En somme la cinématographie, langage universel, est le meilleur mode d’expression pour les sciences naturelles, c’est une aide précieuse pour le professeur et pour le vulgarisateur; c’est aussi un instrument de recherche dont bientôt ne pourra plus se passer le savant qui interroge la nature.1
Jean Comandon, pioniere francese della cinematografia scientifica, presenta in questo modo le due componenti dell’afflato positivista di cui il cinema è partecipe a cavallo del secolo scorso: l’una che lo concepisce come un quasi onnipotente mezzo di ricerca scientifica pura, in grado di aprire la scienza alle sue magnifiche sorti e progressive; l’altra che lo investe invece di una missione educativa. Tale dicotomia concettuale si riflette anche nella tassonomia del film scientifico: troviamo infatti, da un lato, i film di ricerca pura, concepiti e girati in laboratorio per documentare esperimenti e studiare fenomeni specifici con l’ausilio di tecniche anch’esse sperimentali e rivolti a una audience specializzata, e dall’altro l’operato delle maggiori case di produzione europee che avviano negli anni Dieci la produzione delle serie di insegnamento e divulgazione scientifica, selezionando le pellicole di ricerca e inframezzandole con cartoni esplicativi differenziati a seconda del tipo di pubblico. Ispirate al modello didattico transnazionale della leçon des choses, nascono così dal 1903 le prime serie scientifiche della Charles Urban Trading Company, seguite nel primo dopoguerra dalla serie Secrets of Nature, e le tre grandi imprese del cinema educativo francese: dal 1909 il catalogo Pathé Enseignement, l’Encyclopédie Gaumont e la serie Scientia Éclair, che dominerà il mercato dal 1912 al 1914. Così, dal 1908, Roberto Omegna inizia a girare film scientifici per la Ambrosio, arrivando poi a dirigere il reparto scientifico dell’Istituto Luce all’atto della sua fondazione.2
In un clima che vede l’emersione di una “cultura visuale e partecipativa della scienza” (Boon 2008: 12), l’efficacia educativa del cinema (scientifico) è in quegli anni un tema ricorrente che da un lato fa leva sull’obiettività del medium, automatico e altamente tecnologico, capace di riprodurre “con fedeltà mirabile le armonie della natura superba, le meravigliose conquiste del genio, i fasti gloriosi della scienza e del progresso umano” (Zoboli 1913: 2), lasciando da parte le “esagerazioni della mente del cronista” (Dickson 1895: 51). D’altro canto, però, la novità del cinema educativo – che si appella soprattutto alla sua capacità di catturare l’attenzione dell’allievo in modo assai più accattivante e vivido rispetto ad altri metodi pedagogici e che renderà il cinema “il giornale, la scuola e il teatro del futuro”3 – echeggia il passato dispositivo della messa in forma spettacolare proprio a secoli di trasmissione della conoscenza scientifica. All’avanguardia tecnologica di un nuovo medium, automatico e obiettivo, si affianca dunque il recupero di un potere conoscitivo antico, quello dello stupore e della meraviglia che portano a conoscenza.
Molti film scientifici di inizio secolo hanno infatti una densità particolare, si rivelano carichi di una vita passata che riaffiora, fossili le cui stratificazioni spingono, nell’analisi, ad adottare un approccio archeologico che spazzoli la storia contropelo, che ne scardini necessariamente il continuum, lasciando spazio alla definizione di una temporalità plurale, anacronistica, intrinseca all’immagine stessa.4 Morbidi Leitfossilien5 che “rifiutano di indurire, di cristallizzarsi completamente” (Didi-Huberman 2006: 308), essi ci mettono di fronte alla complessa vita delle immagini, che non possono farsi forti di un’origine assoluta né di una storia autonoma, bensì sono costrette a pulsare di “residui vitali” che mutano forma, a tramandare quelle sopravvivenze già oggetto dell’ostinato studio di Aby Warburg.6 Come “il fossile non è più semplicemente un essere che ha vissuto, è un essere che ancora vive, addormentato nella sua forma” (Bachelard 1993: 137), così anche queste pellicole, in cui si stratificano e riaffiorano soggetti, dispositivi di rappresentazione e regimi spettatoriali propri alla storia della divulgazione scientifica. Possono film scientifici degli anni Dieci mostrarci come il medium cinematografico abbia metabolizzato e rimediato i suoi antenati? Possono parlarci della storia della visione in essi stratificata? Con il loro sistematico inserimento nelle programmazioni dei ciné-club d’avanguardia degli anni Venti, possono essi infine insegnarci qualcosa sull’insospettato amore dell’avanguardia cinematografica degli anni Venti per il passato, sulla sua tensione dialettica?7
1 Meraviglie della tassonomia
Un primo oggetto degno di nota non è un film, bensì un catalogo: il Répertoire des films de l’Encyclopédie Gaumont (1929). Perfettamente inserito nello spirito del suo tempo, la prima pagina visualizza nella promessa di una “classe di domani”, disciplinata, ordinata, attenta – contrapposta alla caotica e disordinata “classe di ieri” – l’idea positivista del cinema come potente mezzo di educazione, insegnamento, nonché efficace canale di “diffusione di lingua e cultura francesi”.8 Il dispositivo attraverso cui il catalogo articola questa promessa nelle pagine seguenti, ovvero la presentazione dei suoi titoli secondo una precisa classificazione enciclopedica – sciences naturelles (zoologie, botanique, biologie), sciences physiques (astronomie, physique, chimie, géologie) – al suo interno tassonomicamente suddivisa ad albero per famiglia, genere, specie dell’oggetto rappresentato, è però cosa antica. Esso è ricalcato sui trattati scientifici, e in particolare su quella forma di elaborazione visiva della classificazione scientifica antenata della museologia che è la trattatistica sul collezionismo enciclopedico e sulle camere delle meraviglie. Pensiamo ad esempio a un testo come le Inscriptiones Vel Tituli Theatri Amplissimi… (1565) di Samuel Quiccheberg, che propone il modello per una ideale Kunst-und Wunderkammer che collezioni tutti i prodotti della natura e dell’ingegno umano. Proprio come questo Répertoire Gaumont, anche l’immaginario “vasto teatro” di Quiccheberg – così come il museo Naturale di Ferrante Imperato o le raccolte di un Worms o di un Calzolari – parte dall’assunto che collezionare, classificare, raggruppare gli oggetti e paragonarli fra loro renda organizzabile l’interezza dello scibile, comprensibile e dominabile il mondo:
