Nel 2017, in occasione delle giornate sassaresi del Forum FAScinA (Forum Annuale delle Studiose di Cinema e Audiovisivi), Maria Rizzarelli ha introdotto per la prima volta il termine “divagrafia” per alludere a quella nutrita e variegata raccolta di opere letterarie che le attrici italiane hanno pubblicato nel corso dei decenni e che include generi differenti, dall’autobiografia alla narrativa, passando per la poesia e gli interventi giornalistici, fino ad arrivare alla conduzione delle cosiddette rubriche di piccola posta. Al neologismo coniato da Rizzarelli, subito si accompagna la segnalazione della necessità, ma anche dell’oggettiva difficoltà, di interrogare questo corpus di testi. “Il caso dell’attrice che scrive”, spiega infatti la studiosa, solleva questioni complicate ed elusive. Basti solo pensare all’eventuale somiglianza o all’eventuale differenza «fra l’immagine attoriale rappresentata dall’autrice nella propria esperienza performativa e quella contenuta nel testo letterario» (Rizzarelli 2017, 366).
A ciò si aggiunge il fatto che tanto gli acting studies quanto gli studi sul “doppio talento” – questa la definizione che Michele Cometa dà alle figure degli scrittori-artisti e degli artisti-scrittori, ma che ben si adatta anche alle attrici-scrittrici (Cometa 2014) – manifestano rispettivamente difficoltà interne. Benché ardua, l’impresa risulta però affascinante, vuoi per la natura poliedrica dell’oggetto vuoi per lo sguardo multidisciplinare a cui costringe. In tal senso, prosegue Maria Rizzarelli, un primo obiettivo consiste nell’individuazione di quegli elementi che con maggior frequenza modellano gli scritti delle interpreti del nostro Paese. Muove senz’altro in questa direzione il progetto di ricerca Da.MA – Drawing a Map of Italian Actresses in Writing, che trova in Lucia Cardone (Università di Sassari) la sua Principal Investigator e in Anna Masecchia (Università di Napoli Federico II) e nella stessa Maria Rizzarelli (Università di Catania) le responsabili delle altre unità coinvolte.
Proprio in questo fecondo contesto si colloca anche il recentissimo volume di Federica Piana Vite di carta e pellicola. La produzione autobiografica delle attrici italiane. Come si deduce facilmente dal titolo, Vite di carta e pellicola porta avanti l’opera di catalogazione e analisi inaugurata dal PRIN Da.MA privilegiando la specificità della scrittura memorialistica. Una scelta, quest’ultima, dettata innanzitutto dalla vistosa preferenza che le nostre interpreti sembrano accordare a tale genere letterario. Ma l’elevato numero di autobiografie repertate non è la sola ragione portata dalla studiosa. All’interno di un ambito già di per sé diversificato come quello delle divagrafie, le scritture del sé testimoniano, a loro volta, altrettanta “eterogeneità sia sul piano formale che su […] quello contenutistico” (p. 8). E sebbene Piana ammetta, nelle pagine introduttive, che solo alcuni fra questi prodotti editoriali tradiscono una reale tensione autobiografica, ciò non toglie che anche quelli scaturiti dalle più evidenti finalità pubblicitarie rivelino elementi degni di nota.
Un’indagine così situata sul crinale fra autobiografia e attorialità femminile non poteva prescindere da una metodologia flessibile, in grado di coniugare “da un lato, gli studi di critica letteraria […]; dall’altro gli studi sul divismo” (ibid.). Il primo capitolo si incarica, pertanto, di condurre un’agile sintesi dell’intenso dibattito che il genere autobiografico ha suscitato in seno al panorama accademico. Tre sono essenzialmente gli aspetti affrontati in questa ricostruzione. In primo luogo, l’autrice sottolinea la resistenza dimostrata dall’autobiografia dinanzi a incasellamenti troppo netti. Alla luce di questa natura sfuggente si comprende perché le più recenti trattazioni rinuncino a “una definizione univoca» preferendo piuttosto «mettere in risalto la specificità di ogni singolo testo” (p. 17). Dai contorni porosi della scrittura autobiografica si passa quindi al problema lungamente dibattuto, e senz’altro cruciale per il tema affrontato dal libro, del suo rapporto con la dimensione finzionale. Sebbene gli studi odierni ritengono ormai superata la questione della cosiddetta “verità letteraria”, i memoriali delle attrici continuano a stimolare, almeno nel sentire comune, interrogativi sulla loro attendibilità. Infine, Piana riflette sulla vocazione dell’autobiografia di farsi strumento formativo e autoconoscitivo per chi scrive. Di nuovo, la pregnanza di tale aspetto è posta in relazione con l’argomento principale. Quel processo di scoperta di sé tipico dell’atto autobiografico ha infatti implicazioni potenzialmente eversive giacché consente alle attrici-scrittrici “di affermare la propria identità e di rivendicare o ridisegnare la loro posizione all’interno dei discorsi mediali” (p. 26).
Il secondo capitolo conclude questa preliminare disamina spostandosi all’interno di una prospettiva di genere. Va da sé che l’impegno con cui la critica femminista ha interpretato, e sovente rivalutato, l’enorme eredità autobiografica lasciata dalle donne costituisce un riferimento ineludibile anche per comprendere le ragioni che inducono le attrici italiane a raccontarsi. Invero, l’autobiografia sembra offrire a queste protagoniste della storia del cinema – tanto glorificate quanto spesso imprigionate in narrazioni altrui – la liberante occasione di sviluppare un discorso autonomo, magari in aperto contrasto con quello già diffuso nell’immaginario collettivo.
