Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.25 (2024), 49–72
ISSN 2280-9481

Onomastica e toponomastica del giallo italiano: investigatrici eccentriche in luoghi eccentrici

Valentina ReLink Campus University (Italy)

Valentina Re is Full Professor at Link Campus University. She is currently the PI of the research project “The Atlas of Italian’ Giallo’: Media History and Popular Culture (1954-2020)”, funded by the Italian Ministry of University and Research. Her research agenda includes film and literary theory, production and distribution studies, and Italian and European film and television industry. Her most recent books are Peripheral Locations in European TV Crime Series, Palgrave Macmillan 2023 (with K. T. Hansen) and Le belle donne ci piacciono. E come! «Cinema nuovo», cultura comunista e modelli di mascolinità (1952-1958), Diabasis 2021 (with E. Mandelli).

Ricevuto: 2024-02-12 – Versione revisionata: 2024-05-07 – Accettato: 2024-06-12 – Pubblicato: 2024-08-01

The Onomastics and Toponymy of Italian Crime Fiction: Eccentric Female Investigators in Eccentric Locations

Abstract

This article combines production studies and close textual reading to analyse how the relationship between the female character of the investigator and the environment takes shape in contemporary Italian TV crime dramas at two main levels: the role of fictional “onomastics” and “toponomastics” in setting up certain characteristics of characters and places that produce a specific “emotional atmosphere”; the character-environment relationship as a particularly significant node in the transnational and translocal network of exchanges at the productive, aesthetic, and narrative levels. After a general mapping that defines the relationships between investigators and the environment starting from an oppositional axis between concordance (conformity) and discordance (contrast) and identifies four types of possible narratives, the article analyses two case studies that showcase some of the most innovative trends in the Italian crime genre. The first case study is Petra Delicato in Genoa (Petra, Sky 2020-), based on the novels by Alicia Giménez Bartlett. The second case study is Teresa Battaglia in the mountain village of Travenì (Fiori sopra l’inferno – I casi di Teresa Battaglia, Rai 2023-), based on the novels by Ilaria Tuti.

Keyword: Italian TV Crime Series; Location Studies; Mediterranean Noir; Country Noir; Female Investigator.

Ringraziamenti

Questo articolo è il prodotto delle ricerche condotte nell’ambito del progetto PRIN 2020 “Atlante del giallo. Storia dei media e cultura popolare in Italia (1954-2020)”, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca.

1 Introduzione

Negli ultimi quindici anni la scrittura televisiva del genere crime in Italia si è distinta per alcune tendenze che potremmo definire “eccentriche”: non solo nel senso comune di “bizzarro, stravagante, che si allontana dai modi comuni” (Treccani), ma anche nel più preciso senso etimologico di situarsi “lontano dal centro”. A ben guardare, anche la collocazione “fuori dal centro” può significare cose diverse nella misura in cui possono esistere non uno, ma molteplici “centri” rispetto ai quali si rimarca una distanza.

Una prima linea di eccentricità riguarda la scelta e l’uso di location “periferiche” (Hansen e Re 2023; Coviello e Re 2021a e 2021b), laddove il termine “periferia” rimanda letteralmente alla “parte estrema e più marginale, contrapposta al centro, di uno spazio o di un territorio” (Treccani). In questo caso non pensiamo tanto alle eventuali connotazioni di degrado e di emarginazione che il concetto di “periferia” può assumere: piuttosto, e in estrema sintesi, intendiamo fare riferimento a location caratterizzate da una doppia marginalità, sia di tipo produttivo (lontane dai centri e dalle infrastrutture tradizionali di produzione di un determinato mercato) che di tipo estetico, narrativo, tematico – semplicemente meno viste sugli schermi, oppure diverse dalle tipiche mete turistiche del Bel Paese, o ancora associate a narrazioni complesse, stili visivi riconoscibili e/o intenzioni di investigazione sociale e politica sia a un livello micro (per esempio, il microcosmo della famiglia come chiave per esplorare un contesto più ampio) sia a un livello macro (fenomeni transnazionali come narcotraffico, migrazioni ed emergenze ambientali).

Una seconda linea di eccentricità riguarda i personaggi e, più precisamente, definisce un rinnovato protagonismo femminile che nel crime prende la forma di nuovi e numerosi personaggi femminili che assumono (a vario titolo) ruoli attivi di detection e contribuiscono a rinegoziare modelli di femminilità (ma anche di mascolinità) assestati nella tradizione italiana e mediterranea (D’Amelio e Re 2021b).

Le due linee si trovano spesso intersecate nella prassi produttiva e narrativa fin dall’esperienza pionieristica di Sky Italia che, esordendo nella produzione di contenuti originali, insieme a Romanzo criminale – La serie, nel 2008 realizza Quo vadis, baby?, dai romanzi di Grazia Verasani, adattando per la televisione le indagini bolognesi dell’investigatrice privata Giorgia Cantini. È però principalmente il broadcaster pubblico, dal 2015, a rilanciare e quindi consolidare questa “relazione eccentrica” tra donne investigatrici e luoghi periferici: le produzioni Rai1 che esplorano questo binomio comprendono per esempio Non uccidere (2015–2018, con l’ispettrice Valeria Ferro a Torino); Imma Tataranni – Sostituto procuratore (2019–, ambientata a Matera); Bella da morire (2020, girata sulle sponde dei laghi di Bracciano e Albano ma ambientata a Lagonero, immaginario paese di origine dell’ispettrice Eva Cantini); Blanca (2021–, con la consulente Blanca Ferrando a Genova); Le indagini di Lolita Lobosco (2021–, con l’omonima vicequestore a Bari); Non mi lasciare (2022, con la vicequestore Elena Zonin in una Venezia che prova a svincolarsi dallo sguardo turistico egemonico anche attraverso la valorizzazione della sua peculiare toponomastica, Fig. 1), Fiori sopra l’inferno – I casi di Teresa Battaglia (2023–, girata prevalentemente a Tarvisio anche se le indagini dell’omonima commissaria si svolgono nel paese immaginario di Travenì); Sei donne – Il mistero di Leila (2023, con la PM Anna Conti a Taranto). Anche Sky, nel 2020, è tornata a sperimentare in questa direzione con la serie TV Petra, un progetto originale di Cattleya che ha adattato per la televisione italiana le vicende investigative della coppia Petra Delicado (ispettrice Delicato in Italia) e Fermín Garzón (vice ispettore Antonio Monte), protagonisti dei romanzi di Alicia Giménez Bartlett ambientati nella Barcellona degli anni Novanta.

