abortito di dare corpo a un ciclo di adattamenti dei romanzi di Renato Olivieri dedicati a Giulio Ambrosio (I giorni del commissario Ambrosio di Sergio Corbucci, 1988, pilot per la serie, è distribuito con scarso successo nelle sale).
Considerando anche che Sarti Antonio è ufficialmente morto nel 1987, L’ispettore Sarti è perfettamente in linea con questa revisione nostalgica del giallo letterario, cinematografico e televisivo italiano, che avrà il suo coronamento con A che punto è la notte, la miniserie di Nanni Loy trasmessa su Rai Due alla fine del 1994, e in cui Marcello Mastroianni torna a vestire i panni del commissario Santamaria di Fruttero e Lucentini a diciannove anni di distanza da La donna della domenica (1975) di Luigi Comencini. In questo senso, eloquente è in L’ispettore Sarti la figura di Rosas (Tino Schirinzi), che da giovane militante dei romanzi viene qui decisamente invecchiato, proiettando la stagione delle lotte politiche in un folcloristico e innocuo passato. Grazie anche alla presenza di Cavina, così come accade nelle serie citate o nel coevo Un commissario a Roma (Rai Uno, 1993), interpretato da Nino Manfredi, il protagonista appare idealmente erede della commedia all’italiana e dei suoi gialli, da Il commissario (1962) di Luigi Comencini a Il commissario Pepe (1969) di Ettore Scola.
Nei romanzi, il primo riferimento a L’ispettore Sarti si ha nel 1985, quando il progetto è ancora in fase embrionale. In Sarti Antonio: rapiti si nasce (Garzanti–Vallardi, 1985), il narratore si trova ad “assistere” un malandato Sarti Antonio, sequestrato da mani ignote:
Si rannicchia sul pavimento e se ne sta finalmente calmo a battere le ginocchia fra loro, per il freddo. Mi fa pena e non posso fare a meno di regalargli una coperta.
«Copriti con questa e vedi di non morirmi proprio adesso che la TV ha chiesto di te».
Questo accenno, probabilmente incomprensibile ai lettori dell’epoca, incamera la dimensione multimediale del “ciclo bolognese” nel piano diegetico cui fa riferimento il narratore, il quale, ovviamente, ne fa partecipe il personaggio. Quando la serie sarà messa in onda, con successo, Macchiavelli sarà costretto a “resuscitare” Sarti Antonio. L’ispirazione, ancora una volta, viene da Doyle. I cinque racconti pubblicati nel 1991 sono tutti ambientati prima di Stop per Sarti Antonio, così come Il mastino dei Baskerville si svolge prima di Il problema finale. Ma quando la serie televisiva viene rinnovata per una seconda stagione, in onda tra il maggio e il giugno 1994, ecco che a Macchiavelli tocca scrivere il suo L'avventura della casa vuota (1903) e riportare ufficialmente in vita Sarti Antonio. Il romanzo breve che vede il ritorno del questurino dall’aldilà è La Ghironda dagli occhi azzurri (in Sarti Antonio un poliziotto una città, Mondadori, 1994). Significativamente, il primo capitolo si intitola Come ho rincontrato Sarti Antonio:
Ci rimango male: Sarti Antonio, sergente, sorride dal piccolo schermo e fa il divo e spiega agli spettatori questo e quello. Non dovrebbe essere lì! L’ho lasciato nell’appartamento di Irene, dinanzi alla canna di una pistola e sapevo, ero certo che John Smith avrebbe tirato il grilletto. Me ne sono andato per non assistere alla sua fine.
“Quel colpo di pistola! Io l’ho inteso.”
[…]
Mi sono rattristato prima del tempo e senza ragione: Sarti Antonio, sergente, mi sorride dallo schermo televisivo e spiega, spiega… A me dovrà semplicemente spiegare cos’è accaduto nell’appartamento di Irene; dovrà raccontarmi del colpo di pistola che ho inteso mentre me ne andavo; dovrà dirmi dov’è finito il proiettile e che ne è stato di John Smith e perché adesso lo chiamano “ispettore”. Per me è e resta “sergente” e, dal momento che me lo ritrovo fra i piedi, tanto vale che mi ci rimetta dietro. Se non lo faccio io, lo farà qualcun altro. E certamente peggio di come lo farò io.
Se in Doyle, che pubblica L'avventura della casa vuota nel 1903, la resa dell’autore nei confronti della popolarità del personaggio (che sembra vivere di vita propria) è implicita, Macchiavelli, quasi un secolo dopo, può invece permettersi di renderla manifesta: “mi ero illuso di essere autosufficiente – conclude – e di poter fare a meno di lui. Ma non sono io quello che conta, quello che può fare e disfare. No, il protagonista è lui, Sarti Antonio, sergente. O ispettore, fate voi, come vi piace”.
