1 Global Italy: un Rinascimento?
Nel corso dell’ultimo decennio, e almeno fino alla battuta d’arresto nella produzione di contenuto dovuta, agli inizi del 2020, alla crisi sanitaria legata alla pandemia da Sars-CoV-2, l’Italia sembrava vivere un vero e proprio “Rinascimento” della propria industria dell’audiovisivo: un processo legato non tanto a cambiamenti strutturali della stessa industria o a nuovi, consistenti flussi d’investimento immessi nella filiera (APA 2019), quanto piuttosto a un rinnovato interesse per storie nate e ambientate in Italia, che trovano nella distribuzione internazionale un’importante spinta alla loro più ampia circolazione e al loro successo oltre i confini della nazione. Il caso molto noto dell’affermazione americana dei libri firmati da Elena Ferrante e, poi, la fortunata operazione produttiva capitanata da Rai e HBO e realizzata dalla casa di produzione Wildside per le due stagioni di L’amica geniale (2018-), prima serie italiana messa in onda con sottotitoli sul canale cable nordamericano, non rappresentano che la punta dell’iceberg di un fenomeno di progressiva, inedita “internazionalizzazione” del “made in Italy” audiovisivo.
Sul fronte del cinema contemporaneo, ben meno abituato a operazioni dal respiro e dall’ambizione internazionale di quanto non lo sia la serialità nel corso degli anni Dieci, nello stesso 2018 un film “italiano, anzi italianissimo” – definizione data dall’allora Sottosegretario ai Beni Culturali Salvo Nastasi (Scaglioni 2020) – come Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino sembra andare controcorrente: riceve quattro nomination agli Oscar (traducendo in premio quella per la sceneggiatura adattata da James Ivory a partire dal romanzo di André Aciman) e diventa rapidamente uno dei “film italiani” di maggior successo theatrical all’estero degli ultimi vent’anni, con un incasso globale in sala di quasi quarantadue milioni di dollari e una presenza diffusa e duratura nei principali cataloghi on demand internazionali.
Come si capisce, sia L’amica geniale sia Call Me by Your Name sono operazioni nate ab origine con chiare ambizioni sovrannazionali. Sebbene siano i più visibili, non sono casi del tutto isolati. Nel marzo 2019, seguendo una modalità piuttosto inedita per la nostra industria culturale, Netflix annuncia di aver acquisito i diritti del romanzo Fedeltà di Marco Missiroli per farne una serie, che sarà realizzata da Bibi Film di Angelo Barbagallo. Un altro romanzo di successo, I diavoli di Guido Maria Brera, si è trasformato in una serie commissionata da Sky Italia e realizzata da Lux Vide con la collaborazione della francese Orange Studio: il prodotto ha chiuso nel corso dei primi mesi del 2020 diversi accordi di distribuzione internazionale, coordinati dall’americana NBC Universal Global Distribution, che includono l’acquisizione da parte del canale statunitense CW.
Senza la necessità di ricordare ora in dettaglio ulteriori casi – dalla saga Winx Club ai diversi film degli autori più premiati e conosciuti a livello internazionale come Luca Guadagnino, Paolo Sorrentino o Matteo Garrone, sul fronte cinematografico, per arrivare a titoli di serie come Romanzo criminale - La serie (2008-2010), Gomorra - La serie (2014-), The Young Pope (2016), Suburra - La serie ( 2017- 2020) e The New Pope (2019) – è chiaro che il “made in Italy” audiovisivo ha vissuto un momento particolarmente felice negli anni Dieci, seppur con grandi e rilevanti differenze che distinguono le pratiche produttive cinematografiche – orientate a realizzare film destinati in primis a festival e sale, per poi attraversare le altre finestre distributive internazionali, anche grazie a quella che potremmo definire un’ “economia del prestigio” – da quelle inaugurate dall’industria televisiva proprio a partire dagli anni Duemila, caratterizzate, fin dalla fase progettuale, da grandi investimenti frutto di importanti co-produzioni sovrannazionali. Se su queste differenze si ritornerà (in particolare nel paragrafo 3, infra), qui è innanzitutto importante sottolineare come il tema della circolazione internazionale dell’audiovisivo risulti oggi di particolare rilevanza. Questo saggio intende in primo luogo inquadrare quest’area di ricerche che si situa al confine di discipline ormai consolidate, come gli studi relativi all’industria e all’economia dei media, del cinema e della televisione (paragrafo 2, infra). Si presenterà poi una parte dei risultati di una ricerca pluriennale che, fra il 2012 e il 2020, è stata sviluppata nell’ambito del Ce.R.T.A. (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) con la finalità di mostrare le specificità di una produzione seriale – in particolare quella commissionata dagli operatori pay – che si differenzia in molti casi dalla tradizione cinematografica nazionale proprio perché include la circolazione internazionale nel suo “orizzonte” fin dalle sue originarie ambizioni (e, naturalmente, a partire dal budget previsto per la produzione e la promozione dei contenuti) (paragrafo 3, infra). Si concluderà illustrando proprio le specificità del “made in Italy” seriale che ha avuto origine dalla scelta degli operatori pay di investire in contenuto originale destinato a circolare fuori dai confini nazionali (paragrafo 4, infra).