Fig.1 Non mi lasciare (2022).

Adottando metodologie che coniugano l’attenzione verso la ricostruzione del contesto produttivo a quella per le forme di rappresentazione e narrazione nel testo letterario (nel caso degli adattamenti) e audiovisivo, questo articolo intende analizzare le configurazioni del rapporto tra personaggio e ambiente nel crime televisivo italiano contemporaneo su due principali livelli: il ruolo di una “onomastica” e “toponomastica” (in senso lato) finzionali nell’impostazione di alcune caratteristiche di personaggi e luoghi che producono una specifica “atmosfera affettiva”; il rapporto personaggio–ambiente come snodo particolarmente significativo di una rete transnazionale e translocale di scambi e prestiti a livello produttivo, estetico, narrativo.

Dopo una mappatura generale che definisce le relazioni tra investigatrici e ambiente a partire da un’asse oppositiva tra concordanza (conformità) e discordanza (contrasto) e individua quattro tipi di narrazioni possibili, ci soffermeremo due case studies utili a illustrare alcune delle tendenze più innovative del genere crime italiano: Petra Delicato a Genova e Teresa Battaglia nel paese montano di Travenì.

2 Identità, sfida, scelta, riscatto: quattro narrazioni del rapporto tra la detective e l’ambiente

Nata all’inizio degli anni Novanta per identificare la poetica transnazionale di una serie di autori letterari provenienti dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la categoria del Noir Mediterraneo indica un filone del genere crime impegnato a esplorare il bacino del Mediterraneo come “continente liquido” (Johnson 2020: 15) e luogo sia di scambio, sia di conflitto interculturale. In particolare, tale poetica si definisce tradizionalmente attraverso l’elaborazione del contrasto tra la bellezza solare del paesaggio, la ricchezza del patrimonio culturale (materiale e immateriale) e la brutalità dei crimini perpetrati (Pezzotti 2022; Forshaw 2014; Turnaturi 2013).

Se la serie letteraria di Andrea Camilleri dedicata al commissario Salvo Montalbano costituisce un esempio paradigmatico della poetica del Noir Mediterraneo, l’adattamento televisivo (1999–2021) ha rappresentato, per il crime italiano, sia un modello di enorme successo (per quanto rischioso da imitare) che un anti–modello da cui diventa necessario distanziarsi per innovare le strategie produttive.

Nei termini che qui ci interessano, Montalbano ha fornito in particolare un modello per stabilire un rapporto di “continuità” tra il protagonista e l’ambiente, a cui il personaggio è legato da un forte senso di appartenenza: Montalbano offre così una “narrazione dell'identità” in cui il personaggio è fondamentalmente statico, radicato in un territorio che lo rispecchia e che conosce intimamente e ama. Personaggio e territorio si corrispondono e si conformano l'uno all'altro.

A partire da questa relazione di continuità, lo schema seguente (Fig. 2) visualizza le quattro narrazioni principali che organizzano le relazioni tra personaggi e ambiente nel crime italiano contemporaneo. In particolare, lo schema mostra come i processi di innovazione del “modello Montalbano” abbiano implicato, oltre all'utilizzo di location percepite come più “nordiche”, diversi gradi di continuità/discontinuità tra personaggio e ambiente e diversi gradi di mobilità, sia volontaria sia forzata, della protagonista.

Fig.2 Le relazioni tra detective e ambiente nel crime televisivo italiano contemporaneo.

Molte serie italiane crime con protagonista femminile hanno ripreso la linea narrativa dell’identità, ma allontanandosi dall’immaginario più tipico (e stereotipico) dei paesaggi mediterranei ed esplorando aree (marittime e non) dell’Italia settentrionale che consentissero di diversificare le location e di stabilire nuove connessioni tra i luoghi e personaggi più “scuri”, spigolosi e difficili. In questo processo di progressiva diversificazione delle ambientazioni, per favorire la riconoscibilità delle nuove produzioni superando gli stereotipi turistici nazionali (Avezzù 2022), il Nordic Noir (Hansen e Waade 2017; Badley, Nestingen e Seppälä 2020) ha inoltre favorito una vera e propria “svolta estetica” per la sua capacità di “mediare”, sul piano europeo, la quality tv statunitense, e fornire un nuovo standard produttivo transnazionale e translocale.

Da questo punto di vista, il caso più rappresentativo e “matrice” di quelle che saranno le future sperimentazioni è quello di Non uccidere, con protagonista l’ispettrice Valeria Ferro e ambientato a Torino, città industriale del nord Italia. Nel pressbook, nelle interviste e nel materiale di backstage disponibile sulla piattaforma RaiPlay, gli attori e la troupe fanno esplicito riferimento allo stile visivo del noir nordico, che conferisce toni cupi sia alle ambientazioni sia alla protagonista femminile, dalla personalità dura e distaccata. Un altro esempio emblematico per comprendere lo spostamento verso le location settentrionali, senza però perdere la luce e i colori più tipici del Mediterraneo, è quello di Blanca. La serie televisiva traspone i romanzi di Patrizia Rinaldi, originariamente ambientati a Napoli e Pozzuoli, in un'altra città mediterranea del Nord Italia, Genova. In questo caso, la luminosità e la vivacità dei colori corrispondono all'atteggiamento determinato e appassionato di Blanca Ferrando (di nuovo, il cognome allude alla forza anche un po’ aspra del carattere), una giovane non vedente che sta svolgendo un tirocinio in Polizia come consulente esperta nel décodage di tracce sonore.