Iscrizioni o titoli del più ampio teatro che riunisce oggetti esemplari e immagini eccezionali di tutto il mondo, tanto ché lo si potrebbe chiamare: deposito di cose artificiali e meravigliose e di ogni tesoro raro, oggetto prezioso, costruzione e quadro. Si raccomanda che questi oggetti convergano tutti insieme qui nel teatro, di modo che vedendoli e maneggiandoli di frequente si possa rapidamente, facilmente e con sicurezza essere in grado di acquisire un livello di conoscenza unico e un’ammirevole comprensione delle cose.9
Oggetti esemplari – campioni – ed eccezioni fuori norma, che devono provenire da tutto il mondo, in un’ottica enciclopedica; la loro disposizione deve poi essere messa in scena con perizia – siamo comunque all’interno della cinquecentesca “forma-teatro della memoria” – in modo che essi possano essere esaminati in tutti i dettagli e nella loro relazione con gli oggetti vicini. Questi elementi ritornano in alcuni film scientifici di inizio secolo, spingendo oltre la loro contiguità con il modello presentativo della Wunderkammer. Si vedano ad esempio i numeri 3748 e 5800 dell’Encyclopédie Gaumont, decisamente incentrati sull’“oggetto esemplare” e sulla maniera di esporlo. Tramite un display già suggerito da Quiccheberg e che ritroviamo anche nella trattatistica scientifica da Ulisse Aldrovandi a Carlo Linneo, ai trionfi delle Kunstformen der Natur di Ernst Haeckel (1900), anche questi film campionano l’esistente declinandolo in famiglie, impaginando mute differenze e ripetizioni: come gli stupendi coralli della bacheca di Vincent Levinus (Wondertooneel der natuur, 1715, Fig. 1), tutti uguali e tutti diversi, così tutte uguali e tutte diverse sono presentate in sequenza le piante del n° 5800 o le farfalle del n° 3748, che si alternano mute ognuna sul proprio stelo, arbusto o fiore – passate lastre da lanterna magica – ognuna messa in valore da un dispositivo di presentazione: un piedistallo rotante che, combinato a un di più di “attrazione”, il colore, ritorna identico nello sbocciare dei fiori dell’olandese Bloemenweelde (1914) (Figg. 2–3). Anche quando si tratti poi di mostrare i misteri svelati da una particolare tecnica di ripresa – la microcinematografia, ad esempio – si fa appello a questo dispositivo di messa in sequenza dei vari campioni, che trovano il loro significato, il loro posto nel mondo, proprio attraverso l’accostamento al simile: così si cristallizzano in sequenza l’acido borico e il nitrato d’argento, il clorammonio e l’asparagina nel famoso Uit het rijk der kristallen (1927), il film del cineasta scientifico Jan Cornelis Mol mostrato in trittico nel maggio 1928 nelle sale del club d’avanguardia Studio 28 a Parigi.
Inoltre, proprio come nel Cinquecento, anche negli anni Dieci del Novecento investimento tassonomico e acquisizione di conoscenze comunicano anche attraverso lo stupore: al di là di quello generato da abbondanza, varietà e stranezza dei campioni esposti, un’altra conditio sine qua non per una Wunderkammer di successo era infatti la maraviglia sprigionata dal dinamico giustapporsi di naturalia e artificialia, ovvero rispettivamente i prodotti dell’ingegno della natura e dell’uomo (Fig. 4). Sorprende vedere come nei film il disorientamento generato nello spettatore da tali mélanges sopravviva come dispositivo utile alla memorizzazione e alla conoscenza. Si pensi per esempio a La cristallisation (J. Comandon, Pathé, 1913) che gioca con due tipi di ingegnerie: l’una – la crescita dei cristalli – è certo propria alla Natura e ci è reso possibile comprenderne le leggi grazie alla nuova tecnica, le moderne riprese accelerate. Ma nel film questo fenomeno naturale è visualizzato da punti di vista inusuali che occhieggiano alle contemporanee ingegnerie dell’architettura: cristalli come grattacieli monolitici su cartoni di Hugh Ferris, visti a volo d’uccello – dall’elicottero – e dal basso mentre crescono vigorosi dal centro della terra arrivando a sovrastare lo spettatore (Fig. 5). Ancora, naturalia e mirabilia si fondono nei numerosi film sulla sensitiva, su questa pianta ombrosa e quasi umana, che timidamente reagisce agli stimoli serrando le foglie, salvo certamente anestetizzarla con l’etere (La Sensitive, Scientia Éclair, 1914 e Gaumont, 1911 e Une Plante qui a des nerfs, la sensitive, Pathé, 1914), e regni naturali d’appartenenza si confondono ancora grazie alla tecnica, risvegliando uno stupore antico, declinato da Jean Epstein in chiave animista – “ralenti e accelerato rivelano un mondo in cui non ci sono più frontiere tra i regni della natura” (Epstein 1974a: 250). Se dall’Altération de l’aluminium par les sels de mercure (J. Comandon, Pathé, 1918) cominciano a crescere delle forme di vita simili a germogli che agognano la luce e che come il fagiolo magico sembrano non fermarsi più, l’essere che appare in Het leven der planten (Holfu, 1925, Fig. 6), è un fiore o un animale? Non ci stupiamo allora di ritrovare film sui cristalli, sulle fioriture o sulla vita vegetale dei minerali proiettati nei club d’avanguardia,10 in una temperie estetica che fa dell’animismo e della sovversione delle classificazioni naturali una delle chiavi d’accesso alla potenza del cinema:
Tant de classifications rigoureuses et superficielles, que l’on suppose à la nature, ne constituent qu’artifices et illusions. Sous ces mirages, le peuple des formes se révèle essentiellement homogène et étrangement anarchique (Epstein 1974b: 257).
