Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.19 (2021), 255–257
ISSN 2280-9481

L’esperienza musicale: dislocazioni e prospettive. Alessandro Cecchi (a cura di), La musica fra testo, performance e media. Forme e concetti dell’esperienza musicale, Neoclassica, Roma 2019

Doriana LeggeUniversity of L’Aquila (Italy)

Pubblicato: 2021-08-04

È sempre complesso parlare di un volume di contributi scritti da autori diversi, che si muovono in un arco cronologico piuttosto ampio. È difficile parlarne nel complesso, è necessario comprenderne la complessità. Mi si permetterà il gioco di parole a specchio per introdurre La musica fra testo, performance e media come un invito a riflettere su alcune teorie nelle forme espressive che le rifrangono.

Il volume, curato da Alessandro Cecchi, è il primo della nuova collana musica.performance.media della casa editrice NeoClassica, e ospita le riflessioni di un ciclo di giornate di studio organizzate nel 2015-2016 presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa.

L’introduzione di Cecchi individua nella mediazione radicale (formulata da Richard Grusin) l’orizzonte metodologico che sostanzia i diversi contributi, invitando ad abbandonare le gerarchie tra testo, performance e media, ma considerandole queste come “forme ontologicamente paritetiche di mediazione musicale, la cui diversità non può essere concepita in termini di maggiore o minore vicinanza a un’essenza ‘musica’” (p. 17-18). I singoli saggi si inseriscono allora in modo decisivo nel dibattito attuale sull’esperienza musicale, la sua circolazione mediale e il naturale bisogno di mettere alla prova alcune presunte certezze disciplinari.

Nell’impossibilità di menzionarli tutti, ma ripromettendomi di citare ogni autore alla fine di queste pagine, mi piace spendere qualche parola su alcuni contributi. Quello di Vincenzo Borghetti, Lo sguardo che ascolta: Alamire, i manoscritti musicali di lusso e i lettori cortesi, pone al centro di una complessa analisi i manoscritti prodotti da Petrus Alamire nello scriptorium della corte dei Paesi Bassi tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. L’autore ci invita a riconsiderare il valore del libro come forma di mediazione musicale, e incoraggia uno sguardo di più ampio respiro sui manoscritti, considerati non solo come sostegno di una esecuzione, o oggetto di lusso, ma musicalmente significanti da diversi punti di vista. La decorazione, che impreziosisce anche le pagine di questo volume, non ci parla solo di un dono destinato per lo più ai sovrani, e non esclusivamente di un “display” funzionale all’esecuzione, ma è la traccia su carta di un evento sonoro, l’evidenza di una rete che lascia indizi della performance. Il compito dello studioso è ricostruire il contesto sociale e culturale che rende il testo deposito di una esperienza, contenuto materiale di un tessuto connettivo.

L’articolo di Giacomo Albert, Post-music: l’ibridazione delle forme audiovisive nel XXI secolo tra performance e media è un invito a ripensare il concetto di musica in relazione con altri media, repertori e diverse tecnologie. Il cambiamento dei fondamenti estetici della prassi musicale (di cui già parla ad esempio Nicholas Cook) individua nel digitale il veicolo di una mediazione in cui realtà e rappresentazione, reale e virtuale, naturale e tecnologico si fondono. La tecnica diventa allora un modo per ripensare una estetica della molteplicità, dove l’unicità dell’opera si rifrange nella dispersione fruitiva. È il caso di quei progetti di natura crossmediale che decostruiscono il concetto d’unitarietà dell’opera e si disseminano tra concerti, audiovisivi, cd, installazioni audiovisive (il caso di Ryoji Ikeda ad esempio). L’artista crea un bricolage, non solo di musiche provenienti da universi distanti, ma manipola e mischia frammenti, stratifica la sua opera per farne un iper-oggetto.

L’analisi di Emanuele Senici in Filmare l’aria: Franco Enriquez, Francesco Rosi, Peter Sellars, è invece un affondo su alcuni casi di ripresa audiovisiva di spettacoli d’opera, un genere che ha ormai da tempo un ruolo centrale per la fruizione dell’opera in musica. Senici prende il caso della specificità dell’aria, momento sospeso dell’azione e di apparente staticità dello spettacolo, come terreno insidioso e dunque sollecitante per chi debba metterla in video. Nell’aria si misura la capacità creativa di quei registi che operano su diversi medium audiovisivi aprendo uno spazio in cui misurare la propria creatività: sia il caso di una trasmissione televisiva (l’aria di Violetta ne La traviata di Franco Enriquez, 1954), o quello di un film (l’aria di Micaela nel terzo atto della Carmen di Francesco Rosi, 1984), o la ripresa live di uno spettacolo (la seconda aria di Irene nell’oratorio di Theodora con la regia di Peter Sellars, 1999),

L’appendice che chiude il volume propone alcune immagini estratte dai video realizzati da Ilario Meandri e Matteo Aldeni per la ricerca sulle pratiche e tecniche di sonorizzatori e rumoristi. Se servisse ancora dirlo, e tutto il volume pare ribadirlo con forza, la tecnica è il terreno in cui gli artisti, alle prese con diversi media, attuano strategie creative per contribuire alla costituzione dell’esperienza sensibile. Ed è su questa scia che mi piace ritornare alle parole del saggio che apre il volume L’esperienza estetica sotto l’egida della tecnologia, di Gianmario Borio: “la disposizione dei microfoni, la gestione delle piste, il dosaggio della riverberazione e il montaggio di frammenti registrati in tempi diversi sono diventati strumenti compositivi di primo grado […] questo è un ulteriore aspetto che dimostra come l'esperienza estetica non abbia come unico teatro la performance e l'atto di fruizione, ma si dispieghi anche nel processo creativo” (p. 54).

Allora, se tra gli intenti della nuova collana musica.performance.media si legge l’intenzione di voler avviare la ricerca in campo musicale verso territori inesplorati, attraverso un discorso che incoraggia approcci interdisciplinari e transdisciplinari, certamente questo primo volume che la inaugura è il suo iniziale e lodevole apripista.

Qui mi sono limitata a tracciare solo gli indizi per invitare ad abbandonarsi alla tentazione di leggere quelli menzionati e tutti gli altri saggi presenti nel volume (a firma di Alessandro Bratus, Vincenzo Borghetti, Michela Garda, Emilio Sala, Roberto Calabretto, Gaia Valori, Maurizio Corbella, Maria Teresa Soldani, Matteo Giuggioli).

Che i contributi degli autori si mostrino eterogenei, mi sembra evidenziare la natura di un libro che non vuole sottrarsi a un indispensabile caos: quello che sempre solidarizza con i progetti più ambiziosi e fortunati.