Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.23 (2023), 61–74
ISSN 2280-9481

Habla sobre cine. Note su Ugo Casiraghi

Sara TongianiUniversity of Pavia (Italy)

Sara Tongiani is currently Postdoctoral Research Fellow at the University of Pavia, where she works on the contemporary aesthetics of visual and digital storytelling. Her main research interests focus on cinema, visual culture, contemporary images, archive, and the node between technology and aesthetics. She has published on these topics in international scientific journals, and she is a co-author of the book Album Casiraghi (2023).

Ricevuto: 2023-02-17 – Pubblicato: 2023-07-20

Habla sobre cine. Notes on Ugo Casiraghi

Abstract

The Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos - ICAIC was established by the Cuban government in March 1959. The institute promoted a peculiar interpretation of the revolution and its imagery, also presenting itself as a new space for an international discussion on cinema.  In a such context, directors, critics, and intellectuals from all over the world were welcomed to Cuba by the government menbers and by the Cine Cubano group. In December 1966, Ugo Casiraghi was welcomed to Cuba by Alfredo Guevara, one of the creators and the first president of the Institute. The story of these relationships and this journey is intertwined with Casiraghi’s encounter with cinema, authors and the reality of “Third World Cinema”. This occasion allowed Casiraghi to meet in persona or see again cubain directors, critics, intellectulas,  artists, from ICAIC and Cine Cubano, while the journey iteself was made possible by the link between Italian film culture and the development of the Cuban film industry and film-educational structures. According to Mariani and Venturini perspective (2017), this article aims to interpret the figure of Casiraghi, reading the work and experience of the critic in the light of two important definitions and notions, such as that of “cultural intermediary” (Andreazza 2014) and “cultural agent of translation” (Salazkina 2012).

Keyword: Archive; Ugo Casiraghi; Film Culture; Third Cinema; Cine Cubano.

1 Introduzione

Questo lavoro nasce dallo spoglio dell’archivio Ugo Casiraghi, conservato presso la Biblioteca Statale Isontina e la Mediateca “Ugo Casiraghi” di Gorizia.1 Si tratta di un fondo ricchissimo, in cui si trovano documenti, lettere, foto, appunti di lavoro e di viaggio, cartoline e molto altro. Questi materiali eterogenei da un lato informano rispetto alle prassi del lavoro del critico e alla sua routine, dall’altro permettono di rintracciare dettagli inediti per lo studio e l’approfondimento della critica italiana e di quella internazionale. In particolare, questo archivio personale svela la ricchezza delle reti di contatti di Casiraghi, costruite attraverso decine di anni trascorsi nelle redazioni dei quotidiani e delle riviste, nei festival cinematografici, negli incontri ai cineclub, ai seminari o ai convegni, nei viaggi organizzati per promuovere il cinema o per esplorare cinematografie lontane.

Dunque, oltre il ruolo pubblico, istituzionale e maggiormente conosciuto di Casiraghi, lo studio di questo archivio integra le apparizioni tradizionali e le forme connotate della critica, ovvero la recensione, l’articolo in rivista o la monografia, ricostruendo quella serie di rapporti, relazioni professionali e private che si stagliano e si fissano in vere e proprie reti che vedono naturalmente al centro Casiraghi. Il critico diventa secondo questa prospettiva una sorta di mediatore culturale, che attraverso l’esperienza e gli incontri fatti in luoghi critici altri (festival, riviste) riunisce e raccoglie intorno alla propria visione estetica e politica del cinema una gran varietà di personaggi e di discorsi che contribuiscono allo sviluppo e alla diffusione della critica stessa.

Questo approccio, associato a quello di identificare le “reti sociali della critica” (Noto 2019: 56-8), riconoscendole come parte integrante e imprescindibile per i discorsi della critica, è stato recentemente affrontato a partire da alcune riflessioni proposte da Gian Piero Brunetta. In quel saggio, intitolato emblematicamente e programmaticamente Il lavoro critico e teorico, Brunetta valorizzava gli elementi fondamentali per una generazione di critici che stava consolidando il proprio lavoro e la consapevolezza di sé, raggiungendo “un’identità collettiva grazie all’estendersi di una fitta rete di relazioni e scambi e a un programma comune di letture ed esperienze culturali” (Brunetta 1993: 373). Questa seminale indicazione ha portato a una serie di approfondimenti, studi e ricerche che si concentrano sulle modalità di stabilizzazione della critica cinematografica.2

Per quel che riguarda la complessa figura di Casiraghi siamo di fronte a un intellettuale che attraversa la storia culturale dell’Italia dagli anni Quaranta sino ai primi Duemila, partecipando attivamente alla discussione e al rinnovamento delle forme e del ruolo della critica (e non solo), contribuendo in modo personale e significativo alla costruzione di quell’identità collettiva indicata da Brunetta. Seguire l’attività di Casiraghi anche attraverso il materiale del suo archivio rappresenta dunque un emblematico caso di studio, in cui appaiono saldamente collegate storia sociale della critica e storia politica e culturale di un paese, l’Italia, e delle sue relazioni internazionali.

