1 Introduzione
Eppur si muove! Negli ultimi anni, sia nel discorso critico-giornalistico sia nella ricerca accademica sulla televisione italiana, molta riflessione si è concentrata sulla capacità del piccolo schermo, e in particolare delle sue produzioni di fiction, di “viaggiare” nel mondo, contribuendo – assieme a svariate altre forme artistiche più tradizionali, dalla letteratura al cinema – a modellare l’idea di italianità, e il brand Italia, per i sempre più numerosi spettatori di altre lingue e culture che possono ora vedere molti più titoli. Se nei primi casi quella di altre nazioni per la serialità televisiva italiana è stata un’attenzione inattesa, casuale, favorita dalla distribuzione digitale, progressivamente lo sforzo di incontrare attese e gusti dei pubblici stranieri è diventato evidente: dal richiamo a figure, tropi e stereotipi che hanno “funzionato” nel passato più o meno recente (le location da cartolina, il racconto di mafia, le presunte tradizioni autentiche nella cucina o nella moda) fino a forme più o meno strutturate di diplomazia culturale e soft power (volte a valorizzare da un lato i punti di forza del Paese e a presentare dall’altro l’industria audiovisiva nazionale come ricca di creatività e produttivamente competitiva). Se la definizione di italianità resta sfuggente e i caratteri del brand sono di volta in volta piegati secondo necessità e convenienza, è indubbio però che questo tema sia sempre più spesso oggetto sia di considerazioni estemporanee sia di ricerche accurate. Da un lato, questo filone di studi si inserisce all’interno di riflessioni più ampie legate alla circolazione all’estero dell’audiovisivo di produzione nazionale, volte a ricostruirne la storia e a individuarne le forme, logiche e strategie contemporanee, spesso a partire dai film, ma allargando lo sguardo fino a includere la media e lunga serialità televisiva (Bisoni, Hipkins e Noto 2016, Garofalo, Holdaway e Scaglioni 2018, Scaglioni 2020). Dall’altro lato, in parallelo, la fiction italiana ha attraversato un profondo rinnovamento sia in termini estetici e narrativi sia nei modelli di scrittura e produzione, inizialmente innescato dalla pay tv e poi destinato a investire l’intero comparto, dal servizio pubblico alla tv commerciale e alle piattaforme on demand digitali, allineando le produzioni nazionali su precisi standard qualitativi che a loro volta ne favoriscono l’esportazione (Scaglioni e Barra 2013, Guarnaccia e Barra 2018, Barra e Scaglioni 2021). Sono prospettive tra loro intrecciate, che in larga parte si concentrano sul sistema audiovisivo nazionale e sui testi che produce, sulle previsioni e inferenze italiane sugli interessi del mercato globale (leggi: statunitense o europeo), sul percorso che dal contesto locale li porta a raggiungere altri Paesi; cioè su una traiettoria che procede da “noi” a “loro”, dal “dentro” al “fuori”. L’export è però solo una prima porzione del percorso: quello che pure “viaggia” non sempre poi “funziona” nei singoli mercati di destinazione, per pubblici diversi. Sia i bisogni, a monte, sia i testi, nel mezzo, sia gli incontri con gli spettatori stranieri, a valle, cambiano. A completare l’analisi deve pertanto aggiungersi uno sguardo interessato a capire cosa davvero accade una volta che la fiction italiana approda altrove, inserendosi da “fuori” a (numerosi, differenti) “dentro”.
