1 Introduzione
Nei principali aeroporti dell’Australia – a Sidney, Melbourne e Brisbane –, le telecamere si soffermano sui passeggeri appena sbarcati e sui controlli di frontiera fatti loro da ufficiali e addetti del Department of Internal Affairs, dell’Australian Border Force e dell’Australian Quarantine and Inspection Service, incaricati di far rispettare le leggi locali sull’immigrazione, sul trasporto di oggetti o sostanze illegali, sulla protezione della salute pubblica e del fragile ecosistema australiano. Border Security: Australia’s Front Line è un programma tv realizzato per il canale Seven Network; è un factual in onda dal 2004, che ha accumulato una quindicina di stagioni e oltre 200 episodi (da 30 minuti ciascuno); ha dato origine sia a imitazioni ricalcate su un modello simile, sia a versioni differenti del format ufficiale; e ha circolato ampiamente sulle reti televisive di tutto il mondo, approdando anche in Italia con il titolo cambiato in Airport Security. In ogni episodio si intrecciano le storie di più persone, tra casi di grave illegalità e più piccole confusioni, tentativi complessi e sfacciati, criminalità conclamata e sporadica buona fede. La produzione può accedere alle stanze in cui sono condotti gli interrogatori, riprende le ispezioni manuali dei bagagli, riporta i test chimici su possibili sostanze illegali, con modalità fly-on-the-wall; in un contesto tanto particolare, gli ufficiali possono intervenire e chiedere modifiche a quanto va in onda, per ragioni di sicurezza, mentre i passeggeri ispezionati devono concedere al programma la licenza per usare le loro immagini. Accanto alle classiche situazioni aeroportuali, in alcuni episodi si affiancano storie legate ai porti, ai grandi centri di smistamento postale, a luoghi di lavoro sospettati di assumere illegalmente immigrati o persone con il solo visto turistico e alle navi operanti nella frontiera marina a nord del Paese.
Pur inserendosi nel solco di una programmazione televisiva corrente, di tutti i giorni, in qualche modo minore, quale il factual di importazione trasmesso come ready-made su canali tematici, con un pubblico tutto sommato contenuto, Airport Security è però un caso di studio estremamente interessante, rivelatore di molteplici tendenze dello scenario televisivo e mediale contemporaneo, italiano e non solo. In primo luogo, mette al centro del suo racconto temi cruciali nella vita politica e socio-culturale di molti Paesi occidentali, come le frontiere e le migrazioni, pur trasfigurandoli nella forma più schematica, rigida e controllata del sistema australiano. Secondo le Nazioni Unite, circa il 3,5% della popolazione mondiale è composto di migranti, in aumento ininterrotto dal 1980; in Europa, circa l’11% della popolazione è migrante, con un incremento del 2% circa ogni dieci anni dal 1980 (Sparks 2007: 186; UN 2019). Si tratta di dati significativi, che compensano parzialmente il rallentamento della crescita demografica nei Paesi occidentali, e a questi si è accompagnato (e si accompagna) un’attenzione al fenomeno crescente e non priva di enfasi da parte sia dei media sia del sistema politico. All’interno di tale scenario, in costante evoluzione e al centro del dibattito pubblico, anche la tv contribuisce a influenzare la percezione e a costruire la realtà sociale; e un programma “innocuo” come Border Security importato dall’Australia può diventare un piccolo tassello di un più ampio e articolato discorso, vista la centralità che il programma dona al tema delle migrazioni e al ruolo che i confini fisici e politici giocano nella definizione dialettica, nel controllo e nel mantenimento delle identità culturali. A livello globale come nel contesto nazionale, la televisione, sia generalista (o aspirante tale) sia tematica, raccoglie e costruisce ampie comunità di spettatori e mantiene centralità e forza nel definire l’immaginario condiviso (Grasso e Scaglioni 2010; Freedman 2015; Buonanno 2016; Scaglioni e Sfardini 2017).
Un secondo forte motivo di interesse per un programma come Airport Security è la sua appartenenza a un genere televisivo, il cosiddetto factual entertainment, caratterizzato da una presenza recente in molte nazioni, compresa l’Italia, a partire da modelli sviluppatisi soprattutto in un contesto anglosassone: il Regno Unito, gli Stati Uniti e appunto l’Australia. Sono prodotti ibridi, che mescolano i linguaggi del documentario e del reality per rappresentare la realtà, il mondo, la gente comune nelle sue attività quotidiane, seguendone riti e trasformazioni (Palmer 2006; Murray e Ouellette 2008; Hill 2007; 2015; 2018); hanno formati brevi e costi di produzione medio-bassi, casi che cambiano a ogni puntata e talvolta narrazioni con personaggi ricorrenti, meccanismi che si ripetono; e danno vita a un racconto unscripted, senza sceneggiatura, tramite un casting attento e un montaggio accurato. Molta dell’attenzione critica e scientifica si è concentrata sulla porzione di factual rivolta a un pubblico soprattutto femminile (Cardini 2013; Innocenti e Perrotta 2013; Penati e Sfardini 2015), mentre Airport Security, insieme a numerosi programmi analoghi, ha un target prevalentemente maschile, o comunque più equilibrato, e mette quindi in scena strategie di rappresentazione e storytelling peculiari.
