Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.21 (2022), 63–72
ISSN 2280-9481

Stand up for your rights! Celebrities e attori italiani in lotta ai tempi della pandemia

Giulia Francesca MuggeoUniversity of Turin (Italy)

Giulia Muggeo is Assistant Professor at the University of Turin. Her principal research interests are Italian cinema, popular cinema and performing studies. Her main publications are Star Domestiche. Le origini del divismo televisivo in Italia (2020), Ciao Maschio. Politiche di rappresentazione del corpo maschile nel Novecento, with G. Albert, G. Carluccio and A. Pizzo (2019); and Marcello Mastroianni: echi e riscritture di un attore (Bonanno, 2017).

Mariapaola PieriniUniversity of Turin (Italy)

Mariapaola Pierini is Associate Professor in Film Studies at the University of Torino. Her main area of research is film acting, with a focus on actors’ training and techniques. Her inquiry into the themes of acting was conducted through case histories, and her publication record includes chapters in books, journal articles and several books. She is a founding member of CRAD – Actor and Star Studies Research Center (University of Torino), and she is the editor of the column “ActorSegno” on the magazine Segnocinema. She is the Unit leader of the University of Torino of the F-ACTOR research project (PRIN 2017).

Ricevuto: 2022-03-29 – Versione revisionata: 2022-05-26 – Accettato: 2022-05-26 – Pubblicato: 2022-07-14

Stand Up for Your Rights! Italian Celebrities and Actors’ Struggles during the Pandemic

Abstract

Italian actors are a weakly protected and chronically crumbled category: after decades of inertia the pandemic pushed to a cohesive mobilization of the performers, which stood and fought openly in defense of their rights.  In the following months, many actors have revived the debate, mostly online, and through social media. They made calls and petitions, requesting economic aid and a regulatory framework to protect their rights. The most active organization is U.N.I.T.A. (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), an association founded during the most critical times of the pandemic, led by Vittoria Puccini and other well-known Italian actors. U.N.I.T.A.’s public statements primarily dealt with the problems related to the pandemic crisis to get, nowadays, to more complex (and rather old) issues related to the qualification and recognition of the actor’s professional role: rights of publicity in the new mediascape (for instance, streaming performances), the urgency of a guarantee fund, gender equality, the establishment of a professional register. In light of the above, the aim of the paper is firstly to reconstruct these actors’ collective stance-taking initiatives and the ways in which they were organized and promoted. Secondly, the contribution will analyze how this network activity has increased the professional recognition and relevance of the actor in the Italian media production field. Reflecting on the activity of networking, the analysis will consider how a traditionally fragmented category is now developing a consciousness of its role as a political intermediary and cultural endorser, also in the context of school education.

Keyword: Italian Performers; U.N.I.T.A; Trade Unions; Political Activism; Covid-19.

Il presente contributo è stato ideato, progettato e discusso congiuntamente. La concreta stesura è stata, tuttavia, così suddivisa: l’introduzione è stata redatta da entrambe le autrici; il primo e terzo paragrafo sono stati redatti da Giulia Muggeo; il secondo e il quarto paragrafo da Mariapaola Pierini.

L’emergenza sanitaria ha visto le attrici e gli attori italiani nuovamente mobilitati e, come mai nella storia recente, in modo piuttosto coeso e battagliero. La pandemia ha agito da detonatore, e ha fatto riemergere problemi endemici di una categoria cronicamente sfaldata, mal rappresentata e poco tutelata a livello di contratti, di indennizzi, di salute e sicurezza. A partire dal periodo del primo lockdown (9 marzo-18 maggio 2020), e nei mesi successivi, molti attori italiani di cinema e teatro hanno animato dibattiti in rete, lanciato appelli e petizioni, cercato spazi sui media, manifestato in piazza al fine di ottenere un quadro normativo a tutela dei propri diritti. L’impossibilità di lavorare e le forti limitazioni imposte dalle misure di prevenzione dei contagi hanno riacceso e stimolato un confronto interno, riaprendo questioni da tempo silenti e dando vita a forme di associazionismo e di coesione che hanno scavalcato il ruolo tradizionalmente svolto dai sindacati.

La recente mobilitazione degli attori ha sì aggiornato le forme e gli strumenti della rivendicazione, ma ha radici profonde. E per meglio comprendere il presente può essere utile ripercorrere le tappe principali della storia delle lotte sindacali condotte dagli interpreti italiani. Considerare gli attori come lavoratori significa però scontrarsi con alcune complessità e contraddizioni della categoria, nonché guardare l’attore da una prospettiva inedita e per certi versi scomoda. I media production studies ci hanno insegnato a considerare gli artisti del grande schermo come elementi di un ingranaggio complesso e come oggetti strategici capaci di orientare le pratiche produttive dell’industria cinematografica (Barra e Pitassio 2021: 249–251). Eppure, sebbene negli ultimi decenni l’attenzione degli studiosi si sia avvicinata sempre più all’immagine dell’“actor as worker” (King 1984: 154-184, King 1985: 27-50, Clark 1995), risulta ancora difficile allontanare del tutto l’idea che il lavoro dell’attore sia “to some extent, a form of immaterial labor” (Fortmueller 2015: 5-9). A questo primo ostacolo se ne affianca un secondo, altrettanto insidioso, che riguarda da vicino la natura stessa di una classe di lavoratori ritenuta da sempre privilegiata. La lunga battaglia per il riconoscimento dei diritti legali e contrattuali degli attori, dunque, si è svolta parallelamente a una lotta ben più complessa e ardua, legata al riconoscimento sociale e culturale della categoria stessa.

