Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.23 (2023), 179–181
ISSN 2280-9481

Maschere e volti dell’età infantile. Bruno Surace, I volti dell’infanzia nelle culture audiovisive. Cinema, immagini, nuovi media, Mimesis, Milano-Udine 2022

Giuseppe PrevitaliUniversity of Bergamo (Italy)

Pubblicato: 2023-07-20

Il progetto ERC FACETS – Face Aesthetics in Contemporary E-Technological Societies, diretto da Massimo Leone (Università degli Studi di Torino), è uno dei più interessanti e ambiziosi sforzi di ricerca attualmente in corso in Italia. Suo obiettivo primario è quello di offrire uno studio sistematico sulle estetiche del volto nell’ecosistema visuale contemporaneo, caratterizzato da un crescente gradiente di postmedialità (Eugeni 2015), da una sempre maggiore pervasività dei processi algoritmici (Finn 2018) e da nuove politiche del dato, ancora tutte da inventariare e studiare. Il volto svolge, in molti di questi processi, un ruolo chiave, perché è su di esso che si sedimentano ed è sulla sua superficie che finiscono con l’applicarsi. Da sempre al centro degli interessi tanto della teoria del cinema (Balázs 2020) quanto della filosofia critica (Deleuze, Guattari 2017), il volto è in effetti un oggetto instabile che, soprattutto quando è infantile, diventa al contempo sfidante da un punto di vista teorico e cruciale su un terreno etico e politico. Secondo quali traiettorie la faccia degli infanti si riterritorializza nei processi digitali? In quali modalità il volto dei bambini è rappresentato al cinema e all’interno dei social media? Si tratta di domande urgenti, che incrociano un ampio ventaglio di questioni, dal diritto all’immagine alle forme di interazione attraverso lo schermo.

I volti dell’infanzia nelle culture audiovisive, recente monografia di Bruno Surace (ricercatore presso l’Università degli Studi di Torino) affronta questi temi in modo estremamente originale, ricorrendo ad un approccio che si situa a cavallo fra la semiotica e gli studi di cultura visuale. A colpire, nella lettura di questo affascinante volume, è prima di tutto l’ampiezza degli oggetti convocati, che spaziano dai film di Shirley Temple (in particolare Riccioli d’oro, 1935) all’horror contemporaneo, spaziando dalla sovraesposizione mediatica dei figli di Fedez e Chiara Ferragni al fenomeno delle bambole reborn. Il volto infantile diventa così il prisma attraverso cui leggere una serie di fenomeni diversi ma ugualmente significativi della medialità contemporanea, all’interno dei quali la faccia viene interpretata di volta in volta un dispositivo (p. 21), un iperoggetto (p. 35), una firma (p. 111) e un laboratorio (p. 236).

Come l’autore nota giustamente a conclusione del proprio lavoro, il volto infantile esiste in relazione ad un Adult Gaze dal quale è continuamente costruito e negoziato (pp. 261-2). La natura posizionale del nostro sguardo, concetto con il quale gli studi di cultura visuale ci hanno ormai insegnato a convivere (Grespi, Malavasi 2022), pone dunque in essere una serie di narrazioni che i singoli prodotti mediali non fanno altro che performare. Scorrendo il ricco volume di Bruno Surace incontriamo diversi esempi istruttivi in questo senso, che sanno anche illuminare le idiosincrasie alla base del nostro atteggiamento nei confronti dell’infanzia. È il caso, soltanto per fare un esempio, dell’idea (ma forse potremmo azzardarci a dire ideologia?) secondo cui il volto del bambino incarna naturalmente una forma di bellezza ed è connotato in modo esclusivamente positivo perché è socialmente infelice fare altrimenti. In questo senso, l’analisi della newborn photography di Anne Geddes (pp. 47 e ss.) diventa il punto di vista a partire dal quale cartografare (e iniziare a decostruire) le mitologie dell’innocenza infantile.