Infine, una terza ragione di attenzione è legata all’importante percorso di circolazione che porta Border Security: Australia’s Front Line a diventare, nel contesto italiano, Airport Security. Da una parte, si inserisce perfettamente all’interno di dinamiche contemporanee di diffusione dei contenuti televisivi ready-made tramite grandi mercati audiovisivi internazionali (Havens 2006; Bielby e Harrington 2008). Dall’altra, assume un valore differente nei diversi contesti di destinazione, seguendo storie distributive specifiche e inserendosi all’interno di processi di “mediazione nazionale” (Barra 2009; 2012; 2013) che ne cambiano almeno in parte non soltanto il testo – per esempio, con il doppiaggio – ma anche il valore complessivo – grazie a decisioni sull’acquisizione, sull’impiego del contenuto, sull’impacchettamento, sulla messa in palinsesto, sulla promozione e marketing, prese più o meno consapevolmente dagli addetti ai lavori. Airport Security è allora (anche) il risultato di una storia distributiva complessa, di scelte che finiscono per influenzarne l’incontro con il pubblico italiano e, in definitiva, il successo nel contesto di destinazione.
In questo quadro, Airport Security è un programma televisivo che presenta una frontiera “al quadrato”: quella australiana al centro del suo racconto e delle sue puntate, e quella italiana che il prodotto ready-made ha attraversato per inserirsi, modificato, nei palinsesti locali. Questo saggio si inserisce in questa frizione e cerca di sfruttarla, in modo da comprendere meglio le strategie di circolazione e i modelli di ricezione del programma nel contesto italiano, in relazione a un’alterità via via ridotta e addomesticata. Nella prima parte, si ricostruisce la storia distributiva di Border Security: Australia’s Front Line e degli altri programmi a esso affini che compongono il franchise italiano chiamato Airport Security. Nella seconda parte, si seguiranno invece le dinamiche discorsive che hanno riguardato il programma (e i suoi emuli) nel contesto globale e nella ricezione critica italiana, individuandone i principali nuclei tematici. Per riuscirci, si è fatto ricorso da una parte a una ricognizione ampia delle fonti sia giornalistiche e critiche sia accademiche che hanno affrontato questo factual; e dall’altra ai metodi di stampo etnografico dei media production studies, attenti alle culture produttive, alle logiche, alle tattiche e strategie, agli obiettivi, alle gerarchie, alle precomprensioni sul pubblico e ai pregiudizi dei professionisti (Caldwell 2008; Barra, Bonini, Splendore 2016; Barra 2019), con alcune interviste in profondità agli addetti ai lavori coinvolti nei processi di italianizzazione di Airport Security, con la consultazione e analisi a partire da alcune basi di dati aziendali (sui palinsesti, sugli ascolti) e con la ricognizione dei discorsi promozionali e di marketing adottati per il programma (promo, comunicati stampa). La distribuzione e la ricezione in un contesto nazionale differente quale quello italiano diventano “specchi deformanti”, capaci di attribuire una posizione, un senso e una rilevanza differenti al programma di origine.
