Il volume di Dalila Missero, che racchiude un accurato studio durato alcuni anni sul ruolo delle donne nel cinema italiano fra gli anni ’50 e i primi anni ’80 in una prospettiva femminista, si colloca in modo stimolante nella storia e nella teoria del cinema sia dal punto di vista metodologico che per i risultati specifici della ricerca.
Il volume riparte dalla genealogia degli studi femministi, andando a esplorare tre diversi aspetti del rapporto fra donne e cinema: i modelli spettatoriali, le forme della rappresentazione e il ruolo nelle politiche produttive delle immagini. Ciascuno di questi aspetti è affrontato da punti di ingresso molteplici, che vogliono rendere conto delle sfaccettature e delle complessità più che delle omogeneità delle esperienze che evocano; lungi dal voler dare una risposta univoca alle pratiche di coinvolgimento fra le donne italiane e il cinema, Women, Feminism and Italian Cinema indaga piuttosto i vari aspetti di questa relazione. La sezione sulla spettatorialità, oltre a riportare i dati statistici sulle donne nel pubblico e ragionare sulla loro interpretazione nel panorama culturale italiano, propone una ricerca qualitativa sulle lettere delle spettatrici a varie riviste femminili sul desiderio per il cinema. Inoltre, esplora le pratiche politiche di spettatorialità collettiva portate avanti dai movimenti femministi e dall’attivismo lesbico. L’ultimo capitolo della sezione si rivolge poi al denso confronto fra le posizioni del femminismo e la produzione erotica e pornografica, andando a ricostruire la storia anche radicalmente conflittuale di questo rapporto, e facendo da ponte per la sezione successiva del volume.
La questione della rappresentazione infatti è affrontata attraverso la scelta di casi di studio lontani dal circuito del cinema più esplorato: Missero guarda specificatamente alla rappresentazione di erotismo e sessualità, e al modo in cui questi aspetti entravano in contatto e conflitto con le posizioni delle femministe stesse, restituendo programmaticamente agency ai corpi e alle soggettività messe in scena dal cinema italiano e troppo spesso raccontate come oggetti passivi di desiderio e controllo da parte del patriarcato. In questa parte, un capitolo è anche dedicato alle questioni postcoloniali e di razzializzazione dei corpi e dei desideri praticata dalla produzione culturale italiana, dando voce all’esperienza dell’attrice italo-eritrea Ines Pellegrini. Un capitolo poi si occupa del difficile rapporto fra alcune esponenti dei movimenti femministi e Federico Fellini, che si è incontrato con loro per la produzione del problematico La città delle donne (1980).
L’ultima sezione del volume invece si colloca nell’ambito degli studi femministi delle pratiche produttive e del ruolo delle donne nell’industria creativa, collocando con sapienza le esperienze di alcune donne nello scenario delle relazioni informali come strumento di organizzazione del lavoro cinematografico – relazioni permeate di pratiche e retoriche profondamente sessiste, di cui si trova ampia traccia nella documentazione riportata già nel primo capitolo, dedicato a Mara Blasetti e al suo archivio. Nel capitolo dedicato alle donne diplomate del Centro Sperimentale di Cinematografia, Missero organizza con grande efficacia una rete di informazioni lacunose e dispersive attraverso una riflessione concettuale e metodologica sulle traiettorie di attraversamento delle forme minoritarizzate del cinema da parte delle donne di cui è riuscita a individuare e seguire alcune tracce. Gli ultimi capitoli tornano a ragionare sulle produzioni cinematografiche in seno ai femminismi italiani, da un lato per ricostruire la storia della disparità di genere e la difficoltà di questi movimenti intellettuali e politici a fronte delle dinamiche consolidate di un’industria strutturalmente radicata nel patriarcato; dall’altro però anche per stimolare un’apertura a possibili altri modelli e a scenari imprevisti grazie a un recupero della riflessione teorica e delle pratiche produttive militanti.
Missero mostra la solida relazione fra la storia del cinema e le metodologie degli studi di storia culturale, che riflettono sulle specificità del contesto di produzione e fruizione, innanzitutto attraverso una articolata ricerca in numerosi archivi. La studiosa sottolinea l’importanza del confrontarsi con questi aspetti anche per rivendicare la necessità di una prospettiva politica nei confronti della propria attività accademica e di ricerca: soprattutto in un contesto complesso come quello della riflessione sul passato, non è possibile pretendere una “neutralità” di chi guarda, ma la soggettività che è punto di emanazione della ricerca deve essere in grado di posizionarsi ideologicamente e politicamente in modo consapevole. Nell’introduzione, Missero riesce con estrema chiarezza a riflettere sulle complessità di questo posizionamento: da un lato, critica la proposta di rilettura “malinconica” della “seconda ondata” del femminismo in Italia in certe riflessioni contemporanee, riprendendo una pubblicazione del 2020, scritta a quattro mani con Dominic Holdaway; dall’altro lato si confronta con la propria “nostalgia postmoderna” per gli archivi femministi, a cui si è legata nel periodo di ricerca. In questo senso, non tralascia anche una certa problematicità del portato emotivo di chi porta avanti la ricerca, a cui fa cenno soprattutto nelle conclusioni del volume. La lucidità con cui si confronta con il passato per posizionarsi all’interno di politiche femministe trasformative per il futuro è uno dei numerosi punti di forza del volume, che si appoggia dunque a una revisione profonda delle pratiche accademiche di produzione storica, come sottolineato dalla discussione della critica da parte delle teorie queer dell’“ideologia del rigore” nei confronti della ricostruzione del passato.
Eppure, la riflessione proposta da Women, Feminism and Italian Cinema è profondamente “rigorosa” nella ricerca di una adeguata rete teorica a sostegno dell’esplorazione del materiale d’archivio e della ricostruzione delle fonti a cui attingere, capitolo per capitolo. A questo proposito, come sottolineato nelle conclusioni, all’opacità dell’archivio e alla rigidità dei dati quantitativi è indispensabile associare una flessibilità nello sguardo e un approccio affettivo, che permettano di rendere conto delle complesse negoziazioni fra gruppo sociale e posizionamenti individuali, fra codici convenzionali e aperture del desiderio. La collettività delle donne con cui la studiosa si confronta, mettendo in campo le proprie competenze ma anche valorizzando la specificità del proprio posizionamento, è dunque sempre declinata al plurale, in una prospettiva radicalmente anti-essenzialista e produttrice di pensiero.