L’analisi delle modalità di rivendicazione degli attori italiani impone quindi di soffermarsi sulla funzione svolta dalla celebrità di alcune figure sia nel sostegno della causa comune, sia nell’efficacia stessa della mobilitazione. Infatti, nelle lotte di ieri e in quelle di oggi gli attori più noti, in grado di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, hanno ricoperto il ruolo di portavoce, di testimonial, di endorser, sfruttando la propria fama per dare visibilità alle istanze altrui, ovvero di coloro che visibilità e fama ancora non ce l’hanno. 

Il saggio quindi si propone di indagare un frangente molto particolare della storia (ancora in gran parte da scrivere) degli attori italiani come categoria di lavoratori, riflettendo, sulla base di un breve percorso storico e di un raffronto con lo scenario internazionale, sulle forme di coinvolgimento e di endorsement delle star e delle celebrities nelle battaglie sociali e politiche. Se i nostri divi e attori hanno talvolta prestato il proprio volto in sostegno di buone cause, l’annoso problema della loro credibilità ed efficacia resta aperto. E laddove la battaglia si pone in una posizione intermedia tra l’endorsement politico e quello “umanitario” (gli attori italiani difendono se stessi e la categoria a cui appartengono, da una posizione però di privilegio) il tema si rideclina e si aggiorna, anche in considerazione delle peculiarità del nostro panorama, della tentazione “anti-divistica” (Carluccio e Minuz 2015) di molti nostri interpreti e della scarsa cultura d’attore che caratterizza lo scenario italiano (Pierini 2017).

1 “Gli artisti con i metalmeccanici, figuratevi che matrimonio”1. Dalla fondazione della Società Attori Italiani a UNITA

Se dovessimo rintracciare un momento di svolta, non soltanto per la categoria ma per il settore cinematografico nella sua interezza, questo sarebbe certamente da individuarsi nel febbraio 1949, in occasione del cosiddetto “comizio dei cinematografari” di Piazza del Popolo. “Aiutateci a salvare il cinema italiano” è il grido lanciato da alcuni dei principali attori e registi dell’epoca, tra i quali spiccano i volti e le voci di Anna Magnani, Gino Cervi, Alessandro Blasetti e Vittorio De Sica. Circa quindicimila manifestanti tra attori, divi, registi e semplici cittadini, tra “cappotti di cammello dei quartieri alti e […] impermeabili stagionati e sgualciti degli abitanti di periferia” (Redazionale 1949: 1) si riuniscono in piazza in difesa del cinema italiano, contro l’invasione delle pellicole hollywoodiane. Con l’appoggio della CGIL, i molti attori e autori che prendono parte a questa manifestazione sottolineano per la prima volta alcune problematiche cruciali insite nella professione attoriale. Oltre alla già citata “soffocante pressione del prodotto americano” (Quaglietti 1949: 3) e alla mancata tutela della produzione nazionale da parte del governo, inizia a farsi strada la preoccupazione legata al doppiaggio, la cosiddetta questione “voce-volto”, altro nodo essenziale destinato ad assillare per decenni i percorsi professionali degli interpreti italiani. Dopo i duri anni del conflitto mondiale, dunque, gli attori sembrano mossi da una nuova e risoluta consapevolezza del proprio ruolo all’interno della società, ruolo non sempre accreditato e riconosciuto dai commentatori dell’epoca. Sui periodici del tempo, infatti, il cinecomizio del 1949 è descritto e restituito ai lettori nella sua componente “spettacolare”, e gli scontri in piazza sono paragonati all’atmosfera di una prima teatrale piuttosto che al clima di una accesa manifestazione.