2 Un successo ad alta ripetibilità. La storia distributiva italiana
Dmax è un canale gratuito, in chiaro, del gruppo Discovery Networks Italia. Lanciato nel novembre 2011, è da subito rivolto a un pubblico prevalentemente giovane e maschile, per differenziarsi dall’altra offerta free della stessa azienda sul multichannel del digitale terrestre italiano, Real Time, più femminile. La programmazione della rete alterna alcune produzioni originali e un gran numero di importazioni ready-made, in gran parte legate ai generi del factual, del reality e del documentario declinati al maschile. Tra questi, presto compare Border Security: Australia’s Front Line, rinominato Airport Security (o Airport Security: Australia), con la scelta curiosa di tenere dei termini inglesi, a sottolinearne l’origine straniera e la modernità di temi e linguaggio, però scegliendo una parola differente, Airport, di più immediata comprensione per il pubblico italiano, e un titolo complessivo più breve. Il programma era disponibile sul mercato, ed è acquisito a livello europeo in seguito a una richiesta proveniente da chi, in Italia, si stava occupando di modellare il nuovo canale (lo stesso marchio Dmax, già presente da qualche anno nel Regno Unito, sarà in seguito lanciato anche in Spagna e nei mercati asiatico, arabo e turco):
è stato un acquisto effettuato dal team centrale di Londra e voluto appositamente dal team del canale italiano. Allora il gruppo aveva solo due canali in chiaro, Real Time e Dmax, e il secondo acquisiva il miglior contenuto factual maschile sul mercato. Border Security sembrò subito una buona occasione, per il suo storytelling incalzante, modulare e ripetitivo, e perché già c’era un’alta mole di episodi disponibili.1
Tra i fattori che incidono sulla decisione di acquisto del programma, quindi, ci sono sia la sua coerenza con l’identità e il target di un canale ancora in fieri, sia la costruzione del racconto, sia ancora la presenza di uno schema fisso, immediatamente decodificabile e impiegabile a lungo in palinsesto. La flessibilità di Airport Security ne consente una presenza molteplice sul canale, in differenti fasce orarie: dal 2013 gli episodi in prima visione sono in onda nel tardo pomeriggio, con repliche in fascia notturna e nel corso della mattinata; nel 2017 le puntate inedite della nona stagione raggiungono il prime time della domenica, con quattro episodi di seguito; nel 2018 si aggiunge una fascia nel primo pomeriggio, intorno alle 14; nel 2019, l’emissione si orienta su orari quasi solo preserali e serali.2 La natura del programma consente sia un grande numero di repliche di ogni episodio, sia il passaggio senza soluzione di continuità tra stagioni differenti, con salti repentini dalle ultime stagioni alle prime, e tra prodotti simili. Airport Security diventa un pilastro di Dmax: “è stata una scelta molto azzeccata, grazie al bilanciamento tra il pubblico maschile e femminile, maggiore di altri nostri titoli, diventando nel tempo un piccolo cult, una sicurezza”.3 E si costruisce con attenzione un asset capace di raggiungere le posizioni più importanti del palinsesto.
Negli anni, il gruppo Discovery espande la sua presenza italiana, lanciando e acquisendo nuovi canali sia gratuiti sia a pagamento, consolidandosi come un player importante dello scenario televisivo e mediale. Un momento cruciale, da questo punto di vista, è l’acquisizione dal Gruppo Editoriale l’Espresso della rete Deejay Tv, nono canale nazionale per posizione sul telecomando, nel gennaio 2015; già a settembre dello stesso anno al nome originale si affianca la scritta Nove, via via più in evidenza; e da ottobre 2016 la rete cambia ufficialmente marchio e diventa Nove, con ambizioni da piccola generalista. Tra i titoli che fin dai primi mesi sono presi dalle altre reti del gruppo e impiegati per costruire l’identità del nuovo canale, ancora in transizione, compare Airport Security: “siccome era uno dei più bilanciati tra i titoli del nostro portfolio, con un pubblico eterogeneo in termini di genere e di età, poteva essere utile per un nuovo canale che voleva rivolgersi a tutti”.4 Il factual australiano è un titolo “largo” e versatile: pur anticipato di poco da altri titoli dello stesso franchise, Border Security: Australia’s Front Line arriva su Nove già dal 1 dicembre 2015. Tra i punti di forza, c’è il fatto di funzionare in vari momenti della giornata:
lo abbiamo sperimentato in ogni fascia del palinsesto, inizialmente, anche in virtù del fatto che erano disponibili molti episodi, un monte ore importante. In fase di partenza, è stato un apporto preziosissimo, era persino diventato un tormentone di Nicola Savino a Deejay chiama Italia, ne parlava sempre.5
Airport Security non solo ha un’elevata presenza sul nuovo canale, ma diventa il perno per una strategia comunicativa “ingenua” in un momento in cui la radio e la rete tv sono ancora collegate dal marchio. Se nel 2015, il factual è trasmesso soprattutto nel tardo pomeriggio, nel 2016 approda alla fascia preserale e all’access prime time, cruciali momenti di passaggio alla prima serata, cui si aggiungono poi il mattino, il mezzogiorno, il tardo pomeriggio e il preserale, procedendo consapevolmente per prova ed errore, con vari tentativi alla ricerca di quegli slot che potevano funzionare meglio in termini di ascolti:
