Il punto di partenza inevitabile per ogni discorso sulla storiografia della televisione è la diffidenza, l’ostilità o il disprezzo di cui la TV è stata oggetto fino agli anni Settanta inoltrati, in Italia come altrove, da parte degli stessi studiosi che si assumevano il compito di analizzarla e interpretarla. Questo atteggiamento ha avuto almeno due conseguenze: da un lato un diffuso presentismo, che trascurava la dimensione storica nel tentativo di individuare uno «specifico televisivo» (Barra, p. 94); dall’altro una tendenza, anche nella storiografia più attenta e approfondita, a dare priorità «alla storia politico-istituzionale» (Ortoleva, p. 54), il che si traduceva spesso in un’attenzione spasmodica al rapporto tra i vertici RAI e la politica, che di converso lasciava in ombra le professioni, gli aspetti produttivi e, soprattutto, i testi. Per lungo tempo, in sostanza, si è fatta storia della televisione senza guardarla, senza tenere conto del suo contenuto.
La Storia della televisione di Aldo Grasso, pubblicata per la prima volta nel 1992, fu rivoluzionaria proprio perché finalmente concepiva la storia del medium come storia dei suoi testi, e adottava in maniera sistematica l’idea che «la televisione è prima di tutto ciò che si vede sullo schermo, piuttosto che i verbali della Commissione parlamentare di vigilanza» (Menduni, p. 153). All’origine di questo risultato non c’era solo un radicale cambiamento di prospettiva, ma anche un lungo e paziente lavoro sulle fonti e sulla metodologia, che ha dovuto supplire alle mancanze, alle incompletezze o all’inaccessibilità degli archivi del primo ventennio televisivo. Il lavoro di Grasso, non solo come studioso ma anche come fondatore di una scuola, concretizzatasi nel CeRTA (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi), è uno dei pilastri fondamentali che hanno permesso l’evoluzione dello studio della televisione dalla ‘non-specificità’ ideologizzata delle origini all’esplosione dei punti di vista che invece caratterizza il panorama attuale.
Si capisce, così, l’efficace immagine del ‘dissodatore appassionato’ che dà il titolo al volume curato da Massimo Scaglioni e edito da Vita e pensiero, con il quale si rende omaggio all’opera di Grasso cogliendo l’occasione dei suoi settant’anni, ma anche in opportuna coincidenza con l’uscita della nuova edizione della Storia critica della televisione italiana, che vede la collaborazione di Luca Barra e Cecilia Penati.
La metafora agraria proviene da Grasso stesso: «fra questi due estremi - ipertrofico chiacchiericcio e invisibilità del medium - si situa il mio lavoro per il quale, immodestamente, rivendico una qualche attitudine pionieristica, il dissodamento di un terreno incolto, la prima stesura di mappe perfettibili di un esploratore appassionato» (cit. in Scaglioni, p. 9). Il terreno incolto della storia culturale della televisione, una volta dissodato, ha dato gli ottimi frutti visibili anche in questo volume; la passione, quella un tempo inconfessabile per il piccolo schermo, è la stessa che Grasso ha esercitato anche nel confronto quotidiano con i singoli programmi sulle pagine del Corriere della Sera. La figura ibrida di Grasso - accademico, ma conosciuto al grande pubblico come critico, e per un breve momento anche direttore della programmazione radiofonica RAI - si riflette nell’eterogeneo insieme degli autori dei saggi, tra i quali figurano accademici di diversa provenienza e appartenenza generazionale, figure interne all’industria come Carlo Freccero, critici come Stefania Carini e Mariarosa Mancuso.
La raccolta, per quanto nasca come Festschrift, è in realtà una lettura estremamente interessante per chiunque si occupi di televisione. Poiché sarebbe poco utile, in questo contesto, descrivere con poche parole ciascuno dei ventisei brevi saggi che compongono il volume, cercherò piuttosto di individuare alcuni tratti fondamentali che lo caratterizzano nel suo complesso.
Innanzitutto, colpisce la scarsa propensione generale a cedere alla pura celebrazione o all’aneddoto personale, come molto spesso accade in questi casi: si trovano invece numerosi punti della situazione, brevi, densi e utili riassunti sullo stato della storiografia televisiva nelle sue specifiche declinazioni. Si trova, soprattutto, un deciso slancio verso il futuro, che nell’indicare tutto il lavoro che ancora deve essere fatto offre un campionario molto fertile di direzioni di ricerca possibili.
In secondo luogo, l’opera di Grasso è inserita nella rete di rapporti con gli altri grandi fondatori del discorso sulla televisione in Italia: i lavori di Umberto Eco, Gianfranco Bettetini e Franco Monteleone sono presenti in molti dei contributi come confronto e contrappunto, mentre intervengono direttamente con un proprio saggio Peppino Ortoleva, Giuseppe Richeri e Enrico Menduni. Si crea così un fitto dialogo tra punti di vista altrettanto autorevoli e non sempre coincidenti, dal quale emerge una sfaccettata storia della storiografia televisiva che misura la notevole distanza percorsa negli ultimi quarant’anni.
Infine, c’è una costante tendenza ad allargare lo sguardo, che si riscontra nella grande varietà di oggetti di studio e di approcci dispiegata: da un lato, infatti, la storia della televisione deve tenere in considerazione tutte le componenti del medium: istituzione, testi, pubblico, professioni, distribuzione, tecnologia; dall’altro, è necessario aprire a prospettive internazionali e comparative. Gli ultimi contributi del libro mettono del tutto da parte il legame con l’opera di Grasso per affrontare questioni spesso ingiustamente marginalizzate o lasciate agli esperti di settore: la storia del rapporto tra sport e TV, il modo in cui il gergo televisivo viene creato e poi viaggia e si trasforma nella lingua quotidiana.
Restituire la televisione alla storia - e contemporaneamente scoprire che esistono molte diverse televisioni e molte diverse storie - è stata una svolta decisiva, che ha impresso il suo segno su tutte le discipline che hanno la TV per oggetto. Questo volume ne è una dimostrazione: pur restando ben centrato su questioni e problemi inerenti alla storiografia, riesce a rendere la varietà, la complessità e la fertilità dei molti complementari approcci ormai disponibili per lo studio del medium nel suo complesso.