2 Ugo Casiraghi, un mediatore culturale

Dopo la fervida formazione universitaria e quella maturata nelle riviste dei Guf, alla fine della Seconda guerra mondiale, Casiraghi diviene critico dell’edizione milanese dell’Unità e inviato per le pagine nazionali. Negli stessi anni (quei lunghi ed intensi decenni dalla fine degli anni Quaranta alla fine dei Settanta), Casiraghi continua a scrivere per Vie Nuove, Contemporaneo, Rinascita, Voce Comunista e soprattutto il Calendario del Popolo (precisamente dal 1947al 1967)3: quotidiani e riviste politiche in cui si discutevano le scelte del gruppo dirigente e che si proponevano quali guide culturali rivolte principalmente alla costruzione del ceto medio, senza dimenticare la classe operaia. Casiraghi, come poche altri colleghe e colleghi, riveste e incarna, per alcuni significativi decenni, un ruolo di perno culturale all’interno dello spazio della stampa quotidiana, e più in generale nell’universo di rinnovamento critico ed estetico che investe direttamente quei luoghi. Si pensi soprattutto alla posizione ricoperta da Casiraghi all’Unità durante quei decenni fondamentali e centrali per il rinnovamento dei costumi e soprattutto per la rivalutazione delle forme del pensiero critico, in accordo con il panorama culturale e politico italiano. Con Casiraghi non siamo di fronte a un professionista che si occupa solamente di “critica di settore”, bensì a un operatore, un mediatore e intermediario culturale che innesta il proprio pensiero e la propria visione all’interno della linea giornalistica.

A livello nazionale, anche per i lettori e gli spettatori italiani occasionali Casiraghi viene comunemente riconosciuto come il critico affermato di un quotidiano, ovvero un professionista che racconta il cinema e i suoi autori, che partecipa ai festival e riporta uno sguardo attento e preciso su cinematografie apparentemente lontane. Al suo mestiere viene dunque attribuito un valore, quello culturale di mediazione fra lo spettatore e il film, gli autori, e il cinema.4 Si tratta in questo caso di un riconoscimento saldamente ancorato al rilievo maturato dalla “carta stampata” a partire dalla fine degli anni Quaranta, frutto soprattutto della ricezione degli articoli apparsi sull’Unità, dell’eco di alcuni interventi sul cinema italiano, sul festival di Venezia o sui contesti festivalieri emergenti, definiti “antifestival”, quali Karlovy Vari e Porretta Terme.5 A questo ruolo di mediazione culturale viene spesso attribuito anche un valore politico, in virtù della posizione di Casiraghi all’Unità e ai suoi rapporti con il PCI. Di ritorno dal campo di internamento, alla fine della guerra, Casiraghi esprime infatti la propria visione politica e civile aderendo al Partito Comunista Italiano, tesserandosi nel 1946 e rinnovando quella partecipazione per molti anni. Nell’intreccio fra le attività di Casiraghi e la ricostruzione della sua microstoria personale emergono dunque il contesto e il quadro politico italiano del secondo dopoguerra, in cui il cinema diventa uno spazio dove organizzare e “agire” una mobilitazione sociale e culturale, uno spazio che invade anche le pagine dei quotidiani e delle riviste attraverso i discorsi di una appassionata generazione di critici.6 Ritorna, nella lettura della politica culturale attuata dal PCI, il riferimento a quella generazione descritta da Brunetta, che condivide con passione una riflessione ideologica ed estetica sul cinema e per il cinema.

La figura di Casiraghi impone dunque per prima cosa una riflessione sull’idea stessa di mediazione, che in questo caso si arricchisce di implicazioni politiche, ideologiche ed estetiche. Da queste primissime nozioni emerge la possibilità di attribuire a Casiraghi la definizione di “intermediario culturale” proposta da Fabio Andreazza per il ruolo e l’attività del critico cinematografico (Andreazza 2014). Andreazza ha avanzato questa interpretazione in una serie di contributi in cui da un lato rilegge gli strumenti della sociologia e le riflessioni in particolare di Pierre Bourdieu, componendo dall’altro una precisa ricognizione rispetto al panorama italiano e alle dinamiche che favoriscono la legittimazione della critica. Secondo questa prospettiva, lo spazio conquistato sui quotidiani e sulle riviste e la cadenza regolare degli appuntamenti critici (si pensi in particolar modo all’Unità e al Calendario del Popolo) permetterebbero a Casiraghi da un lato di conquistare un ampio bacino di lettori fidati, diversificando la forma e il contenuto del discorso, dall’altro di restituire di volta in volta gli elementi al centro della lettura e dell’interpretazione di un film, un autore o una cinematografia. Non si tratta soltanto di promuovere un oggetto estetico, bensì di facilitarne la corretta ricezione, favorendo l’individuazione delle sue peculiarità. Simile a quel che avviene nella stagione critica precedente, in cui gli intellettuali si riferiscono a categorie estetiche precise per legittimare allo stesso tempo la loro posizione e la settima arte, Casiraghi media proponendo ai lettori questioni metodologiche, analizzando difetti e meriti del cinema (Andreazza 2014: 389-393). Perfettamente calato in questo ruolo di intermediazione, Casiraghi non manca però di ammonire i suoi lettori, rimproverandoli per esempio di preferire “i film di Matarazzo o quelli della serie di Don Camillo” (Pezzotta 2010), o ancora invitandoli a rivolgersi al “cinema più storicista” e “serio”, come quello ungherese, interpretando in questo modo la missione educativa implicita nella sua attività.

Anche quella che tradizionalmente viene indicata come militanza critica può essere letta all’interno del quadro di intermediazione: si pensi alle iniziative promozionali e alla programmazione del Cinema d’essai. Nell’immediato dopoguerra, a Milano, con Glauco Viazzi, Guido Guerrasio e Virgilio Tosi, Casiraghi organizza proiezioni a prezzo scontato, promosse e sostenute dall’Unità. Le proiezioni hanno per oggetto film italiani e grandi classici provenienti da cinematografie internazionali: Ladri di bicicletta (V. De Sica, 1948), Germania anno zero (R. Rossellini, 1948), La terra trema (L. Visconti, 1948), Umberto D. (V. De Sica, 1952), Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari, R. Wiene, 1920), Nanà (Id., J. Renoir, 1926), Il Circo (The Circus, C. Chaplin, 1928), Čapaev (Id., G. Vasil’ev, S. Vasil’ev, 1934). Casiraghi stesso, in diverse occasioni, ha ricordato con emozione ed entusiasmo quelle giornate, e in una famosa intervista ha aggiunto dettagli significativi: “Io ho visto Visconti quasi piangente per come avevano reagito le cinquemila persone al suo film. Quelle manifestazioni sono le vere manifestazioni d’amore, le persone erano cinquemila e il cinema ne poteva accogliere solo tremila, le altre stavano in piedi. La reazione del pubblico era di un’intelligenza straordinaria, nonostante le condizioni di affollamento” (Chiesi, Contento 2000, s.p.).

