Aux gravures souvent confuses et presque jamais séduisantes, des livres de classe, zoologies, botaniques, géologies, on substituera quelque jour, et d’une façon définitive, le film qui dévoilera aux élèves les secrets de la vie des insectes, de la fécondation des fleurs, les mœurs des oiseaux ou les grands phénomènes naturels de notre planète (Anon. 1913).
Queste parole con cui, dopo aver magnificato poche righe sopra l’uso diagnostico della radiocinematografia, l’entusiasta cronista della Film-Revue presenta nel 1913 i fasti educativi del cinematografo, sono rappresentative delle due facce del positivismo che concorrono alla massiccia diffusione della cinematografia scientifica in Europa a cavallo del secolo scorso: l’una volta a mettere il Domitor, conquista della scienza, al servizio della scienza stessa e delle sue magnifiche sorti e progressive, l’altra imbibita di fiducia nel potere educativo di quest’invenzione. Tale dicotomia si riflette anche nella tassonomia del film scientifico. Troviamo infatti, da un lato, i film di ricerca pura, concepiti e realizzati in contesti scientifici per documentare esperimenti e studiare fenomeni specifici con l’ausilio di tecniche anch’esse sperimentali e rivolti a una audience specializzata, e dall’altro l’operato delle principali case di produzione europee che, fresche di istituzionalizzazione, avviano nei primi anni del Novecento la produzione delle serie di insegnamento e divulgazione scientifica. Nascono così dal 1903 le prime serie scientifiche della Charles Urban Trading Company, seguite nel primo dopoguerra dalla serie Secrets of Nature, e le tre grandi imprese del cinema educativo francese: il catalogo Pathé Enseignement (dal 1909, su operato di Jean Comandon), l’Encyclopédie Gaumont e la serie Scientia Éclair, che dominerà il mercato dal 1912 al 1914. Così, dal 1908, il pioniere Roberto Omegna inizia a girare film scientifici per la Ambrosio e così una manciata di film medicali realizzati negli ospedali tedeschi diverrà dal 1918 il nucleo del posseduto del Kulturfilmabteilung, il dipartimento di film educativi della UFA.1
In questi anni il dibattito sul potere educativo del cinema ferve entusiasta e internazionale, così come transnazionale è anche il modello didattico a cui queste serie sono ispirate: leçon des choses in Francia, lezione per mezzo de’ sensi in Italia, object lesson per gli anglosassoni e Anschauungsunterricht in Germania, ovvero un modello pedagogico pensato soprattutto per l’insegnamento delle materie scientifiche ai più piccoli, che si basa sull’osservazione e sul contatto diretti dell’allievo con gli oggetti studiati,2 e che non esita ad appellarsi all’antico dispositivo dello stupore e della maraviglia che porta a conoscenza. Per questo motivo nelle prime serie di insegnamento e divulgazione scientifica la scelta dei soggetti da rappresentare cade spesso su quelli suscettibili di incantare maggiormente il (giovane) pubblico: niente animali comuni ma piuttosto creature la cui sola esistenza è difficile a credersi possibile (La torpille, Éclair e Pathé, entrambi 1913, Fig. 1; Glandina et ophisaurus, Éclair, 1913), sovente impegnate in improbabili combattimenti all’ultimo sangue (Carabes, Éclair, 1913; Le Dytique, Pathé, 1911 e Éclair, 1912). Ancora: piante carnivore sovvertono l’ordine dei regni naturali (Les plantes carnivores, Éclair, 1914), bistecche e rose si sbriciolano come gesso e anguille resuscitano durante le Expériences sur l’air liquide (Pathé, 1913 e Gaumont, 1908, Fig. 2).