L’omologia tra personaggio e ambiente non riguarda però solo le “narrazioni identitarie” alla Montalbano. Quando per esempio è volontaria, la dislocazione di una detective in un luogo diverso da quello in cui è nata o ha trascorso gran parte della vita può stabilire relazioni di “non discontinuità” tra il personaggio e l'ambiente e dare luogo a “narrazioni della scelta”. Il personaggio sceglie di allontanarsi da casa o di tornare a casa per unirsi o riconnettersi a un luogo a cui sente di appartenere e con cui si identifica. La prima opzione è rappresentata da Petra, con protagonista l’ispettrice Petra Delicato, che analizzeremo nella prossima sezione. La seconda è rappresentata da Le indagini di Lolita Lobosco, con il personaggio della vicequestore Lolita Lobosco creato dalla scrittrice Gabriella Genisi. Tornata a lavorare nella sua città natale, Bari, Lobosco rivendica la sua esperienza professionale e la sua indipendenza sentimentale in un ambiente di lavoro ancora maschilista, senza rinunciare alle solide relazioni affettive stabilite nella sua comunità locale e nella sua famiglia “matriarcale”.

Se tuttavia, come accade nella maggioranza dei casi, lo spostamento dell’investigatrice è involontario, si possono dare due diverse configurazioni. Se il movimento si declina come “ritorno a casa” rispetto a un luogo di lavoro diverso da quello di origine, si possono produrre “narrazioni di riscatto” nella misura in cui esiste un rapporto di “non continuità”, piuttosto che di discontinuità, tra il personaggio e l’ambiente. Il personaggio conosce il territorio che ha abbandonato in passato, e ora che vi fa ritorno vuole colmare la distanza che si è creata. C'è dunque spazio per un cambiamento che ristabilisca l’armonia tra personaggio e ambiente che si era incrinata. Oltre a Non mi lasciare, con protagonista la vicequestore Elena Zonin che per seguire un caso si trasferisce da Roma a Venezia, la città della sua infanzia, esemplificativo di questo tipo di narrazione è Bella da morire, con protagonista l'ispettrice Eva Cantini, specializzata in femminicidi e violenza di genere. La famiglia è il principale motivo per cui Eva torna nel paese finzionale di Lagonero all'inizio della storia. Dapprima presentata come disfunzionale, la famiglia di Eva si evolve nel corso della narrazione, così da permettere una risoluzione dei conflitti e il riconsolidamento dei rapporti (D’Amelio e Re 2021a).

Infine, alcuni personaggi possono essere definiti come degli “anti–Montalbano” in quanto caratterizzati da un rapporto “discontinuo” con l’ambiente in cui si trovano costretti a vivere e/o lavorare, spesso perché hanno subito un trasferimento forzato in un territorio che non comprendono e con cui sono restii a familiarizzare. Questi personaggi generano “narrazioni di sfida” a un territorio percepito come estraneo e ostile. Seppure in questo caso gli esempi di maggiore popolarità siano maschili (pensiamo a Rocco Schiavone ad Aosta e all’ispettore Coliandro a Bologna), la serie Fiori sopra l’inferno – I casi di Teresa Battaglia, adattata dai romanzi di Ilaria Tuti, ne ha offerto di recente una versione femminile, con la commissaria Battaglia (analizzata nell’ultima sezione) costretta a scontrarsi con la comunità chiusa e ostile di un piccolo paese di montagna.

3 In viaggio da Barcellona a Genova. Petra Delicato e il Noir Mediterraneo

I personaggi dell’ispettrice Petra Delicado e del suo vice Fermín Garzón prendono vita nella fortunata serie di romanzi polizieschi della scrittrice spagnola Alicia Giménez Bartlett, che si inaugura nel 1996 con il primo romanzo Ritos de muerte, tradotto nel 2002 in Italia. Già oggetto nel 1999 di un adattamento televisivo in Spagna per Telecinco, la serie letteraria viene di nuovo adattata per la televisione italiana a distanza di oltre vent’anni. In questa nuova operazione di adattamento, sia la dimensione temporale che quella spaziale assumono un particolare rilievo.

Dal punto di vista della geografia delle storie e dei modelli narrativi, si tratta di un’operazione apparentemente tutta interna alla poetica del Noir Mediterraneo, capace di mostrarne la ricchezza e la diversità (il dialogo tra tradizione italiana e spagnola) sviluppandosi senza mai allontanarsi dal mare, e trasferendo intrecci e personaggi da Barcellona a Genova. Tuttavia, i modi di rappresentazione della nuova ambientazione italiana dei romanzi dipendono dal diverso contesto in cui la serie TV viene realizzata e dalla distanza temporale che la separa dai primi romanzi: infatti, il mutato contesto di produzione e di ricezione fa sì che, metaforicamente, il mar Mediterraneo incontri il mare del Nord, e che lo stile visivo della riscrittura televisiva realizzata da Sky e Cattleya risenta dell’impatto del Nordic Noir come prestigioso modello culturale e produttivo a vocazione internazionale.

Inoltre, è lo stesso personaggio di Petra ad agire come un facilitatore del dialogo transculturale tra tradizione nordica e mediterranea, dal momento che alcuni tratti della sua personalità, riletti retrospettivamente, sembrano “anticipare” il modello di detection femminile reso popolare, nella serialità televisiva, dal Nordic Noir: Petra, infatti, è una donna testarda, aspra e determinata, come il suo nome di battesimo suggerisce, anticonformista e indipendente, sola per scelta e felice di esserlo. Un elemento in particolare, però, tende a distinguerla dalle sue colleghe nordiche e ricondurla in una tradizione più mediterranea, ovvero, il filtro dell’ironia, che Petra utilizza sistematicamente, con intelligenza e cinismo, per osservare le discriminazioni nell’ambiente lavorativo, le ingiustizie e gli stereotipi sociali, le perversioni umane e le patologie delle relazioni affettive interpersonali.