Si pensi infine al comune sotto-genere dei film sulle piante carnivore (su tutti Les plantes carnivores, Scientia Éclair, 1914) che sovvertono anch’esse la concezione dei regni naturali, monstra che ben inseriremmo in un bestiario medievale in compagnia di numerosi altri protagonisti di questi film. Se infatti nelle Wunderkammern il ricco e curioso erudito poteva imbattersi in coccodrilli impagliati e unicorni, basilischi e artigli di grifone, anche in questo caso la missione educativa delle serie di divulgazione scientifica sbava spesso sin dalla scelta stessa dell’animale protagonista: niente galline, cani o animali da cortile, ma piuttosto bestie la cui sola esistenza è difficile a credersi possibile. Caratteriali e fini pensatrici, ingenue o spietate, esse sono abitualmente impegnate in improbabili combattimenti all’ultimo sangue, sul cui decorso la macchina da presa indugia lungamente. Di questa violenza la serie Scientia Éclair fa un marchio di stile: i suoi Carabes (1913) che se la prendono con tutti gli altri animali e anche con i loro simili, L’ecrevisse (1912) nemica giurata dei topi, o bestie quasi aliene come Glandina et ophisaurus (1913), spietati con le lumache, non sono che lo spunto per una lunga serie di produzioni portata avanti anche da altre case. I Dytiques (1912 e Pathé, 1911) che arrivano nelle sale d’avanguardia per un pubblico attratto dalla loro voracità, e Le scorpion languedocien (Scientia Éclair, 1912) messo da Buñuel in apertura de L’âge d’or (1930) completano la costellazione: il surrealismo a sviluppare il potenziale rivoluzionario della crudeltà animale e a squarciare il velo della rappresentazione, aprendo al caotico magma di un “sottomondo” pulsionale.
2 Magie della lanterna magica
Un altro monstrum compare in Le plus dangereux des insectes, la mouche (Pathé, 1913). Frutto del moderno impegno transnazionale delle campagne di salute pubblica che scoprono il mezzo cinematografico come potente alleato, allo stesso tempo questo film non smette di riferirsi a un passato denso di proiezioni di lanterna magica e microscopi solari. Johannes Zahn fu infatti tra i primi a proiettare “animaletti piccolissimi” “straordinariamente ingranditi su una parete o su una qualsiasi superficie bianca”, generando “l’immenso stupore degli astanti”: già nel 1685 una mosca era divenuta così un ipnotico mostro bionico fornito di “meravigliose figure delle diafane ali, uncini e ami con lunghissimi peli sui peli e proboscidi, corna, creste, setole, chele, forbici e altre divertenti cose”.11 La rimediazione tra le stampe scientifiche e la microcinematografia si dà nelle inquadrature stesse di questo film, dove vediamo trasposti tagli che hanno secoli, scelte ottico-tipografiche passate attraverso i più importanti trattati di osservazione scientifica: si ripetono i pattern delle “diafane ali”, i peli delle proboscidi, ritornano con il medesimo taglio “corna e chele” ma – meraviglia della tecnica (o “illuminazione profana”, per dirla con Walter Benjamin?) – in La Mouche, sulle “ventimila lenti esagonali convesse, brillanti come diamanti”12 che compongono l’occhio del dittico e che sono rimaste pressoché immutate per secoli e pagine, ecco quasi una mise en abyme del volto riflesso del giovane Jean Comandon (Figg. 7–8).