2 Studiare la circolazione internazionale dell’audiovisivo
L’attenzione nei confronti dei temi della distribuzione e, più ampiamente, della circolazione internazionale dei prodotti audiovisivi ha senza dubbio caratterizzato, nel corso degli ultimi anni, una parte della ricerca sul cinema, sulla televisione e sui media in generale. Nel triennio 2013-2016, il progetto di ricerca europeo MeCETES (Mediating Cultural Encounters Through European Screens) ha fruttato due importati volumi (Bondebjerg et al. 2015, 2017) e un utile database (MeCETES Film database creato da Huw D. Jones): a partire da quest’ultimo, Andrew Higson (2018) e Huw D. Jones (2018) hanno portato l’attenzione sui temi cruciali della circolazione dei film europei in Europa e dei film europei non-italiani in Italia (alla luce di una sostanziale debolezza degli scambi di prodotti non-nazionali in seno all’Unione Europea). Fra il 2017 e il 2020, il progetto di ricerca CInCIt (Circolazione Internazionale del Cinema Italiano) ha sviluppato una metodologia originale per studiare la circolazione internazionale del cinema italiano sia nelle modalità più tradizionali della sala (circolazione theatrical) sia nelle forme sempre più rilevanti di circolazione post-theatrical o, addirittura, a-theatrical (si pensi, per esempio, al caso molto dibattuto del film Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, reso disponibile in molti cataloghi internazionali dal player globale Netflix senza o con limitati passaggi in sala): ne è nata una piattaforma online dedicata alla circolazione internazionale del cinema italiano (www.italiancinema.it), diversi articoli pubblicati in riviste scientifiche (in particolare il numero di Comunicazioni Sociali curato da Garofalo, Holdaway, Scaglioni nel 2018) e un volume (Scaglioni 2020).
I temi della distribuzione e della circolazione individuano dunque un campo di ricerca innovativo, che incrocia alcuni degli snodi essenziali di diversi approcci disciplinari nell’ambito dei Film, tv e Media Studies. Pur nell’assenza, fino ad anni recenti, di una bibliografia specificamente dedicata a questo particolare tema, tale campo di ricerche si colloca all’intersezione di diverse aree di studio consolidate.
Possiamo menzionare, in primo luogo, gli studi relativi all’industria e all’economia del cinema e degli audiovisivi, che si sono però soffermati soprattutto sulla dimensione produttiva, dedicando in generale meno attenzione alla distribuzione. In ambito italiano, alcuni contributi si sono interessati delle trasformazioni della filiera distributiva (Casetti e Salvemini 2007), della distribuzione come cartina di tornasole dello stato di salute dell’industria più in generale (Corsi 2002, 2012) e, in chiave storica, dello slancio all’export del cinema italiano degli anni Sessanta (Wagstaff 1995).
Su un piano diverso, negli anni recenti i Media Studies a livello internazionale hanno dato particolare risalto alla cosiddetta distribution revolution (Curtin et al. 2014, Holt e Sanson 2014), ovvero a quel processo di radicale trasformazione dei sistemi di delivery e di fruizione dei contenuti audiovisivi che hanno avuto un impatto anche sui modelli produttivi e sulle culture professionali: la nascita dei media digitali e la “rimediazione” dei media tradizionali (Bolter e Grusin 1999) hanno modificato e “rilocato” il cinema (Casetti 2015), hanno avuto un impatto consistente sulle modalità d’offerta del broadcasting e, di conseguenza, anche sulle “finestre televisive” dei film (Grasso e Scaglioni 2010) e hanno generato modalità del tutto inedite di circolazione del cinema (Zambardino 2015, Corvi 2016, Re 2017), come quelle sviluppate dai cosiddetti servizi di streaming online o OTT (Over-the-Top).
La letteratura che ha inquadrato i rapporti “transmediali” fra cinema e altri media nell’età della convergenza ha sottolineato, in particolare, come nel corso degli anni Duemila si siano intensificati i rapporti fra la produzione cinematografica e l’industria televisiva non solo “a monte”, ma anche “a valle”, ovvero sul piano distributivo (per il caso italiano, cfr. Barra e Scaglioni 2017), e si siano progressivamente ampliate le occasioni di esibizione e visibilità del film tanto prima dell’ufficiale distribuzione theatrical (per esempio attraverso i festival nazionali e internazionali, che costituiscono un momento fondamentale per la circolazione alla luce della loro capacità di creare una “economia del prestigio”) quanto, soprattutto, fra l’uscita in sala e l’approdo alla cosiddetta library (con le diverse finestre di sfruttamento di una filiera sempre più lunga: home video, pay-per-view, transactional video-on-demand o Tvod, pay tv, subscription video-on-demand o Svod, tv free-to-air, senza considerare le forme più sotterranee e meno visibili/tracciabili di diffusione, come per esempio il caso della pirateria).
Bibliografia
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