Alla ricerca di un poliziesco classico con una protagonista femminile, la casa di produzione Cattleya opta per il ciclo di romanzi di Alicia Giménez Bartlett. Nelle interviste, il team degli sceneggiatori (composto da Furio Andreotti, Giulia Calenda e Ilaria Macchia) sottolinea il coraggio di affrontare il rischio di adattare dei libri considerati “intoccabili”, largamente apprezzati dalla critica e sostenuti da una solidissima fanbase di appassionati, e trasporli modificandone le coordinate spazio-temporali. Riferendosi al classico della tradizione italiana del Noir Mediterraneo, commentano: “Sarebbe come rifare Montalbano a Marsiglia, ci sarebbe una rivolta popolare”.2

Ottenuto il consenso dell’autrice, sono quindi pronti ad affrontare un’altra grande questione, ovvero l’ambientazione: “La location era fondamentale ed è stato il primo problema che ci siamo posti”. “Se uno ha letto i libri” dichiarano ancora gli sceneggiatori “sa che Barcellona è praticamente un personaggio, vive di tutti i suoi quartieri, le sue stratificazioni sociali, e poi è una città di mare, un grande porto, un via vai di culture e di gente”. Un primo criterio che ha orientato la scelta della nuova ambientazione italiana delle storie di Petra è stato dunque quello della ricerca di un possibile “isomorfismo”, ovvero della corrispondenza di alcuni tratti che restituissero l’atmosfera e gli aspetti salienti dell’ambientazione originaria: doveva essere una città portuale, crocevia di scambi e di culture, e una città “stratificata”, composita, che mostrasse cioè i segni della sedimentazione e sovrapposizione, nel tempo, di culture diverse, tradizioni diverse, classi sociali diverse. Come spiega la produttrice di Cattleya Arianna De Chiara, Genova offriva tutti questi elementi, e in particolare come Barcellona offriva una “verticalità” sia geomorfologica e architettonica, e quindi visiva (Fig. 3), sia storica, come stratificazione sociale e culturale.

Fig.3 La verticalità di Genova in Petra.

La realizzazione della serie ha valorizzato questi aspetti di stratificazione, soprattutto con l’obiettivo di rispettare, nel processo di adattamento, la subordinazione dello spazio al personaggio che la scrittrice ha chiaramente rivendicato, e l’importanza dei luoghi nel raccontare il retroterra culturale e sociale sia dei personaggi che dei comportamenti criminali:

Quando scrivo un romanzo noir, la location è cruciale per i personaggi. A seconda del quartiere in cui si svolgono gli eventi, è essenziale tenere conto delle dinamiche sociali specifiche. Un crimine dei bassifondi non può avere la stessa ambientazione di uno da colletti bianchi (Casavella et al. 2001: 34, traduzione mia; cfr. anche Tirone 2019 e King 2017).

Come ha sottolineato nel pressbook della serie Michele Ottaggio, direttore di produzione e location manager:

In ogni puntata della serie si è deciso di esplorare una caratteristica diversa della città e una sua area ben precisa. Ogni storia permetteva di scoprire una parte di Genova, una sua caratteristica, un contesto sociale diverso. Le location sono state quindi cercate seguendo la narrazione della storia, andando a individuare la declinazione più adatta per ogni ambiente.

Nel promo Petra: Una giornata con Alicia Giménez Bartlett prodotto da Sky,3 la scrittrice ha ricordato che “il rapporto di classe tra Petra e Garzon è tanto importante quanto il rapporto uomo–donna”. Petra è una donna benestante, colta, di estrazione borghese; il suo vice Garzon non ha studiato e ha un’estrazione popolare. D’altro canto, Garzon è un poliziotto vicino alla pensione con tanta esperienza sul campo; Petra una quarantenne che ha esercitato a lungo la professione di avvocato, e che non ha esperienza fuori dagli uffici. Tutti questi elementi vanno a determinare la loro relazione e i loro comportamenti, a partire dal diverso approccio alle vittime di stupro (che Petra inizialmente affronta con freddezza e disagio, mentre Antonio da subito con empatia, dolcezza e umanità) che li contraddistingue nel primo episodio/romanzo, e che non può dunque essere unicamente ridotto a questioni di genere, perché queste non esauriscono le identità complesse e stratificate dei personaggi.

Lo spazio racconta queste loro differenze e, contemporaneamente, racconta i pregiudizi che queste alimentano e il loro superamento dialogico (nel senso bachtiniano del termine, cfr. Bachtin 1968). Per esempio, la presenza del Teatro Carlo Felice (Gran Teatre del Liceu nel romanzo), dove i due si recano insieme alla fine del primo episodio, da un lato serve a raffigurare la distanza sociale che separa l’ispettrice dal suo vice (borghese e colta lei, di estrazione popolare e meno istruito lui), una distanza che verrà progressivamente colmata dall’amicizia, dall’affetto e dal rispetto reciproco. Dall’altro lato, la scoperta della passione per l’opera manifestata da Antonio/Fermín è uno degli elementi che, gradualmente, contribuiscono a rendere Petra consapevole dei pregiudizi che, almeno inizialmente, influenzano il giudizio severo con cui stigmatizza il suo vice: proprio quei pregiudizi che la donna non è disposta ad accettare quando si parla di sé stessa e della propria vita.

Come si diceva, queste identità complesse e plurali non sono stabili, ovvero mutano nel tempo e soprattutto attraverso le relazioni che si instaurano tra i personaggi. L’evolversi della relazione amicale tra i due colleghi ha un proprio spazio privilegiato, il bar Samarcanda (che nei romanzi è il bar La Jarra de Oro), un locale nel porto della città, in cui i due si recano per la prima volta a causa delle indagini, e che in seguito torneranno a frequentare nei momenti in cui hanno bisogno di appartarsi per riflettere sul caso che stanno affrontando o per “celebrarne” la risoluzione. Come ha spiegato Ottaggio nell’intervista, si tratta di un locale estivo realmente esistente, ma che è stato svuotato e riallestito in maniera minimale, così da apparire come una scatola di vetro. In questo modo, il bar Samarcanda diventa una sorta di “acquario” privato di Petra e Antonio, che richiama la celebre attrazione turistica dell’acquario di Genova (Fig. 4).

Fig.4 Petra e Antonio al bar Samarcanda.

La stessa Petra, nei momenti di difficoltà o di stasi nelle indagini, all’acquario (che chiaramente è un’interpolazione del tutto originale rispetto ai romanzi) si reca da sola: le immagini ne mostrano la silhouette scura su uno sfondo quasi astratto, restituendo, anche attraverso le dissolvenze incrociate, una visione “poetica” del luogo e riuscendone a riconfigurare il senso fuori da una dimensione di mero sfruttamento turistico, e dentro la storia raccontata e la relazione affettiva con il personaggio (Fig. 5).

