L’ambizioso obiettivo che la monografia di Gabriele Rigola, Homo Eroticus. Cinema, identità maschile e società italiana nella rivista Playmen (Rubbettino 2021), si pone è quello di proporre uno triplice studio di Playmen, una delle riviste erotiche più distintive del periodo compreso fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta. In primo luogo, Playmen è inteso come un vero e proprio medium in grado di concorrere in modi peculiari al quadro di modernizzazione di apertura del costume sociale e sessuale. Il focus sulla rappresentazione del maschile, ottenuto ponendo in costante relazione l’immaginario cinematografico con strategie di discorsivizzazione della storia mediale italiana, determina una riflessione sul concetto stesso di mascolinità, abbracciando concetti come la “maschilità precaria”1 e la crisi della mascolinità. Il lavoro di Rigola prende infatti in esame i rapporti tra il cinema, la rappresentazione mediale e l’identità maschile attraverso un ventaglio di metodologie che contemplano la storia culturale del cinema, il lavoro d’archivio, i celebrity studies, i men’s studies e la storia editoriale. L’ultima parte del libro, dedicata alla relazione fra lo stardom e i cambiamenti storico-culturali, analizza infine le pratiche del fandom: lo studio della posta dei lettori funge da lente per comprendere i processi di relazione e costruzione identitaria del pubblico.
In secondo luogo, il saggio si sofferma sul ruolo “espositivo e funzionale” (p. 16) che l’immaginario mediale riveste nel periodico, ridiscutendo l’erotismo, i temi sessuali e quelli di genere. In particolare, l’analisi della rubrica di cinema di Playmen risulta utile per indagare la capacità di penetrazione della mascolinità di divi e prodotti d’intrattenimento nell’immaginario italiano tout court. Il ruolo del cinema su Playmen acquista dunque un carattere diverso rispetto ad altre testate coeve, grazie agli spazi esclusivi dedicati alla tematica, e che si riversano sui questioni quali l’influenza del divismo internazionale e i termini della comicità italiana.
Infine, Playmen è inteso come un coacervo di rappresentazioni e discorsi che riformulano l’identità maschile. Nel contesto della delineazione delle identità virili rappresentate e rilanciate dalla rivista tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta viene posta in risalto l’articolazione di uno sguardo anti-eteronormativo. Secondo Rigola, nella rivista l’alternativa alla dominante eterosessuale trova spazio in specifiche modalità rappresentative in grado di instaurare un rapporto con audience vaste e diversificate. In particolare, la rivista ha il merito di evitare l’interpellazione univoca di un pubblico esclusivamente eterosessuale e interessato al nudo femminile. Attraverso quelle che Rigola definisce strategie “polisemiche e spesso negoziali” (p.68), il mensile sceglie consapevolmente di proporre contenuti discordanti dall’eteronorma e destinati, invece, a un pubblico femminile e maschile omosessuale. Se è vero che le riviste maschili del periodo non hanno intessuto un rapporto univoco con il tema dell’omosessualità, questo assunto ha particolare valore nel caso dei prodotti esplicitamente dedicate a un pubblico gay.
Homo Eroticus ripercorre la posizione di periodici come la rivista Homo, il giornale dell’ARDO (Associazione Italiana per il Riconoscimento dei Diritti degli Omofili), che presenta, a tratti, un carattere conservatore rispetto al movimento radicale, contrapponendolo alla scelta di Men di offrire abbondante spazio al dibattito omosessuale e ai lettori gay. Ad esempio, la rubrica curata da Giò Stajano, “Il salotto di Oscar W., rispolverato da Giò Stajano” dedica uno spazio al nudo maschile, nonostante le occasionali posizioni omofobe e retrive manifestate dalla linea editoriale. Rigola, descrivendo la complessità di una società in cambiamento, indaga la particolare veste stilistica delle pubblicazioni a tema erotico e riporta la lettera di un lettore di Men, autodefinitosi “pederasta d’occasione” (p. 68) e “iniziato controvoglia al sesso omosessuale da un amico”. L’utilizzo di espressioni come “tornare alla normalità” e “disperazione” quanto la risposta sardonica della rivista rivelano il chiaro intento di normativizzare e “virilizzare” (Ibid.) ogni comportamento che si discosti dall’eterosessualità. Playmen riprende la tendenza già presente in Men di pubblicare servizi patinati senza rubriche fisse o un vero e proprio spazio all’omosessualità, con l’eccezione della serie dei cosiddetti “Eroi nudi”. Il focus compiuto da Rigola su “Eroi nudi” assume importanza se si considera l’utenza di riferimento. Immagini e articoli come questi, infatti, non sono destinati solo a fruitori consapevolmente omosessuali, ma anche a “un non quantificabile numero di lettori eterosessuali dalle fantasie inconfessabili e molto più instabili di quanto non pretendano i discorsi ufficiali”. Questa instabilità, riportata in Homo Eroticus e teorizzata da Mauro Giori nel suo Omosessualità e cinema italiano, a parere di Rigola, non è da vedere solo in termini di latenza o esplicitamente sessuali, quanto nella “dimensione del desiderio” di cui parla Eve Kosofsky Sedgwick in English Literature and Male Homosocial Desire. Secondo Sedgwick, i legami omosociali (a partire dal contesto letterario) scandiscono molte dinamiche di rapporto fra maschi, determinandone non solo le fantasie “inconfessabili” (p. 69) e le omosessualità latenti, ma anche tutte quelle forme di desiderio che contraddistinguono l’omosocialità e le relazioni virili in molte società con organizzazioni differenti tra loro. La lettura di Playmen, tramite la lente fornita da Sedgwick, è utile a sottolinearne le posizioni omofobe e spesso poco allineate con quel progressismo “anche anti-eteronormativo” (Ibid.) che, secondo le intenzioni, avrebbe dovuto contraddistinguere un prodotto che tratta l’omosessualità in termini psichiatrici e “panico morale” (Ibid.).2
Se il lavoro di Giovanna Maina, Play, men! Un panorama della stampa italiana per adulti (1966-1975) si occupa di colmare una lacuna fondamentale nell’ambito dei porn studies indagando la stampa italiana per adulti dello stesso periodo, in particolare la cosiddetta fase “soft”, il libro di Rigola riempie un altro vuoto, coniugando immagini e forme discorsive con lo specifico orizzonte degli studi sulla costruzione della mascolinità. Le forme di rielaborazione delle identità maschili si attivano attraverso i divi proiettati sul fenomeno, influenzati dai cambiamenti dei ruoli di genere, e concorrono alla progressiva erotizzazione del sistema mediale e di quello culturale.