“Seguito suo mancato intervento giorni 9 e 10 corrente prove produzione comunichiamole che consideriamo risoluta ad ogni effetto, per sua colpa e fatto, scrittura formulando ogni riserva nostri diritti. Firmato RAI, radiotelevisione italiana” (Redazionale 1960: 1-3). È questo il testo del telegramma ricevuto da alcuni attori che, il 9 e 10 febbraio del 1960, prendono parte allo sciopero di quarantotto ore indetto dalla neonata SAI, la Società Attori Italiani2, con il sostegno della CGIL e della CISL. L’ingiustificato licenziamento degli scioperanti inasprisce ulteriormente gli animi degli attori, già profondamente delusi dalla cattiva e vetusta regolamentazione dell’azienda in materia di diritti. Sono questi gli anni in cui la RAI – grazie all’introduzione di nuove tecnologie come l’Ampex – comincia a fare largo uso dei materiali registrati, maturando parallelamente una sempre maggiore consapevolezza del valore del proprio patrimonio archivistico. L’utilizzo massiccio e indisciplinato di queste registrazioni, però, non prevede un adeguato compenso supplementare agli attori coinvolti3; tra il febbraio e il maggio 1960, dunque, gli attori chiederanno a gran voce una “regolamentazione del rapporto di lavoro che riconosca la dignità professionale dell’attore, e nel cui ambito sia garantito il principio del ‘diritto di registrazione’” (Gismondi 1960: 3).

Il 24 maggio 1960, dopo numerose lotte e molti tentativi di mediazione, la RAI-TV cede alle richieste degli attori portando, quattro anni più tardi, alla costituzione del primo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro4. È di fatto la prima grande vittoria della SAI e della categoria stessa, soprattutto per quanto concerne l’utilizzo e i diritti d’immagine degli attori. Con la nascita di questa associazione, inoltre, si gettano le basi per la formazione di una nuova tipologia di attore: l’attore lavoratore, ossia un artista molto lontano “dall’immagine dorata che il pubblico si fa […] in base al modello fornito dai rotocalchi, che riguarda esclusivamente un gruppo ristretto di professionisti, i cosiddetti divi” (Laudadio 1978: 9).

Nel corso degli anni Sessanta la SAI vive il momento di più ampia visibilità. Nel 1968, sulla scia delle contestazioni che interessano la nazione intera, i firmatari dell’associazione tornano ad affollare, compatti, le sedi della RAI-TV per protestare contro la pratica del doppiaggio e l’importazione di interpreti stranieri; l’occasione porta però gli attori a ragionare in termini più ampi sulla “natura episodica e aleatoria” (Redazionale 1968: 9) della propria professione. Sulla scia di queste riflessioni, la SAI organizza lo stesso anno, a Cesenatico, il primo Convegno Nazionale degli Attori Italiani, un momento d’incontro e confronto importante la cui memoria sopravvive ancora oggi grazie alle puntuali ricostruzioni dell’attore e sindacalista Tonino Pavan. È lo stesso Pavan infatti a ricordare la lenta crisi che attraversa l’associazione sul finire degli anni Settanta; nel luglio 1979, infatti, dalle ceneri della SAI nasce il Sindacato Attori Italiani, affiliato con la FILS-CGIL: “una trasformazione votata a larga maggioranza nel corso del primo congresso nazionale della categoria che ha visto riuniti nella suggestiva sala Borromini di Piazza della Chiesa Nuova trecento dei millecinquecento attori iscritti alla vecchia SAI” (s. reg. 1979: 7). L’adesione della SAI alla CGIL, a detta dei firmatari, è l’occasione per ottenere ciò che agli attori è sempre mancato, ossia un “inquadramento sindacale solido e continuo, senza il quale nessun problema contrattuale e occupazionale può essere efficacemente affrontato e risolto” (Redazionale 1978:9). L’auspicio è, in sostanza, quello di superare i problemi storici della categoria: “la ricerca di una identità professionale e culturale, la mancanza di una legislazione che difenda l’attore sul piano del lavoro, la libertà di scelta” (G. Cer. 1979: 9).

Tonino Pavan, divenuto nel 1979 coordinatore nazionale del Sindacato Attori Italiani, ricorda in particolare l’operato di Pino Caruso, membro del Comitato Costituente e, dal 1988, segretario Generale del medesimo Sindacato. L’attore siciliano si dimostrò determinante per diverse battaglie condotte dalla categoria tra anni Ottanta e Novanta, battaglie che, ancora una volta, porranno al centro del mirino l’invasione di interpreti stranieri, nonché “la pratica debordante del doppiaggio”, “la faciloneria di certe coproduzioni […], il ripudio sistematico della lingua italiana alle quote europee di programmazione […], l’invadenza degli spot” e, più in generale, “la mancanza di serie garanzie professionali” (Anselmi 1987: 27).

Il 17 giugno del 1989, dopo diversi mesi di proteste e scioperi, i membri del Sindacato Attori bloccano il doppiaggio della miniserie televisiva I promessi sposi (S. Nocita, 1989) dando nuovamente avvio a una lunga trattativa con la RAI per riconoscere finalmente all’attore “il rispetto dell’integrità audiovisiva”. In seguito allo sciopero gli attori otterranno un accordo che vedrà la RAI impegnarsi nel “rispetto della lingua italiana (anche nelle produzioni assegnate in appalto) […] al rispetto del rapporto audio-video degli attori (cioè niente doppiaggio in italiano per gli attori italiani) […] e alla comunicazione preventiva ai sindacati dei programmi produttivi” (Martirano 1990: 21).

