Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.24 (2023), 153–155
ISSN 2280-9481

Trasformazioni di un mito tra realtà e finzione. Marco Benoît Carbone, Geographies of Myth and Places of Identity: The Strait of Scylla and Charybdis in the Modern Imagination, Bloomsbury, New York 2022

Anna Chiara CorradinoUniversity of Potsdam (Germany)

Pubblicato: 2023-12-20

Pubblicato per la serie IMAGINES di Bloomsbury (diretta da Filippo Carlà-Uhink e Martin Lindner), impegnata a dare spazio alle numerose riflessioni sulla ricezione dell’antichità nei suoi aspetti visuali e performativi, Geographies of Myth è un viaggio tra le metamorfosi di vari miti: quello di Scilla e Cariddi in primis, e in seconda istanza di tutti quelli che hanno caratterizzato lo Stretto di Messina, impattando sulla conformazione immaginaria e fisica del luogo. Dal viaggio di Odisseo ai suoi reenactment a partire dal Grand Tour, passando dal mito di un Sud Italia magico e che preserva delle presunte connessioni con la grecità antica alla de Martino, fino ai miti, anche quelli identitari, che si sono costruiti su quell’idea egemonica di un passato eccezionale che ha origine nella Magna Grecia e che ancora oggi influenzano parte della cultura e delle visioni sul Sud Italia. Tutti miti ad alta e “bassa intensità” (Ortoleva 2019), che da ogni parte nascono, rinascono e modificano, come ci dimostra Marco Benoît Carbone, anche la semantica e la realtà dei luoghi fisici tramite una costante rimediazione dello spazio. Le geografie sono dunque sia fisiche, sia dell’immaginario, con riferimento al ben noto spatial turn, sia di mercato tramite l’influenza del turismo che a sua volta “is very much connected to mediated images and received notions about place” (p. 36).

Il libro nasce dall’urgenza personale dell’autore di ripercorrere le modalità con cui “forms of historical mediation shapes our sense of belonging and identity” (pp. 4-5), con l’obiettivo di indagare i modi in cui le realtà geografica, fisica e turistica dello Stretto di Messina siano state emendate sia dalle narrazioni omeriche e dalle ideologie associate alla Magna Grecia, sia dalle diverse diramazioni delle loro disseminazioni. L’autore prende a modello ed esame il mito (o, meglio, i miti) di Scilla e Cariddi, ripercorrendo le rivisitazioni storiche, critiche e popolari che hanno caratterizzato la sua ricezione. Con un approccio etnografico, e che metodologicamente si potrebbe definire “trasformativo” (Böhme et al. Eds. 2011), Marco Benoît Carbone rilegge brillantemente la geografia del luogo, facendo emergere i risultati dicotomici dell’influenza del mito sulla realtà e della realtà tramite le riletture del mito stesso. Il passato però non è qui solo una parte “dell’immaginario polimorfico” (Fusillo 2019) dell’occidente, ma anche un’eterotopia foucaultiana “in which reality and representations are locked in an ambiguous relationship” (p. 16). Quello dello Stretto e del connesso borgo di Scilla è infatti un territorio ai margini e al contempo “Other-Within” (p. 29), che proprio perché marginale si pone come piano secante utile per l’esplorazione della ricezione dell’antichità in connessione con le condizioni sociali, culturali e politiche del Sud Italia.

