L’ambizioso obiettivo che la raccolta Aging Girls. Identità femminile, sessualità e invecchiamento nella cultura mediale italiana (Meltemi 2020), a cura di Valentina Re e Paola De Rosa, si pone è quello di fornire uno specchio degli effetti culturali e sociali della rappresentazione mediale dell’invecchiamento femminile. Il focus sulla dimensione di genere, ottenuto coniugando gli approcci metodologici dei television studies, (Barra, Innocenti, Casoli) dei film studies (Menarini, Hipkins) e dei gender studies (D’Amelio), sottolinea l’inscindibilità del legame fra corpo femminile e oggettivazione sessuale nell’immaginario collettivo contemporaneo. La giovinezza come categoria visuale, decisiva in tutta la produzione culturale odierna, determina una parzialità rappresentativa difficilmente superabile senza una più ampia decostruzione sociale, che deve alla porosità degli approcci in Aging Girls il successo dell’analisi delle prassi nel settore audiovisivo. Il tema dell’aging, indagato in relazione a rappresentazioni mediali che contemplano cinema, televisione, social media e campagne di comunicazione, evidenzia le peculiarità dei modelli identitari femminili e la relativa corrispondenza ai discorsi sociali su sessualità e oscenità nell’Italia contemporanea. La raccolta fornisce prospettive secondo uno sviluppo diacronico atte a indagare il fenomeno dell’invecchiamento, culturale prima che biologico, nelle sue relazioni con l’industria cinematografica e le rappresentazioni filmiche nel quadro socio-culturale italiano. Il dialogo fra celebrity studies (Missero, Menarini), sociologia (Casula, Spalletta, De Rosa) e aging studies garantisce la possibilità di descrivere le norme sociali reiterate sia nella dimensione on screen che in quella off screen.
Come dimostra l’enfasi sulla fisicità e sui tentativi di appetibilità, presente in tutti i nove saggi di Aging Girls, quando si tratta del corpo femminile, la sfera della sessualità è inevitabilmente chiamata causa. Se la messa in scena cinematografica della donna in invecchiamento prevede un “corpo erotico morente” (Menarini, 181), una “progressiva maturità erotica” (Casoli, 244) e l’inevitabile divenire “desiderio che invecchia” (Re, De Rosa, 33), la presenza e le modalità della rappresentazione della sessualità femminile fungono da indicatori della dimensione del cambiamento, scandito nel tempo dal susseguirsi di ruoli diversi e sempre più marginali.
Nonostante la necessità di ripensare l’articolazione del corso della vita, più fluida, diversificata e durevole di cinquant’anni fa (come sottolinea il saggio di Casula), l’attenzione sessuale rimane rivolta a donne appartenenti a fasce d’età giovani o giovanissime, onnipresenti portatrici di una sensualità “lecita”, passaggio obbligato prima della stabilizzazione nel ruolo di moglie e di madre. L’immaginario pubblico condiviso finisce per condizionare la vita privata delle donne. La sua narrazione tradizionalmente attinge al melodramma e non alla commedia, come accade, invece, alla controparte maschile, libera di raccontare debolezze, nevrosi e desiderio erotico grazie alla trascendibilità sessuale del proprio corpo, evidente nelle commedie à la Woody Allen. Perché una donna possa riconoscersi soggetto desiderante deve attenersi, invece, a un paradigma rappresentazionale che la veda benevolente e compassata. Il cliché ridicolo della predatrice sessuale, infatti, finisce per etichettare tutte le figure femminili dopo i trentacinque che scelgono di non “accasarsi”, e, allo stesso tempo, di non scomparire dalle scene: emblematica, in questo senso, la vicenda televisiva di Pamela Prati descritta da Barra e il progressivo oblio di Catherine Spaak raccontato da Missero.
La vita sentimentale delle donne, intrinsecamente legata a fasi di stabilizzazione emotiva e famigliare, viene descritta dal cinema e dalla televisione come un fenomeno da ritenersi necessariamente stabile. Come accade nelle commedie analizzate da Hipkins e dalla parabola discendente verso l’oblio di Sabrina Ferilli raccontata da Menarini, le alternative alla norma sono etichettate come devianza e punite con l’ostracismo sociale. Nonostante l’irrappresentabilità della vita sessuale delle donne in età avanzata, essa è necessaria per la permanenza per la felicità coniugale all’interno della coppia eteronormata, al punto che allo status di donna matura single sessualmente attiva è legato alla rappresentazione di un senso del ridicolo. Per rifuggire l’etichetta di osceno e di assurdo, la sessualità femminile in età avanzata non deve solo operare all’interno della monogamia, ma deve essere dettata dall’adozione di un atteggiamento compassato, amorevole, materno, come avviene in televisione per Imma Tataranni secondo Casoli o nelle dinamiche di Uomini e Donne (Trono over) secondo Innocenti.
La possibilità e il proseguimento di una vita di coppia felice dipendono dalla capacità di preservare un aspetto e un’attitudine “giovanile” (le donne di mezza età vengono infatti sessualizzate come le loro controparti più giovani), ma deve essere bilanciata dalla rispettabilità sociale, dallo status famigliare e dalla stabilità emotiva. In questa prospettiva, la rappresentazione mediale risente della necessità di preservare l’equilibrio di genere: televisione, cinema e pubblicità reclamizzano come naturali e scontate sembianze curate e ritoccate, possibili solo in quanto frutto di un privilegio economico e sociale. La norma eterosessuale restituisce istantanee di donne mature “belle” e seducenti simili alle proprie colleghe trentenni: è il caso di Isabella Rossellini, analizzato da D’Amelio. La narrazione della rivalutazione della donna matura, descritta come una vittoria personale per coloro che riescono a combattere i segni del tempo, si traduce in un trionfo della youth culture e nella standardizzazione del fenomeno del girling, per cui le meno giovani, per poter essere considerate attraenti devono “essere belle e desiderabili, come quando si aveva vent’anni” (Re, De Rosa). La rilevanza estetica dell’invecchiamento è coperta da tentativi di conservare i tratti tipici della giovinezza: pelle liscia e soda, fisico tonico, magrezza e capigliatura dai toni vividi.
Il modello di vita aspirazionale alimentato dai media, necessario per la rispettabilità sociale, continua ad essere incardinato in maniera duplice: se per gli uomini lo standard è la produttività lavorativa e la differenza è sancita dal reddito e dallo status, alle donne rimane la riproduttività familiare e, naturalmente, l’immagine che ne dispone, in anzianità, il ritiro sociale. Se l’istituzionalizzazione del percorso lavorativo maschile permette agli uomini in invecchiamento una certa sicurezza sociale, la stessa certezza è negata alle donne della stessa età, ancora relegate a una condizione economicamente dipendente e ancorate al ritratto del “focolare domestico” (Spalletta, De Rosa).