Quest’esperienza è la prima di una lunga serie di iniziative, rassegne, retrospettive e sezioni di festival proposte e curate da Casiraghi in Italia a partire dal dopoguerra.

Direttamente connessa a questo ruolo di intermediazione, la rete di relazioni che emerge dallo spoglio dei documenti personali di Casiraghi riflette la pluralità di voci e di esperienze che ruotano attorno al critico. Sono molti gli intellettuali, gli editori, i registi, gli operatori del settore cinematografico che compongono questo sistema che alimenta il confronto, l’incontro e il dialogo, riflettendosi più o meno concretamente sulla forma e sui discorsi della critica, determinandone anche alcuni sviluppi. Non è possibile qui restituire in modo esauriente tale multiforme vivacità di scambio dialettico, basti solo ricordare i nomi emersi dallo spoglio parziale dell’archivio per quel che riguarda gli anni fra la metà dei Cinquanta e la fine dei Sessanta: Michelangelo Antonioni, Mino Argentieri, Vinicio Beretta, Carlo di Carlo, Damiano Damiani, Bruno De Feo, Paolo Gasperini, Alfredo Guevara, Alberto Lattuada, Marcel Martin, Santos Martinez, Massimo Mida, Lino Micciché, Pier Paolo Pasolini, Elio Petri, Antonio Pietrangeli, Francisco Pina, Renzo Renzi, Aggeo Savioli, Fulvio Scocchera, George Shen, Paul Strand, Paolo e Vittorio Taviani, Sergej Vladimirovič Tokarevič, Gianni Toti, Saverio Tutino, Alex Viany, Saúl Yelin.

Fra i rapporti più longevi e produttivi, quello con Mino Argentieri è esemplificativo rispetto a quanto detto sino a qui. Argentieri rappresenta un costante punto di riferimento per Casiraghi. Tra i fondatori della rivista Cinemasessanta e gli organizzatori del Cinema Libero di Porretta, Argentieri non solo è collega all’Unità e a Rinascita, ma soprattutto un paziente amico e prezioso assistente di Casiraghi durante la stesura di Cinema cubano, saggio pubblicato nel 1967 dai Quaderni delle Federazione italiana Circoli del cinema. La corrispondenza fra i due rivela l’instancabile discussione degli elementi costituitivi del cinema italiano, delle innovazioni proposte da quello internazionale, della difficoltà di organizzare attività culturali, di promuovere film e autori, e dei complicati rapporti politici. Dallo spoglio emergono infatti pungenti e scanzonate riflessioni sulla politica a loro contemporanea, sulle relazioni fra compagni di partito e fra critici, a dimostrazione di come il cinema, i film e gli autori rappresentino l’occasione per sviluppare riflessioni non solo estetiche, bensì politiche e ideologiche. Argentieri, a lungo fra i principali interpreti della linea cinematografica dettata dal PCI (Medici, Morbidelli, Taviani 2001), pone a Casiraghi dubbi e perplessità. In una lettera del 1967, dopo una fallimentare riunione del “Gramsci”, Argentieri propone all’amico e compagno di partito di “contarci, formare un quadrato […] e provare a ricominciare daccapo, dall’anno zero, fra persone pulite, possibilmente povere e disposte, come nei film western, a fingere di avere alle spalle, nascosto fra le rocce, un esercito, e avendo la coscienza che siamo soltanto una pattuglia” (Argentieri, busta 18, 16 marzo 1967). Non mancano inoltre le occasioni per discutere efficacemente il ruolo e i discorsi critici di Casiraghi; a questo proposito, in occasione delle prime uscite di Cinemasessanta, Argentieri, dopo aver presentato il progetto editoriale e culturale, chiede la partecipazione dell’amico, esprimendo contestualmente la propria stima:

Se tu potessi in qualche modo aiutarci, te ne saremo infinitamente grati. […] Del tuo appoggio e della tua collaborazione ci è difficile farne a meno e ci costerebbe un prezzo troppo caro. […] Attendiamo, in seguito alla pubblicazione del N° 3 un tuo giudizio […] e desidereremmo che ci facessi sapere che cosa si dice a Milano della nostra rivista e che c’indicassi qualche tema da trattare” (Argentieri, busta 98, 25 settembre 1960).

In questo caso, Argentieri sembra rivolgersi direttamente all’intermediario culturale, al critico capace di intercettare i temi e le figure centrali per il contesto culturale contemporaneo, spesso anticipando tendenze e discorsi critici.

Secondo questa prospettiva, appare significativa la corrispondenza con alcuni autori, fra i quali spicca Damiano Damiani; in una lettera senza data, raccomanda a Casiraghi di “aiuta[rlo] a vedere meglio” rispetto alla propria opera e alla ricezione dei suoi film. Non si tratta soltanto di un attestato di stima, piuttosto della costruzione di un proficuo rapporto dialettico capace di interpretare profondamente le opere e di accompagnare gli autori nella delicata fase di esplorazione della propria poetica. Damiani raccomanda a Casiraghi di essere “severo” e di isolare e analizzare “manchevolezze e pregi” dei suoi film (Damiani, busta 102, s.d.).