Fig.5 Petra all’acquario di Genova.

Un secondo criterio alla base della scelta di Genova funziona, per così dire, non in positivo ma “in negativo”: in altre parole, Genova non viene scelta solo per quello che rappresenta, soprattutto in relazione alle analogie con la città di Barcellona, ma anche per ciò che non rappresenta e da cui si distanzia.

Se è vero che la “volontà di allargare gli orizzonti narrativi” implica anche la necessità di ampliare “quelli visivi” (De Chiara), bisognava “sganciarsi dal riferimento a Montalbano, e la Sicilia era zona ‘tabu’”. Spiega la produttrice De Chiara:

Abbiamo capito che dovevamo provare a trovare una nostra strada. Una strada che doveva da una parte distanziarsi da un immaginario italiano per come si è consolidato anche molto bene negli anni attraverso le serie fatte da Rai e Mediaset, volevamo e dovevamo sganciarci da quel modello per differenziarci. Ovviamente dovevamo differenziarci da Montalbano, che abbiamo tutti amato, anche all’estero è una serie molto apprezzata. Ma dovevamo allontanarci anche visivamente dall’immaginario di Montalbano e allo stesso tempo non andare direttamente incontro alle tinte scure scandinave.

Chiaramente, l’atmosfera e la capacità comunicativa di una location non possono prescindere dalle sue modalità di rappresentazione. Nel caso di Petra, si realizza una grande sintonia tra la regista Maria Sole Tognazzi e gli sceneggiatori su come rappresentare visivamente il tipo di atmosfera che si aveva in mente per la serie. Da un lato, gli sceneggiatori riconoscono l’apporto dello stile visivo di Tognazzi e l’importanza della sua “regia autoriale che dà alla serie un carattere europeo, perché porta una poetica”. Contemporaneamente, dichiarano di non aver mai immaginato una serie solare, che è lo stereotipo dell’Italia nel mondo. […] Sicuramente abbiamo sempre avuto in mente una serie più proiettata verso atmosfere nordiche: […] la luce che c’è in Petra è una luce del nord e non del sud, e corrisponde perfettamente al tipo di personaggio e al tipo di storie.

Fig.6 Le immagini notturne di Petra.

Oltre alle immagini notturne (Fig. 6), che esaltano i contrasti abbaglianti delle luci elettriche, prevalgono in Petra atmosfere cupe, plumbee, con un cielo livido, colori desaturati e una predominanza dei toni del marrone e del verde (Fig. 7), che costruiscono un paesaggio visivo ed emotivo molto lontano dai toni caldi, chiari e brillanti tradizionalmente associati agli scenari mediterranei.

Fig.7 La luce in Petra.

C’è ancora un ultimo elemento che possiamo segnalare per argomentare, in positivo, la scelta di Genova, che diventa non solo, come abbiamo già visto, corrispettivo dell’originaria Barcellona, ma anche della protagonista e della sua scelta di abbandonare Roma, sua città di origine nella trasposizione italiana. Come hanno sottolineato gli sceneggiatori, “Genova è anche una città schiva, e ci sembrava perfetta per rappresentare il personaggio di Petra nella sua scelta di ‘stare da parte’, la sua emotività” – una scelta emblematicamente rappresentata dai momenti di solitudine pensosa che Petra si ritaglia all’acquario o sul lungomare.

Peraltro, anche gli interni usati nella serie contribuiscono, oltre che ad alimentare l’atmosfera cupa che permea l’intera serie, a delineare efficacemente alcuni tratti del carattere di Petra. Il romanzo comincia con il trasloco di Petra nel quartiere di Poblenou. Nel libro, la nuova casa coincide con l’apparente volontà di Petra di provare a costruire una nuova vita, più ordinata, regolare e convenzionale: una volontà che il caso dello stupratore metterà duramente alla prova, permettendo a Petra di raggiungere quello che davvero vuole, ovvero abbandonare una posizione lavorativa solitaria e sedentaria e dedicarsi alle indagini con il suo nuovo collaboratore e amico.

La serie italiana si distanzia da questa rappresentazione, rinunciando ad attribuire a Petra il desiderio di una vita più “convenzionale” e anzi sottolineandone il carattere anticonformista. Anche la serie si apre a casa di Petra, un’abitazione isolata, sobria e minimalista, quando un corriere le consegna un pacco, che si va ad aggiungere ad altri scatoloni collocati sotto una libreria ancora vuota: quando il corriere le domanda se abbia appena traslocato, Petra risponde laconica che sono passati due anni – ma evidentemente non ha mai sentito il bisogno di riempire e personalizzare lo spazio.

Dal punto di vista iconografico, le ampie vetrate e le linee geometriche della casa di Petra rimandano di nuovo al tema dell’acquario, che viene ripreso anche nello spazio lavorativo di Petra, un’altra “scatola di vetro” (una sorta di “pietra delicata”, resistente eppure fragile) caratterizzata da linee geometriche e da un senso di vuoto e di simbolico imprigionamento (Fig. 8).

Fig.8 Petra: ambiente domestico e ambiente lavorativo.

Nel romanzo come nella serie, Petra, ex avvocata, è diventata poliziotta e si è trasferita a Genova da Roma per lavorare presso l’archivio della Squadra Mobile: sarà il caso dello stupratore a trasformare la sua vita ancora una volta, a farla uscire dalle sue molteplici “gabbie di vetro” per investigare insieme al vice ispettore Monte.

4 “Vedo oltre i fiori. Vedo l’inferno”. Teresa Battaglia e il Country Noir

Come abbiamo visto, il Nordic Noir può essere interpretato come “attivatore” di una svolta produttiva ed estetica (Hansen e Re 2023) che si è progressivamente sviluppata in Europa nel corso degli ultimi quindici anni attraverso tre principali elementi: la scelta di location meno viste, spesso rurali o collocate in zone di confine, capaci di creare un nuovo rapporto con gli spazi nazionali, sempre più associati a un immaginario spaziale transnazionale e translocale; delle storie che sembrassero “grown out of the landscape”, in grado di fornire “a ‘deeper’ […] cartography of place and location” (Roberts 2016: 375 e 365) e un effetto di “autenticità”; uno stile (tele)visuale ben riconoscibile, condiviso da serie appartenenti a contesti culturali diversi e non necessariamente legati da rapporti diretti di coproduzione, che ha fornito una grammatica comune per la rappresentazione di luoghi e personaggi.