1 Le operazioni più naturalistiche. Cinema scientifico ambulante
Di queste scelte non c’è di che stupirsi: dopotutto in tale temperie culturale marcata da una emergente “cultura visuale e partecipativa della scienza” (Boon 2008: 12), caratterizzata dallo stratificarsi di “regimi scopici” (Jay 1988) propri a secoli di divulgazione scientifica fatta di dimostrazioni con la lanterna magica, la messa in forma spettacolare della scienza è già un dispositivo sdoganato, di cui troviamo traccia in alcune vicende relative alla circolazione di film scientifici già all’epoca del primo cinema ambulante, che in Francia è chiamata del cinéma forain (Deslandes 1963 e 1968). Sappiamo infatti come in questa fase il cinema, neonata attrazione scientifica, si trovi perfettamente a suo agio a margine dei caotici boulevards o sui banconi della fiera, schiacciato tra la donna barbuta e il decapitato parlante, proprio come la lanterna magica – nata “magia catottrico-diottrica o taumaturgica megalografica” (Johannes Zahn, Oculus Artifcialis Teledioptricus Sive Telescopium, Würzburg, 1685, Fundamentum II, Syntagma V, Caput V, Technasma 2)3 – si era installata comodamente sulle spalle sudate dei lanternisti, a zonzo di paese in città. Questi sono gli anni in cui articolati assemblages di attrazioni, lanciate in collisione l’una contro l’altra alla velocità della luce dei lampioni che illuminano la nuova notte della metropoli, provvedono a saziare un pubblico affamato di meraviglioso; in cui “i café dei boulevards aspirano a divenire succursali della facoltà di scienze”4 (Claretie 1896: 50), e cavalcano il furor educativo positivista occhieggiando a un nuovo tipo di spettatore, voracemente sedotto dagli aspetti più curiosi e macabri della scienza, tanto da spingersi ritualmente a visitare la Morgue di Parigi come gita domenicale o da affollare i tanti musées anatomiques che aprono in città, come il quello di Elie Bonnet o il Musée Dupuytren, o quello di statue in cera che Jules Tabrich, modellista ufficiale della facoltà di medicina e fornitore di calchi per impresari di fiera, apre sul Grand Boulevard per mostrare alla folla le “malattie devastanti che affliggono l’umanità”.5 Onnipresenti qui gli ultimi ritrovati in fatto di scienza e tecnologia: raggi X, fotografie, esperimenti in stereoscopia e ottica, microscopi e cabinets de physique amusante con esperimenti su elettricità, magnetismo, bottiglie di Leida, bobine di Ruhmkorff. La memoria di questa fase è ancora impressa nel nome stesso che la Éclair sceglie per la sua serie di divulgazione scientifica: Scientia, in omaggio a quello che Georges Claude, fisico, chimico e futuro membro dell’Accademia delle Scienze di Francia, aveva scelto per il suo cabinet de physique al Luna Park di Porte Maillot a Parigi ancora nel 1910 (Fig. 3).
In questo contesto il cinema si trova a suo agio in primo luogo perché esso stesso presentato come macchina meravigliosa, ultimissima novità scientifica,6 e secondariamente perché in grado di esibire programmi eclettici di pezzi di mondo, di esotismo, di fiabe, di comiche, di realtà. E quale migliore combinazione di un’attrazione scientifica che mostra a sua volta gli ultimi ritrovati della scienza?
Dell’effettiva diffusione di film scientifici nei contesti ambulanti abbiamo invero poche testimonianze, di cui traccia proviene però dalla pur poco obiettiva History of The Kinetograph, Kinetoscope and Kinetophonograph (1895), scritta dai due assistenti di Edison e volta a magnificare la sua paternità dell’immagine in movimento. Subito dopo il celebre Kinetoscopic Record of a Sneeze (Edison, 1894) che è direttamente collegato agli studi di fisiologia sperimentale (Cartwright 2006: 13), il trattato presenta una serie di ingrandimenti dei “corpi infinitesimali” di insetti, di circolazioni del sangue e di microorganismi dell’acqua stagnante. Le lotte di questi esseri, che al kinetoscopio si rivelano essere “nemici invisibili” e portatori di “orrori inimmaginabili”, sono eloquentemente messe in dialogo – nel medesimo paragrafo, senza nemmeno andare a capo – ai combattimenti feroci dei Boxing Cats (Edison, 1894, Fig. 4):
Monsters close upon each other in a blind and indiscriminate attack, limbs are dismembered, gory globules are tapped, whole batallions disappear from view. Before the ruthless completeness of these martial tactics the Kilkenny cats fade into insignificance, and the malign Jersey mosquito resolves itself into an honorable champion, sounding the bugle of approach and defiance (Dickson 1895, 41).