Anche Antonio Pietrangeli (autore che proveniva dalla critica) si affida spesso a Casiraghi, e la loro corrispondenza conserva la confidenza e l’amicizia che li legava sin dai primi anni della loro formazione. A proposito dell’accoglienza riservata a Io la conoscevo bene (1965), Pietrangeli si abbandona al sarcasmo e all’ironia, definendo il critico milanese “un tipetto acido”, mettendo poi tra virgolette i polemici giudizi ricevuti, rivolti “al montaggio” e alle “ragioni di moralità” che funestano la visione del film (Pietrangeli, busta 103, 1965). In un’altra occasione, Casiraghi informa l’amico di aver ricevuto i volumi dell’Antologia di Bianco e Nero, ammettendo: “figuriamo fianco a fianco, e mi sono concesso anch’io un giorno di festa rileggendo quelle vecchie cose, con una punta (solo una piccola punta) di nostalgia” (Casiraghi, busta 103, 10 gennaio 1966).

Infine, una caratteristica di Casiraghi che credo possa rinforzare il ruolo di intermediario culturale è quella vis polemica mai scomposta con cui si espone, a partire dall’Inchiesta sul cinema italiano, sulle pagine dei quotidiani e delle riviste, negli incontri e dibattiti con studenti, spettatori e lavoratori. Casiraghi prende posizione, per esempio, esprimendosi contro l’onorevole Andreotti e la sua lettura ipocrita del cinema, che ne rivelerebbe un utilizzo strumentale e interessato (Appello per la difesa dei film realistici italiani. Cinema in pericolo, in L’Unità, 25 ottobre 1952). In questo caso, il pensiero critico di Casiraghi guarda allo stesso tempo al cinema italiano, alla politica che intende sorreggerlo o abbatterlo, alla percezione del lettore e dell’elettore medio.

Di fronte alla crisi di identità della critica e alla sua delegittimazione, Casiraghi reagisce continuando a scrivere, arricchendo la sua prosa e il suo sguardo, occupando uno spazio diverso, quello offerto dalla rivista fiumana Panorama (pubblicazione in lingua italiana). Per una ventina di anni (dalla fine dei Settanta ai Novanta), Casiraghi osserva il cambiamento che investe la critica da una posizione privilegiata che gli permette di dilatare la scrittura e il discorso. Con la consueta lungimiranza e lucidità e con un pizzico di vis polemica, a proposito della critica degli anni Duemila, Casiraghi avrà poi modo di constatare: “gli articoli sono autoreferenziali […] Le riviste non sembrano avere una linea editoriale, manca nella redazione una coesione, una tendenza […] è in atto una decadenza che fa parte di quel mondo che vi abbiamo preparato noi. Un mondo brutto” (Chiesi, Contento 2000, s.p.). Un contesto profondamente mutato dunque, dove forse non trova più posto quella generazione appassionata di critici e soprattutto quel ruolo di mediazione a lungo interpretato da Casiraghi.

3 Verso il cinema del Terzo Mondo

Accanto allo spazio fortemente caratterizzato dei quotidiani e delle riviste, Casiraghi sceglie anche, sin dall’inizio della sua attività critica, quello offerto dal saggio monografico, dedicato a un singolo autore o a una cinematografia. Si tratta di opere quali Umanità di Stroheim e altri saggi (che inaugura le edizioni Poligono nel 1945), Il cinema cinese, questo sconosciuto (1960), Il diabolico Buñuel (1966), Cinema cubano (1967), Il giovane cinema ungherese (1970), solo per citarne alcune. In queste occasioni il critico sistematizza il proprio pensiero e, riprendendo le parole di Noto a proposito del lavoro di Guido Aristarco, struttura il campo, per creare un sapere condiviso (Noto 2019: 57). Se l’intento polemico del volumetto sul cinema cinese è dichiarato e riconosciuto, allo stesso tempo Casiraghi sembra deciso a divulgare, alla fine degli anni Cinquanta, la cinematografia di maggior rilievo dell’Estremo Oriente, attribuendo a tale operazione un valore quasi mitopoietico. Inoltre, alcuni di questi volumetti sono il frutto del confronto diretto con persone, autori e luoghi che compongono la rete di riferimento di Casiraghi. Si pensi ancora a Il cinema cinese, questo sconosciuto e Cinema cubano che appaiono rispettivamente dopo il viaggio in Cina del 1957 e quello a Cuba del 1966. Questi due viaggi avvengono nel periodo in cui si assiste alla riorganizzazione delle sinistre in Italia, Europa e America. Si tratta degli anni compresi fra le crisi del 1956 (Ungheria e Polonia) e la deflagrazione del 1968, in cui in Italia Togliatti sceglie di confermare il legame di ferro con l’Unione Sovietica come elemento identitario, tentando però di articolare un sistema di relazioni internazionali tese a realizzare una visione socialista della democrazia, mentre sul piano internazionale si discutono concretamente i rapporti con l’URSS. In questo momento di delicata transizione le sinistre allentano i rapporti con l’Unione Sovietica per rivolgere il proprio sguardo verso Pechino prima e l’Avana dopo. Il quadro politico muta e Casiraghi sembra seguire il cambiamento, facendone diretta esperienza. Nel 1957 la delegazione italiana, composta da Giulio Macchi, Nelo Risi, Franco Solinas e appunto Casiraghi, viene accolta a Pechino in occasione della settimana del cinema italiano e poi accompagnata a Shangai e Canton alla scoperta “del recente lavoro dei colleghi cinesi”. Dieci anni dopo quella incursione in Cina, Casiraghi arriva a Cuba, questa volta da solo, invitato e accolto dagli esponenti dell’Istituto Cubano del Arte e Indústria Cinematográficos, ICAIC. In quell’occasione, Casiraghi partecipa alla “Prima mostra della cultura cubana” (dicembre 1966) e a diverse attività organizzate dal gruppo di Cine Cubano, rivista ufficiale dell’Istituto. Dunque, i saggi che derivano da queste esperienze di viaggio e scoperta mediano fra il pubblico italiano e quelle culture internazionali del film. Naturalmente, non sono da trascurare né dimenticare le partecipazioni ai principali festival, largamente intesi e interpretati come luoghi di incontro e scambio culturale, politico ed economico. Alcune di queste occasioni sono poi al centro del percorso di avvicinamento di Casiraghi, e più in generale della critica, a cinematografie lontane, come quella originariamente chiamata del Terzo Mondo (Haynes 2022, Chanan 1997). Soprattutto a partire dal 1960, nei circuiti festivalieri e sulle riviste specializzate comincia a insinuarsi l’idea che quelle cinematografie (argentina, brasiliana, cubana, …) non siano identiche fra loro e soprattutto che non si possa più considerarle come un prodotto secondario, senza identità né pregi. John Gillet, sulle pagine della prestigiosa Sight & Sound, riassume efficacemente le impressioni e le analisi solitamente riservate al cinema del Terzo Mondo:

