Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.23 (2023), 167–169
ISSN 2280-9481

Una cartografia di sguardi. Fabio Andreazza (a cura di), Fare storia del cinema. Metodi, oggetti, temi, Carocci, Roma 2022

Andrea GelardiUniversity of Bari ‘Aldo Moro’ (Italy)

Pubblicato: 2023-07-20

È uscito da poco meno di un anno Fare storia del cinema. Metodi, oggetti, temi. Si tratta di un lavoro ambizioso nato dal desiderio di rintracciare quelle traiettorie d’indagine che, nel corso degli ultimi venti anni, hanno attraversato le storie del cinema. Pubblicato da Carocci, il volume consta di diciotto saggi che ripercorrono, rinnovandole, le linee di ricerca di studiose e studiosi che hanno contribuito in modo decisivo a dare struttura nuova e maggiormente rigorosa alla storiografia del cinema, formando gli sguardi nonché i gesti che caratterizzano l’attuale storiografia italiana. Personali e pionieristici, i saggi raccolti nel volume restituiscono così un’immagine dinamica della disciplina che, a partire dal Convegno di Brighton e dalle elaborazioni del “new film historicism” (Elsaesser 1986), ha visto il proprio baricentro spostarsi progressivamente, aprendosi a un insieme tanto ricco, quanto complesso e variegato, di oggetti storici, attori e relazioni.

Aprendo il tavolo di lavoro ben al di là del testo filmico, nuove fonti e strumenti di lettura sono stati introdotti nella pratica storiografica, dando forma ad approcci distinti e per certi versi distanti gli uni dagli altri. Ciò è uno degli elementi che rende il volume, curato da Fabio Andreazza, prezioso. Nell’intrecciare il metodo storiografico italiano e la sua ricchezza tematica ai riferimenti teorico-metodologici derivanti delle scienze sociali anglosassoni, ognuno di questi approcci ha infatti solcato vie uniche che il volume ha il merito di avere organizzato e presentato in modo sistematico, per la prima volta in Italia. “Ne esce un paesaggio mosso ma non frammentario, diversamente da quello di altre discipline, come la storia e le scienze sociali, suddivise in sottodiscipline tanto strutturate da rendere difficoltoso il dialogo fra loro. Forse questa condizione è dovuta semplicemente al fatto che la storia del cinema è una disciplina giovane” (p. 17).

L’eco della cosiddetta “svolta storica” riverbera attraverso i diversi saggi raccolti nel volume, manifestandosi come un necessario momento di cesura all’interno del bilndungsroman di questa disciplina, effettivamente giovane. In modo più o meno esplicito, i saggi osservano retrospettivamente al Convegno di Brighton, prendendo le misure dei cambiamenti che da allora sono intervenuti all’interno della storia del cinema: dunque, la trasformazione degli oggetti e delle prospettive della storiografia e dei modi e finalità del racconto. In altre parole, il Convegno è generalmente indicato come l’evento da cui prende avvio la crisi della Basic Story (Bordwell 2018 [1997], 13-21) e delle convenzioni discorsive nonché ideologiche su cui tale modello storiografico si fonda. A Paul Rotha, storico, critico e documentarista britannico, è generalmente attribuita la paternità della Basic Story, resa popolare con The Film Till Now: A Survey of the Cinema (1930) e la sua riedizione, estesa, The Film Till Now: A Survey of the Cinema (1949). Ispirato dalla storiografia dell’arte e della letteratura mondiale, con particolare riguardo all’idea di Weltliteratur, questo modo di raccontare la storia del cinema, essenzialmente teleologico, ha a lungo dominato lo spazio di riflessione intorno al cinema e la sua storia, privilegiando la capacità narrativa del mezzo, le personalità maggiormente rappresentative di un cinema nazionale e i rispettivi capolavori. Concetti ancillari e colonne d’Ercole di tale strategia del racconto storico sono state le categorie di canone autoriale e di nazione, le quali, se da un lato hanno contenuto le prospettive della ricerca storica, hanno permesso agli studi di cinema di guadagnare legittimità all’interno del contesto accademico (Grieveson e Wasson 2008: 3-16; Floris, Bruni, Locatelli e Venturini 2016). Al suo interno, gli studi di cinema hanno trovato spazio e risorse per la propria rielaborazione e strutturazione interna, le stesse di cui i saggi in volume offrono testimonianza.