Questo articolo vuole contribuire a leggere la circolazione internazionale della serialità televisiva italiana contemporanea dall’altro lato, per così dire, concentrandosi sugli effetti (spesso previsti, e in alcuni casi inattesi) del suo ingresso in altri sistemi mediali, e provando a ricostruirne almeno in parte le ragioni. La distribuzione globale dei contenuti, ex ante, non prescinde poi dai percorsi distributivi previsti nei singoli mercati, ex post (Basin 2018, Kirkpatrick 2019). Ogni prodotto importato come ready-made è reso oggetto di «mediazioni nazionali» che spesso ne modificano direttamente il testo e sempre influenzano i contesti fruitivi del pubblico di destinazione (Barra 2009, 2013, 2020). Per andare meglio incontro alle necessità, alle attese e alle abitudini di un’audience differente, i contenuti stranieri sono inevitabilmente messi in quadro in modo diverso, re-impacchettati e ri-presentati, e grazie al lavoro di numerosi professionisti e a procedure spesso definite nei minimi dettagli acquistano significati nuovi, un valore differente. Può essere utile allora mantenere uno sguardo il più possibile sistemico, a tenere assieme testi e contesti, la produzione e il consumo; e concentrarsi poi sul punto di vista industriale, attento alla tv come impresa e mercato, alle sue logiche, al complesso articolarsi delle sue culture professionali (Caldwell 2008, Barra, Bonini e Splendore 2016), con attenzione ad aspetti produttivi, distributivi e promozionali. Per mettere alla prova questo approccio e i suoi strumenti, si concentrerà qui l’attenzione su un esempio specifico, The Young Pope – una serie in dieci episodi del 2016, prodotta da Wildside (parte del gruppo Fremantle) in collaborazione con Sky, HBO e Canal+, scritta e diretta da Paolo Sorrentino, e seguita quattro anni dopo dalle nove puntate di The New Pope –, e sul suo percorso distributivo nel contesto statunitense. Da un lato, si tratta di un caso eccezionale: è una fiction “unica”, idiosincratica, originale nell’idea di fondo come nel suo sviluppo estetico e narrativo; è un titolo d’autore e con attori di primo piano provenienti da numerosi contesti nazionali differenti; inoltre, inverte i flussi di circolazione più consueti, con uno scambio di posto tra l’Italia e gli Stati Uniti forse mai così sfacciato ed esplicito. Dall’altro, allo stesso tempo, ha provato a definire un modello produttivo nuovo, che poi si è provato a replicare con alcuni altri titoli, e un percorso distributivo possibile, adottato in seguito con più frequenza ma non sempre con esiti analoghi. The Young Pope propone un modello di globalizzazione differente, che mette sullo stesso piano industrie e immaginari, che tiene conto della struttura, della conformazione e degli obiettivi degli altri mercati mediali, e che così mostra bene la “frizione” continua tra Paesi, logiche e pubblici molto diversi.
2 Un debutto tardivo (ma preparato con cura)
I primi due episodi di The Young Pope sono trasmessi in Italia, in prime time su Sky Atlantic, il 16 ottobre 2016. Le stesse puntate, in realtà, erano già state proiettate, poco più di un mese prima, il 3 settembre, alla Settantatreesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, in un’anteprima fuori concorso. Dopo la messa in onda italiana, a distanza di pochi giorni, è la volta dell’esordio della serie in numerosi altri Paesi, a partire da quelli che hanno, in varia misura, partecipato alla sua produzione: in Francia, su Canal+, e in Germania e Austria, su Sky, le trasmissioni cominciano il 21 ottobre; nel Regno Unito e in Irlanda, ancora su Sky, il 27 ottobre; nelle nazioni dell’Europa dell’Est, su HBO Europe, il 28 ottobre. Ad arrivare in ritardo, per una volta, sono gli Stati Uniti (e, in parallelo, il Canada): su HBO, The Young Pope va in onda solo alcuni mesi dopo, all’inizio dell’anno successivo, dal 15 gennaio 2017. La strategia di lancio della serie segue insomma un percorso inverso rispetto alla gran parte dei titoli internazionali, con un esordio italiano ed europeo e un successivo “recupero” americano, in forte, insolito ritardo. È una procedura inusuale, che fin dall’inizio sancisce il carattere eccezionale, sperimentale dell’operazione: il test comincia nei mercati più affini a una certa idea di televisione (e di cinema) autoriale, e solo sulla scia di questa prova, in misura per certi versi più protetta, la serie incontra il pubblico statunitense. Ma non è solo questo: l’intervallo temporale è anche l’indizio evidente di una certa cautela e attenzione di un management di HBO rinnovato, che ha ereditato il progetto da una gestione precedente, e del bisogno di riconoscere e modellare cicli di vita differenti per valorizzare al meglio il prodotto. Inoltre, HBO nel panorama mediale americano è un servizio, via cavo e on demand, costoso, rivolto a un pubblico ricco, concentrato sulle due Coste e nelle aree metropolitane, spesso progressista o liberal, in larga parte laico, e le decisioni gestionali e le scelte di produzione, programmazione e comunicazione necessariamente ne tengono conto, selezionando e valorizzando titoli – come The Young Pope – capaci di entrare in frizione con il target e con i suoi valori culturali (Rojas-Lamorena, Alcántara-Pilar et al. 2019). Ancora, si finisce per innescare un discorso critico “europeo” e un favore del pubblico preliminari, che possano esser poi sfruttati anche per le loro ricadute nel dibattito americano – e, in effetti, almeno qualcosa arriva.