Se Non uccidere, con l’obiettivo di rompere con la tradizione italiana, si ispirava direttamente e per via prevalentemente imitativa al modello del Nordic Noir, tanto da risultarne quasi “schiacciata”, progressivamente, negli anni successivi, si sono registrati tentativi sempre più elaborati di tradurre e rinegoziare il modello alla luce del contesto culturale italiano, e tra gli esempi più interessanti figura sicuramente il caso di Petra.

Oggi, tuttavia, soprattutto nei paesi nordici, i produttori di serie crime hanno iniziato a evitare sempre più l'associazione diretta con il Nordic Noir come stile stereotipato e “cliché” (Hansen e Re 2023), e questa tendenza si è manifestata di recente anche in Italia con Fiori sopra l’inferno – I casi di Teresa Battaglia, il cui regista ha espressamente dichiarato che “l’intento era quello di fare qualcosa di profondamente italiano che non scimmiottasse i cosiddetti noir scandinavi” (Cuomo 2023). Dunque, nonostante la vicenda si svolga in un paesino delle Alpi Giulie al confine con Austria e Slovenia a ridosso delle festività natalizie, proprio questa intenzione contribuirebbe a spiegare, nell’argomentazione del regista Carlo Carlei, la scarsità della neve, che altrimenti avrebbe cancellato “la specificità del territorio italiano” (Grando 2023).

L’argomentazione di Carlei suggerisce due ordini di considerazioni. In primo luogo, la scelta artistica va messa in relazione con i vincoli produttivi e in particolare con la necessità di iniziare le riprese a metà marzo, e quindi di dover prelevare la neve in quota per poi trasportala sul set (Grando 2023). Altrove Carlei, pur ribadendo l’ambizione della serie e l’impegno di Rai (News Rai 2023) e della società di produzione Publispei (Goodfellow 2022) a competere in un mercato globale e rivolgersi a un pubblico internazionale, non esita a ricordare che “c’è però una sproporzione incredibile fra quello che tu hai a disposizione se fai una serie Rai o se fai una serie per una piattaforma e chi sta da questa parte soffre questa sproporzione” (Cuomo 2023; cfr. anche Bernocchi 2023).

In secondo luogo, il tema delle riprese in zone montuose, rurali e di confine, associato all’esigenza di esibire il carattere nazionale (l’italianità) del luogo, seppur proietti in maniera problematica e contraddittoria la serie dentro quella svolta “translocale” che commentavamo poco sopra, invita contemporaneamente a leggerla non solo, o non tanto, in relazione al Nordic Noir, ma piuttosto dentro la cornice del filone del Country Noir che, praticato soprattutto nei paesi dell’Europa occidentale (Austria, Belgio, Francia, Germania), è rimasto ad oggi sottotraccia nel panorama italiano.

Nonostante sia tematizzato e discusso prevalentemente in ambito francese (Jacquelin 2021), è innanzitutto alla connessione con la cultura statunitense che rimanda il termine Country Noir, sottotitolo del romanzo Give Us a Kiss di Daniel Woodrell (1996) ambientato nella regione montuosa e lacustre di Ozark. Inizialmente riferito all’ambito letterario, in un’ottica transmediale il termine si è esteso al cinema grazie agli adattamenti dei romanzi di Woodrell, e alla televisione soprattutto grazie alla prima stagione di True Detective (2014) ambientata nel cosiddetto “Deep South” (in Louisiana), regione che nella serie diviene esempio paradigmatico di “nuovo West” o “wilderness”, di marginalità geografica e quindi socio–politica, arretratezza culturale ed economica, emarginazione.

Nel Country Noir, le piccole comunità al centro della trama sono isolate ed emarginate dal più ampio contesto nazionale, guidate da codici morali e leggi locali, spesso intrise di bugie, segreti, superstizioni e pregiudizi (in questo senso, un riferimento costante nei discorsi dei creativi che lavorano a serie riconducibili al filone è Twin Peaks, 1990–1991). Così si presenta anche la comunità montana di Travenì agli occhi di Teresa Battaglia, costretta a subire e sfidare testardamente la diffidenza e l’ipocrisia della popolazione locale:

Per la gente della valle il resto del mondo era un altrove pieno di insidie abitato da inetti e truffatori senza scrupoli. Il loro piccolo mondo incarnava una perfezione da proteggere anche a costo di qualche vita, ma quella perfezione, Teresa lo aveva visto, cominciava ad avere delle crepe. Lasciava intravedere un volto tutt’altro che benigno. (Tuti 2018: 174).

L’isolamento delle comunità del Country Noir corrisponde a una distanza dai centri urbani che equivale a intima vicinanza con una natura non addomesticata, potente, ambivalente, rappresentata sia come una risorsa vitale, sia come una minaccia pericolosa e misteriosa. L'attenzione alla natura e agli ecosistemi rurali (spesso sfruttati da politici e aziende corrotti) corrisponde inoltre alle ansie contemporanee per l’emergenza ecologica, le politiche ambientali e le disuguaglianze sociali, che in Fiori sopra l’inferno assumono la forma del disboscamento in atto per far spazio a un nuovo polo sciistico, percepito come una violazione e un sopruso non solo dagli ambientalisti, ma anche dal killer:

«L’invasione territoriale ha spezzato il suo equilibrio» disse. «Lo ha spinto a valle, come i caprioli spaventati dell’altro giorno.» «Quale invasione?» Teresa guardò la mappa appesa alla parete e puntò un dito sull’area del nuovo polo sciistico. […] Andreas vedeva in Travenì una minaccia. Siete voi, stava dicendo, che invadete il mio territorio. Il paese era la causa scatenante della sua follia omicida. (Tuti 2018: 253 e 265)

Allo stesso tempo, il dispiegarsi di una natura ancora “selvaggia” nel cuore dell'Europa occidentale getta luce sui “margini” dimenticati di una società civilizzata e urbanizzata, sul perdurare di credenze popolari in elementi soprannaturali, sulla persistenza di rituali pre–moderni o di comportamenti pre– o anti–sociali (come nel caso degli esperimenti di una scienza degenerata in Fiori sopra l’inferno), che favoriscono l’ibridazione del Country Noir con il Folk Horror (Baschiera 2019).

