Il convegno internazionale Body Politics. Representing Masculinity in Media and Performing Arts (Torino, giugno 2017) ha costituito un importante punto di confronto per gli studi sulla mascolinità e le sue rappresentazioni, mobilitando vari ambiti disciplinari allo scopo di definire degli interrogativi plurali e mobili per interrogare la costruzione discorsiva e politica del maschile. Il volume Ciao maschio raccoglie l’eredità di quel convegno e si presenta come un corposo insieme di contributi che insieme offrono una fotografia degli studi sul maschile in Italia e non solo. Il libro è infatti attraversato da traiettorie di indagine che si inseguono continuamente, attorno alle due parole chiave (richiamate nell’Introduzione) di intermedialità e politica.
Il saggio di Valerio Coladonato assume in questo senso un fondamentale valore introduttivo e metodologico, focalizzandosi su una serie di domande che contribuiscono a definire il rapporto fra male e film studies. È in particolare sul concetto di mascolinità egemonica che l’autore si sofferma, mostrando come l’idea di mascolinità si sia articolata storicamente in una serie di tipi in grado di riprodursi anche grazie al potere modellizzante dei media. Dove c’è egemonia, però, c’è sempre subalternità e sul rapporto reciproco di questi due termini Coladonato si interroga, evidenziando come la definizione del maschile si giochi sempre su un terreno altamente negoziale. A partire da queste suggestioni, il volume sviluppa una serie di linee di indagine che intendiamo qui restituire tradendo la struttura originale del testo. Si tratta, evidentemente, di una classificazione almeno in parte arbitraria, ma che riteniamo utile ad illustrare gli indirizzi prevalenti che gli studi di Ciao maschio lasciano intravedere.
Di assoluta rilevanza appare il discorso sull’attore. Il corpo dell’interprete, soprattutto quando è quello di un divo, al contempo definisce ed interroga le categorie del maschile, le rinegozia e le performa. Le ricerche presentate lo dimostrano in modo chiaro: la queerness di attori come Pierre Clémenti (Giulia Fanara) e Leslie Cheung (Cristina Colet) funge da perno per una riarticolazione dei binarismi del genere o delle contraddizioni di una intera stagione culturale. Esistono poi dei casi dove è il corpo stesso dell’attore (come spiegano, ciascuno con le specificità del proprio caso di studio, Francesca Brignoli, Alberto Scandola e Sara Pesce) a farsi superficie di un ripensamento problematico del rapporto fra mascolinità e attorialità. D’altronde, come specifica Anna Masecchia ponendo a confronto due divi come Banderas e Gere, la definizione del maschile non è mai pacifica, ma sempre frutto di una negoziazione.
Ugualmente centrale appare il filone delle ricerche che offrono un quadro della mascolinità e delle sue diverse incarnazioni nella società italiana. Enrico Biasin, Giulia Muggeo e Alessio Ponzio forniscono un ritratto della mascolinità anni Cinquanta in Italia incrociando a vario titolo i percorsi dell’immaginario cinematografico: il profilo dei giovani spettatori, il caso di Fred Buscaglione e il tema della prostituzione maschile diventano istantanee di un paese che si appresta a ripensare la propria società e il ruolo del maschile al suo interno. Lo dimostra lo studio di Federico Zecca, che intercettando l’immagine divistica di Celentano proprio a cavallo fra anni Cinquanta e Sessanta ne mostra l’instabilità e la natura metamorfica (da teddy-boy a bravo ragazzo). Jacopo Tomatis e Gabriele Rigola forniscono una lettura degli anni Sessanta e dei nuovi modelli di mascolinità emergenti rispettivamente attraverso le figure dei cantautori (con la definizione di una mascolinità debole) e delle riviste per soli uomini (Men e Playmen, dove ogni pagina appare funzionale a fornire una radiografia di che cosa significhi essere e comportarsi come un uomo in quel periodo).
Se l’attore contribuisce a definire un suo modello di mascolinità, questo vale anche per l’autore. Fabio Andreazza mette a confronto tre registi dell’epoca del regime (Blasetti, Camerini e Soldati) per verificare come ciascuno di loro si sia posto rispetto all’idea fascista di recupero di una virilità antimoderna. Fabio Pezzetti Tonion, concentrandosi sul caso di Bergman, evidenzia come nel cinema moderno dell’autore l’uomo diventi sempre più fuori tempo, in balia degli eventi e incapace di comprendere una nuova femminilità forte. L’assalto alla mascolinità egemonica è ancor più evidente nel caso di un regista iconoclasta e queer come Jarman, nei cui diari Stefania Rimini insegue l’emergere di una maschilità utopica e radicale, che si concretizza già in Sebastiane.
Anche i generi si sono rivelati capaci di far emergere specifiche immagini della mascolinità. Mauro Giori illustra come il peplum sia divenuto nel dopoguerra una occasione di ripensamento dei tratti del maschile. La destra in particolare, in continuità alla sua idea antimoderna, si è opposta tenacemente a questo modello di rappresentazione, artificiale e eccessivamente erotizzato. Emiliano Morreale, occupandosi del male weepie, evidenzia come in questo genere l’uomo sia un soggetto in crisi, incapace di essere al contempo maschio, padre e marito. Riferendosi a La finestra sul Luna Park, Il grido e L’uomo di paglia, Morreale insegue la parabola patetica di uomini sovrastati da drammi esistenziali. Claudio Bisoni interroga le immagini della mascolinità nel poliziesco anni Settanta, attraverso le figure del giustiziere e del commissario, evidenziandone la natura di sradicati “sessualmente impassibili”, doppi speculari dell’uomo delle commedie erotiche.
Oltre al cinema e ai suoi immaginari numerosi saggi interrogano la costruzione politica della mascolinità attraverso lo specchio di altri media. La fotografia (Federica Muzzarelli), anche inserita in fototesti, come nel caso di Brecht (Sara Torrenzieri), si presta – a volte quasi suo malgrado – come nel caso di Luxardo, a far emergere la complessità contradditoria di ogni definizione del maschile. I saggi di Matteo Pollone e Annamaria Cecconi, pur occupandosi di media diversi, appaiono accomunati dal focus su operazioni di ripensamento di figure maschili in mitiche. Tex Willer reinterpretato da Manara e gli uomini della Carmen rilette in un contesto africano, offrono la possibilità di evidenziare come queste figure fossero già portatrici di una certa politica della mascolinità, che viene qui decostruita. Alfonso Amendola, Vicenzo Del Gaudio e Mario Tirino affrontano il caso di Bob Flanagan, che attraverso un radicale lavoro sul corpo ha fuso, nella sua opera, varie forme di assalto alla mascolinità, usando il dolore come materiale plastico ed espressivo. Il saggio di Adolfo Carratalà conclude il volume e ne rilancia gli interrogativi occupandosi della rappresentazione di figure pubbliche omosessuali nei media spagnoli, interrogando categorie cruciali come la visibilità dei soggetti LGBTI e il confine fra pubblico e privato.