La partenza ritardata negli Stati Uniti, peraltro, si accompagna a uno sforzo promozionale ingente da parte di HBO, che nelle settimane precedenti al lancio avvia un’importante campagna pubblicitaria finalizzata a presentare The Young Pope e a incuriosire sia gli abbonati sia il pubblico più trasversale. Il consolidato brand della rete premium cable fa da garanzia per un titolo nuovo e particolare, secondo modi consueti di rafforzamento reciproco (Johnson 2012, Grainge e Johnson 2015). Giganteschi cartelloni con sfondo bianco, su cui si sovrappone e confonde il vestito bianco del Papa interpretato da Jude Law, compaiono nelle grandi città delle due coste, sulle varie sedi di HBO come a Times Square a New York, riportando la data del primo appuntamento, i nomi dell’attore e di Diane Keaton, la regia di Sorrentino e la tag line “His religion is revolution”, “La sua religione è la rivoluzione”. La stessa campagna è declinata sia outdoor, con manifesti e billboard di varie dimensioni e a differente intensità, sia sui media a stampa e negli spazi online, affiancandosi ai promo in rotazione sulle reti del gruppo editoriale. L’esperimento produttivo è insomma sostenuto da un forte investimento di marketing, che possa consentire al titolo di distinguersi in un’offerta di contenuti molto affollata, mettendone in luce i tratti più vicini alle attese del pubblico americano e più facilmente individuabili come indizi “di qualità”.
L’ampiezza e la pianificazione accurata della promozione in vista del lancio della serie si intrecciano e si rafforzano ulteriormente, nelle stesse settimane, con una altrettanto ingente produzione discorsiva, che è insieme un effetto e un ulteriore rilancio delle attività più dirette del marketing. Da un lato, ben prima della messa in onda del primo episodio, e quindi stimolata solo dai promo e dalle immagini in circolo, si registrano numerose attività grassroots, con una forza persino inattesa, che coinvolgono porzioni limitate ma molto visibili del pubblico potenziale (e non solo): la notizia di una serie che arriverà di lì a poco su HBO è sufficiente per dare il via a una riappropriazione online dei suoi concept, temi e immaginari. Le clip di presentazione di The Young Pope, enfatiche e magniloquenti, la particolarità e stranezza di quanto rappresentato, l’hype che circonda il titolo, lo stupore e l’incredulità del pubblico si mescolano in una sorta di “memificazione anticipata”, che pur stimolata dall’industria la coglie anche un poco di sorpresa. Alcuni fotogrammi del promo diventano meme, tramite l’accostamento di frasi in carattere maiuscolo; altre immagini sono invece più semplicemente accompagnate da commenti buffi, ironici e sarcastici; i frammenti più memorabili delle clip diventano gif animate, pronte a circolare anche fuori contesto; per vari giorni l’idea del Papa giovane porta numerosi utenti sui social media a rielaborare i testi di canzoni famose in modo da inserire nelle lyrics qualche riferimento alla fiction (o, più precisamente, alle attese che la circondano); ancora, sono creati brevi fumetti, mash-up con ulteriori serie e altre forme di fan art. Negli Stati Uniti, diversamente dalle precedenti esperienze europee, la circolazione promozionale, top-down, innesca e favorisce un discorso dal basso, bottom-up, non tanto legato a dinamiche di fandom – la serie non è ancora in onda, quando si sviluppa la gran parte delle attività, che poi non si ripeteranno – quanto soprattutto alle logiche (e illogiche) della viralità su internet. Non tutti i partecipanti vedranno The Young Pope, e la loro discorsività impura mescola aspetti contraddittori: la libertà di rovesciare le pubblicità senza però prescinderne, lo sberleffo spesso evidente ma pure la costruzione dell’interesse. Una serie “italiana” diventa trending, di moda, negli Stati Uniti, anche se in modalità parziali e inattese.