Buñuel and Torre Nilson excepted, films from a whole continent tend to blur together into a composite image of whippings, slashing, rape and religious hysteria. A violent cinema, and a troubled one; but it has always been difficult to discover what it is makes these films so bad (Gillet 1960: 188).

Dunque, la ricezione e in generale la promozione del cinema del Terzo Mondo appaiono nel contesto internazionale ridotte a una serie di letture stereotipate. Se, da un lato, gli anni Sessanta schiudono alla nascente riflessione sulle nuove onde, sulle nuove cinematografie e sui nuovi autori, dall’altro, nel contesto europeo, cominciano a presentarsi occasioni di ulteriore approfondimento rispetto, per esempio, al cinema del Terzo Mondo, a cominciare dai cosiddetti anti-festival, quali la Rassegna del Cinema Latino-Americano, la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro e quella di Porretta.7 Nel giugno del 1960 si svolge a Santa Margherita Ligure la prima edizione della Rassegna del Cinema Latino-Americano, organizzata dall’Istituto Colombiano di Genova e coordinata dal gesuita Angelo Arpa e dal regista Gianni Amico. Si tratta di una manifestazione particolarmente significativa che da un lato concretizza ulteriormente le attività culturali del Cineforum di Genova (Pereira 2007: 128-130; Gelardi 2022), rinsaldando i rapporti fra Liguria e America Latina, dall’altro avvia una serie di incontri che ridestano l’attenzione internazionale per il cinema latino-americano. Proiezioni, tavole rotonde, retrospettive, incontri con autori e critici compongono l’articolato programma della Rassegna che intende presentarsi, sin dal comunicato stampa, come cassa di risonanza per i discorsi proposti dal cinema latino-americano. Poche edizioni, tutte liguri (Santa Margherita Ligure 1960-1961, Sestri Levante 1962-1963, Genova 1965), accompagnate dall’uscita di alcune significative pubblicazioni, impongono all’attenzione della critica registi, opere, scuole, tendenze e stili del cinema latino-americano. Casiraghi partecipa ad alcune edizioni della Rassegna, raccontandole al grande pubblico dalle pagine dell’Unità, ma soprattutto fa parte di quel folto gruppo di critici che concretamente collabora alle Mostre di Porretta e Pesaro, approfittando di queste occasioni per costruire una rete internazionale di contatti e di mutuo sostegno critico e teorico. Nell’archivio si trovano infatti, sin dall’inizio degli anni Sessanta, le tracce di questo processo, accanto al rinsaldarsi di alcune relazioni, come quelle con Sergej Vladimirovič Tokarevič dall’Unione Sovietica e George Shen dal Giappone, mentre per quello che riguarda i contatti con Cuba, determinante è la corrispondenza con Alfredo Guevara, incontrato brevemente durante un evento ufficiale a Roma e poi durante le edizioni del 1962 e del 1963 della Rassegna del Cinema Latino-Americano a Sestri Levante.