In questo genere di film l’afflato igienista e la fiducia nelle loro capacità educative – espressioni modernissime dello spirito del tempo – si appellano a un antico dispositivo orrorifico potenziato nell’efficacia dal progresso tecnico: The Fly Pest (Charles Urban Trading Company, 1910) – omologo al precedente per tema, missione e cronologie, e simile per “trama” e inquadrature – è infatti “il film più educativo e assieme il più rivoltante che sia mai stato mostrato”.13 Allo stesso modo le pulci che hanno dominato già la Micrographia di Robert Hooke – e i cui corpi ingigantiti, grazie al microscopio solare, si sono scoperti dotati di “più membra dell’elefante”, “occhi, bocca e una proboscide (proprio come l’elefante)” (Baker 1754: XII) – tornano a meravigliare e disgustare al cinema (La Puce, Pathé 1913 e Scientia Éclair, 1914; Der Floh, Kühnemann-Film, 1923) mostrando ingigantite le fasi del loro sviluppo grazie alle riprese accelerate:
Tout le monde connaît la structure extérieure de ce parasite, mais on ignore généralement les différentes phases par lesquelles passe ce petit insecte avant d’être en état de nous taquiner. Le cinématographe nous les montre aujourd’hui. Plus d’un sera étonné en assistant à l’éclosion des œufs, en voyant la larve en sortir et s’agiter déjà menaçante.14
Ecco su quale piano transita, con il cinema, quell’antica maraviglia che porta a conoscenza; ecco come il cinema rimedia i suoi antenati (dalla carta stampata al microscopio solare, alla lanterna magica): se da un lato il film Pathé riprende le classiche inquadrature già passate alla storia, dall’altro finalmente può entrare nelle larve, sondarne il movimentato sviluppo. È proprio l’osservazione di questo nuovo movimento, resa possibile dal progresso tecnico, a rendere il film cosa modernissima anche a un occhio già educato al moto da certi modelli di microscopi solari – “Living animals: they have really so much Life and Motion” (Martin 1763: 186). Lo stesso si dica anche per film come Une Goutte d’eau vue au microscope, (J. Comandon, Pathé, 1910) e Het leven in een druppel water (La vita in una goccia d’acqua, J. C. Mol, Multifilm, 1927), anch’essi segnati da una temporalità plurale: da un lato, figli del loro tempo, anch’essi afferiscono più o meno direttamente alle campagne di prevenzione delle malattie causate dall’ingestione di acqua non potabile; dall’altro si rifanno a un antenato comune, il topos dello straniamento connesso alla visione magnificata – e in movimento – della “vita in una goccia d’acqua”: diventano allora visibili piccole vite prima invisibili, strutturate nella loro quotidianità e potenzialmente letali per l’uomo, che pullulano sotto la superficie del quotidiano, proprio come la punta dell’ago di Hooke nascondeva “una moltitudine di buchi, graffi e asperità”15 ed esattamente come Osip Brik parlerà dello straniamento (qui ostranenie) provocato dalla fotografia che trasforma “oggetti familiari” in “strutture mai viste”, mostrando la “realtà come non è mai stata vista prima” (Brik 2003: 90–91). Già Johannes Zhan aveva notato il senso di defamiliarizzazione originato dal cambiamento di scala e l’attrattiva sprigionata dal movimento reale, proponendo visioni di “sommo stupore” create dal porre “aqua cum vermicolis” nelle lenti cave di una lanterna magica. Se in questo modo “l’acqua limpida produce vermicelli di vario genere” e possiamo vedere “con meraviglia e massimo diletto straordinari serpenti che guizzano qua e là”,16 questo esperimento attraversa immutato secoli e microscopi nelle pagine di Hooke, Nollet – per lui le anguillule sono “serpenti veri e propri” – Antoni van Leeuwenhoek e Martin Ledermuller, fino a configurarsi nell’Ottocento nelle sadiche proposte di alcuni lanternisti di aggiungere fluidi acidi all’acqua per potenziare il movimento – e la meraviglia – causati dall’agonia di questi esseri minuscoli e di pesci più grandi.17 L’abate François Moigno presenta in blocco questo tipo di esperimenti, ormai ben storicizzati:
Enfin, si dans l’auge ou sur la lame de verre on dépose une goutte d’eau un peu croupie, une miette de fromage avancé, un peu de colle de farine étendue dans une goutte de vinaigre, etc., etc., on verra se dessiner, apparaitre sur l’écran, nager ou se mouvoir des multitudes d’animalcules microscopique, mites, acarus, vibrions, infusoires (Moigno 1872: 111).
Eccolo allora il film di questi Cheese mites (Charles Urban Trading Company, 1903), un soggetto tanto disgustoso quanto popolare, proiettato in pompa magna all’Alhambra Theatre a Londra nel 1903 assieme al “movimento incessante dei microbi di varie malattie trovati in acque contaminate”.18 Sopravvive in questi film l’antica esaltazione topica del senso di un’orrorifica meraviglia rivelata dalla nuova tecnica: come un professore di Torino, presentando agli astanti la sua lastra di lanterna magica con gli ingordi e “curiosi abitanti” di una fetta di cacio, metteva in guardia il mangiatore di formaggio – può essere sicuro di trangugiare migliaia e migliaia di questi animaletti19 – e come il “Cronique de Jersey” inorridiva alla vista della “ferocia” delle “miriadi di abitanti di una goccia d’acqua” protagonisti di una conferenza educativa,20 allo stesso modo per l’attonito cronista del “Sunday Special” presente a quella proiezione, l’assistervi si sarebbe risolto nella decisione da parte degli spettatori di non “mangiare mai più formaggio, né bere mai più acqua”, poiché la microcinematografia aveva reso visibili le più “raggelanti” immagini.21 Questi topoi antichi – il disgusto, la ferocia, il quotidiano rivelato – sopravvivono nei film, potenziati da una “tecnica estremamente raffinata” che farà “convogliare le folle all’Alhambra” generando uno choc presto intercettato da Simmel, Freud e Benjamin e parallelamente portando a termine la missione sociale di cui quell’epoca investiva le pellicole, indirizzate com’erano, appunto, “a tutte le classi di pubblico”.22 Sebbene direttamente collegato al medium lanterna magica – il famoso catalogo della Charles Urban Trading Company presenta infatti ancora assieme lastre e pellicole cinematografiche con gli stessi soggetti, poi replicati da molte case cinematografiche –, nel processo di rimediazione il cinema si fa promotore di uno scarto tecnologico il cui portato già era entusiasticamente individuato anche all’epoca: “what a sensation it would have been for the Polytèchnic [la storica sede adibita a spettacoli di lanterna magica, nda] in the old days if it could have had something of the kind!”.23
Teniamo presente, infine, che un film come Het leven in een druppel water di J. C. Mol fu messo in dialogo con Regen (J. Ivens, 1929), Étoile de mer (Man Ray, 1927) e Diagonal Symphonie (V. Eggeling, 1924) durante la celebre esposizione Film und Foto del 1929 e proiettato più volte insieme ai classici dell’avanguardia astratta nelle proiezioni del circolo olandese Filmliga, il cui animatore Menno ter Braak delineava la vera posta in gioco della microcinematografia non tanto nell’osservazione scientifica delle fasi dello sviluppo di queste pericolose forme di vita o nella prescrizione di specifiche norme profilattiche, quanto nell’istanza, profondamente politica, di decostruzione della realtà:
Si ha la decisa e sconosciuta sensazione che il mondo microscopico che vi viene raffigurato divenga qualcosa di gigantesco, che non si sarebbe nemmeno mai potuto sognare. Qui siamo ormai al confine e manca ormai soltanto un passo perché microbi e cristalli divengano attori di un film di Man Ray (Ter Braak 1928: 134–35).