Dall’altro lato, parallelamente alla promozione diretta al pubblico e all’operosità di nicchie di spettatori, HBO scatena la sua forza anche nella publicity, nelle attività di ufficio stampa rivolte a leader di opinione e altri gatekeeper. Il risultato è, ancora una volta con alcuni giorni di anticipo rispetto alla messa in onda, una potente presentazione e rielaborazione critica della serie (Menarini 2017, Manzato e Mascio 2019, Lombardi 2021). Sulle principali testate cartacee e online statunitensi escono articoli, commenti e recensioni, occupando spazi rivolti a pubblici molto diversi e trasversali, dal The Washington Post (Stuever 2017) a TV Guide (Surette 2017), da Time (D’Addario 2017) a Vanity Fair (Lawson 2017) e a The Atlantic (Gilbert 2017). Talvolta lo sguardo è entusiasta, mentre in altri casi l’analisi è più equilibrata, mettendo al centro ora il lato artistico-estetico della serie, ora il suo carattere politico, e basandosi spesso fin dal titolo su coppie di termini contraddittori: «compelling, but strange» (Zoller Seitz 2017), «beautiful and ridicoulous» (Poniewozik 2017). Sull’aggregatore MetaCritic (https://www.metacritic.com/tv/the-young-pope) sono registrate trentotto recensioni, di cui ventuno classificate come positive, diciassette come miste e zero negative (il punteggio medio è 68), mentre i commenti del pubblico raccolti dallo stesso sito sono più sfumati, con qualche stroncatura: su tutti e due i versanti, quello degli opinion leader cartacei e digitali e quello delle parti di pubblico più attive e rumorose, la percezione è quella di un oggetto strano e inatteso, sorprendente nel bene ma anche nel male. E anche l’inevitabilmente connotata America. The Jesuit Review sottolinea l’ambivalenza di una serie con tema e spirito cattolici che può però infastidire molti tra gli spettatori che pure si professano tali (Ripatrazone 2017). La visione di The Young Pope da parte del pubblico statunitense, insomma, è preceduta da molteplici livelli di discorso, spesso impegnati nel doppio sforzo di sottolineare l’eccezionalità della fiction e insieme di ridurne o annullarne la differenza di origine produttiva. Vale la pena infine notare come spesso questa ricezione critica americana trovi ampie ricadute, in chiave sempre positiva, sulla stampa italiana, con un ulteriore rimbalzo del discorso critico – favorito e mediato dagli uffici stampa nazionali – che in fondo ribadisce i rapporti di forza consueti tra le due nazioni e che va a dare sostegno, con la prova migliore possibile (gli Stati Uniti), all’idea soprattutto italiana di una fiction finalmente esportata, e per questo speciale.
3 La messa in onda americana
Non è soltanto l’accurata pianificazione del lancio a differenziare la messa in onda statunitense di The Young Pope da quelle italiane ed europee, ma anche l’insieme di scelte e decisioni che ne hanno regolato la collocazione nel palinsesto di HBO, spesso seguendo le regole e consuetudini della programmazione televisiva americana e in alcuni casi invece infrangendole. Sul primo versante, la fiction viene trasmessa con un singolo episodio alla volta, facendo coincidere le dieci puntate con dieci differenti serate: se l’Italia e altri Paesi europei accorpano due episodi a sera (back-to-back), riducendo l’estensione nel tempo della stagione e dando vita a serate più lunghe e composite, gli Stati Uniti preferiscono un palinsesto variegato e modulare, con un maggior numero di titoli che si trascinano a lungo. Sul secondo versante, però, per la serie diretta da Sorrentino è decisa una modalità di trasmissione comunque eccezionale, con la proposta di due episodi a settimana invece di uno solo, a ricomprimere i tempi: una puntata occupa il prime time della domenica, il giorno classico in cui HBO (con molte altre reti cable) schiera le produzioni originali per evitare la concorrenza dei network in chiaro, e divenuta nel tempo collocazione distintiva, mentre una seconda puntata settimanale va in onda in uno slot meno forte, la serata del lunedì. Già da scelte simili, insomma, si capisce l’atteggiamento ambivalente del broadcaster americano, che mantiene sì il numero di serate previste ma compatta comunque le settimane occupate da questo titolo. Al quadro si aggiunge infine l’etichetta di limited series, usata nella promozione e poi costantemente ribadita: per il pubblico statunitense, The Young Pope è un evento limitato nel tempo, fatto di poche puntate e settimane e di una sola stagione, un momento irripetibile e raro. Se la “stranezza” del suo percorso produttivo, con le origini italiane ed europee, è nascosta il più possibile almeno al pubblico più ampio, la sua eccezionalità distributiva è invece ribadita con forza, nella speranza malcelata di creare un titolo “da non perdere”, not-to-be-missed, e un’esperienza televisiva originale, differente dalle altre.