Bisognerà attendere gli anni Duemila per assistere a una ulteriore scossa di assestamento legata alla grave crisi che investirà di lì a poco l’intero Paese. Nell’ottobre 2005, infatti, il Sindacato Attori, il Forum attori e il Coordinamento attori, insieme a CGIL, CISL, UIL, ANICA, AGI e API scendono in piazza protestando contro i tagli decretati dalla Finanziaria al Fondo Unico per lo Spettacolo, uniti dallo slogan “chiudere un giorno per non chiudere per sempre”. Nello stesso anno, significativamente, viene organizzata la mostra Italia ’60: attori sulle barricate, curata dal Centro Studi Enrico Maria Salerno con la partecipazione dell’assessorato alle Politiche culturali del Comune di Roma e dell’Ente Teatrale Italiano. Si tratta della prima occasione di riflessione, nonché del primo tentativo di sistematizzazione della lunga e travagliata storia delle lotte sindacali combattute dagli attori italiani.

Alle porte del nuovo decennio le pagine dei quotidiani tornano a parlare dell’IMAIE, l’ente fondato nel 1977 responsabile della gestione dei diritti d’immagine degli interpreti. Dopo decenni di silenzio, l’Istituto si trova improvvisamente al centro dell’attenzione per l’accusa di riciclaggio mossa nei confronti di due ex consulenti e per numerose irregolarità riscontrate a livello amministrativo. L’ente viene così liquidato nel 2009 e rifondato l’anno successivo come Nuovo IMAIE. La cattiva gestione dell’Istituto non viene però cancellata dalla memoria di molti attori, e alcuni di essi propongono strade alternative a quelle fino ad allora battute per la tutela dei diritti degli artisti. È il caso dell’associazione Artisti 7607 (nome che prende spunto dalla data di nascita dello Statuto sociale europeo degli artisti), la quale vede in Elio Germano e Claudio Santamaria le figure di maggiore spicco. L’associazione nasce con l'intento di fare luce sul lavoro dell'IMAIE e con l’obiettivo di porre fine alla gestione monopolistica dei diritti connessi, proponendo un’amministrazione autonoma di questi ultimi.

Nella ricostruzione – necessariamente lacunosa – delle maggiori e più importanti battaglie condotte dagli attori nel corso degli ultimi decenni emergono, a nostro avviso, alcuni punti di contatto. Fin dai primi scontri, sul finire degli anni Quaranta, le proteste degli interpreti sembrano accompagnate da una forma, non sempre dissimulata, di sfiducia e diffidenza nei confronti della categoria. Gli articoli dell’epoca ci restituiscono i toni ironici, a tratti derisori, di molti giornalisti nel sottolineare la presenza aliena degli attori scesi in piazza per manifestare. Non è un caso che le numerose proteste degli anni Sessanta vengano etichettate come le battaglie degli “scioperanti in Cadillac”, a ricordarci quell’impossibile matrimonio tra artisti e metalmeccanici, tra classe operaia e classe abbiente, tra lotte proletarie e lotte borghesi.

La credibilità degli attori pare nascere ed esaurirsi sul grande schermo, dunque, e così sarà per i decenni a venire, almeno fino alla nascita di UNITA, l'Associazione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo. La maggiore credibilità di UNITA non è da attribuirsi unicamente ai volti degli attori che compongono l’associazione – forse effettivamente più istituzionali di quelli di molti predecessori –, ma è da legarsi piuttosto al contesto nel quale il gruppo nasce e si sviluppa. Siamo nel giugno 2020, in piena emergenza pandemica, in un momento storico in cui la distanza tra pubblico e volti celebri dello spettacolo si è assottigliata come mai era accaduto in precedenza; in un periodo in cui le apparizioni e le narrazioni degli attori, anche quelli normalmente votati al “rifiuto della sovraesposizione mediale” (Bisoni 2016), si moltiplicano non – soltanto – per seguire precise scelte produttive o promozionali ma per necessità. L’unione di questi due aspetti ha portato forse ad affievolire quel senso di sfiducia maturato dall’opinione pubblica nei confronti della categoria attoriale, ritenuta sempre meno privilegiata o aliena rispetto ai problemi della comunità e sempre più vicina e vulnerabile.

2 Attori di tutto il mondo: unitevi!

Per comprendere le gerarchie interne e la fisionomia delle recenti mobilitazioni e identificare la natura delle azioni di sensibilizzazione e di endorsement intraprese da attori e celebrities italiani nel frangente dell’emergenza pandemica, può essere utile riflettere sul contributo delle star-celebrità nelle battaglie sociali e politiche attraverso un sintetico confronto tra Stati Uniti e Italia.