Calato finalmente nel vivo della ricerca, il terzo capitolo rende innanzitutto conto degli interventi accademici finora dedicati all’autobiografia d’attrice. Il fatto che tale sottogenere stia riscuotendo soltanto negli ultimi anni un vivace interesse potrebbe spiegarsi col fatto che esso interpella saperi diversi – quelli sul divismo e quelli letterari – entrambi per lungo tempo indifferenti a una tipologia di prodotto ritenuto, da un lato, secondario rispetto ai meccanismi dell’industria cinematografica, dall’altro lato, di scarso valore in termini prettamente qualitativi. La studiosa procede quindi a illustrare le direzioni entro cui ha operato una mappatura sui numerosi testi censiti. Pur convinta che le scritture del sé sfuggano a qualsiasi tentativo troppo rigido di sistematizzazione, Piana identifica una serie di tendenze frequentate con particolare insistenza dalle attrici italiane. Nello specifico, si tratta dell’autobiografica classica o canonica, che è sicuramente il modello più praticato e conosciuto, in cui domina indiscussa la soggettività dell’attrice; l’autobiografia relazionale, dove l’attenzione si sposta invece ai suoi legami con gli altri (familiari, amici, colleghi, amanti, ecc.); il memoir, forma piuttosto rara fondata su un racconto di stampo storico e corale; l’autobiografia narrativizzata, che rielabora l’esperienza personale attraverso il filtro della finzione romanzesca; e l’autobiografia collaborativa, la cui scrittura è frutto del lavoro di più autrici.
Nei successivi quattro capitoli, ciascuna delle succitate categorie trova la propria esemplificazione in uno o più casi di studio. Abbiamo così l’occasione di confrontarci con testi, come Scandalosamente perbene (1996) di Silvana Pampani e Da me (1993) di Catherine Spaak, che testimoniano quanto variabili possano essere anche le vesti assunte dall’autobiografia canonica. Non meno sorprendente risulta il memoriale di Antonella Lualdi. Apparentemente dedicato alla vicenda matrimoniale col più noto collega Franco Interlenghi, il testo della diva romana si rivela in realtà percorso da un evidente slancio di autoaffermazione. Del tutto diverso il modo con cui Lina Sastri abita l’autobiografia relazionale. Nel suo struggente La casa di Ninetta, protagonista assoluto resta infatti il ricordo della madre defunta. Originale esempio di memoir, Fiato d’artista (2001) di Paola Pitagora ci dimostra, invece, come il racconto intimo di una storia d’amore possa diventare veicolo di un racconto altro, generazionale, che restituisce tanto l’esperienza di una corrente artistica quanto la scoperta di una vocazione attoriale. Le ultime due opere prese in esame – rispettivamente, InFame (2020) di Ambra Angiolini e L’educazione delle fanciulle (2011) di Luciana Littizzetto e Franca Valeri – consentono infine di addentrarsi, nel primo caso, fra le pieghe del romanzo autobiografico e, nel secondo, dell’autobiografia collaborativa, entrambe tipologie testuali molto sperimentate nella contemporaneità.
Come evidenzia la stessa Federica Piana nel capitolo conclusivo, il diverso taglio adottato dalle attrici-scrittrici non impedisce di cogliere una serie di tematiche ricorsive che spaziano dalle frustrazioni lavorative all’inesorabile processo di invecchiamento, dalle diverse possibilità di vivere la sfera dell’eros all’esperienza della maternità, passando per l’impatto ora positivo ora drammatico dei rapporti familiari e sentimentali. Più in generale, appare evidente “l’enorme potenziale insito in questi testi” (p. 148). e quanto esso possa intercettare l’interesse sia degli studiosi di cinema sia degli studiosi di letteratura. E in tal senso, Vite di carta e pellicola ha il merito di contribuire a gettare un ponte fra questi due ambiti disciplinari indicando un patrimonio ancora in larga misura da scoprire.
Bibliografia
Angiolini, Ambra (2020). InFame. Milano: Rizzoli.
Cometa, Michele (2014). “Al di là dei limiti della scrittura. Testo e immagine nel ‘doppio talento’”. In Al di là dei limiti della rappresentazione. Lettura e cultura visuale, edited by Michele Cometa, and Danilo Mariscalco. Macerata: Quodlibert.
Littizzetto, Luciana and Franca Valeri (2011) L’educazione delle fanciulle. Dialogo tra due signorine perbene. Torino: Einaudi.
Lualdi Interlenghi, Antonella and Diego Verdegiglio (2018). Io, Antonella, amata da Franco. Imola: Manfredi Edizioni.
Pampanini, Silvana (1996 [2004]). Scandalosamente perbene. Roma: Gremese.
Pitagora, Pitagora (2001 [2017]). Fiato d’artista. Dieci anni a Piazza del Popolo. Palermo: Sellerio.
Rizzarelli, Maria (2017). “L’attrice che scrive, la scrittrice che recita. Per una mappa della ‘diva-grafia’.” Arabeschi 10.
Sastri, Lina (2018). La casa di Ninetta. Napoli: Guida Editori.
Spaak, Catherine (1993). Da me. Milano: Bompiani.