Il volume curato da Leonardo Quaresima ha origine da un convegno dal titolo omonimo organizzato nel dicembre del 1991. Il convegno si collocava nella cornice del festival Alpe Adria (ora Trieste Film Festival) di Trieste, nato qualche anno prima con l’obiettivo di promuovere la cultura cinematografica fra paesi che si collocavano da entrambe le parti della Cortina di Ferro, già fulcro di interesse del consorzio costituito alla fine degli anni Settanta. Quel convegno, ideato da Quaresima assieme alle organizzatrici del festival, consegnava al cinema la riflessione sui due termini: identità e confine, aprendo però a un campo multidisciplinare che spaziava dalla filosofia alla semiotica, dalla sociologia alla letteratura, al teatro. Gli atti non furono mai pubblicati e, a distanza di trent’anni, gli organizzatori – ritrovati i testi e le trascrizioni delle registrazioni – hanno intravisto la sorprendente e stringente attualità di quelle parole. Oltre alla pubblicazione dei contributi proposti all’epoca, “per rendere conto della evoluzione, fino ad oggi, delle problematiche in questione”, il curatore ha avuto l’intuizione di coinvolgere nel progetto editoriale altri importanti studiosi (Philippe Dubois, Francesco Casetti, Francesco Zucconi, Massimo Tria) a cui ha chiesto dei post-scriptum. Ad altri, già protagonisti delle giornate di studi, ha affidato un nuovo e attuale tema di indagine (Elfi Reiter, Irmbert Schenk). Infine, nel suo ricco saggio introduttivo, accompagna il lettore d’oggi nell’analisi dei modi in cui il cinema “sensibilissimo rilevatore” ha offerto il suo apporto alla formazione delle identità culturali e nazionali.
Il primo saggio è quello del semiologo Paolo Fabbri – scomparso durante la lavorazione del volume – che esprime il suo pensiero sul concetto di spazio di frontiera e di lingua. “C’è un paradosso”, dice Fabbri, “nello spazio di frontiera e risiede nel fatto che installarne una cambia la natura dello spazio, non solo fra i due spazi ma anche negli spazi interni: chiunque si sia avvicinato a una frontiera chiusa avrà notato che questa cambia di natura. Le popolazioni di frontiera sono le più aperte, le più internazionali e al tempo stesso straordinariamente retrive e provinciali. Il paradosso della provincialità, e al contempo dell’apertura di queste popolazioni, è dovuto al cambiamento di qualità dello spazio: la frontiera crea uno spazio, di cambiamenti qualitativi, molto curioso”. Al contributo di Fabbri seguono i testi che si inseriscono nella sezione “modelli” con un taglio multidisciplinare sui due grandi temi centrali, la seconda sezione, “scritture” è affidata a Janko Messner con Senza Heimat. Il destino peggiore e Gherard Roth con Gli archivi del silenzio. Nel cuore del volume si inserisce il pensiero sull’oggi: Casetti e Zucconi con un saggio dal titolo Confini mediatizzati, confini incarnati. Il luogo del cinema, tra marcature e attraversamenti, guardano al cinema non come insieme di film, ma anche come dispositivo: la nozione di “rilocazione”, concetto chiave negli studi di Casetti, “identifica i processo attraverso i quali l’esperienza di un medium viene riattivata e riproposta altrove rispetto al luogo in cui si è formata, sfruttando altri dispositivi e dando forma a nuovi ambienti.” Dove sono dunque oggi i confini fra i media? I due autori spiegano che questi “non sono più delle linee di separazione, ma delle corrugazioni del terreno: variazioni che contano come tali e che non passano inosservate, ma che allo stesso tempo non costituiscono chiare suddivisioni di un insieme di entità autonome. Vedere un film al cinema o vederlo a casa implica due spazi diversi, ma uno stesso ambito di attività; tra le due situazioni non c’è un salto, ma una semplice discontinuità che per quanto possa essere rilevante non è tuttavia così marcata da designare due pratiche totalmente diverse. La corrugazione di un terreno è appunto questa leggera discontinuità che attraversa uno spazio comunque variegato senza però istituire alcuna radicale differenza.” Le ultime due sezioni del libro sono dedicate a quelle che Quaresima chiama “Geografie e rappresentazioni”, nella prima parte con la proposta degli interventi dell’epoca, in cui gli autori riflettono sul cinema italiano (Rondolino), svizzero (Pithon), tedesco (Kaschuba), ceco (Zaoralová), sloveno (Štrajn), ungherese (Sándor), chiusa dalle parole, oggi attualissime, di Miccichè sul ruolo del cinema europeo: “Parlare di cinema europeo, di dodici o venti Paesi in un futuro prossimo significa dunque semplicemente attrezzarci per difendere la nostra cultura e le nostre cinematografie. Significa avere tutti insieme la forza che nessun Paese da solo ha, la volontà che nessun Paese possiede in questo momento, non di creare contingentamenti, non di chiudere le frontiere al cinema che viene dagli altri continenti, non di frapporre ostacoli al cinema statunitense, ma di ridare forza alle sempre più deboli cinematografie europee”. Chiudono il volume Schenk e Tria con una riflessione sull’identità della cultura mitteleuropea, sul cinema europeo di oggi.
Nella complessità e nella ricchezza di questo volume, il curatore è ben lontano dall’eseguire la semplice, per quanto importante, ricostruzione storica di quell’importantissimo momento di riflessione sulle relazioni culturali fra diversi paesi che trent’anni fa cominciavano a progettare un’Europa unita, rende invece urgenti quelle parole, spingendoci a pensare – attraverso il cinema ma non solo – una scena politica e culturale che ora viviamo e che mai, anche soltanto pochi anni addietro, avremmo immaginato.