Si parla di celebrity endorsement quando in un processo di promozione di un prodotto le caratteristiche di chi è stato scelto dal brand come testimonial si riflettono e aggiungono valore al prodotto, in quello che viene definito meaning transfer (McCracken 1989). Tanto maggiore è la reputazione e forte l’immagine del personaggio, tanto più efficace dovrebbe risultare la comunicazione pubblicitaria. Non sempre però l’accoppiata funziona, e non mancano i casi in cui l’associazione tra brand e testimonial si è rivelata del tutto fallimentare. Laddove a essere promosso non è un prodotto ma un bene immateriale, una causa, e quando, come negli ultimi decenni, il celebrity endorsement è diventato “the super weapon of modern humanitarianism” (Gold 2014) e un modo per ammantare “the star images with a more beatific glow” (Williams 2012: 210), la strategia può essere ugualmente problematica. Le celebrities che “endorse campaigns aimed at raising issues awareness or funds with the general public” (De Los Salmones e Dominguez 2016: 310) possono destare scetticismo e diffidenza, principalmente per due motivi: il primo riguarda la loro effettiva credibilità rispetto alla causa che si trovano a promuovere, in molti casi del tutto distante dalla loro esperienza di vita; il secondo, il sospetto che dietro l’attivismo delle celebrities si celi un interesse personale, autopromozionale, che potrebbe offuscare quello collettivo (De Los Salmones e Dominguez 2016: 310). Applicando queste considerazioni al contesto italiano, e avendo in mente le star e le celebrities d’oltreoceano più impegnate sul fronte politico e umanitario (da Jane Fonda a George Clooney, da Angelina Jolie a Charlize Theron), grazie alle quali “the consumption of politics and activism” diventa “an attractive imperative” (Tsaliki 2016: 235), lo scenario nostrano appare ulteriormente problematico, sia in termini di efficacia sia in termini di credibilità. Pensiamo a Valeria Golino nuda per la campagna Fashion Duel di Greenpeace nel 2013, a Checco Zalone che raccoglie fondi per la SMA (Atrofia Muscolare Spinale) in una serie di spot del 2016; o, ancora, a Lino Banfi, ambasciatore Unicef, che in una delle molte campagne viene ritratto a fianco della Pimpa, ad Anna Foglietta e alla sua collaborazione con il progetto ONLUS “Every Child is My Child” e a Neri Marcorè che abbraccia un bambino nelle immagini della campagna del Filo d’Oro. Senza entrare nel merito della bontà e dell’importanza delle campagne di sensibilizzazione che decidono di sostenere, è indubbio che i nostri divi nel ruolo di endorsers di cause sociali e umanitarie appaiano leggermente fuori luogo, non così credibili, anche perché il loro impegno per la causa è “low” (De Los Salmones e Dominguez: 311), sostanzialmente episodico. La risonanza mediatica del loro sostegno è limitata al tempo in cui queste campagne vengono lanciate, senza strascichi e senza riverberi a lungo termine sulla loro identità divistica. La dimensione del loro impegno è di scala locale e non globale, e il “super weapon of modern humanitarism”, nello scenario italiano, nel nostro divismo “vernacolare e molto radicato all’interno del territorio di cui è espressione” (Cucco 2017: 68), assomiglia più che altro a un’arma giocattolo, a un “toy weapon”.

Venendo alla politica, se negli Stati Uniti il sostegno delle star alle campagne presidenziali ha una lunga e consolidata storia (Friedrich-Nichts 2019) e ha ritrovato particolare vigore nelle campagne di Obama e Biden, in Italia il coinvolgimento diretto in campagna elettorale, o più in generale nelle battaglie politiche è un fenomeno più frastagliato, in cui è alquanto complesso applicare modelli analitici che ne valutino l’efficacia. Gli attori e le celebrities nostrani raramente esprimono una diretta preferenza per un partito o un candidato e se si espongono pubblicamente, tendono a farlo soprattutto in termini oppositivi, contro qualcosa o qualcuno. Non a caso il periodo berlusconiano è stato lo scenario per una rinnovata, benché sporadica, esposizione politica da parte degli attori, che ha avuto anche una notevole risonanza mediatica in virtù della visibilità delle figure coinvolte. Pensiamo ai girotondi promossi da Nanni Moretti del 2002, o al pugno chiuso di Elio Germano al Festival di Cannes del 2010: di fronte al “clima di demotivazione” (Nazzaro 2010: 70), prosciugato da una qualsivoglia “spinta etico morale” (ibidem) che domina nell’Italia degli anni Zero, gli attori sembrano ritrovare una voce, e il senso di un agire collettivo (per quanto si tratti di azioni fortemente individualizzate).