La scommessa di HBO su The Young Pope funziona, ma solo fino a un certo punto. I risultati di ascolto della fiction, rilevati da Nielsen, consentono di andare oltre le retoriche promozionali usate dalla rete e dai produttori per avere un senso delle proporzioni, un’idea della popolarità effettivamente raggiunta. Da questo punto di vista, quello della serie nel mercato americano è un successo relativo.
Puntata | Giorno | Data | Spettatori (milioni) | Rating (18-49) |
---|---|---|---|---|
1 | Dom | 15 gen | 0,963 | 0,3 |
2 | Lun | 16 gen | 0,713 | 0,19 |
3 | Dom | 22 gen | 0,681 | 0,17 |
4 | Lun | 23 gen | 0,528 | 0,15 |
5 | Dom | 29 gen | 0,582 | 0,2 |
6 | Lun | 30 gen | 0,447 | 0,1 |
7 | Dom | 05 feb | 0,392 | 0,09 |
8 | Lun | 06 feb | 0,483 | 0,1 |
9 | Dom | 12 feb | 0,589 | 0,16 |
10 | Lun | 13 feb | 0,476 | 0,1 |
La combinazione delle molteplici e stratificate attività promozionali e della collocazione nella prima serata domenicale consente a The Young Pope di partire molto bene, considerate le caratteristiche del prodotto, raggiungendo quasi un milione di spettatori (963.000). Già la sera successiva, con la seconda puntata al lunedì, però, comincia un calo inesorabile (e forse inevitabile), con 713.000 spettatori. La serie poi si assesta progressivamente su una cifra intorno alla metà dell’audience iniziale, con 476.000 spettatori presenti davanti al decimo episodio, conclusivo, lunedì 13 febbraio.
Anche guardando al rating, la percentuale di pubblico della serie rispetto all’intera popolazione dotata di televisore, con particolare attenzione alla fascia demografica compresa tra i diciotto e i quarantanove anni (lo standard commerciale usato dalla tv americana), i risultati di The Young Pope non cambiano, passando dallo 0,3% dell’esordio allo 0,1% conclusivo, con il picco più basso raggiunto domenica 5 febbraio (0,09%).
Gli ascolti statunitensi testimoniano insomma una curiosità iniziale e poi una progressiva disaffezione, in parte però colmata dal recupero degli episodi attraverso le numerose repliche sul canale principale e sulle reti ancillari HBO e dalla disponibilità sulla piattaforma on demand collegata. Sommando visioni lineari e non lineari, stime fornite dall’emittente indicano in circa 4,7 milioni a episodio il pubblico raggiunto dalla serie con Jude Law (Adalian 2017). Al netto della poca solidità di dati come questi (auto-dichiarati, “cucinati” in chiave promozionale e frutto di elaborazioni talora spericolate), è senza dubbio da rilevare comunque un interesse del pubblico tutto sommato in linea con le attese di un operatore premium.
4 Le ragioni della distribuzione (e della produzione)
Il successo moderato di The Young Pope sulla tv americana si inserisce infatti all’interno di considerazioni di carattere più generale, tipiche di una rete – come HBO – che basa il suo business non solo sui dati di ascolto ma anche, e forse soprattutto, sulla soddisfazione degli abbonati e sulla costruzione di un brand molto solido, da tempo legato a un’idea di quality television soprattutto nelle sue serie originali (Edgerton e Jones 2008, Defino 2013, Lotz 2014). In questo quadro, da un lato, la serie d’importazione “italiana” (per quanto sui generis) è perfettamente in linea con i tratti autoriali, sperimentali ed eccezionali coltivati con cura dal canale; e dall’altro la solidità del marchio consente in certa misura alcune deviazioni e strade differenti e impreviste, con ampi margini di tolleranza. In questa luce si possono leggere le dichiarazioni entusiaste di Richard Plepler, chairman e chief executive officer di HBO, intervistato da un quotidiano italiano:
Scommettiamo sempre su chi punta su qualcosa di inaspettato: qui mi ha impressionato vedere quanto ci siamo riusciti […]. Ci facciamo sempre la stessa domanda prima di investire: questo programma eleverà il nostro brand? Non tutto può fare gli ascolti del Trono di spade, ma non è questo il punto. La regola è costruire ogni giorno il nostro nome (Maffioletti 2017).