Nella seconda metà degli anni Sessanta, all’apertura italiana ed europea segue una sorta di smobilitazione internazionale, che si raccoglie soprattutto intorno a quel che accade in Cile, al Festival di Viña del Mar (Francia 1990; Rueda 2006). Dunque, se il cinema latino-americano conquista un ruolo di rilievo nel panorama internazionale, anche le riviste (italiane, europee e americane) registrano questo decisivo spostamento di attenzione, riportando le novità della nuova onda brasiliana, argentina, cubana, cilena (Sight & Sound, Positif, Cahiers du Cinéma, Ombre Rosse). Per quello che riguarda la cinematografia cubana, appare necessario sottolineare almeno brevemente come il suo sviluppo sia strettamente connesso al successo della rivoluzione e alla politica del governo di Fidel Castro, il quale promuove il sistema industriale e culturale del cinema fondando, nel 1959, l’ICAIC, Istituto Cubano del Arte e Indústria Cinematográficos. Grazie a questa politica, il cinema cubano abbandona gradualmente lo stigma di industria neocoloniale per sviluppare un proprio sistema. In diverse occasioni, Masha Salazkina ha illustrato ed enfatizzato i rapporti che legano saldamente l’Istituto Cubano con il Centro Sperimentale di Roma e l’Istituto di Cinematografia di Mosca (Salazkina 2012; 2018). Si tratta di un modello di centralizzazione della cultura, produzione e promozione dei film e del cinema in cui lo Stato rivoluzionario implementa il proprio monopolio, affidandosi al supporto tecnico e finanziario proveniente dagli altri paesi del blocco comunista (Chanan 2004). Sotto la guida di Guevara, presidente dell’Istituto e sorta di ministro della cultura, i film prodotti vengono considerati propaganda ufficiale che intende amplificare il trionfo del socialismo, interpretando però in modo inedito la complessa relazione che fissa insieme politica, cultura, estetica e visione delle arti. La produzione cubana di questi primi anni indulge inoltre verso una tendenza di critica costruttiva della rivoluzione. Allo stesso tempo si staglia una sorta di fiducia nella critica e verso la critica, accoratamente sostenuta da Guevara stesso, il quale esprime spesso le proprie analisi sulle pagine del Cine cubano, organo ufficiale dell’ICAIC. Fondata nel 1959, la rivista rappresenta uno spazio inedito per la discussione e il confronto dialettico fra critici, teorici, artisti, registi, operatori e intellettuali. Guevara e il gruppo di Cine Cubano si fanno promotori e organizzatori di attività di vario genere che coinvolgono personalità internazionali quali Jean-Luc Godard, Glauber Rocha, Miguel Littín, Ruy Guerra, Patricio Guzmán, Pedro Chaskel, Cesare Zavattini, Theodor Christensen, Agnès Varda, Chris Marker, Joris Ivens, Roman Karmen, Mijail Kalatozov e, appunto, Casiraghi. Da questo breve e non completo elenco, emerge la componente politica e ideologia di tali inviti, che riguardano personaggi legati più o meno strettamente all’area di influenza del partito comunista. Seguendo l’esempio della sperimentale e produttiva presenza di Zavattini sull’isola,8 l’Istituto contribuisce all’apertura della Cuba post-rivoluzionaria al resto del mondo, accogliendo intellettuali, proponendosi come uno spazio critico in cui modellare o rimodellare l’immaginario cinematografico, artistico e letterario, sociale e culturale, della rivoluzione appena avvenuta. Nel 1964 Saúl Yelin, responsabile delle relazioni internazionali dell’ICAIC, sonda la possibilità di strutturare il legame con Casiraghi, proponendo una sorta di accordo, molto vago, per quello che riguarda la promozione e distribuzione del cinema cubano in Italia. In questa lettera, Yelin chiede formalmente appoggio per la “commercializzazione” e la diffusione dei film a partire da Roma con lo scopo di conquistare visibilità nel contesto europeo (Yelin, busta 76, 1964). La richiesta di Yelin può apparire ingenua e persino naif rispetto al funzionamento del sistema distributivo italiano e poi soprattutto al ruolo di Casiraghi all’interno di tale sistema, eppure rappresenta una testimonianza concreta di come in quel periodo il critico venisse percepito come un interlocutore fondamentale per l’emergente cinematografia latino-americana, un vero e proprio intermediario culturale in grado di agire criticamente e forse concretamente sulla percezione e promozione del cinema cubano. Malgrado l’interesse reciproco, testimoniato da poche lettere e da alcuni incontri (con Guevara a Roma e con registri e critici soprattutto durante i festival), la visita di Casiraghi a Cuba si concretizza soltanto nel dicembre 1966, annunciata da un paio di righe frettolose ma rassicuranti dello stesso Yelin: “Estamos situando pasaje Mexico Habana Mexico en embajada Cuba Mexico, Saludos” (Telegramma da Yelin, busta 18, 16 novembre 1966) (Fig. 1).