3 Palchi, gabinetti, baracconi
Come in “un certo produttivo disordine”24 lo straccivendolo-collezionista benjaminiano libera l’oggetto scelto “da tutte le funzioni originarie per entrare in rapporto più stretto con gli oggetti a lui simili”,25 proseguo in questo archivio immaginario di tracce del passato scegliendo il ceco Život zabité žáby [La vita di una rana morta] (B. Bauše, 1911) che è certo un film educativo che ha come oggetto gli esperimenti effettuati da Galvani sugli stimoli nervosi, e che annovera anche degli omologhi nelle cineteche scolastiche europee (ad es. Encyclopédie Gaumont n° 5838). È però interessante riflettere sulla storia che si stratifica in questo soggetto: secondo la moda settecentesca, gli esperimenti sulle reazioni agli stimoli elettrici sugli arti di rane morte accoglievano infatti il visitatore all’ingresso del celebre convento dei Cappuccini di Étienne-Gaspard Robertson, il fantasmagore. Degli antipasti, insomma, in attesa dell’immersiva portata principale, lo spettacolo di fantasmagoria, così come menzionato in un annuncio del 1789 che combinava esplicitamente e disinvoltamente questi esperimenti scientifici ad apparizioni di Spectres, Fantômes et Revenants:
Apparition de spectres, Fantômes et Revenants, tels qu’ils ont dû et pu apparaître dans tous les temps, dans tous les lieux et chez tous les peuples. Expériences sur le nouveau fluide connu sous le nom de galvanisme, dont l’application rend pour un temps le mouvement aux corps qui ont perdu la vie.26
Le ipotesi di Galvani volevano infatti che le contrazioni muscolari delle rane non fossero dovute a scariche elettriche esterne, ma fossero invece espressione di una forza interna, propria all’animale, che veniva semplicemente stimolata dalla scarica elettrica esterna, ed erano vicine alle controverse teorie di Mesmer sul magnetismo animale.27 Ecco perché Robertson, abile illusionista, ne sfruttava il carattere in bilico tra scienza e spettacolo, tra messa in scena e suggestione, componenti che fondano anche i suoi spettacoli di fantasmagoria. Ridare il movimento ai corpi che hanno perso la vita, ridare la vita ad una rana morta, Život zabité žáby.
Ancora, la costellazione formata dai due film Pathé La physique amusante (1911) e Les Démonstrations amusantes de la science (1917) è particolarmente significativa: essi sono due film quasi metariflessivi, in cui è talmente radicata la fiducia nel potere educativo del cinema, che sembrano quasi omaggiarne la genesi, facendosi leçon des choses cinematografica. Di questo metodo pedagogico i cui dettami ordinano le serie di divulgazione scientifica nella loro interezza, questi due film omaggiano i momenti di massimo fulgore: il Settecento con i cabinet de physique e le dimostrazioni scientifiche pubbliche — di cui La physique amusante rimette in scena gli esperimenti più celebri, indugiando sugli effetti caleidoscopici, virati a colori, degli esperimenti con l’elettricità, coi tubi di Geissler, con le bobine di Ruhmkorff (Fig. 9) – e l’epopea ottocentesca dei giochi filosofici, delle “Ricreazioni scientifiche ovvero l’insegnamento con i giuochi” (Tissandier 1882): ecco la bambina sorridente, la figura del maestro e l’ambientazione domestica, il vassoio d’argento e la candela, la brocca dell’acqua e le uova sode de Les Démonstrations amusantes de la science.
Siamo dentro a un regime spettatoriale di spettacolarizzazione della scienza che sopravvive in questi film e che, dalle rane di Galvani, dalle Accademie e dalle dimostrazioni scientifiche nei salotti nobiliari, arriva fino ai boulevards delle grandi città che “aspirano a divenire delle succursali della Facoltà di scienze” (Claretie 1896: 50) e ai baracconi della fiera. Alcuni film scientifici portano ancora memoria di questa congiuntura: Scientia, il nome che la casa cinematografica Éclair sceglie per la sua serie di divulgazione scientifica è mutuato da quello che Georges Claude, fisico, chimico e futuro membro dell’Accademia delle Scienze di Francia, aveva scelto per il cabinet de physique che lui stesso aveva installato ancora nel 1910 al Luna Park di Porte Maillot a Parigi e in cui svolgeva esperimenti con le lampade a neon, l’elettricità e soprattutto con l’aria liquida.28 Quello dell’air liquide è un soggetto fortunatissimo, destinato a replicarsi nei cataloghi di svariate case di produzione, ma in particolare Expériences sur l’air liquide (Pathé 1913) è la messa in scena, scena per scena, degli esperimenti che Claude teneva nel suo bancone e che descrive nel suo libro Liquid Air, Oxygen, Nitrogen dello stesso anno (Claude 1913: 107–110). Persino le inquadrature del film ne riprendono con precisione le illustrazioni: un distinto signore in doppiopetto e papillon conduce esperimenti immergendo