È chiaro qui il potenziale “attrattivo” delle visioni microcinematografiche, in una congiuntura in cui il manuale per illusionisti Magic. Stage Illusions and Scientific Diversions dedica a queste – e alla cronofotografia – l’intero ultimo capitolo (Fig. 5).7 È forse per via della potenza di queste incursioni scopiche in domini fino a quel momento invisibili che nel montaggio di féeries, comiche e nuovi film di Fregoli e Meliès del composito programma del Grand Biorama Skramson (circa 1900) constatiamo la presenza di una “série de tableaux militaires, scènes maritimes, enfantines, scientifiques et amusantes”.8 In questo senso il cinema scientifico ai suoi albori, specialmente nella sua versione microcinematografica, trova posto nell’economia di un regime spettatoriale come quello del “cinema delle attrazioni”, determinato dalla collisione dialettica di tanti spettacoli diversi che dà vita a un’esperienza discontinua, piena di rotture e scarti, e che ha nell’atto dell’esibizione stessa di un contenuto – piuttosto che nella costruzione di un racconto – il motore del suo interesse.9 Non è dato sapere cosa si celasse dietro quella dicitura “scènes scientifiques”: forse microcinematografie a basso ingrandimento, come quelle che i Dickson dicono di avere realizzato dal 1894, o forse film chirurgici giunti agli impresari per le stesse vie traverse che consentivano ai direttori dei musées d’anatomie di mostrare embrioni, feti malformati e campioni degli effetti di malattie veneree sulla pelle o di attrezzare tableaux vivants in cera di operazioni e parti difficoltosi. In particolare, sembra che l’attenzione morbosa verso i primi film di chirurgia ginecologica sia la ragione che ne ha garantita percentualmente una sopravvivenza maggiore rispetto agli altri film chirurgici, per via del commercio parallelo di cui essi erano oggetto.10 A questo proposito, l’indignata cronaca che Léonce Balitrand (1908) riferisce della fiera di Montmartre è un prezioso contributo che conferma l’interesse degli impresari verso i film di chirurgia ginecologica:
Pour l’éducation populaire ou plutôt pour sa démoralisation, une soi-disant “sage-femme de première classe de la Faculté de Paris” a construit un musée où, à côté des cires anatomiques, on nous donne pour le même prix les opérations les plus…naturalistes de la chirurgie dernier bateau. Oh ! Vous reconnaîtrez facilement. Il tranche sur ceux qui l’entourent ; pas de décorations, de dorures, des festons, d’astragales. Non. À l’entrée, un simple portique dorique, ou corinthien peut-être, couleur pierre ; des employés en costume d’interne des hôpitaux, des employés en tenue d’infirmière, blouse, tablier et bonnet blanc ; des pancartes impressionnantes: “Les personnes sensibles sont invitées à ne pas entrer dans la clinique”; puis, sur la porte même, un manifeste de la sage-femme (?): "J’ai pensé qu’entre deux visites à la femme colosse et à l’avaleur de sabres, il y avait place pour un spectacle plus élevé […]. L’éducation du peuple s’est à ce point développée que l’on peut aujourd’hui mettre sous ses yeux ce qui était autrefois le privilège d’une élite intellectuelle, etc…
Me suis-je trompé ?
Ai-je eu raison ?