Attraverso 8 capitoli, corredati da una ricca introduzione e altrettanto notevole conclusione (che sono due capitoli a sé), Geographies of Myth ci porta attraverso la doppia tensione tra reale e finzionale nelle diverse letture che lo Stretto di Messina ha avuto e, in parte subito, nei diversi media e nelle diverse epoche. Gli itinerari del Grand Tour (e precedenti) di cui l’autore tratta nel capitolo 3 con grande ricchezza di fonti fanno emergere le modalità dei travelogues ispirati da un certo filellenismo romantico intenti a ripercorrere le orme di Odisseo. Questi hanno in parte contribuito a naturalizzare e cristallizzare lo Stretto in un cronotopo (definito nel secondo capitolo metodologico a partire da Michail Bachtin) narrativo sul Sud Italia, prodromo di una visione alterizzante che vede(va) nel Sud un luogo di distante e a-cronica arcaicità e al contempo di desiderabile e sublime esotismo. Questi elementi si ritrovano anche nel capitolo 4 in cui sono presi in esame i film e i documentari che hanno trattato dei viaggi omerici ri-mediando lo spazio a partire dalle narrazioni dei miti stessi. I documentari come The Search for Ulysses di Ernle Bradford, del 1965, e L’Italia vista dal Cielo di Folco Quilici (1967 – 1975) hanno offerto “new opportunities to re-activate the grand narrative of Hellenic Calabria and Sicily” (p. 80), perché hanno fatto combaciare i media-scapes con la descrizione omerica già fortemente esotizzata e romanticizzata, rendendo lo Stretto “a reservoir of erudite citations and a playground for archaeology and adventure” (p. 83). Questo stesso effetto di realtà e immaginazione si ritrova nei tentativi scientifici di adattare la geomorfologia al testo omerico (capitolo 5) attraverso teorie anche bizzarre. È il caso dei tentativi di Felice Vinci di far discendere la geografia dell’Odissea dalla Scandinavia, o di casi in cui la creazione di “miti di miti” è stata necessaria per sostenere storiografie filelleniche locali e presentare le incontrovertibili prove dell’origine autoctona dei miti omerici, come nel caso della “Skilla-fish-theory” alla base del pesce-vipera (Chauliodus sloani) o della roccia in mezzo allo stretto presentati da Vazzana. Il capitolo 6 tratta dell’evoluzione del turismo a Scilla come parte integrante, sia della ricezione del mito sul territorio, sia dei falsi miti che dal territorio alimentano ancora oggi una certa auto-narrazione dei luoghi come attaccati alla grandeur della grecità, senza che vi sia un reale sforzo di miglioramento delle condizioni infrastrutturali della zona. Si collegano strettamente a questo la canonizzazione di Omero, il culto quasi religioso di icone come i Bronzi di Riace e il caso stesso dello Stretto tout court che sono stati utilizzati come mezzi per alimentare visioni essenzialiste dell'autoctonia e formulazioni xenofobiche (analizzate nel capitolo 7), spesso associate nella contemporaneità a posizioni politiche di nazionalismo ed etnocentrismo estremo.

Carbone auspica dunque una visione antigerarchica del passato greco e in generale della dicotomia eurocentrica West/Rest e suggerisce, tramite la decostruzione delle aspettative create dalla tradizione, in questo caso omerica, uno studio attivamente critico dei luoghi invitando a ricordare che le tradizioni possono funzionare come fondamenta per le nostre vite, “but they can also work as cages, walls, barriers and exclusionary narratives” (p. 172). La forza di Geographies of Myth sta proprio in questa visione secondo la quale “[t]he past can thus be re-imagined in its utopian and redeeming potential” (p. 172) a cui fa seguito una effettiva applicazione metodologica dello studio volto a rinforzare questa stessa affermazione.

Lo studioso offre una prospettiva che tenga presente i numerosi processi trasformativi delle diverse epoche e ideologie che hanno influenzato la ricezione dell’antico. Al contempo, Marco Benoît Carbone mette in pratica brillantemente il compito centrale degli studi sull’antichità oggi: la liberazione dalla gabbia eterotopica a vantaggio di un’utopia futura in cui è possibile rileggere le tradizioni delle identità europee da un punto di vista critico e antigerarchico.

Bibliografia

Böhme H., Bergemann L., et. Al. (eds.), Transformation: Ein Konzept Zur Erforschung Kulturellen Wandels. Leiden, Brill Fink 2011.

Fusillo M., L’immaginario polimorfico fra letteratura, teatro e cinema. Cosenza, Luigi Pellegrini Editore 2019.

Ortoleva P., Miti a bassa intensità. Racconti, media, vita quotidiana. Torino, Einaudi 2019.