4 A Cuba!

Dopo aver ricevuto alcune raccomandazioni e rassicurazioni, investito di una certa responsabilità rispetto al consolidamento dei rapporti con Cuba,9 Casiraghi parte verso l’isola dall’aeroporto di Città del Messico il 5 dicembre 1966, e nel suo piccolo taccuino di viaggio annota: “All’aeroporto a mezzogiorno. Fotografato come un criminale. Comunque fotografato gratis. Poche volte successo nella vita” (Casiraghi, busta 101, 5 dicembre 1966). Alle prese con un viaggio entusiasmante ma rocambolesco, Casiraghi sfoggia il proprio sarcasmo e registra con queste poche parole l’eccessiva attenzione ricevuta prima di imbarcarsi sul volo che lo condurrà sull’isola. A Cuba trova Yelin, il quale ha predisposto ogni singolo dettaglio della sua permanenza. Il programma delle prime ore sull’isola sembra già fitto: con Yelin incontrano Gianni Toti, considerato ormai un ospite abituale, e dopo un giro in auto arrivano al Teatro Estudio, dove sono intrattenuti dal poliedrico Vicente Revuelta, regista cinematografico e autore teatrale, che proprio in quel periodo portava l’esperienza e l’estetica del Living Theatre a Cuba. Il risveglio del 6 dicembre viene funestato dalla notizia della morte di Alicata, ma Yelin guida Casiraghi alla scoperta della città: insieme mangiano un gelato, “il più buon gelato del mondo” (Casiraghi, busta 101), trovano una copia dell’Unità del 27 novembre con il primo articolo di Casiraghi dal Festival di Acapulco, e assistono alla proiezione di La Muerte de un burócrata (Morte di un burocrate, 1966), discutendone poi con il regista Tomás Gutiérrez Alea. Dunque, durante questa caotica esplorazione, che pulsa per gli incontri con registi, critici e operatori, per le visite ai luoghi e monumenti della storia recente e alle agenzie di stampa, Casiraghi viene coinvolto attivamente nelle attività culturali e critiche che ruotano intorno ai film e al cinema cubani. In questi casi, le microstorie raccolte dalle note di viaggio e conservate nell’archivio preservano in nuce l’evoluzione di alcune dinamiche di proliferazione dei discorsi critici, capaci di espandere i percorsi delle culture del film. Si pensi al caso di Morte di un burocrate, opera in cui Gutiérrez Alea amalgama il free cinema inglese con il neorealismo, Antonioni, Godard e Resnais. Casiraghi annota poche ma precise considerazioni: “Il film manca di forza ed è prevedibile […] come una barzelletta allungata” (Casiraghi, busta 101). Questi appunti rappresentano una sorta di “avantesto” per l’articolo dell’Unità del 22 dicembre del 1966 e per le schede che compongono il Cinema Cubano, apparso in seguito nel corso del 1967. A proposito di Gutiérrez Alea e del suo ultimo film, Casiraghi compone una vera e propria semantica capace di restituire al lettore il lato grottesco del potere, la rigidità dei rapporti gerarchici raccontati e quasi incarnati da questo film. Se negli appunti il critico riporta una delle impressioni condivise con il regista, secondo cui il film “non mira molto in profondo” (Casiraghi, busta 101), nella successiva discussione sulle pagine dell’Unità, il discorso diventa più articolato e Morte di un burocrate viene letto all’interno di un’analisi dal titolo programmatico: Al nuovo cinema cubano occorre solo più fiducia (Casiraghi, L’Unità, 22 dicembre 1966). L’incipit della critica al film di Gutiérrez Alea riprende esattamente gli appunti cubani, ponendo la questione fondamentale: “questo film fa sorridere i burocrati o li irrita? Li solletica o li colpisce?”. In queste righe sembra sottintesa un’altra domanda, ovvero se la satira di Gutiérrez Alea sia in grado di comprendere e restituire quali siano e come si costituiscano i nuovi rapporti, sociali, culturali e politici a Cuba. Secondo Casiraghi lo sforzo del regista non coglie la “vera linea generale della Rivoluzione”, e Gutiérrez Alea, riconosciuto come uno dei maggiori autori, non riesce a contribuire al passaggio definitivo del cinema cubano verso una età adulta e matura. Sono altre le opere che impressionano favorevolmente Casiraghi: Manuela (Id., Solás, 1966), Now (Id., Álvarez, 1966) e Cerro Pelado (Id., Álvarez, 1966), film visti durante la Prima Mostra della cultura cubana e poi raccontati al pubblico italiano nell’articolo Il cinema cubano non vive soltanto sui documentari (L’Unità, 21 dicembre 1966). La riflessione su queste opere viene offerta anche al pubblico cubano, che ascolta il critico durante gli incontri organizzati da Yelin e dagli altri esponenti dell’Istituto e del Cine Cubano. In seguito, nel corso del 1967 appare sul numero 40 della rivista un lungo estratto, sotto forma di intervista, di uno di questi incontri, dal titolo programmatico Habla sobre cine. In questo articolato contributo, Casiraghi esprime al meglio la propria sfaccettata visione del cinema, affrontando nodi estetici e politici fondamentali, ripercorrendo alcune occorrenze nella storia del cinema mondiale e soffermandosi su alcuni autori. L’apertura è riservata al cinema italiano e alla sua produttiva influenza sulle altre cinematografie. Con lucidità ed efficacia, Casiraghi si concentra su precisi momenti significativi: naturalmente il neorealismo, De Sica, Zavattini, e poi la ricerca di una koinè cosmopolita, attraverso l’esempio di Antonioni, e la necessaria ribellione anarchica dell’esordio di Bellocchio, I pugni in tasca. Dopo questi affondi nella storia e nella critica italiana, Casiraghi si rivolge al cinema cubano, sottolineando un aspetto fondamentale nella lettura e nella registrazione dell’elemento reale, ovvero il dissidio fra il cinema di finzione e quello documentario, analizzando la tradizione e la qualità di quest’ultimo. Il critico sceglie l’esempio di Now, sincopato assemblaggio di immagini che raccontano e testimoniano la battaglia per i diritti civili di Santiago Alvarez, sottolineando come in questo caso la costruzione finzionale sia plasmata a partire dalle esigenze formali del cinema documentario e di quello found footage. Casiraghi rinnova la propria ammirazione, esaltando questi vertici di originalità e i meriti artistici di una generazione che si esprime oltre l’ideologia, riscuotendo un meritato successo anche all’estero. Alla fine di questo contributo, il critico ricorda il valore e gli “insegnamenti” di Gramsci, appoggiandosi a una riflessione apparsa in un numero precedente di Cine Cubano e sottolineando come sia indispensabile la comprensione profonda del ruolo della storia e della politica nello sviluppo di un modello sociale e culturale efficace. A partire da queste conclusioni si trovano negli appunti del taccuino (dopo alcune pagine colme di nomi, indirizzi, numeri telefonici, informazioni e dettagli di vario genere) alcune notazioni lapidarie e precise a proposito del rapporto fra l’arte, la politica e la cultura. Si tratta di spunti di riflessione che mettono in dialogo la situazione culturale e la produzione artistica cubane con quelle italiane. Queste considerazioni si aprono con una programmatica raccomandazione: “Non solo cinema, ma tutta [la] cultura italiana”. Riemerge lo sguardo dell’intermediatore culturale in grado non solo di individuare e analizzare le culture in cui è immerso, bensì di avvicinarle, mettendole in dialogo e presentandole efficacemente alle audience di riferimento. Da un lato, dunque, la lettura e l’interpretazione del critico, del professionista, dall’altro quell’azione di promozione dei contenuti che è direttamente vincolata, in questo caso, alla produzione dei discorsi critici che determinano gli sviluppi delle culture del film e non solo. A questo punto appare opportuno allargare questa definizione amalgamandola con quella di “cultural agent of translation” proposta da Masha Salazkina a proposito dell’attività di mediazione fra Italia, Unione Sovietica e Cuba compiuta da personaggi quali Umberto Barbaro, Guido Aristarco e Cesare Zavattini (Salazkina 2012). Secondo la studiosa, la riconcettualizzazione e la discussione dei modelli e delle culture del film agite da queste personalità non si limitano a far dialogare diversi sistemi, bensì vanno a integrarli, esercitando una concreta influenza su tutte le componenti, dalla formazione alla distribuzione. Simile, dunque, a questi prestigiosi antecedenti, Casiraghi si rivela un novello “cultural agent of translation” per le relazioni fra la cultura cubana e quella italiana, diventando, nello stretto giro di pochi anni, parte integrante di quei sistemi. Lo dimostrano, ancora una volta, i documenti dell’archivio che conservano diversi esempi di tale partecipazione. Il primo caso è rappresentato da una lettera del febbraio del 1967 in cui Yelin chiede espressamente a Casiraghi di recuperare due interviste a Carlo Ponti (realizzate probabilmente nel corso dell’anno precedente), che raccontano la prospettiva del produttore sul cinema e sul suo sistema a Cuba. Malgrado ci siano buoni rapporti fra Guevara, Yelin, altri esponenti dell’Istituto e Ponti, la richiesta di mediazione viene rivolta a Casiraghi, percepito ormai come il centro di riferimento di una fitta rete di relazioni. Per quello che riguarda l’Italia, sono molti i riconoscimenti ricevuti dal critico: valga qui come esempio una delle lettere della presidente dell’Associazione di Amicizia Italia Cuba di Roma, in cui viene riportato il successo di una “Rassegna” del cinema latino-americano organizzata con la supervisione di Casiraghi nell’aprile del 1967 (busta 18, 8 aprile 1967). Si tratta di una piccola scelta di film, già presenti nel circuito dei festival, rivolta a studenti e appassionati, che prevede una sorta di catalogo con delle schede informative curate dallo stesso Casiraghi. Si pensi, inoltre, al quaderno Cinema cubano, il primo saggio in italiano dedicato a questa cinematografia che appare nel corso del 1967. Le pagine di questa agile guida offrono al lettore una efficace sistematizzazione attraverso una rapida presentazione degli autori principali e dei film. Il saggio viene accolto con grande entusiasmo in Italia e a Cuba, ottenendo una discreta attenzione e risonanza internazionale. Lo dimostra la rassegna stampa della tarda estate del 1967, conservata in parte anche fra le carte personali di Casiraghi e che in qualche modo riecheggia nei discorsi e nella corrispondenza. A questo proposito, Alfredo Guevara in una lettera dell’agosto del 1967 esprime la propria sincera gratitudine a Casiraghi auspicando una imminente traduzione e una capillare disseminazione. Il lavoro di Casiraghi viene significativamente inquadrato all’interno di una politica di divulgazione e diffusione internazionale del cinema cubano, che vede impegnati a diverso titolo cariche istituzionali, intellettuali, critici e mediatori culturali: “queremos agradecer el esfuerzo realizado, tu amistosa dedicación, conscientes de todo lo que esto significará para el conoscimento y la divulgación del cine cubano en Italia, y en toda Europa” (Guevara, busta 18, 17 agosto 1967) (Fig. 2). Infine, fra le testimonianze maggiormente significative, appare interessante ricordare quella di Saverio Tutino, giornalista, scrittore, inviato speciale a Cuba per l’Unità, profondo conoscitore della politica e della cultura cubana, estimatore dello stesso Casiraghi, al quale scrive, nel gennaio 1967: “I tuoi articoli sul cinema cubano mi sono sembrati chiari, precisi, esaurienti. È difficile cogliere così nel segno al primo colpo: capita solo a chi oltre che specialista è uomo politico, vale a dire è veramente colto” (Tutino, busta 18, 29 gennaio 1967). In questa affermazione si stagliano specificazioni rispetto al lavoro di Casiraghi (politico e colto) che sembrano completare ulteriormente le qualità dell’intermediario e dell’agente culturale. A distanza di anni, questo sembra essere stato il ruolo di Casiraghi, che ancora riecheggia fra le sue pagine.