Au public de répondre"
C’est tout: pas de boniment parlé, de musique. On entre, on entre en foule, des femmes surtout. L’intérieur ressemble à une salle d’opération ; pas un meuble, pas un siège ; à droite et à gauche, des reproduction ultra-réalistes qu’on prend peine à voir contempler sans gêne aucune par le public féminin. “Nous prions les gens trop impressionnables des bien vouloir quitter la salle, la direction ne garantissant aucun accident”. C’est un petit bonhomme, rasé, sentencieux, qui vient de nous servir cette apostrophe…On éteint ; la représentation cinématographique commence, et c’est avec un véritable plaisir que l’on voit annoncées en italien sur le transparent lumineux les opérations dont il s’agit. Ainsi donc, M. le directeur s’est vanté tout à l’heure en nous promettant…d’exhiber quelques chirurgiens parisiens. On aime autant que ce soit d’autres qui aient eu la complaisance, gratuite ou non, de poser devant l’appareil ; car, sans vouloir se montrer intransigeant moraliste, on peut penser que tout n’est pas pour les mieux dans les plus répugnant des spectacles et que, vraiment, l’éducation du peuple n’a que faire de pareilles exhibitions.
Possibile che questo film, che mostra intertitoli italiani, fosse uno di quelli che uno dei primi impresari teatrali italiani, Menotti Cattaneo, sembra avesse iniziato a mostrare a Napoli dopo aver dismesso il piccolo museo di anatomia in cui esibiva e “dissezionava” un modello in cera?11 D’altro canto, l’uso di mostrare film di film chirurgici in contesti spettacolari è testimoniato anche dallo stesso Jean Painlevé che dichiara di aver assistito, in una fiera del 1911, alla proiezione di un film su un parto cesareo girato dal dottor Doyen (citato sarcasticamente tra le righe anche qui sopra), il quale a quella data era già stato al centro di due noti scandali legati al commercio – vero o presunto – dei suoi film operatori.12 Come illustra Thierry Lefebvre, in entrambi i casi alla fine il nome del dottore esce pulito: nel primo sembra che l’impresario del Musée Azoux della Foire des pains d’épices (1902) avesse affisso all’ingresso della sua baracca un cartello che dava a intendere la proiezione della celebre Séparation delle due gemelle siamesi Doodica e Radica – “Il Dottor D…(per esteso)! Venite a vedere il Cinematografo, la famosa operazione di Doodica” riporta l’indignata Tribune Médicale (Legrain 1902) –, mentre in realtà non aveva in possesso che alcune riproduzioni in cera di una delle due gemelle, peraltro non autorizzate dal chirurgo. Doyen ribatte subito e pretende le scuse ufficiali della rivista: “gli originali dell’operazione sono troppo ben custoditi perché qualcuno possa essere riuscito a copiarli” a sua insaputa (Doyen 1902). Curiosamente invece il secondo scandalo ha proprio a che vedere con una mancata custodia – voire la deliberata vendita dei negativi di un intervento da parte del suo ex-operatore Ambroise-François Parnaland, deluso dal trattamento a lui riservato dal celebre chirurgo. Seguirà processo (Cfr. Lefebvre 1997). Alla luce di questi eventi è quanto mai significativo ritrovare ripetutamente alla voce “films d’occasion” della stagione 1908 del Ciné-Journal – una delle prime pubblicazioni specializzate, con ampie sezioni dedicate alla compravendita tra impresari – tra La vie de Jesus e le Aventures d’un chien et d’un bebé, anche quattrocento metri di una “opération Du Docteur Doyen. Etat neuf” (Fig. 6). Infine, resta traccia di questo passato di diffusioni non autorizzate in contesti spettacolari anche nel Catalogue des films médicaux et scientifiques de Pathé-Consortium Cinéma, dove è ancora chiaramente specificato che i film chirurgici realizzati da Jean Comandon durante la guerra non devono essere diffusi se non a un pubblico specializzato, avvertimento che è riportato anche in testa a ogni film.13
2 Semplicemente meraviglioso! Film scientifici all’Alhambra Theatre
Tra questa fase e l’istituzionalizzazione di un vero e proprio sistema-cinema, con la conseguente sedentarizzazione delle proiezioni in sale appositamente adibite, e la progressiva normalizzazione di questi spettacoli compositi in cui, come vedremo in chiusura, il film scientifico non cesserà comunque di occupare un posto che continua a parlare del suo “svezzamento” in fiera, si colloca un episodio fondamentale della ricezione del film scientifico dei primi tempi. In esso vediamo in azione le potenzialità “attrattive” già provate dalla curiosità morbosa suscitata nel pubblico dal film chirurgico, darsi tramite un particolare spettro dello choc che colpisce lo spettatore moderno, già messo a dura prova dall’ “intensificazione della sua vita nervosa”: quello generato dalle frontiere del visibile che le nuove invenzioni scientifiche – microcinematografia in primis – infrangono l’una dopo l’altra.