The Young Pope, nel contesto americano, diventa allora un investimento sul marchio, sul brand e sulla sua tenuta nel tempo, ulteriore tassello di un percorso avviato con successo dalla fine degli anni Novanta. Ma non è soltanto questo. Attraverso altre ricostruzioni di stampa, basate su retroscena e dichiarazioni di dirigenti e addetti ai lavori, l’operazione assume un valore ulteriore. Non sarà stato un trionfo, ma il risultato americano della limited series è positivo, e più che soddisfacente, tenuto conto del ruolo effettivo di HBO nella produzione, più limitato di quanto sembrerebbe. Se la presenza della rete premium cable è stata costantemente ribadita, nel discorso promozionale statunitense come nelle ricadute italiane, si deve al valore del marchio, ma in realtà l’intervento è stato ben più defilato, quasi solo distributivo:
[HBO] è stato un co-produttore perlopiù silenzioso, contribuendo al co-finanziamento internazionale ma lasciando il peso creativo alla casa di produzione italiana Wildside. Eppure, nonostante le aspettative modeste – o forse proprio per quelle – si può dire tranquillamente che la prima stagione sia una vittoria di dimensioni sufficienti per la rete […]. Ha acquisito i diritti statunitensi della serie per una relativa miseria. HBO di solito spende milioni di dollari per episodio [… e] The Young Pope è costato meno di alcune delle sue comedy da mezz’ora più economiche […]. Dati gli ascolti e le recensioni, l’investimento ha ripagato la rete persino più del previsto (Adalian 2017).
Ancora una volta, insomma, il successo è relativo, nel senso proprio del termine: se commisurato agli investimenti, agli obiettivi, alle necessità industriali, The Young Pope negli Stati Uniti è stato davvero un successo. A costo ridotto, HBO ha potuto inserire in offerta un contenuto originale che si è aggiunto alle sue produzioni vere e proprie, ha dimostrato coraggio e rafforzato il marchio, ha ottenuto hype e attenzioni, e ha trovato comunque una quantità di pubblico sufficiente. E questa situazione win-win è confermata anche da Mario Gianani, co-produttore con Lorenzo Mieli per la società italiana Wildside:
C’è un talento europeo riconosciuto, dalla visibilità internazionale, che vuole fare un prodotto ambizioso, in inglese, e lo fa dall’Europa. In campo televisivo. Un’idea italiana ma globale, riconoscibile all’estero, con un punto di vista straniero. La sfida è stata provare, in un momento favorevole, a coinvolgere sia le star, che interessano alla distribuzione finale americana per creare appetibilità, sia altri partner produttivi. La serie è fatta all’europea, molto più orientata all’autore che al prodotto industriale, prima ancora di coinvolgere i partner, in modo che non potessero mettere bocca. Per la prima volta HBO si è trovata qualcosa che altri avevano lavorato in modo sufficiente da renderlo pronto alla messa in onda: poteva solo dire “lo faccio o non lo faccio”, non poteva più farlo suo. Poteva essere un fallimento. La loro giustificazione industriale era che un prodotto trasformato in Europa costava molto meno… (Noto 2019).
Da un lato, il produttore italiano ottiene sia le risorse per una serie high-budget e dalle elevate ambizioni sia una “patente di qualità” che lo accredita sul mercato globale; dall’altro, il broadcaster statunitense ottiene un contenuto in linea con le sue produzioni ma a costi ridotti, un “pacchetto pronto” in cui il controllo creativo e il traino gestionale sono europei e gli Stati Uniti sono partner non prevalenti. Se gli stessi risultati fossero stati ottenuti da un originale HBO “vero”, sarebbe stato un insuccesso, un flop; in questo caso gli americani non hanno direttamente le redini e allora The Young Pope non solo è un successo di medie dimensioni, ma anche un prototipo che porta ad andare avanti su strade simili, per quanto difficili: vale per HBO, che con il servizio pubblico italiano Rai (e la stessa società di produzione) ha sviluppato un progetto simile con My Brilliant Friend/L’amica geniale (2018-); e vale per altre case di produzione italiane come Lux Vide – I Medici (2016-2019), con Netflix – o Palomar – Il nome della rosa (2019). Nella cosiddetta peak television, con numerosi player e grandi gruppi che giocano su scala internazionale, gli Stati Uniti sfruttano il desiderio dell’industria europea di collaborare con loro, e in cambio offrono ai titoli di produzione locale, per esempio italiana o europea, di accedere al loro difficile e ampio pubblico.
