La musica di un grammofono ci conduce al centro del festival. Lo schermo lampeggia di rosa e celeste, figure ectoplasmatiche svelano lentamente due corpi ibridi, visi truccati, percepiti come femminili e dalla barba nera. I loro peli sono accarezzati dal vento mentre le immagini sbiadiscono e si sovrappongono. Sguardi indecifrabili e, infine, la meraviglia. Bearded birds è il trailer diretto e interpretato da Marie Losier per l’edizione del 2022 del Sicilia Queer Film Festival, avvenuta dal 30 maggio al 5 giugno. E se la promo, il frammento non è interamente il tutto, può darci degli indizi su dove ci troviamo e in quale dimensione ci stiamo muovendo: il trailer ci trasporta nell’ambiente del Sicilia Queer, sentiamo che ci sfuggono gradualmente di mano diverse certezze e non siamo più in uno spazio concettuale. In Bearded birds il vento spazza via la razza umana per come l’abbiamo disegnata finora, porta con sé, nelle barbe femminili, una libertà negativa come quella illustrata in Freedom from everything (Hooldbloom, 2022): non si tratta più di essere liberi di fare qualcosa, ma liberi dalle coercizioni. Tolto “maschile” e “femminile”, eliminate le sovrastrutture sociali, cosa resta? Cosa rimane dopo che il vento lascia che tutto voli via? Natura e cultura, passato e presente, giusto e sbagliato, il queer che vivifica il festival non può che cercare la libertà dalle polarizzazioni e svelare lo sgretolamento di queste gerarchie. Non solo elitarismo, etica sterile e linearità storica vengono osservati come prodotti socio-culturali, ma vengono trasportati in uno spazio magico, insieme a tutto il resto. Alla fine dell’Ottocento, in concomitanza e conseguenza della rivoluzione industriale, ci si rivolgeva a ciò che sfuggiva dall’industria e dal dato: sbocciavano con il gran “progresso” fenomeni altri; spiritismo e spettacoli fantasmagorici non svilivano la complessità umana riducendola al razionalismo, inscenavano l’inconcettualizzabile, la morte, il desiderio, l’ambiguo. Il festival fa risuonare questo bisogno antico di magia nei Cantieri culturali della Zisa e contemporaneamente lo guarda con sospetto, come fa con Palermo, luogo che ospita il Sicilia Queer e in cui esso si rispecchia, città da trasformare e accettare com’è. “Il mercato di Ballarò è senza dubbio magico, ma è anche la favola che ci stiamo raccontando per non guardare i bambini che si fanno di crack”, sento dire all’esterno del Cinema De Seta, dopo una proiezione. Il festival si nutre di contraddizioni in una città violentemente contraddittoria, dove tutto è ammantato di folklore che edulcora e romanticizza. Nel documentario The end of Wonderland (Turcotte-Fraser, 2021), Tara Emory, pornoattrice trans, sa di dover abbandonare il suo studio creativo e di dover dire addio a una parte di sé, il luogo è la sua identità (se “identità” ancora vuol dire qualcosa); come Tara, cosa sarebbe il Sicilia queer senza la brutale magia della Sicilia? È magico il recupero del lavoro delle registe del cinema delle origini nel cortometraggio Dans le silence d’une mer abyssale (Klinke, 2020, vincitore per la giuria del Coordinamento Palermo Pride), ma lo è anche il “dono” del protagonista dell’horror Masking Threshold (Grenzfurthner, 2021), percepire il suono interiore degli oggetti, della vita, della morte lo renderà un “omicida inviato da Dio”. Nel videoclip/B movie Hideous di Yann Gonzalez il protagonista è la bella e la bestia, modello e mostro.