Non siamo a Parigi, ma a Londra, in quel 1903 in cui anche Simmel pubblica il suo saggio sulla metropoli e Charles Urban, voce del suo tempo nell’entusiasmo con cui sostiene il potere educativo del cinema14, presenta all’Alhambra Theatre di Douglas Cox le serie di divulgazione scientifica della Charles Urban Trading Company che – diversamente dai primi film di Comandon, che godono sì di una grande eco sulla stampa ma che prima di andare ad allargare le fila del catalogo Pathé Enseingnement costituiscono l’oggetto di comunicazioni in contesto scientifico15 – è pensata esplicitamente per la divulgazione. The Unseen World’s. A Series of Microscopic Studies, Photographed by Means of the Urban-Duncan Micro-Bioscope (Fig. 7) è un successo, che nell’arco di nove mesi si rivela in grado di tenere alta l’attenzione per tutti i venticinque minuti della sua durata – decisamente tanti per “una sessione di Bioscope, ma l’attenzione rapita del pubblico e lo scroscio di applausi nel finale testimonia la popolarità che questi film si sono subito assicurati”.16 L’entusiasmo della stampa, preventivamente allertata da Charles Urban, è tale che egli strategicamente inserisce nel successivo catalogo della CUTC una lunga rassegna stampa relativa, che si rammarica di dover chiudere “per mancanza di spazio”. Questa raccolta di testimonianze vuole ostentare quella che è l’“unanime opinione della stampa e del pubblico: ‘Semplicemente meraviglioso!’”.17
Per quanto non più avvolto dalle polveri della fiera, ma ospitato in una più dignitosa sala stabile,18 con The Unseen World siamo ancora pienamente all’interno del regime delle attrazioni, in cui i film letteralmente colpiscono lo spettatore risvegliando “la sua attenzione e la sua curiosità attraverso un atto di mostrazione”, configurandosi come un puro “momento di spettacolo”.19 Effettivamente il è il concetto stesso di “attrazione” a ritornare come un mantra in queste recensioni: la serie Urban è “one of the most curious, attractive, and extraordinary exhibitions”, una “particularly strong feature in the evening’s attractions”,20 grazie ad essa possiamo godere dei progressi scientifici nella “most attractive form”.21 Come sostiene Luke Mc Kernan (2015: 43), infatti, con le serie scientifiche Charles Urban “ha riportato il cinema alle sue radici”, mettendo in luce inoltre, a nostro avviso, la loro filiazione diretta con la maraviglia rinascimentale, con l’incanto che porta a conoscenza: nella sola recensione del Daily Telegraph i termini afferenti al campo semantico della meraviglia occorrono dieci volte – marvel, marvelous, miracle, incredible, blood-endrilng, wonderful… (Fig. 8).