in una bacinella fumante di aria liquida ogni sorta di materiale, vivo o inerte. Bistecche, rose, metalli, palline di gomma si sbriciolano e le anguille possono subire le sorti più diverse, come frantumarsi sotto i colpi di un martello o resuscitare non appena rituffate in acqua tiepida. Un atto mostrativo – che bascula tra attendibilità scientifica e illusione magica, tra messa in scena spettacolare ed esibizione della più cruda delle violenze – ritorna simile in entrambe le versioni di La Torpille (Scientia Éclair, 1913 e Pathé, 1913), dove il “curioso pesce elettrico” viene sottoposto a piccoli supplizi, schiacciato dal suo aguzzino, la sua potenza misurata con un voltametro: con la sua scarica deve riuscire ad accendere una lampadina.29 Tale paradigma della mostrazione, gonfio di un passato di dimostrazioni pubbliche, di gabinetti e di banconi da fiera ritorna anche nei film sulla sensitiva già citati e nel n° 5363 dell’Encyclopédie Gaumont, un film del professor Weyher sul fenomeno delle trombe d’aria in mare. Come i tanti singolari apparecchi costruiti dal professore – uno straniante inventario ne è il n° 5380 – anche questa macchina è avvolta da un alone magico: è una grossa cassa dalla quale potremmo aspettarci uscissero colombe, conigli o ragazze tagliate a metà… Anche il modo in cui il professore interagisce con essa e con la macchina da presa sembra portare le tracce di un regime spettatoriale passato, immersivo e performativo: gli sguardi in macchina sono continui, il professore si rivolge al pubblico, vuole suscitare la sua meraviglia, coinvolgerlo nell’attrazione che sta per produrre; la cassa viene esibita e maneggiata al suo interno, è vuota: non c’è trucco non c’e inganno! Finalmente l’attrazione avviene, l’aria comincia a formare un’addomesticata tromba d’aria (Fig. 10). Nel professor Weyher sopravvive un imbonitore, che con questo suo numero ci conduce anche a una riflessione visiva sulla genealogia del cinema, a quando esso stesso era un’attrazione scientifica esibita nelle fiere a fianco dei raggi X – le due machines à mouvement. Nella stessa temperie ci portano anche gli sguardi in macchina così presenti anche nei primi film chirurgici: pensiamo alla famosa amputazione di Ernst Von Bergmann (Fig. 11), chiosata addirittura da un mezzo inchino abbozzato, e dall’orgoglioso sorriso che chiude la risoluzione del controverso attacco isterico da parte del professor Camillo Negro in Neuropatologia (Ambrosio, 1906–1908). Infine, tutti ricordiamo l’imponente figura del celebre chirurgo e pioniere della cinematografia scientifica Eugène-Louis Doyen, che non riesce a trattenersi dal guardare nell’obiettivo di tanto in tanto nel corso della celebre operazione alle sorelle siamesi, atto (di)mostrativo dell’eccezionalità della sua tecnica operatoria e magnetica sopravvivenza delle dissezioni nei teatri anatomici, delle lezioni universitarie, delle dimostrazioni scientifiche. Sebbene senza dubbio ideato a scopo didattico, ancora nell’onda di quei regimi spettacolari questo film pare concepito – in un momento in cui il pionieristico uso del cinema in medicina era osteggiato proprio perché ancora troppo collegato nell’immaginario scientifico alle polveri della fiera –, e quasi non ci stupiamo nell’appurare che esso abbia potuto suscitare gli interessi degli impresari delle fiere, trascinando il dottore al centro di uno famoso scandalo.30
Infine, tutti abbiamo presente il teatro delle pulci. È lo stesso Percy Smith, pioniere della cinematografia scientifica, per una vita collaboratore di Charles Urban, a dichiarare di essersi esplicitamente ispirato per la realizzazione del suo Balancing bluebottle (poi The acrobatic fly) – che ci aspetteremmo di trovare classificato come trick film o come comica – alla “wonderful performing flea”, che era “quasi un’istituzione ai tempi dei nonni”.31 Allo stesso tempo il cineasta insisteva fermamente nel sottolineare il reale valore scientifico di questo film, il cui scopo era quello di mostrare al pubblico il “meraviglioso potere muscolare delle mosche”32 in una nuovo film Kineto, la branca dedicata all’educazione e all’insegnamento della Charles Urban Trading Company, il cui fondatore fu anche uno dei primi attivi promotori dell’uso del cinema per questi fini, con l’importante trattato The Cinematograph in Science, Education and Matters of State (1907). Fedele al suo motto di “indorare con il divertimento la pillola del sapere”,33 Percy Smith gira un altro ambiguo film che mostra scientificamente la Strenght and agility of the insects (1911): dall’alto dell’inquadratura calano scorpioni intenti a maneggiare scatole, lucertole e formiche sbandierano fiammiferi e le pulci gestiscono sapientemente tappi di sughero e carte da gioco.