C’è poi l’idea che il volto degli infanti abbia (o venga dotato) di un vero e proprio potere attrazionale, cosa che giustifica l’insistenza sulla dimensione oculare che l’autore identifica tanto nelle pubblicità dei pannolini quanto nelle manifestazioni orrorifiche dell’infanzia sul grande schermo. Il caso della Samara Morgan di The Ring (2002) è in questo senso assolutamente emblematico di una narrazione stereotipica sul volto infantile che si rinforza in negativo. La bambina morta nel pozzo il cui desiderio di vendetta finisce per imprimersi su un nastro registrato è inquietante proprio nella misura in cui il suo è “un volto criptico, che mette a disagio per via del suo non corrispondere immediatamente a una spensieratezza infantile” (p. 72). L’excursus sul cinema horror, oltre che animato da un autentico spirito cinefilo, è interessante nella misura in cui ci mostra come all’interno del cinema di genere il rovesciamento delle aspettative sia funzionale ad illuminare tratti qualificanti dell’ideologia facciale. Anche nel caso delle varie versioni de Il villaggio dei dannati, a imporsi è infatti l’idea che i volti diafani e sinistramente gemellari dei bambini emergano come infrazioni rispetto ad una norma eminentemente culturale.

Tornando al tema del diritto all’immagine, già evocato in precedenza, un’altra delle grandi questioni che emerge da I volti dell’infanzia è quella della sempre più pervasiva esposizione mediatica del volto infantile. Un tema che, pur manifestandosi in modo problematico nel presente, ha un’archeologia nelle rappresentazioni cinematografiche dell’enfant prodige, che – come giustamente osserva l’autore – paiono sempre abitate da una natura sinistra, ben colta da Dalì nella sua celebre decostruzione dell’immagine di Shirley Temple. L’analisi delle presenze cinematografiche della diva-bambina diventa così il punto di partenza per esplorare il modo in cui certi volti infantili si siano imposti nel tempo, finendo con l’assumere un valore a volte autenticamente generazionale (come nel caso di Macaulay Culkin, cui sono dedicate pagine di grande interesse). Se queste “firme facciali” (p. 134) contribuiscono a cristallizzare una certa immagine (e un certo immaginario) dell’infanzia, Surace accompagna il lettore nell’esplorazione di ciò che si annida sotto la superficie delle cose, all’interno di vicende biografiche spesso oscure e di mitologie culturali consunte.

Si tratta di questioni oggi più che mai urgenti perché, come giustamente segnalano i capitoli finali del volume, il volto infantile è al centro di una vera e propria proliferazione visiva che, se da una parte lo spinge ad abitare in modo sempre più incontrollato la sfera social (veicolando una narrazione dell’infanzia abbiente che sembra sollevare interrogativi importanti anche in termine di aspettativa sociale e di rispecchiamento di classe), dall’altra vi è una nuova plasticità facciale garantita dalla diffusione degli algoritmi e delle loro applicazioni ludiche (emblematica e cogente è l’analisi riservata a FaceApp). Che si tratti del protagonismo di volti infantili o di una infantilizzazione di una faccia che ha superato da tempo l’età bambinesca, l’ecosistema mediale contemporaneo sembra ossessionato dall’immagine di un’infantilità che è di volta in volta rimpianta o desiderata. Non è forse un caso, da questo punto di vista, che Surace concluda il suo studio analizzando due oggetti solo apparentemente lontani: la teen pornography e l’estetica kawaii che, seppure in modi fondamentalmente diversi, mettono al centro la dimensione al contempo espressiva e stratificata del volto.

Bibliografia

Balázs B. (2020), L’uomo visibile, Lindau, Torino.

Deleuze G., Guattari F. (2017), Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, Orthotes, Nocera Inferiore.

Eugeni R. (2015), La condizione postmediale. Media, linguaggi, dispositivi, La Scuola, Brescia.

Finn E. (2018), Che cosa vogliono gli algoritmi? L’immaginazione nell’era del computer, Einaudi, Torino.

Grespi B., Malavasi L. (2022), Dalla parte delle immagini. Temi di cultura visuale, McGraw-Hill, Milano.