Come si presentano in microcinematografia queste meravigliose e choccanti visioni? Non è difficile stilare una lista di topoi, che permangono negli anni fino a intercettare l’orizzonte estetico delle avanguardie degli anni Venti, quando i film scientifici – non solo in microcinematografia – si troveranno sistematicamente inclusi in quell’esperimento estremamente moderno che è la pratica di programmazione di ciné-club e sale specializzate, rivendicando un loro posto preciso nella riflessione sulla specificità del medium.22
In primo luogo domina una stupefazione tecno-estetica che ritroveremo, virata, nei dibattiti dell’avanguardia – dal “valore tecnico incomparabile” che Émile Vuillermoz individua dei film sulle libellule di Lucien Bull proiettati al Vieux-Colombier (1927, 6), al “Technique commande” di Léon Moussinac (1923). L’oggetto dello stupore sono gli ultimi ritrovati in campo tecnico-scientifico come appunto il nuovo Urban-Duncan Microbioscope: l’attenzione di entrambi i blocchi di recensioni (luglio e ottobre 1903) è infatti pressoché monopolizzata dalla serie microcinematografica The Unseen World, quando invece sappiamo che furono proiettati anche episodi appartenenti a Studies of Natural History, una seconda serie di divulgazione Urban, di cui vengono ricordate ovviamente solo le scene a maggior tasso d’attrazione, come i pasti del “rospo pugile” e del ragno Zermatt, lo studio della lingua veloce e prensile di un camaleonte o il funzionamento dei denti velenosi di un serpente.
Secondariamente, in piena sintonia con il contesto delineato in apertura dell’articolo, questo insistere sull’aspetto meraviglioso della rivelazione ottica di prodigi scientifici è presentato in intrinseca connessione alla missione educativa di cui Urban si era fatto portatore: l’uso di una “tecnica estremamente raffinata” “dovrebbe far convogliare le folle all’Alhambra”, elevando il cinema a mezzo di riscatto sociale. Questi film sono infatti dotati di un “effettivo valore educativo” proprio perché riescono a coinvolgere “tutte le classi di pubblico”,23 “masse” comprese.24 Insomma “divertirsi è bene, ma divertirsi e imparare nello stesso tempo è ancora meglio”.25 Proprio in questo senso è richiamato più volte il legame diretto con la storica sede dell’Old Polytechnic di Londra, pur essendo i film Urban radicalmente superiori alla lanterna magica: “che cosa sensazionale sarebbe stata se ai tempi del vecchio Polytechnic si fosse potuti disporre di qualcosa del genere”26: “certo la scienza è progredita un bel po’ dal 1854”.27 Sostanzialmente la filiazione con gli spettacoli di lanterna magica è diretta, ma il potere educativo è potenziato qui dal sensazionale progresso tecnico: in particolare il Microbioscope riesce in questo intento attraverso l’unione dei suoi due poteri: quello di ingrandire l’infinitamente piccolo e quello di farne vedere il movimento incessante, omologo a quello della metropoli dove “tutto volge rapido”, come diranno di lì a poco i futuristi28:
Science has just added a new marvel to the marvelous powers of the Bioscope. A few years ago, it was thought sufficiently wonderful to show the picture of a frog jumping. Go to the Alhambra this week and you may see upon the screen the blood circulating in that same frog’s foot. This sounds a trifle incredible, but it is an exact statement of the truth. The new miracle has been performed by the adaptation of the microscope to the camera.29
Con l’ingrandimento torna poi il senso di orrorifica meraviglia già stratificato in secoli di dimostrazioni scientifiche con lanterne magiche e microscopi ottici: a stupirci è ancora il pullulare di nemici piccoli e invisibili sproporzionatamente ingranditi, l’orrore di cui brulica il nostro quotidiano, quello che serpeggia nei nostri alimenti: ancora una volta sarebbe meglio non “mangiare mai più formaggio, né bere mai più acqua” poiché la microcinematografia ha reso visibili al popolo le verità “raggelanti” che essi celano.30 Microbic Monsters titola appunto il Daily Express31 per definire queste piccole creature che vengono “ingrandite come mostruosi granchi bianchi che agitano le loro propaggini, tutti gambe e capelli”.32 Affascinanti e terrorizzanti fino allo straniamento, essi sono oggetti quasi-surrealisti che arriveranno alle avanguardie, basti pensare agli intertitoli di un film come Het leven in een druppel water (La vita in una goccia d’acqua, J. C. Mol, Multifilm, 1927), più volte proiettato nella fucina sperimentale della Filmliga olandese, nonché unico film propriamente scientifico ad essere incluso da Hans Richter nella sezione cinematografica della mostra Film und Foto,33 che riporta lo stesso straniamento (qui ostranenie) dovuto al cambio di scala, lo stesso svelamento del quotidiano (il velo dell’anestesia benjaminiano) e la soverchiante mostruosità della miriade di vite che passano inosservate ai nostri occhi miopi.
