Il confine liminale che sancisce la natura ontologica della spiaggia è un evidente segno di rappresentazione visuale e fenomenica che caratterizza l’immaginario collettivo. La spiaggia è per antonomasia il luogo di confine tra la terra e il mare, quella “terra di mezzo” che sancisce la divisione tra il conosciuto e l’ignoto, oltre il quale si perde l’umana conoscenza di ciò che è visibile e tangibile. Al contempo la spiaggia, soprattutto nel panorama italico, si configura come il luogo di aggregazione e di disvelamento di modelli sociali e antropologici della popolazione italiana.
Un vero e proprio topos culturale, dunque, che nel cinema italiano si mostra attraverso lo smascheramento delle convenzioni sociali e identitarie proprie della quotidianità moderna e cittadina. Un gioco carnevalesco di esposizione corporea che si concretizza emblematicamente nel costume da bagno, esponendo il soggetto alla nudità simbolica del suo essere primordiale.
Con L’ultima spiaggia Christian Uva intende delineare un quadro epistemologico della dimensione atemporale e aspaziale propria del luogo balneare, attraverso il disvelamento dei suoi caratteri e dei suoi elementi sociologici portato alla luce dai film del cinema italiano, emblematicamente rinominati beach movies.
Strutturando un percorso cronologico quanto tematico, l’assunto metodologico che questa ricognizione tematica vuole perseguire è incentrato sulla presentazione di una serie di film scelti per mostrare le caratteristiche peculiari della rappresentazione della spiaggia nei differenti momenti del cinema italiano. Tali esempi filmici si caricano di una valenza simbolicamente concreta, che permette all’autore di tratteggiare un profilo netto di analisi che ha come focus sempre lo spazio balneare: capire come un locus di piacere borghese si trasformi effettivamente in uno specchio antropologico della società italiana.
Dal secondo dopoguerra la spiaggia si trasforma da vetrina edonistica in teatro di un’ideale messa in scena di maschere e mascheramenti che caratterizzano una società immobile e immodificabile, schiacciata dal giogo sociale rappresentato ancora dalla divisione netta tra aristocrazia e popolo. Il carattere univocamente esplicativo della mise en scene del palcoscenico balneare è un coacervo di rimandi al disvelamento dei topoi della spiaggia come arena di performance, in cui la teatralità preponderante del soggetto umano si carica di una valenza multiforme che si esplicita principalmente nel cinema degli anni ’50 e che successivamente sarà una costante dei film ambientati durante il boom economico. Tale esercizio di esposizione di rituali sociali e di fenomeni bizzarri che riguardano la spettacolarizzazione dei comportamenti umani si carica di una valenza simbolica che sfocia nel grottesco e nel perturbante. La spiaggia si trasforma in un vero e proprio set teatrale, in cui si mette in scena la drammaturgica rievocazione cinematografica della vita quotidiana. Un modello di visione afferente dunque ad un interstiziale locus di convergenza tra realtà e finzione, nel quale si cerca di mettere in scena i cambiamenti in atto nella società italiana.
Christian Uva nota come “la spiaggia si impone come luogo cruciale dell’immaginario nazionale deputato a rappresentare […] la complessità e le contraddizioni del cambiamento dei modelli di vita e di consumo a cui stanno andando incontro gli italiani” (p. 67). Il tema fondante, secondo l’autore, della rappresentazione del vitalismo corporeo nel luogo balneare si carica di una valenza sociologica che si esprime nel cinema quanto nella realtà a partire soprattutto dagli anni ’60, periodo storico ormai consolidato come momento di apertura espressiva, soprattutto giovanile.
Seguendo la visione di Uva, la categorizzazione e circoscrizione cinematografica in un genere, quello dell’Italian beach movie, si esplicita principalmente nella veste di un vero e proprio spot promozionale dei tipi e modelli sociali e culturali dell’Italia del dopoguerra, ammettendo la convergenza su schermo di questi secondo dinamiche e assunti esplicativi propri della pratica e del linguaggio filmici e delle regole della messa in scena. Tale premessa comporta anche, quasi implicitamente, una sovraesposizione dei corpi, che secondo le mode emergenti si indirizza verso una riduzione progressiva del costume - in questo caso sia scenico che reale - e che si traduce in un accanimento dello sguardo maschile sul soggetto femminile, traducendo in ottica mulveyana quella tendenza voyeuristica a strutturare l’inquadratura attraverso l’enfatizzazione del punto di vista soggettivo (nella fattispecie sempre maschile) sul corpo seminudo del soggetto femminile.
Spiaggia come palcoscenico sociale, ma anche come limen antropologico di trasformazione etica e di evoluzione spirituale: una soglia, rappresentata dall’arenile e dalla sua connotazione delimitativa, che introduce il soggetto ad un cambiamento evolutivo. Quasi come un’epifania primordiale, la battigia viene identificata come un luogo in cui arenarsi, perdersi e poi ritrovarsi, in cui il soggetto centrale dell’immaginario felliniano o di registi quali Mauro Bolognini si libera della sua connotazione identitaria rifatta e frammentata per imporsi come soggetto nuovo. Tale esplicitazione simbolica non avviene tanto sul piano estetico e rappresentativo, ma specialmente sul piano narratologico e simbolico, attraverso la riproposizione di temi ed elementi metaforici che permettono non solo di mostrare l’evoluzione del soggetto, ma con lui rappresentare anche quella tendenza che la società attraversa dopo la fine del boom economico. Come cerca di mostrare Uva la spiaggia si identifica con quella prerogativa e quella caratteristica propria della società italiana soprattutto negli anni ’80, di “vera e propria degenerazione della condizione umana” e una “totale regressione antropologica e sociale” (p. 140). Grazie a queste constatazioni emblematicamente incidenti sul piano rappresentativo, la spiaggia ancora una volta si fa portavoce iconico della condizione sociale italiana, imprimendosi come esempio di convergenza allegorica delle ripercussioni storiche, economiche e culturali della popolazione.
Il topos della dimensione balneare che Christian Uva ha voluto delineare in questo volume è rappresentativo di una convergenza specularmente convincente tra la spiaggia filmata e quella reale, fotografando però una dinamica propriamente cinematografica di cristallizzazione meticolosamente persuasiva dei tipi e modelli della società italiana. Un mondo altro – quello del bagnasciuga filmico – che si identifica necessariamente con un trasversale lavoro di impasse antropologico che cerca di scardinare la società dalla riproposizione mediata dalla macchina da presa, ma che inconsciamente si fa modello di una dimensione topica in cui la spiaggia sembra essere proprio il luogo d’elezione per la sua mise en scene carnevalesca.