Chiunque abbia provato a vivere un'esperienza in VR ha ricevuto una sensazione simultanea di inesorabilità e di ritardo. La fascinazione avvolgente trasmessa dalla VR deve scendere a patti con i fattori che le giocano contro: la scomodità dell'headset, il disagio di essere separati dal mondo al di là del casco, una qualità audiovisiva non all'altezza delle aspettative. I miglioramenti sul versante tecnologico, anno dopo anno, sono evidenti a chi ha provato la VR con una qualche continuità. Ma allora perché non fa ancora il boom? Immersi nel futuro. La Realtà virtuale nuova frontiera del cinema e della tv si colloca nel pieno di questa contraddizione, interrogandola.
Simone Arcagni, il curatore del libro, riesce a riassumere in poche righe le problematiche che la VR sta affrontando: “ciò che ha bloccato lo sviluppo dei contenuti VR per i media sembra essere l’assommarsi di più problemi: - Una iniziale attenzione più alla tecnologia che ai contenuti che ha portato sul mercato device con poche esperienze e quindi poco accattivanti per il pubblico. - Il susseguirsi di contenuti di qualità bassa che non riuscivano ad attrarre il consumatore. - Problemi legati alla perdita di equilibrio e a un senso di nausea a cui si aggiungeva il peso del device e la sua scarsa comodità. - Una predilezione del pubblico giovane verso forme di più facile accesso anche se di qualità ridotta. - Una rete non in grado di supportare il modello di diffusione basato sullo streaming” (p. 38). Attualmente la VR richiede ancora troppi sforzi – economici, cognitivi, organizzativi, tecnici (comprare un casco, montarlo, accedervi, isolarsi dal resto del mondo) –, che vengono percepiti dall’utente come tali, non come gratificazioni. Probabilmente, aggiunge Arcagni (ibid.), “la VR non è un medium di massa ma può essere uno strumento che aggiunge ed espande le possibilità di fruizione di contenuti sia ‘cinematici’ che interattivi”. Eppure, come emerge dai diversi contributi pubblicati nel volume, la VR è ciononostante qualcosa in cui credere. I punti di vista presentati da Immersi nel futuro sono molteplici: quello delle istituzioni (Rai Cinema e Rai Ufficio Studi sono sponsor della pubblicazione), degli studiosi e di esperti/praticanti/artisti.
Le intuizioni degli studiosi spesso si basano sulla loro esperienza e sulla prima persona, segno di quanto la VR induca ad abbandonare l'impersonale o lo “scientifico” plurale maiestatico per usare l'“io”. A richiederlo è la forza stessa del medium. Federica Cavaletti e Andrea Pinotti (capitolo “An-icons”) propongono il concetto di “an-iconologia” come elemento utile per ragionare sulla VR, sulla sparizione (o negazione) di immagini in favore di effetti ambientali di immediatezza, assenza di cornice, presenza. Massimo Bergamasco (“Alcune considerazioni sul futuro sviluppo della ricerca in ambienti virtuali”) riflette sul tema dell’embodiment, sul sense of ownership, sull’agency dell’utente. Anna Maria Monteverdi (“Altre visioni. Il teatro all’epoca della VR”) ragiona sull'applicazione della VR al teatro e sulla relazione, per molti versi antonimica, tra tecnologia e palcoscenico. Francesco Parisi (“La centralità del corpo nella realtà virtuale”) suggerisce che ciò che la VR simula è non è tanto (o solo) la realtà, ma la sensazione di presenza nello spazio che l’utente esperisce. Adriano D'Aloia (“You Are Leo”) narra in prima persona, immerso nella VR in giro per Milano, il fascino nei confronti del dispositivo e il fastidio per il mezzo. Mirko Lino (“Fuori formato”) prova a monitorare gli usi della VR nei territori delle webseries e delle altre declinazioni del digital storytelling che sfruttano le potenzialità interattive e partecipative di più media digitali. Rossella Schillaci (“Non-fiction”) racconta la svolta immersiva della “non-fiction VR” attraverso casi di studio come l'applicazione VR del “New York Times”. Aimone Bodini (“Gli orizzonti della VR”) cerca di allargare le prospettive di applicazione della VR: medicale, real-estate, education, entertainment, product design, nuove forme d’arte. È su quest'ultimo punto che si innesta il saggio di Valentino Catricalà (“L’arte nell’epoca della VR”), che sottolinea la potenza propria della VR, quella dell'“estraniazione”, e le sue applicazioni nel mondo dell'arte, citando in particolare il lavoro di alcuni artisti italiani. In “Semiotica e VR: il senso di un’esperienza mediale”, Antonio Santangelo cerca di rinvenire il “valore differenziale” della VR nel sistema contemporaneo dei media.
Chiudiamo sulla raccolta di interviste a esperti e protagonisti del settore (ben 38). Di solito queste appendici scontano problemi di frammentarietà e dispersione. Nel caso della VR e di questo libro, invece, la somma delle testimonianze, una volta ricostruita a mosaico, consente in modo davvero utile di osservare una figura complessiva. A emergere è lo sfasamento tra le potenzialità (quello che la VR potrebbe essere e ha in parte già dimostrato di essere) e la spesso triste constatazione dell'inadeguatezza delle tecnologie. A questo si somma il problema degli spazi: dove dovremmo guardare la VR? In luoghi pubblici (musei, festival, in futuro sale dedicate) oppure ognuno a casa propria? Verso questa seconda scelta (in entrambe le accezioni) spinge la pandemia perdurante. Ma ancora poche persone, soprattutto in Italia, possiedono un visore. Siamo all'interno di un'aporia: chi ha provato la VR ha vissuto sulla propria pelle le sue fantastiche potenzialità; ma poi solo in rari casi si è lasciato convincere al punto da comprare l'headset. La VR è ancora un divertimento da player, da smanettoni. Il campo della VR rimane incerto, dal punto di vista teorico, dei risultati, autoriale, industriale, tecnico, percettivo, sensoriale.
È molto interessante anche la domanda posta agli intervistati sulle esperienze VR da loro ritenute più significative. I nomi che tornano spesso sono Gloomy Eyes (Jorge Tereso e Fernando Maldonado, 2019), The Inhabited House (Diego Kompel, 2019) e Carne y Arena (Alejandro González Iñárritu, 2017). Nell'ambito del gaming i titoli ricorrenti sono Beat Saber (Beat Games, 2018) e Half-Life: Alyx (Valve Corporation, 2020). Fra gli italiani l'unica VR citata con una certa frequenza è VR Free di Milad Tangshir (2019).