La serie Urban è talmente di successo da attraversare velocemente la Manica e da approdare al Ba-Ta-Clan di Parigi nella settimana che va dal 2 all’8 ottobre 1903, andando a costituire una sessione di una ventina di minuti proiettata con Cendrillette, un’operetta in due atti. Jean-Jacques Meusy riferisce (1995: 172) che il successo di questa proiezione è tale da chiamare le repliche e che il 6 febbraio 1904 l’Alhambra parigino apre la stagione con un programma sul “mondo invisibile ripreso con microscopio e cinematografo”, posto a chiusura di uno spettacolo di esibizioni miste di orchestra militare e di funamboli, di comici e cantanti. In questa seconda proiezione le microcinematografie si sono spostate dall’apertura alla chiusura dello spettacolo, quasi come se fossero divenute un nuovo tipo di attrazione, quella principale.
3 Costellazioni e nebulose. I film in microcinematografia di Jean Comandon
Il pubblico è ormai pronto ad accogliere i primi film in microcinematografia di Jean Comandon, che avranno un’incredibile risonanza nella cultura visuale dell’epoca già a partire dalla loro prima presentazione alla séance dell’Académie des Sciences, il 26 ottobre 1909. In una recensione di questo evento leggiamo che “un angolo del velo misterioso che avvolge ancora il mondo invisibile è stato sollevato all’Académie des Sciences” (R.D. 1909). Questo velo è lo stesso che Charles Urban aveva iniziato ad alzare con The Unseen World, e che ritroveremo come un topos nella vulgata delle avanguardie, mai lasciato al suo posto dalle tecniche del cinema scientifico, costantemente disturbato dal ralenti nelle proiezioni al Vieux-Colombier e finalmente tranciato – il velo dell’abitudine – nella prosa di Walter Benjamin e Ernst Bloch.
Ancora, la cronaca prosegue con l’esaltazione topica di una meraviglia svelata dall’ultramicroscopio, l’ultimo ritrovato della tecnica eloquentemente abbinato nell’articolo alla celebrazione della “visione a distanza” resa possibile dalle riprese aeree. Questo straniamento è un topos della visione al microscopio che attraversa i secoli: dalla Micrographia di Robert Hooke (Fig. 9) ai film di Charles Urban, alle recensioni di questi stessi film di Comandon scritte da Émile Vuillermoz di qui a dieci anni, che influenzeranno l’elaborazione di una teoria del cinema puro. Le microcinematografie ad alta definizione di Comandon rivelano che nell’insospettato si cela un mondo: “credevamo che questo siero fosse un liquido omogeneo, ma grazie alle immagini ottenute con l’apparecchio di Comandon, ci accorgiamo di una molteplicità di corpuscoli animati dal movimento ‘browniano’, di cui finora si supponeva solo l’esistenza”. Gli eventi che si svolgono in questo mondo sono raccontati con i toni incalzanti dell’attrazione, che culmina con l’arrivo nel sangue di un tripanosoma che rende “lo spettacolo diversamente attraente”.