4 Oggetti dialettici?
In queste pagine sono stati presentati alcuni film che si distinguono per una temporalità disturbata e che mostrano inaspettate incursioni del passato – intricate genealogie che emergono nei soggetti scelti, nei tagli delle inquadrature, nei regimi spettatoriali evocati – coniugarsi con le istanze positiviste di cui essi sono portatori, le quali li vogliono invece moderni nella tecnica, nell’attrattiva e nella capacità di trasmettere conoscenza. Alcuni tra questi film fanno poi un passo ulteriore, ritrovandosi ad essere sistematicamente inclusi nelle proiezioni dei luoghi dell’avanguardia cinematografica negli anni Venti. Ecco che il salto temporale a cui assistiamo in questi casi è triplice, in grado di aprire a un modello di temporalità omologo a quello concepito da Walter Benjamin nella sua impresa di decostruzione dello storicismo.34 Qui l’immagine – l’immagine dialettica – ha un ruolo centrale in quanto balenante “cristallo di tempo” prodotto dallo “choc folgorante” della collisione tra passato e presente:
Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui il già-stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione. In altre parole: immagine è la dialettica nell’immobilità. Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora è dialettica: non è un decorso, ma un’immagine discontinua, a salti. Solo le immagini dialettiche sono autentiche immagini (cioè non arcaiche).35
Rivoluzionari “cristalli di tempo” (Didi-Huberman 2007: 225), alcuni di questi film si rivelano allora in quanto “oggetti dialettici”: carichi di un passato da loro inestricabile, riescono ad espletare la loro funzione ultima solo giustapposti ad altri film nelle composite proiezioni d’avanguardia, facendo deflagrare il potere rivoluzionario del loro “inconscio ottico”.36 Ecco perché il secolare straniamento sprigionato dalla “vita in una goccia d’acqua” diventa consapevole ostranenie nell’Het leven in een druppel water mostrato in FIFO e in Filmliga (Fig. 12): quale forma migliore di “téléscopage del passato attraverso il presente”?37 Ecco, ancora, perché la sovrapposizione di naturalia e artificialia fa deflagrare in microcinematografia le “formazioni strutturali della materia completamente nuove” nelle cristallizzazioni proiettate in trittico immersivo allo Studio 28 e perché i Dytiscus mostrati alla London Film Society fanno “balenare” nello spettatore l’improvvisa presenza a se stesso della sua più inconscia animalità.38 Ecco perché Luis Buñuel attingerà il suo monstrum, lo Scorpion Languedocien, dalla serie Scientia Éclair.
Se per Benjamin, insomma, “l’oggetto storico trova rappresentate al suo interno la propria pre- e post-storia”,39 anche il già-stato di questi film si cristallizza nell’ora della loro conoscibilità profonda, quasi che solo la risemantizzazione ad opera dell'avanguardia abbia aperto per loro il futuro, la loro missione rivoluzionaria volta ad “innervare” gli spettatori. Quasi che – come lastre fotografiche già impresse – “solo il futuro (abbia) a sua disposizione acidi abbastanza forti per svilupparle”.40
Bibliografia
Per i testi anonimi o precedenti al 1700 si rimanda ai riferimenti riportati per intero nelle note a piè di pagina
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Sulle tre serie di Charles Urban si veda il catalogo We put the world before you by means of the Bioscope and Urban Film, Herbert Scott & Co, Warwick, novembre 1903: 61–103 e Gaycken 2015. I film di Jean Comandon conservati al CNC sono utilmente catalogati in Balthazard, De Pastre e Lefebvre 2012. Sulla produzione documentaria Gaumont e l’Encyclopédie si veda Delmeulle 2003. Sulla serie Scientia Éclair si veda Lefebvre 1993. Su Roberto Omegna rimando a Tosi 1979. Sul film scientifico e la sua tassonomia si vedano Thévenard e Tassel 1948 e i più recenti Martinet 1994 e Tosi 2007. Infine, sulla leçon des choses si veda Khan 2002.↩︎
Proclama di Charles Pathé citato in Sadoul 1949: 49↩︎
Il riferimento è alle espressioni benjaminiane. Per la prima vedi in particolare Benjamin 2009: 31. La seconda ritorna più volte nel medesimo testo, ad es. alle pagine 47 e 51. Sulla temporalità plurale dell’immagine il riferimento è Didi-Huberman 2007.↩︎
Aby Warburg citato in Gombrich 1983: 224.↩︎
Se il riferimento di Warburg al cinema non è mai esplicito, altri hanno condotto studi in questa direzione, si veda ad es. Michaud 2012 e Zucconi 2013. Si veda anche Schwartz 2020.↩︎
La periodizzazione delle cosiddette avanguardie cinematografiche degli anni Dieci-Trenta è tema che esula dall’obiettivo di questo saggio, per la cui redazione si è privilegiato l’approccio adottato da Malte Hagener nella cartografia a quattro livelli elaborata in Moving Forward, Looking Back. The European Avant-Garde and the Invention of Film Culture, 1919-1939 (2007). Sulla diffusione del film scientifico nei club d’avanguardia mi permetto di rinviare il lettore a Bernabei 2021.↩︎
Répertoire des films de l’Encyclopédie Gaumont, Société des Établissement Gaumont, Paris, 1929: 1.↩︎
Samuel Quiccheberg, Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi… Monaco, 1565, traduzione dell’autrice. Il Getty Research Institute ne ha curato nel 2013 una pubblicazione a cura di Mark A. Meadow e Bruce Robertson.↩︎
Su tutte, si pensi al Plant Magic (Secrets of Nature, British Instructional Film, 1928), un film che studia in realtà le “formazioni biochimiche dei carboidrati” in programma alla 25a performance della London Film Society (21 ottobre 1928), ora in Amberg 1972: 97–98.↩︎
J. Zhan, Oculus artificialis teledioptricus sive telescopium, Fundamentum II, Francofurti ad Moenum, Johann Georgii Drullmanni, anno 1686: 256.↩︎