Fig.1.
Fig.2.

Bibliografia

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Elenco Documenti provenienti dall’Archivio conservato presso la Biblioteca Statale Isontina direttamente citati

Mino Argentieri, busta 18, 16 marzo 1967

Mino Argentieri, busta 98, 25 settembre 1960

Ugo Casiraghi, busta 101, 5 dicembre 1966

Ugo Casiraghi, busta 103, 10 gennaio 1966

Damiano Damiani, busta 102, s.d.

Alfredo Guevara, busta 18, 17 agosto 1967

Antonio Pietrangeli, busta 103, 1965

Saverio Tutino, busta 18, 29 gennaio 1967

Saúl Yelin, busta 76, 1964

Saúl Yelin, busta 18, 16 novembre 1966


  1. Si tratta di un lavoro di ricerca svolto nell’ambito dell’assegno “PoligonoCasiraghi. Una piattaforma digitale sulla geografia politica della critica cinematografica italiana. Ugo Casiraghi negli anni rivoluzionari (1962-1969)”, Università degli Studi di Udine, responsabile scientifico prof. Andrea Mariani.↩︎

  2. Si rimanda a questo proposito ad alcuni lavori fondamentali per questa parte di impostazione metodologica: Guerra, Martin (a cura di) 2020; Hagener (ed.) 2014; Noto 2019.↩︎

  3. A questo proposito si segnala la tesi di dottorato di Zilioli 2022.↩︎

  4. Per un ulteriore approfondimento si segnala Menarini 2020: 139-154.↩︎

  5. Si tratta naturalmente di alcuni esempi (non esaustivi) che intendono restituire la ricaduta del discorso critico di Casiraghi.↩︎

  6. Appare necessario precisare come il cinema rappresenti solo uno di quelli che vengono definiti “capisaldi strategici” della e per la politica culturale del Pci. Non potendo affrontare in modo esaustivo questo argomento si segnalano: Consiglio 2006; Medici, Morbidelli, Taviani (a cura di) 2001; Misler 1973.↩︎

  7. Su questo aspetto si rimanda a Gelardi 2022.↩︎

  8. Si segnalano Valecce 2020, Viganò 2022.↩︎

  9. Il riferimento è al materiale d’archivio che raccoglie le lettere di Mino Argentieri, Saverio Tutino, Paolo Gasperini e soprattutto le comunicazioni e le informazioni provenienti dall’Associazione Amicizia Italo-Cuba di Roma che appoggiano e facilitano il viaggio di Casiraghi a Cuba.↩︎