“La pornografia in Italia [si è] affermata con quei tempi e in quel modo non solo scavalcando le resistenze della Chiesa ma anche, e in parte, in conseguenza (certamente non voluta) delle sue scelte”: con questa citazione di Peppino Ortoleva, tratta dal suo celebre libro Il secolo dei media (p. 181), si conclude l’ultimo, ricchissimo, volume di Tomaso Subini, La via italiana alla pornografia. Cattolicesimo, sessualità e cinema (1948-1986). Muovendosi proprio a partire dalle riflessioni di Ortoleva, con cui stringe un debito fin dalle prime pagine, lo studioso si pone il difficile scopo di delineare il percorso specificatamente italiano che ha permesso alla pornografia di massa di emergere, di imporsi e, almeno parzialmente, di legittimarsi, grazie anche e soprattutto al ruolo determinante svolto dal cattolicesimo. Nel suo costante tentativo di controllare e sopprimere la rappresentazione della sessualità sul grande schermo, la Chiesa diventa infatti suo malgrado uno degli apripista principali della pornografia in Italia, apparendo centrale tanto alla luce delle dinamiche istituzionali che essa incarna in quel periodo storico, quanto analizzando i film veri e propri e la loro successiva ricezione ad ampio spettro.
Per delineare l’intricata ascesa della sessualità sullo schermo, Tomaso Subini propone una periodizzazione molto ampia ma necessaria, puntellata da eventi tra loro interconnessi, seppur scomponibili in tre tappe, coincidenti ad altrettante parole chiave. Facendo corrispondere l’inizio di questo percorso con il 1948, anno della vittoria alle elezioni della Democrazia Cristiana e dell’inizio di un governo quarantennale di stampo cattolico, lo studioso rintraccia anzitutto un periodo di forte normatività, non a caso definito di controllo, in cui la Chiesa e lo Stato tentano di contrastare la diffusione della cosiddetta “moda del sesso” (p. 12), attraverso politiche censorie verso determinate pellicole, controlli sul comportamento degli spettatori nelle sale cinematografiche e soprattutto tentativi di educare il cinema e il pubblico a una sessualità disciplinata o alla purezza.
Il 1958, anno della legge Merlin, segna per Subini il primo momento di svolta, con il passaggio dal controllo al conflitto. Con la chiusura delle case di tolleranza, la sessualità abbandona gli spazi fino a quel momento circoscritti e legittimati, trovando nel cinema un terreno fertile per proliferare. Nell’arco di dieci anni, i contrasti si fanno sempre più aperti e visibili, come confermano eventi spartiacque – puntualmente ricostruiti da Subini – quali l’uscita de La dolce vita di Federico Fellini o il significativo “braccio di ferro” (p. 136) tra cattolicesimo italiano e internazionale alla Mostra del Cinema di Venezia, oltre che la riforma della censura di inizio anni Sessanta. Questo momento di passaggio, che si pone tra un periodo di grande intransigenza ideologica e una successiva liberazione quasi selvaggia della pornografia, assume più che mai i caratteri di un lungo momento di contrattazione contrastata, in cui il controllo della Chiesa (e della Democrazia Cristiana) appare sempre meno stabile.
La fase della caduta – riprendendo nuovamente le etichette dell’autore – è fatta coincidere con il 1968, anno dell’uscita di Teorema di Pier Paolo Pasolini, che testimonia “la fine della famiglia borghese fondata sulla morale sessuale tradizionale” (p. 175). Da quel momento, la via italiana alla pornografia va man mano spianandosi, segnata da un lato dalla produzione di pellicole emblematiche e decisive, come il Decameron pasoliniano, e dall’altro dalla rinuncia da parte della Chiesa di tentare di orientare la produzione verso precetti morali, a favore di un atteggiamento ormai invasivo votato all’eliminazione delle sequenze più esplicite. Proprio questa sistematica manipolazione, una volta cambiata di segno, diventa un meccanismo chiave per il passaggio da soft-core a hard-core, sdoganando la pornografia che, nel 1986, trova una sorta di (parziale) legittimazione conclusiva, quando la Corte di Cassazione consente la proiezione di pellicole a luci rosse.
Nato a seguito di una ricerca decennale, il volume pone significativamente al centro del discorso il cinema, ma si apre all’industria culturale e alla società ampiamente intesa, in modo da problematizzare e in parte decostruire quell’idea di “rivoluzione sessuale” che, almeno fino a qualche anno fa, era assunta come netta linea di confine tra un prima e un dopo, tra un momento di oppressione e uno di liberazione. Subini, con il fine di sfumare questa polarità anche per il territorio italiano, si avvale di una ricchissima raccolta di materiale d’archivio, selezionata e ordinata nell’ambito di due progetti PRIN da lui coordinati dal 2012 e dal 2015, incentrati rispettivamente sul rapporto tra il cattolicesimo e il cinema tra gli anni Quaranta e Settanta e sulla questione sessuale e l’industria cinematografica nell’Italia del secondo Novecento. Tra questi, rientrano documenti di varia natura, tra cui articoli tratti da riviste dell’epoca, materiali pubblicitari, lettere, note e relazioni, atti parlamentari, circolari interne, ecc., i quali, pur essendo molto diversi tra loro, dialogano con estrema coerenza, dando vita a un quadro multiforme e coeso di fonti e riferimenti. Alle fonti cartacee, si aggiungono poi materiali propriamente filmici, sistematicamente evocati e indagati, ma chiamati in causa in modo più approfondito nei momenti chiave che hanno segnato l’evoluzione della storia della sessualità nazionale, come per confermare ulteriormente l’indissolubile legame tra i prodotti del grande schermo e i processi di erotizzazione.
Per favorire un dialogo tra materiali molto diversi tra loro e creare un filo rosso in un periodo così ampio e sfaccettato, lo studioso affonda le radici della propria riflessione anche in una serie di quadri teorico-metodologici, che permettono di creare un percorso chiaro e definito, capace di districare il fitto reticolo di norme, leggi, eventi, contraddizioni e conflitti che si succedono nell’arco di quasi quarant’anni di storia italiana. Come lo stesso autore dichiara, se i lavori storico-sociali di Walter Kendrick sono assunti come base per la definizione di testo pornografico, e soprattutto per il legame che esso stringe con la cultura in cui nasce e si sviluppa, gli studi di David Forgacs e quelli di Michel Foucault riecheggiano nelle riflessioni sul rapporto tra Stato e cultura e tra potere e sessualità.
Poggiando su una solida base teorica e su di un insieme multiforme di documenti archivistici, l’ambiziosa ricerca di Tomaso Subini assume dunque i lineamenti di una preziosa storia culturale della sessualità italiana che, lungi dal limitarsi alla semplice ricostruzione, riflette sulle tendenze, le contrapposizioni e i processi interni al percorso di erotizzazione che guida il cinema nazionale e al conseguente avvento della pornografia in Italia. Grazie al legame – tanto geo-politico, quanto ideologico – con il cattolicesimo e con la Chiesa, l’Italia si delinea infatti come emblematico, nonché a suo modo unico, caso di studio, alla luce di un assetto sociale votato sì al cambiamento, ma anche venato profondamente da quella che lo stesso Subini definisce non a caso “una radicata cultura clericale” (p. 10).
Bibliografia
Ortoleva, Peppino (2008), Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, Milano: il Saggiatore.