Questo tipo di sentimento della natura e la concezione della “natura–come–personaggio” ritornano in maniera ricorrente nelle strategie di rappresentazione e nei materiali paratestuali di molte serie europee riconducibili al Country Noir (per esempio Zone Blanche [Black Spot, 2017–2019] e Der Pass [Pagan Peak, 2019–2023]) e pervadono anche Fiori sopra l’inferno, seppur in una forma più sistematica nel romanzo piuttosto che nell’adattamento televisivo. Nella nota dell’autrice leggiamo:

Questo romanzo affonda le radici nei paesaggi della mia terra. In questo senso, nulla è stato inventato. Travenì, con la sua foresta millenaria, l’orrido, le miniere, i laghi alpini e le vette da vertigine, esiste davvero, sotto altro nome. Le montagne, le stagioni, gli odori e i colori della natura mi hanno accompagnata fin dall’infanzia e non potevano che fare da sfondo a questa storia. E, anzi, forse diventarne parte integrante, quasi fossero un personaggio. (Tuti 2018: 333).

Fig.9 La foresta nel book trailer di Fiori sopra l’inferno.

Descrizioni che celebrano il carattere primordiale e oscuro della natura “portentosa”, “di una bellezza violenta, che scuoteva i sensi addormentati della vita addomesticata”, riferimenti alla “foresta millenaria di Travenì”, una “distesa di cristalli” che “si muoveva come un organismo”, un “oceano verde e bianco di onde gigantesche che si alternavano a profondità abissali”, al “paesaggio fiabesco” ma “inquietante”, ai “panorami annichilenti” sono disseminati un po’ ovunque nel romanzo, evocati nelle immagini del book trailer (Fig. 9), e ripresi nell’adattamento ma con minore efficacia, come si evince anche confrontando le immagini di Fiori sopra l’inferno (Fig. 10) con quelle della foresta di Zone blanche (Fig. 11).

Fig.10 La foresta in Fiori sopra l’inferno – I casi di Teresa Battaglia.
Fig.11 La foresta in Zone blanche.

Come in Zone blanche (il procuratore Franck Siriani) e in Der Pass (il detective Gedeon Winter), anche in Fiori sopra l’inferno la figura maschile del detective incarna il topos dell’“out of town investigator” attraverso l’ispettore Massimo Marini, appena trasferito dalla Sicilia e portatore di uno sguardo disarmonico e smarrito di fronte a quella che appare come

Una bellezza primitiva, da far perdere i riferimenti. Le cime innevate sovrastavano una foresta millenaria, sorgendo come lame opache da un tappeto fitto di boschi. Facevano pensare ai giganti della mitologia, obbligavano a restare con il naso all’insù, con un senso di vertigine nell’anima. Era un mondo distante da quello a cui era abituato, un mondo che sussurrava la piccolezza umana, che suggeriva quanto sia inutile l’affanno. (Tuti 2018: 20).

Oltre ai bambini protagonisti delle vicende, che vengono descritti come “un tutt’uno con quella natura ancora selvatica, nemmeno loro abbastanza addomesticati da temerla” (Tuti 2018: 243), l’unica figura maschile che appare in completa sintonia con l’ambiente circostante è il killer. Teresa lo comprende molto in fretta: “È del luogo, o un amante della montagna. La conosce. Ha fatto sparire le sue tracce tra le rocce, e non è un caso: probabilmente è un cacciatore” (Tuti 2018, 74). Come del resto, “cacciatrice” è anche Teresa:

A sua madre […] piaceva pensare che Teresa fosse stata benedetta da una felicità innata. Le aveva dato quel nome perché credeva che significasse «tesoro». Lei non le aveva mai detto che in realtà voleva dire «cacciatrice». E Teresa cacciatrice lo era diventata davvero, in un certo senso. (Tuti 2018: 121).

Fig.12 Ellie Stocker, Laurène Weiss e Teresa Battaglia.

Fiori sopra l’inferno, come altre serie riconducibili al Country Noir, attribuisce proprio alla figura femminile di detection la capacità di instaurare un rapporto più profondo con l’ambiente naturale. Al di là dell’iconografia che accomuna Laurène Weiss (Zone blanche) ed Ellie Stocker (Der Pass) a Teresa Battaglia (Fig. 12), va precisato che quest’ultima, a differenza di quanto accade nei romanzi di Petra, in cui non “vediamo” mai la protagonista essendo lei stessa narratrice delle proprie vicende, viene “vista” nel romanzo per la prima volta attraverso lo sguardo nel nuovo ispettore Marini, che la scambia per una testimone capitata sulla scena del crimine e la descrive come:

una vecchia ingabbanata in un giaccone lungo fino quasi ai piedi. Era impossibile non notarla: portava i capelli tagliati a caschetto, la frangia lunga fino agli occhi, di un rosso artificioso che stonava in quell’armonia naturale di toni delicati. […] Il berretto di lana tempestato di lustrini schiacciava sulla fronte la frangetta sbarazzina che non c’entrava nulla con il viso segnato dall’età e da una durezza che preannunciava un carattere altrettanto spigoloso. Gli occhietti lo trapassavano come mani impazienti, gli frugavano il viso in cerca di chissà quale conferma. […] Sotto il giaccone, si poteva indovinare un fisico tozzo. Il tessuto era teso su fianchi robusti. (Tuti 2018: 22–23).

Prescindendo, in questa sede, dalle considerazioni che pur meriterebbe l’innovazione di una protagonista over 60, che si confronta duramente con l’invecchiamento del corpo e con la malattia, quello che va sicuramente rilevato è, da un lato, la difficoltà persistente della serialità italiana a rappresentare l’“eccentricità” femminile anche nell’accezione di corpi non conformi a canoni di bellezza ancora fortemente radicati, e dall’altro, la necessità di “bilanciare” il carattere cupo, freddo e spigoloso delle protagoniste con la fisicità di attrici riconducibili a cannoni assestati e tradizioni rassicuranti (come per esempio, oltre a Elena Sofia Ricci, Cristiana Capotondi in Bella da morire e Vittoria Puccini in Il processo).