Altro recente bagliore di impegno, e di endorsement piuttosto marcato, è la mobilitazione Dissenso Comune, una lettera manifesto firmata da 124 attrici italiane contro la discriminazione di genere e le molestie nel mondo dello spettacolo, che si apre con queste parole: “Dalle donne dello spettacolo a tutte le donne. Unite per una riscrittura degli spazi di lavoro e per una società che rifletta un nuovo equilibrio tra donne e uomini”5. All’indomani del caso Weinstein, la voce delle donne – unite – trova un momento pubblico alla cerimonia dei David di Donatello del 2018. Alcune delle più noti interpreti del nostro cinema – Jasmine Trinca, Claudia Gerini, Valeria Golino, Giovanna Mezzogiorno, Isabella Ragonese e Sonia Bergamasco – tutte in abito nero (come le colleghe americane in occasione della cerimonia dei Golden Globes del 2018) fanno da ambasciatrici della causa, e Paola Cortellesi nel corso della cerimonia dà voce alle donne (non solo quelle dello spettacolo) attraverso un monologo che ha ampia risonanza sui media per i toni diretti con i quali ha il coraggio di affrontare il tema. Se non mancano polemiche e prese di distanza, dal punto di vista del nostro discorso, nella mobilitazione di Dissenso comune si possono intravedere rinnovati segni di un sforzo congiunto e di un’azione collettiva, in questo caso di “poche per molte”. Inoltre, dopo anni di silenzio e inattività, l’iniziativa riporta l’attenzione sulla categoria professionale facendo ricorso a una evidente strategia di endorsement, che si regge su volti e nomi di richiamo, di ampia credibilità, e di “high”, in questo caso diretto, “involvement” (De Los Salmones e Dominguez: 311) nel problema su cui intendono sensibilizzare i colleghi e il pubblico.

Venendo infine alla questione dell’impegno e dell’endorsement in relazione alle lotte per la tutela della categoria, la comparazione con lo scenario d’oltreoceano evidenzia il sensibile stato di arretratezza della legislazione italiana in materia, e più in generale la scarsa considerazione di cui godono gli attori nel panorama socio-culturale del nostro paese. Negli USA, sotto l’egida della Screen Actors Guild dal lontano 1933 (Sagrave 2009), gli attori sono una categoria molto tutelata, storicamente piuttosto battagliera e animata da dibattiti interni decisamente accesi. Per restare ai tempi più recenti, si possono ricordare le battaglie del 2008-09 nel negoziato di SAG e di AFTRA con l’AMPTP (Stelter, 2008) e quelle del 2016-17, quando i rapidi mutamenti dello scenario mediale, in particolare l’avvento delle piattaforme e il problema del doppiaggio nei video games (Švelch e Švelch 2022), hanno riportato gli attori americani a un’ampia mobilitazione, in cui peraltro, proprio in virtù della chiara consistenza sociale e politica della categoria tutta, non sembra esserci bisogno di endorsers o di portavoce ad alto tasso di riconoscibilità. Lo stesso non si può dire degli attori italiani, scarsamente percepiti come “workers” e, come si è visto, spesso sottilmente derisi ogni qualvolta abbiano battagliato in difesa della propria dignità professionale e dei propri diritti. L’arrivo della pandemia, e le gravi ricadute sul settore, hanno cambiato lo scenario dell’impegno, a partire dall’uso consistente dei social media che non solo attivano “a process of politicization of an individual” ma “provide the support framework for the individuals (that they-are-all-in-this-together)” (Tsaliki: 237). Lo dimostra la campagna #iorestoacasa promossa dalla Presidenza del Consiglio, caratterizzata da un’ampia adesione delle celebrities italiane nei panni di testimonial, tra cui spiccano alcuni attori e attrici (Capotondi, Cucinotta, Borghi, Gassmann, Foria, Fresi, De Luigi, Conticini) che dai loro salotti lanciano appelli sfruttando la propria fama di individui “performing within public and the private” (Drake, Miah 2010: 49). #Iorestoacasa e la successiva campagna del 2021 “I diritti sono uno spettacolo, non mettiamoli in pausa”, sono espressioni della coesione trasversale tra i lavoratori dello spettacolo generata dalla pandemia, che ha certamente giocato un ruolo importante nella nascita e nelle azioni intraprese da UNITA. Proprio dai social media e dalla loro possibilità di creare “a multitude of public microspheres where people talk, coordinate and organize action” (Tzaliky: 237), la mobilitazione degli attori ha tratto gran parte della propria forza.

3 “Diverse interpretazioni uguali diritti”: UNITA

UNITA nasce nel giugno 2020, sotto la presidenza di Vittoria Puccini. Tra i consiglieri e i soci fondatori spiccano molti nomi noti. Paolo Calabresi, Fabrizio Gifuni, Maria Pia Calzone, Stefano Accorsi, Cristiana Capotondi, Paola Cortellesi, Alba Rohrwacher, Isabella Ragonese, Jasmine Trinca sono soltanto alcuni dei membri che appaiono nell’organigramma dell’associazione. Fin dai suoi primi giorni di vita UNITA si è battuta per portare alla luce le principali problematiche della categoria, per trovare un dialogo con le istituzioni e per rispondere attivamente all'assenza di un quadro normativo. Come è stato più volte ribadito dalla presidente e dai consiglieri, nelle numerose occasioni che li hanno visti protagonisti, l’obiettivo dell’associazione è quello di risolvere le anomalie e le distorsioni che da sempre accompagnano la categoria degli attori, con l’intento di andare oltre la situazione di emergenza nella quale UNITA si è trovata a muovere i primi passi.