Anon, “Wonders of Nature, DISPLAYED IN AN EXHIBITION OF THE INSECT WORLD, Magnified by the stupensous power of A GRAND ACHROMATIC HYDRO-OXYGEN MICROSCOPE” in Le Chronique de Jersey, 1 August 1835.↩︎
Anon. “Menace of flies is told by film”, ritaglio di giornale nelle carte di George Kleine, Historical file, scatola 26, cartella “Fly Pest”, riportato da in Gaycken 2015: 148.↩︎
Intertitoli del film La Puce (Pathé, 1913).↩︎
Robert Hooke, Observ. I. Of the Point of a sharp small Needle in Micrographia. Some Physiological Descriptions of Minute Bodies Made by Magnifying Glasses with Observations and Inquiries Thereupon, London, Royal Society, 1665: 1–4.↩︎
Johannes Zhan, Oculus artificialis teledioptricus sive telescopium, Francofurti ad Moenum, Johann Georgii Drullmanni, anno 1686, Fundamentum III Practico-Mechanicum, Syntagma V, Caput V, Technasma III, 1686: 256, traduzione dell’autrice.↩︎
Cfr. Mannoni e Pesenti Campagnoni 2009: 49.↩︎
Anon., cronaca del “The Era”, 22 agosto 1903, riportato in We put the world before you, cit.: 90.↩︎
Cfr. la cronaca in Bertetto e Pesenti Campagnoni 1997: 72.↩︎
Anon., Wonders of nature. Displayed in an exhibition of the insect world, magnified by the stupensous power of a grand achromatic hydro-oxygen microscope, “Le chronique de Jersey”, 1 agosto 1835.↩︎
Anon., cronaca del “Sunday Special”, 23 agosto 1903, riportato in We put the world before you, cit.: 92.↩︎
Anon., cronaca del “Daily Chronicle”, 18 agosto 1903, riportato in We put the world before you, cit.: 91.↩︎
Anon., cronaca del “Free Lance”, 21 agosto 1903, riportato in We put the world before you, cit.: 91.↩︎
Walter Benjamin, I passages di Parigi [H 5, 1], ed. it. a cura di Enrico Ganni, Torino, Einaudi, 2010: 223.↩︎
Walter Benjamin, I passages di Parigi [H1a, 2], cit.: 214.↩︎
Spectacle de Fantasmagorie, in “Affiches, annonces et avis divers”, n. 121, 20 gennaio 1789: 2224.↩︎
Sul mesmerismo e il portato politico del legame scienza-suggestione si veda Cavalletti 2011.↩︎
Lo stesso Claude aveva messo a punto nel 1902 il processo per la liquefazione dell’aria.↩︎
Un altro soggetto ricorrente che fa leva sull’attrazione sprigionata dall’esibizione della crudeltà, è il pasto del serpente: Encyclopédie Gaumont n° 5910, Fütterung von Riesenschlangen (Il pasto dei boa, Komet-Film-Compagnie, 1911) – un unico piano sequenza di tre minuti sul decorso del pasto di tre boa – e Répas du Serpent (Gaumont n° 2057), un film dalla curiosa messa in scena che vede il ribaltamento dei piani dell’osservazione: la mdp è sistemata all’interno del terrario a riprendere il martirio del coniglio, ma soprattutto a riprendere l’ipnotico incanto di cinque persone che assistono alla scena dall’esterno. Nelle fasi finali poi quasi tutto il “paese” accorre, affollandosi alle finestre per vedere l’esecuzione.↩︎
Sul processo che vede coinvolti Doyen e il suo operatore Ambroise Parnaland riguardo al furto e alla duplicazione di alcuni negativi, cfr. Lefebvre 1997.↩︎
Percy Smith, The evolution of the Juggling Fly, “Pearsons Magazine”, 1909, cit. in Gaycken 2015: 65. Sulle vicende di questo film cfr. anche le pagine 56–67.↩︎
Anon., New Urban Films, “Supplement”, n. 234, n.d. [1908], Early Rare British Film Catalogue, cit. da Gaycken 2015: 57–58.↩︎
Anon., Experiences of Mr. Percy Smith. His Scientific Work on Behalf of Kinemacolor and Kineto, Ltd. in “The Kinematograph and Lantern Weekly”, 30 marzo 1911: 74.↩︎
Su questo vedi Benjamin 2009. Egli torna a più riprese sulla “svolta copernicana” anche nei Passages di Parigi (2010, F, 7 e KI, 1–3).↩︎
Benjamin 2010: 516 [N 2a, 3], I passages di Parigi, trad. leggermente modificata, corsivo mio. Come noto, Benjamin si concentra sul concetto di “immagine dialettica” nella sezione N [Elementi di teoria della conoscenza, teoria del progresso] dei Passages.↩︎
Il riferimento è al passo della versione del 1935–36 de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (ora in Benjamin 2012: 17–49; 42–43), poi espunto da quella del 1939, in cui Benjamin, riferendosi ripetutamente alle tecniche del cinema e della fotografia scientifici, porta avanti le analogie tra il funzionamento dell’inconscio ottico e pulsionale, arrivando a teorizzare una “vaccinazione psichica” che il corretto uso del cinema produrrebbe contro le pulsioni sado-masochiste, terreno fertile per l’attecchimento del fascismo.↩︎
Benjamin 2010: 527 [N 7a, 3].↩︎
Het Leven in een druppel water fu mostrato alla rassegna cinematografica della FIFO (13 al 24 giugno 1929, cfr. Anon., “Die Avantgarde im Stuttgarter Programm. Donnerstag – Beginn der Filmschau”, Film-Kurier 11 (139), 13 giugno 1929: 4) e alla terza rappresentazione della sede di Haarlem della Filmliga (10 dicembre 1927) a fianco degli Opus II, III, e IV di Walter Ruttmann (cfr. Linssen, Schoots e Gunning 1999). Uit het rijk der kristallen fu proiettato in trittico allo Studio 28 di Parigi nella seconda metà di aprile 1928 e Le Dytique et sa larve (J. Comandon, Pathé, 1911) fu parte della quarta performance della London Film Society (17 gennaio 1926, ora in Amberg 1972: 14).↩︎
Benjamin 2010: 533 [N 10, 3].↩︎
Il passo di André Monglond cui mi riferisco qui (Le Préromantisme français, I, Le héros préromantique, Grenoble, 1930: XII) è citato in francese da Benjamin da Benjamin (2010: 542, N 15a, 1): “Le passé a laissé de lui-même dans les textes littéraires des images comparables à celles que la lumière imprime sur une plaque sensible. Seul l’avenir possède des révélateurs assez actifs pour fouiller parfaitement de tels clichés […]”.↩︎