Nel caso di Fiori sopra l’inferno, la relazione tra investigatrice e ambiente naturale passa in particolare attraverso la mediazione del trauma condiviso da Teresa e dal killer, e del rapporto di comprensione ed “empatia” che la donna riesce a instaurare con colui che appare contemporaneamente vittima e carnefice. Di nuovo, un’ambivalenza profonda che, oltre a quella della natura oscura e potente, permea l’intera storia di Fiori sopra l’inferno, ed emerge con particolare forza attraverso la metafora dell’inferno nascosto sotto un’apparente, placida bellezza, in un dialogo tra Marini e Teresa:

«Secondo lei, il mostro è in ognuno di noi?» chiese. Sembrava scettico. «Ne sono convinta. Se sei fortunato, se il destino ti dà in dote una vita almeno decente, continuerà a dormire fino al tuo ultimo respiro. In loro, invece, è stato alimentato da abusi e traumi.» […] «Forse loro vedono il mondo meglio di noi» disse, in un sussurro. «Vedono l’inferno che abbiamo sotto i piedi, mentre noi contempliamo i fiori che crescono sul terreno. Il loro passato li ha privati di un filtro che a noi invece è stato concesso. Questo non vuole dire che abbiano ragione a uccidere, o che io li giustifichi.» «E allora che significa?» «Che in un lontano passato hanno sofferto e quella sofferenza li ha trasformati in ciò che sono. Io questo non lo posso dimenticare.» «Non lo può dimenticare? Che intende dire?» le chiese, temendo di spingersi troppo oltre, ma incapace di fermarsi. Lei, però, sembrava persa in altri pensieri. «Perché io, come loro, vedo oltre i fiori. Vedo l’inferno» mormorò. (Tuti 2018: 99 e 147–148).

La metafora dell’inferno sotto i fiori (peraltro riconducile anche alla comunità di Travenì come declinazione del topos della “sleepy town hiding a dark secret”) e, più in generale, il sentimento di una “wilderness” oscura e primitiva nascosta nel cuore dell’Europa, è efficacemente figurativizzata nella serie dalla figura e dalla maschera del Krampus, un demone con sembianze animalesche diffuso in tutta la regione alpina che accompagna San Nicola e punisce i bambini cattivi: “Erano maschere spaventose. I dettagli e le finiture erano così verosimiglianti da far immaginare di essere all’inferno. Un inferno rurale, dal fascino primitivo” (Tuti 2018: 220).

Anche Der Pass riprende la figura popolare del Krampus, facendone indossare la maschera al killer, ma la presentazione di Sky (Sky Deutschland s.d.) ribadisce che, a dispetto dell’elemento desunto dal folklore, non si tratta di un poliziesco locale ambientato in un paesaggio idilliaco. Al contrario, Der Pass mostra le Alpi da un lato primordiale, misterioso e mistico (Fig. 13).

Fig.13 Immagini promozionali di Der Pass.

Il riferimento al “poliziesco locale ambientato in un paesaggio idilliaco” di montagna non può che evocare, allo spettatore italiano, la popolarissima serie Un passo dal cielo (2011–), tradizionale e rassicurante. E in effetti, la figura del Krampus compare in due puntate della serie, ma tende a restare un elemento pittoresco, piuttosto che perturbante, inserito nel quadro di una rappresentazione idilliaca dell’ambiente naturale.

In questo quadro, e insieme alla serie Netflix Curon (2020), ambientata nel comune montano di Curon Venosta, che potenzia il senso del soprannaturale proprio attraverso le riprese della mitologia locale, Krampus compreso (Netflix Italia 2020), Fiori sopra l’inferno rappresenta dunque una novità e, contemporaneamente, un compromesso. Seppur la serie rompa con la consuetudine della rappresentazione pittoresca e bucolica della montagna, dal punto di vista estetico e del valore produttivo resta lontana dagli esiti più interessanti della serialità internazionale, e la natura non riesce mai ad avere la forza di un personaggio: è ostile e non è idealizzata, ma non perturbante ed evocativa. E seppur il Krampus sia parzialmente integrato nel plot attraverso un riferimento diretto alle tradizioni locali, dal momento che l’innesco della “caccia” finale al killer viene ambientato proprio durante la sfilata di San Nicola, la sua forza metaforica ed evocativa risulta smorzata, e passaggi potentemente visivi del romanzo, come quello in cui il killer indossa la maschera demoniaca, appaiono, almeno per ora, un’occasione mancata:

Quella notte gli abitanti del villaggio avrebbero guardato in volto le loro paure, travestiti da mezzi uomini e mezze bestie. […] Si sarebbero colorati i volti, fino a farli diventare paurosi. Quella notte, sarebbero stati come lui. Indossò la pelliccia di pecora, la strinse in vita con una striscia di cuoio. Calò il copricapo sulla testa: le corna maestose di cervo proiettarono l’ombra di un albero spoglio sulle pareti. (Tuti 2018: 212).

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  1. Per quanto riguarda la produzione Mediaset, vanno ricordate almeno Il processo (2019, con la PM Elena Guerra a Mantova), Il silenzio dell’acqua (2019–2020, girata nei pressi di Trieste ma ambientata nel paesino immaginario di Castel Marciano, dove indaga la vicequestore Luisa Ferrari) e la recentissima Vanina – Un vicequestore a Catania (2024–), che esplicitamente associa il nome dell’investigatrice e quello del luogo sin dal titolo.↩︎

  2. Questo contributo (cfr. anche D’Amelio e Re 2023) si basa su una serie di interviste realizzate online da Elena D’Amelio e Valentina Re tra il 30 novembre e il 10 dicembre 2020 a: Furio Andreotti, Giulia Calenda e Ilaria Macchia, sceneggiatori; Arianna De Chiara, produttrice; Michele Ottaggio, location manager e direttore di produzione; Maria Sole Tognazzi, regista. Se non diversamente indicato, tutte le dichiarazioni citate in questo contributo provengono da queste interviste.↩︎

  3. Disponibile sul portale NOW (consultato il 24-04-2024).↩︎