5 Un’eccezione che torna a ripetersi
Con The Young Pope si imposta un modello, poco estensibile forse ma certo efficace: nella produzione a trazione italiana, nella distribuzione presso il pubblico statunitense, nella promozione che smussa gli spigoli. E il modello si ripete a distanza di quattro anni, nel 2020, con il sequel/spin-off The New Pope. Alcune avvisaglie, in realtà, erano presenti già prima del lancio della prima limited series, quando in occasione dell’ospitata di Jude Law al The Late Show with Stephen Colbert per promuovere la serie, l’11 gennaio 2017, è mandato in onda un servizio video ironico che ipotizza future stagioni altrettanto originali:
You’ve seen ads for Hbo’s The Young Pope… but now get ready for an even more provocative drama, with HBO’s Extremely Young Pope. [scena di un teenager vestito da Papa, con smartphone in mano e cappellino con visiera]. Not impressed? What if I told you a Pope could be even younger, with HBO’s Baby Pope? [scena di un bebé e di un cardinale che gioca con lui]. And if you liked that, what about HBO’s Conceiving the Pope? [scena di sesso, introdotta da un “Let’s make a Pope!”]. And go behind the scenes of the future of the Pope series, with HBO’s The Making of the Next Pope. [discussione negli uffici della rete, nella quale tutti i dirigenti rifiutano la proposta del collega afrodiscendente di fare un Black Pope]. Coming this summer, the HBO’s Popey! The Puppy Pope! [scena conclusiva con un cagnolino vestito da Papa].
Da un lato, questo video testimonia ancora una volta lo sforzo promozionale molto ampio fatto da HBO per il lancio della serie e le sue ricadute discorsive. Dall’altro, è un gioco riuscito con l’identità della rete e con le caratteristiche frequenti delle sue produzioni originali, dallo sfruttamento intensivo delle property di successo al proliferare dei dietro-le-quinte, dalla ricerca dello scandalo all’approccio progressista che però si ferma davanti alle demographics degli abbonati, e qui la fiction “italiana” è solamente impiegata come pretesto. Al tempo stesso, però, è paradossale che la vicenda successiva di questo franchise abbia, più o meno consapevolmente, percorso passi simili, trasformando la parodia in realtà.
Già l’annuncio dell’intenzione di scrivere e produrre una nuova stagione conferma l’etichetta di limited series, presentandola come un reboot con altri personaggi, una miniserie diversa fin dal suo titolo, The New Pope. E a distanza di circa tre anni, poi, è necessario ripartire (quasi) da zero anche con la promozione e la costruzione dell’hype: si susseguono così numerosi annunci cadenzati, con l’indiscrezione sul nuovo protagonista John Malcovich (gennaio 2018), le conferme ufficiali (luglio 2018), la prima foto nei panni del Papa (gennaio 2019), altri scatti di scena nei mesi successivi. È interessante notare come il rinnovato ciclo promozionale sia concentrato prevalentemente, se non esclusivamente, sugli Stati Uniti, destinatari primi di tutta la comunicazione, e che poi di lì le notizie siano riprese altrove, Italia compresa. E anche come si cerchi di recuperare l’attenzione alzando la posta, ricorrendo allo shock o all’inatteso: ne sono prova le foto di Jude Law in un bianco costume da bagno (aprile 2019), pubblicate su Cosmopolitan e TMZ, o gli annunci della presenza come guest star di Sharon Stone e Marylin Manson (maggio 2019). Ancora una volta, la serie esordisce alla settantaseiesima Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, il 1 settembre, ma sono proiettati due episodi scelti, il secondo e il settimo, invece dell’ordine previsto, per evidenziare i punti di forza (ma rivelando anche una certa inconsistenza narrativa). Teaser, trailer e promo si susseguono in autunno, per arrivare a una partenza stavolta più sincronizzata, ma che vede comunque gli Stati Uniti all’ultimo posto: il 10 gennaio 2020 va in onda su Sky Atlantic in Italia; tre giorni dopo, il 13 gennaio, su HBO, stavolta sempre nello slot laterale del lunedì sera. C’è meno attenzione, gli ascolti partono già dimezzati (210.000 per il primo episodio), ma restano poi piuttosto stabili (296.000 spettatori per l’ultimo, il 9 marzo, e una media di 235.000). Nonostante gli sforzi, in particolare americani, l’eccezionalità della prima occorrenza non si ripete più di tanto.