L’associazione rispecchia fedelmente l’eterogeneità insita nella categoria poiché accoglie al suo interno attori di teatro e audiovisivo di provenienza, estrazione sociale e condizione economica differenti, con l’intento di sfruttare la maggiore visibilità dei più forti per aiutare i più deboli. Lo slogan dell’associazione, “diverse interpretazioni uguali diritti”, è del resto esemplificativo poiché pone l’accento sull’importanza di dare una adeguata tutela alla categoria nella sua interezza. Come sottolinea Michael Moskow:

The performer unions also gain much in strength when they have in their ranks star performers. These “name” artists, who derive little benefit from union membership since their salaries and working conditions far exceed the minimum standards negotiated by the union, gave considerable individual bargaining power. When they support the union, they […] perform a leadership function in obtaining support for the union from less well recognized performers (Moskow 1970: 17).

Oltre a offrire una consulenza legale a tutti i suoi membri, UNITA ha organizzato da dicembre 2020 a marzo 2021 numerose occasioni di confronto online apparse sul profilo Instagram ufficiale (associazione.unita). I cosiddetti UNITALK hanno toccato tematiche care a tutti gli attori come i contratti di lavoro e gli incentivi, il rapporto attore/regista e lo stato della categoria in altri paesi europei e negli Stati Uniti. Nel corso dei mesi il format di UNITALK ha visto discutere tra loro attori appartenenti a generazioni differenti, ma anche avvocati e altri professionisti del settore. In alcuni casi le coppie formate per i talk sono particolarmente efficaci perché giocano consapevolmente sul rimando alla finzione, come nel caso di Maria Pia Calzone e Salvatore Esposito – madre e figlio sul set di Gomorra – chiamati a discutere di diritti, doveri, potere contrattuale e prestazioni pensionistiche dell’interprete.

Il profilo Instagram riassume inoltre tutte le battaglie intraprese e i risultati ottenuti dall’associazione dalla sua fondazione a oggi. Tra i traguardi più importanti raggiunti da UNITA ricordiamo anzitutto l’istituzione, nel dicembre 2020, di un tavolo permanente per lo spettacolo dal vivo, cinema e audiovisivo per affrontare le problematiche legate all’emergenza pandemica. Mentre nel gennaio 2021 viene istituito un fondo di garanzia per lo spettacolo dal vivo che garantisce la tutela economica a tutti i lavoratori costretti a sospendere o annullare la propria attività lavorativa a causa della pandemia.

Sebbene nell’ultimo ventennio diversi collettivi e associazioni abbiano rivendicato gli stessi diritti richiesti a gran voce da UNITA,6 sembra a oggi evidente che quest’ultima rappresenti l'unica organizzazione in grado di ottenere risultati e dialogare con le istituzioni. Come già anticipato, gli ottimi risultati ottenuti sono legati al contesto storico nel quale UNITA è nata, ma è evidente che la natura dell'associazione stessa, più istituzionale, democratica e apolitica rispetto ad altri predecessori abbia giocato un ruolo cruciale. È interessante notare che il riconoscimento del lavoro svolto da questa associazione sia arrivato anche da parte dei festival, in particolare dal Trieste Film Festival, che nel gennaio 2021 assegna ad UNITA il premio Cinema Warriors “per aver combattuto e ribaltato gli stereotipi legati alla professione di attore e per essersi presentati prima di tutto come lavoratori”.

Le lotte intraprese dagli attori, dunque, hanno raggiunto un più ampio riconoscimento, non soltanto da parte delle istituzioni, ma anche e soprattutto da parte del pubblico. Con molta probabilità le battaglie di UNITA non avrebbero avuto lo stesso riscontro e la stessa visibilità e, soprattutto, non avrebbero innescato nell’opinione pubblica la medesima comprensione se la pandemia non avesse favorito un’inedita vicinanza e intimità tra pubblico e interpreti (O’Rawe 2021), gettando luce sulla vulnerabilità della categoria.

4 Democrazia e gerarchia

Questa panoramica delle attività dell'UNITA negli ultimi mesi ci porta ad alcune considerazioni conclusive sul modo in cui la protesta è stata condotta, sulla strategia adottata e sui risultati raggiunti.

Da un lato, anche se non programmaticamente, le preoccupazioni condivise e le lotte portate avanti durante la pandemia hanno messo in discussione le gerarchie interne alla categoria. Le recenti mobilitazioni infatti, oltre a ribadire le urgenze in materia contrattuale, hanno anche innescato un processo di “democratizzazione” tra le file degli attori – uniti nel perseguimento di una serie di obiettivi resi particolarmente urgenti da un fattore esterno – l’emergenza pandemica – che ha toccato indistintamente tutti e tutte. Dall’altro, le recenti iniziative hanno però riaffermato una gerarchia fondata sulla fama, la riconoscibilità e sul valore economico, con una netta distinzione tra chi porta avanti il ​​dibattito pubblico, dialoga con le istituzioni, tiene alta l’attenzione dei media sfruttando la propria immagine socialmente e culturalmente consolidata, e chi è “invisibile” e continuerà, presumibilmente, a restare tale.