Ma la necessità di cercare una rete che oltrepassi il razionale, di scovare o inventare il magico collega epoche distanti, ombra storicizzata e astorica. La forma del trailer ci profonda nel cinema di Méliès; la sequenza in bianco e nero sembra impressa su pellicola e la colonna sonora su un vinile. Eppure alcune interferenze del contemporaneo minano l’illusione di star guardando un’opera del cinema delle attrazioni: le paillette, le scritte in fucsia, gli elastici per mantenere la barba sui visi delle due attrici. Nel queer, i piani temporali si contaminano ed è stato evidente seguendo la sezione “Presenze” del festival: un tributo a Mark Rappaport, la cui ricerca artistica si configura come un’archeologia del sommerso. Nei suoi video saggi si fondono critica, finzione e documentario; questo personale tipo di narrazione, pur essendo stata sviluppata dal regista negli anni Ottanta, sembra sempre esistita nel nostro immaginario, come fosse un originario automatismo del pubblico che elabora un film. A livello contenutistico, il regista newyorkese, presente a Palermo, evoca attraverso i loro ruoli cinematografici attori e attrici caduti nell’oblio, Debra Paget, Chris Olsen, Will Geer, Jean Seberg, chi decide chi è degno di essere ricordato? Rappaport lascia che parlino loro, in prima persona, tracce del passato rese voce dal presente, in una sorta di Spettri di Mark.
Inoltre, il magico gioca sulla sospensione e l’incomprensione: i due visi di Losier sono ermafroditi in a camp way, elementi percepiti come maschili s’infiltrano in una estetica “femminile”, il genere performativo viene mostrato come e durante una performance. Ma nel trailer assistiamo anche a una sovrapposizione di figure, come se portassimo in noi il seme dell’Altro, il nero che le circonda non è solo sfondo ma personaggio; il camp e l’ibridazione non si riducono alla sfera della sessualità. Il queer del Sicilia Queer non è – solo – sessualità: il festival si scosta da altri eventi cinematografici incentrati sulle stesse tematiche per la propria visione formale e stilistica delle pratiche queer. L’oggetto è mutevole, sono i paradigmi da far esplodere. Poi, in fondo, conferire autorità totale ai discorsi sulla sessualità, spesso collocandoli fuori dal rizoma intersezionale, enormi e inscalfibili, non è una forma “progressista” di dogmatismo? Se il queer è molteplicità non dovrebbe esserlo anche di voci-dissonanti? Postumani, antispecisti, anticlassisti, antielitaristi, osceni, soggetti e oggetti, i corpi queer sono inseriti all’interno della rete degli enti, delle materie e delle dimensioni. E, al contempo, rifiutano di essere identificati unicamente sotto il segno dell’«anti», di essere soltanto rampicanti negative in una realtà positiva contro cui si pongono. Ma come riuscire a suggerire una sottotrama simile all’interno di un festival di cinema? Organizzando un evento e proiettando dei film che sembrano una costante domanda. Possono dei burattini essere autentici nella ricostruzione delle cruente uccisioni di Dean Corll come in Jerk (Vienne, 2021)? Dove si colloca la morale tradizionale in una storia come Petite nature (Theis, 2021) dove un bambino si innamora di un adulto e prova a sedurlo? È possibile osservare il sesso fuori da pregiudizi e patologizzazioni, demolendo la sua carica politica come prova a fare Denis Coté in Un’étè comme ca? Alla fine di Bearded birds, l’attrice si veste di diverse espressioni, indecifrabili e non influenzate dall’effetto Kulešov; l’ultima però è inequivocabile: meraviglia. Enrico Berti, filosofo antichista, afferma che “in principio era la meraviglia”. Da questa sensibilità non incancrenita in concetto nasce una visione giovane della realtà, una filosofia che non sia viziata dallo studio, l’espressione momentanea della libertà cognitiva ed epistemologica. La meraviglia del festival risiede nel riuscire a traghettarci in uno spettacolo di magia, dove il trucco c’è e si vede, anzi bisogna urlare che esiste e mandarlo a morte pur continuando a rimanerne innamorati.