6 Conclusioni
L’analisi approfondita della distribuzione statunitense di The Young Pope, e poi – più rapidamente – di quella di The New Pope, mette in luce con evidenza le molte specificità nella circolazione di contenuti audiovisivi globali all’interno di specifici contesti nazionali, e quanto un approccio simile sia utile non solo per comprendere meglio il flusso consueto dei prodotti, dagli Stati Uniti ad altri Paesi come l’Italia, ma anche le sempre più frequenti inversioni nella direzione di questo flusso, che portano alcune serie televisive di produzione italiana a raggiungere l’industria mediale e il pubblico statunitensi. Al di là dell’esempio, innegabilmente eccezionale, emergono alcuni tratti distintivi, potenzialmente riscontrabili altrove: la necessità di concentrare l’attenzione sui leader di opinione che agiscono da gatekeeper sui loro contesti nazionali, tra ricezione critica e attività social; la progressiva anticipazione del discorso pubblico rispetto alla messa in onda, più finalizzato a costruire un hype che a fare da contraltare duraturo ai vari episodi di un prodotto seriale; la potenza di fuoco di un marchio forte, e il rimbalzo del brand statunitense anche per validare le scelte compiute dalla produzione italiana ed europea; la confusione retorica e discorsiva tra compiti produttivi e solo distributivi, parallela a una chiara distinzione industriale dei ruoli che rende possibili progetti dai budget articolati ma con un preciso controllo creativo ed editoriale; l’importanza di valutare i risultati anche a partire dagli investimenti effettuati e dai costi sostenuti; il lento stabilirsi di iter produttivi “speciali”, ma anche la perdurante difficoltà nel trasformare l’eccezione in un modello che possa funzionare come regola.
Nel percorso americano di The Young Pope, inoltre, emerge un attrito costante tra due poli, da una parte l’Italia – e più in generale l’Europa – e dall’altra gli Stati Uniti, modello e riferimento costante. Sul piano produttivo, la presenza italiana (cui si aggiungono i partner europei di Sky e Canal+) ha un indubbio impatto sia sul versante creativo sia su quello economico, contribuendo a sviluppare e portare avanti l’idea, a definirla in ogni aspetto, a posizionarla nell’articolato panorama della serialità contemporanea, mentre il contributo statunitense dona solidità maggiore al progetto senza però intaccarne i presupposti. Sul piano distributivo nel contesto americano e in chiave promozionale globale, invece, l’equilibrio si ribalta e il made in Italy finisce per sparire quasi del tutto: al di là dell’Oceano, la fiction perde molte delle sue connotazioni “italiane”, limitate ai soli aspetti essenziali – come il regista, già però validato dalla vittoria agli Academy Awards, o la location, una Città del Vaticano dai tratti comunque piuttosto universali – e così rinegoziando il suo statuto di co-produzione secondo logiche proprie soprattutto del contesto di destinazione.
Se anche The Young Pope è ampiamente promosso da noi come “successo italiano all’estero”, è proprio la sua componente di italianità quella che finisce per scolorire negli altri mercati, privilegiando gli aspetti estetici, narrativi e testuali (ovviamente ben noti anche a livello produttivo) di stampo più globale, dalla lingua inglese alle grandi celebrità coinvolte come protagonisti, comprimari o guest star. La recente, ampia circolazione di film e fiction italiane nel mondo, così come la ripartenza di una produzione televisiva italiana già pensata pure per i mercati stranieri sono importanti traiettorie del sistema mediale nazionale contemporaneo, ma è meglio non correre il rischio di sopravvalutare la portata di questo impatto. Definirne con precisione i contorni può aiutare invece a comprendere meglio, nei casi che restano eccezionali, come nelle prime avvisaglie di un nuovo modello, cosa si limita a viaggiare e cosa invece funziona bene altrove; quali tattiche e strategie consentono di ampliare nel tempo e nello spazio il ciclo di vita dei contenuti e quali invece rischiano di penalizzarne la portata; quali fattori editoriali e industriali si incrociano e si rafforzano. La circolazione globale ha infatti dei costi – che spesso ricadono sui produttori e broadcaster dei Paesi meno centrali – e ha un prezzo – nei termini di una rappresentazione ora stereotipata ora ammorbidita delle culture nazionali –, anche quando le entusiastiche retoriche discorsive e promozionali tendono a farlo dimenticare.
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