Gli attori più in vista, quelli che stanno in prima linea, Vittoria Puccini e Fabrizio Gifuni in particolare, sono chiaramente consapevoli del proprio privilegio e lo sanno declinare all’occorrenza – la prima in virtù dell’aspetto rassicurante da celebrità “intermedia” (Barra 2017) legata alla fiction e il secondo grazie all’“allure della persona” e alla sua “autorevolezza” (Pistoia 2017: 134). Nelle loro apparizioni si comportano come parte interessata ma agiscono a tutti gli effetti come endorsers, come celebrità che avallano una causa degna – sfruttando sia la “distinction of status” (McCracken: 212), sia un atteggiamento che evita accuratamente posizioni politiche esplicite nell’ottica di un “postideological lifestyle, where aesthetics and personalities, rather than political ideologies, rule” (Tsaliki: 240). I portavoce di UNITA sembrano consapevoli del rischio sempre presente di una scarsa credibilità, e per evitare lo scetticismo generale e particolare – Possono davvero rappresentarci? Sono informati della causa? Lo fanno per se stessi o per gli altri? – hanno adottato una strategia comunicativa di basso profilo, favorita anche dal contesto di partenza che li costringeva dentro gli spazi domestici, lontani dai luoghi consueti legati al proprio status.

Inoltre, è importante prestare attenzione all’immagine: dal punto di vista grafico UNITA è tutt'altro che aggressiva. I colori scelti sono il blu e il bianco, il font è semplice e lineare; i volti, i toni, gli abiti, sono garbati ed eleganti, le affermazioni accorate, mai violente o apertamente conflittuali. Rispetto ad altre associazioni che hanno scelto nello stesso frangente un approccio più bellicoso, UNITA si caratterizza per i toni educati, competenti, amichevoli ma fermi; e anche la strategia dei social media è allineata a questo atteggiamento non conflittuale. Nel frame quasi istituzionale di questa strategia di comunicazione, gli attori di UNITA appaiono affidabili e informati, e proprio per questo sono interlocutori credibili, in grado di arrivare ai piani alti della politica e della cultura, di dialogare con il ministro Franceschini e con la presidente della Camera Casellati.

E dunque, nel momento in cui lottano per la dignità del proprio mestiere sono costretti a far finta di non essere attori, bensì rispettabili professionisti, borghesi – come borghesi sono le case in cui li vediamo, di cui si intravvedono scaffali di libri, camini, luci calde, opere d'arte alle pareti. Abdicando al proprio ruolo secolare di figure “poco raccomandabili”, come amava dire Orson Welles, gli attori hanno rinunciato alle strade, alle barricate, non hanno più bisogno di slogan e striscioni. Ma nell’epoca del “post-modern impegno” (Antonello e Mussgnug, 2009) e dall’interno delle microsfere dei social, la mobilitazione di UNITA sta probabilmente ottenendo più risultati di quanto sia mai avvenuto nella sincopata storia delle lotte degli attori in Italia.

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  1. Intervento di Graziella Galvani in occasione di una riunione della SAI del 19 febbraio 1978.↩︎

  2. La SAI nasce ufficialmente il 26 febbraio 1960 e vede alla sua guida il presidente Gino Cervi e numerosi firmatari, tra i quali Rina Morelli, Giancarlo Sbragia, Enrico Maria Salerno, Nino Manfredi, Arnoldo Foà e Marcello Mastroianni.↩︎

  3. Sebbene nel 1953 la RAI avesse accettato un accordo con gli orchestrali per introdurre il diritto di registrazione, gli attori curiosamente non rientrano all’interno di questa regolamentazione.↩︎

  4. Per una ricostruzione storica degli eventi che portarono alla costituzione del Contratto collettivo si vedano gli scritti dell’attore e sindacalista Tonino Pavan disponibili sul suo sito web toninopavan.wordpress.com e il film di Fabio Cavalli Italia 60: Attori sulle barricate (2005)↩︎

  5. Pubblicata su “la Repubblica” il 1 febbraio 2018. Il corsivo è nostro. https://www.repubblica.it/spettacoli/people/2018/02/01/news/dissenso_comune_le_donne_del_cinema_italiano_contro_le_molestie_contestiamo_l_intero_sistema_-187823453/↩︎

  6. Si pensi anche alle iniziative più recenti come “Bauli in Piazza” o alla comunità di lavoratrici e lavoratori professionisti dello spettacolo “Attrici Attori Uniti”, entrambe nate in pieno periodo pandemico.↩︎