Il volume, tuttavia, non si limita a offrire una retrospettiva delle mutazioni teorico-metodologiche occorse all’interno della disciplina, operazione già di per sé estremamente utile. Come si diceva, infatti, i saggi rinnovano il proprio percorso di ricerca sperimentandolo su particolari casi di studio, ritenuti significativi dai rispettivi autori e autrici. Nella prima parte del volume, troviamo una sezione dedicata ai metodi del fare storia del cinema, dunque a particolari paradigmi teorici e metodologici che permettono al lettore di orientarsi all’interno di quel “paesaggio mosso” che è il fare storia del cinema. Sono sei i saggi che offrono sguardi di orientamento, i quali danno prova dell’ibridazione transdisciplinare che caratterizza l’attuale storiografia del cinema e del suo imprescindibile dialogo con la teoria: “i ricercatori si sono allontanati da film e autori per assumere quale oggetto di indagine il cinema nel suo complesso in quanto dispositivo, forma culturale e di spettacolo”, come sintetizza lucidamente Elena Mosconi (p. 24). Ed è proprio nel saggio di apertura che Mosconi si dedica alla storia culturale, rintracciando attorno ad esso le diverse piste d’indagine sviluppatesi in ambito italiano e distinguendone le diverse declinazioni (relazioni tra cinema e istituzioni, rapporti intermediali e intertestuali, le forme di spettatorialità, le dinamiche di circolazione e consumo, ecc.). Al saggio-quadro di Mosconi seguono testi-sguardo su cinque diverse aree tematiche, affidate a studiose e studiosi di chiaro riferimento: cultural studies e l’eredità culturale e metodologica di Vittorio Spinazzola (Giacomo Manzoli), i gender studies e la profonda rilettura di un classico della commedia di Mario Camerini, Gli uomini, che mascalzoni… (Veronica Pravadelli), gay and lesbian e queer studies, le rispettive differenze tra questi indirizzi teorici e il loro utilizzo come vettori di senso per l’interpretazione di Ossessione (Mauro Giori), cultura visuale e le relazioni tra l’estetica del film industriale e Il deserto rosso (Federico Pierotti) e, infine, il concetto di intermedialità e la sua applicazione nel genere del underwater cinema (Paola Valentini). Il volume raccoglie due altre sezioni, rispettivamente dedicate agli Oggetti e ai Temi della ricerca storiografica italiana, spostando l’attenzione del lettore sull’effettivo allargamento del bacino di materiali e ambiti tematici che sono entrati nel campo d’interesse di questi studi. In queste due sezioni conclusive, autori e autrici offrono in apertura delle coordinate di base sulla ricostruzione del dibattito accademico che ha dato forma a importanti filoni di ricerca, quali la sceneggiatura (David Bruni), la filmografia (Luca Mazzei), la stampa popolare (Lucia Cardone), gli ephemera (Mariapia Comand), gli archivi (Simone Venturini), le istituzioni (Francesco Di Chiara e Paolo Noto), la tecnologia (Federico Vitella), la storia (Christian Uva), la critica (Michele Guerra e Jennifer Malvezzi) e, in chiusura, il divismo (Francesco Pitassio). Dopo aver offerto al lettore le informazioni e i riferimenti chiave per avventurarsi nell’argomento in oggetto, gli studiosi e le studiose procedono con una messa in atto della prospettiva metodologica discussa nel saggio, sperimentandola su determinati oggetti (ad esempio, la lettura filologica che Bruni propone delle varie fasi di stesura della sceneggiatura de Il bell’Antonio o, ancora, il rivelamento del potenziale euristico negli scrapbooks di una cinefila giuliana, Silvia Gasperini, nell’appassionato studio di Comand). In questo senso, la potenza del volume risiede nell’intreccio che il curatore, le autrici e gli autori sono riusciti a intessere tra distanza e implicazione personale, ovvero tra la lucidità necessaria al fare storia e la vicinanza degli autori tanto al processo di maturazione della disciplina, quanto agli oggetti e i temi del proprio ricercare.

Ben consapevoli della complessità e ricchezza di Fare storia del cinema, il curatore e gli autori coinvolti non esauriscono i campi di studio ma ne illuminano la profonda verticalità e allargano le possibilità di espansione, tracciando sullo sfondo panorami e profili per nuove domande di ricerca. Ne cito una, ad esempio, che prende specificatamente le mosse dai saggi di Mosconi, di Guerra e Malvezzi e di Pitassio ma che generalmente tutti i testi qui offerti sembrano suggerire: ovvero, l’attenzione alle questioni legate allo statuto transnazionale della cultura cinematografica e alle possibilità di una lettura “incrociata” delle storie dei cinema nazionali. Si tratta di uno di quei possibili percorsi che proiettano gli sguardi, oggetti e temi toccati dal volume su un panorama mondiale, nel quale l’Italia è (stata) fortemente presente e interconnessa, aumentando ulteriormente possibilità di ricerca con aggregati internazionali.

Bibliografia

Bordwell, David (2018 [1997]), On the History of Film Style. Madison: Irvinghton Way Press.

Elsaesser, Thomas (1986), “The New Film History”, Sight and Sound, Vol. 55 (4), pp. 246-251.

Floris, Antioco, Bruni, David Locatelli, Massimo e Venturini, Simone (a cura di) (2016), Dallo schermo alla cattedra. La nascita dell'insegnamento universitario del cinema e dell'audiovisivo in Italia. Roma: Carocci Editore.

Grieveson, Lee and Wasson, Haidee (2008), “The Academy and Motion Pictures”, in: Lee Grieveson and Haidee Wasson (a cura di) Inventing Film Studies. Durham e Londra: Duke University Press, pp. xi-xxiii.