Bibliografia
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Bayard, Pierre (2008). Il caso del mastino dei Baskerville. Milano: Excelsior 1881.
Bayard, Pierre (2009). Chi ha ucciso Roger Ackroyd?. Milano: Excelsior 1881.
Bernardi, Luigi (1985). “Noi & voi.” Orient Express 28.
Brancato, Sergio (2024). “Post-serialità cinetelevisiva. Strategie della narrazione tra mass media e new media.” In Storia e teoria della serialità, a cura di Sergio Brancato, Stefano Cristante ed Emiliano Ilardi, II, 107–136. Milano: Meltemi.
Carloni, Massimo (2004). “Dizionario delle opere e dei personaggi di Loriano Macchiavelli.” In Loriano Macchiavelli. Un romanziere una città, a cura di Massimo Carloni e Roberto Pirani. Bologna: Pirani bibliografica editrice.
Jacquelin, Alice (2022). “Territorialisation du polar européen, entre représentation pittoresque et écriture des marges.” Belphégor [En ligne], 20-1, mis en ligne le 16 août 2022, consulté le 08-05-2024. https://doi.org/10.4000/belphegor.4635.
Rai Cultura (2018). “Loriano Macchiavelli e lo straniamento brechtiano”. https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2018/12/Loriano-Macchiavelli-e-lo-straniamento-brechtiano-860f42d9-5d36-42b8-849a-9e4fbc4047b7.html.
Rambelli, Loris e Elisabetta Camerlo (1997). Delitto per iscritto: il racconto giallo italiano. Palermo: Palumbo.
Scaringi, Carlo (1991). “L’ispettore Sarti.” Radiocorriere TV 7.
Van Dine, S.S. (1928). “Twenty Rules for Writing Detective Stories.” The American Magazine, September 1928. New York: Merle Crowell.
Perissinotto è autore dei primi due paragrafi, Pollone del terzo.↩︎
Della sua lunga serie poliziesco–felina in Italia è pubblicato un solo volume: Braun, Lilian Jackson (1996). Il gatto che faceva la spia. Milano: Mondadori.↩︎
Nel medesimo romanzo, il narratore rovista nel casellario penale della questura fino a trovare anche la sua scheda: “ne imparo di quelle, sul mio conto, che, se non mi conoscessi da tanti anni, comincerei a sospettare di essere un delinquente irrecuperabile. Per esempio: ho tendenza alla libidine; frequento persone e ambienti pericolosi; leggo stampa poco qualificata; scrivo in maniera non ortodossa e, soprattutto, sono da tenere d'occhio per certe mie affermazioni in merito alla situazione politica nazionale e internazionale. Però (è confortante) non sono dedito agli stupefacenti e non sono omosessuale. Questo mi tranquillizza, ma resto comunque un individuo pericoloso e la società farà bene a stare in guardia. C'è scritto inoltre che non è chiaro come io riesca a vivere, visto che non ho un mestiere qualificante. Per mestiere qualificante loro intendono: fabbro ferraio, imbianchino, docente universitario, guardiafili, bottegaio, facchino, odontoiatra, poliziotto o altra simile occupazione professionale. Ma Sarti Antonio, sergente, non è venuto per la mia scheda segnaletica e se si accorge che spreco pagine parlando di me, è capace che si arrabbia.”↩︎
Lo stesso Umberto Eco è evocato in più occasioni nelle storie del “ciclo bolognese”. Il professor Umberto Come del racconto Una lama tra le nuvole è evidentemente modellato su di lui, mentre in un altro racconto, Un affare in alto mare (l’Unità Emilia Romagna, 12–17 agosto 1986), l’autore scrive: “Sotto l’ombrellone accanto, un distinto signore […] legge da un paio d’ore, e con interesse, un libro grosso come la Bibbia, di oltre cinquecento pagine, e che deve essere una palla… Fate conto Il nome della rosa”. Il mondo del DAMS (per l’occasione ribattezzato ISA, Istituto Studi d'Arte) è poi centrale in Stop per Sarti Antonio, anche se il professore di turno, Renato Dogghe, stavolta non rimanda a Eco ma a Renato Barilli.↩︎
Vale la pena sottolineare come Sarti Antonio: un diavolo per capello (Mondadori, 1980) abbia vinto nel 1980 la prima edizione del Premio Tedeschi, consegnato appunto nell’ambito del Mystfest.↩︎