in realtà non è che questi programmi funzionassero in tutte le fasce orarie, per cui appena trovavo una coincidenza per cui il pubblico voleva che lo toccassi lì, ok allora ti tocco lì. Lo vuoi a quell’ora, te lo lascio lì. La quantità di episodi simile a quella dei Simpson ha aiutato molto.6
Nel 2017, Airport Security comincia a occupare stabilmente uno slot a metà del pomeriggio, con due o quattro episodi consecutivi, allargandosi l’anno dopo al tardo pomeriggio e a qualche messa in onda notturna. Dopo la stabilizzazione, inizia un periodo di progressiva scomparsa dai palinsesti di Nove: dall’estate 2019 il programma va solo in terza serata e a notte fonda, in parallelo a un cambio di linea editoriale che ha reso il pomeriggio più attento al crime, con meno spazio per titoli più leggeri. Ma il tentativo di esplorare altre fasce orarie per non perdere quello che è intanto diventato un asset di canale prosegue: “mi spiace averlo tolto, sto cercando di trovare altri punti in cui collocarlo, come la seconda serata, e in bassa stagione ci proveremo di nuovo. È un prodotto che va molto bene”.7
Se su Dmax il programma non ha praticamente soluzione di continuità, su Nove attraversa più fasi, con maggiore o minore visibilità. All’inizio, è stato un elemento importante per dare forza alla rete in fase di costruzione: “in un canale ancora indistinto, in cerca di un’identità più chiara, Border Security era uno dei pochi titoli che aveva la forza di far fermare qualcuno che stava scanalando”,8 attirando e mantenendo l’attenzione dello spettatore italiano. In generale, il titolo dimostra “solidità e costanza negli ascolti”,9 senza subire particolare usura. Si sono addirittura diffuse alcune mitologie, legate al successo garantito da alcune puntate del prodotto, testimonianza sia della rilevanza di questo titolo nelle culture professionali dell’azienda sia della possibilità di dare vita a circoli virtuosi, a profezie che si auto-avverano: “c’è una leggenda su un gruppo di episodi che inspiegabilmente funziona meglio, dieci puntate della sesta stagione che sono una killer application. All’epoca li abbiamo usati molto, ci abbiamo creduto”.10 Nelle scelte di collocazione di un singolo programma come Airport Security come nella più ampia composizione generale di un intero palinsesto, sono quindi contemporaneamente all’opera varie logiche, sia di tipo editoriale (il formato del prodotto), sia di tipo commerciale (i dati di ascolto, la ripetibilità), sia ancora di origine professionale, legate a best practices e convinzioni degli addetti ai lavori (Barra 2015).
In Italia, però, Airport Security non è soltanto Border Security: Australia’s Front Line, per quanto sia questo il titolo che per primo è stato acquisito da Discovery e programmato su Dmax. Sotto lo stesso marchio, infatti, in una sorta di franchise “inventato” per il pubblico italiano, si sono infatti raccolte anche altre versioni dello stesso programma, adattamenti del format e prodotti distinti ma comunque ispirati a quel modello. Siccome “più che di un formato vero e proprio, si tratta di uno spunto”,11 talvolta ripreso in forme anche piuttosto libere, si decide di estendere il marchio già presente anche agli altri titoli via via acquisiti, per dare un’impressione di collegamento, o almeno di familiarità: la denominazione comune, con l’aggiunta della sola specificazione del diverso Paese, “serve a rendere più fluido il passaggio da una location all’altra mantenendo l’unità del concept, tenendo un marchio-ombrello, qualcosa che risulti subito familiare per il pubblico italiano”.12 Programmi diversi, con storie produttive e distributive in origine anche molto differenti, si sono così ritrovati insieme, indistinti o quasi, nel contesto di destinazione. Per un genere ritenuto minore come il factual, l’unità testuale o la fedeltà rispetto al prodotto di partenza sono infatti molto meno importanti del brand che li raccoglie, catalizzando attenzione e curiosità che trascendono il singolo testo: “l’esigenza è stata di creare quanta più eco, somiglianza e quantità possibile per un brand che già funzionava molto bene”.13 Una certa confusione all’origine diventa sostanziale uniformità nella distribuzione (e nella ricezione) italiana, senza troppa attenzione alle differenze.
Dopo Border Security: Australia’s Front Line, arrivano quindi altri titoli. Il primo è Border Security: Canada’s Front Line, tradotto come Airport Security: Canada, realizzato per il National Geographic canadese per tre stagioni e 65 episodi complessivi, in onda dal 2012 al 2014, e poi bloccato per ragioni legate alla privacy delle persone coinvolte; in Italia, approda su Dmax in prima visione dal 19 ottobre 2013, nel prime time del sabato, con due episodi a settimana, e va in onda su Nove, nella fase in cui era ancora Deejay Tv, persino prima della serie “madre”, nei primi mesi del 2015. Segue Border Patrol, programma distinto ma affine prodotto dalla neozelandese TVNZ1 e in onda dal 2004, per più di undici stagioni e centinaia di episodi; intitolato Airport Security: Nuova Zelanda, è trasmesso da Dmax dall’11 maggio 2015, inizialmente nel tardo pomeriggio; anche questa declinazione del franchise arriva su Nove prima dell’Airport Security originale, in onda dal 23 settembre 2015. Quarto prodotto a finire sotto il termine-ombrello italiano è Border Security: America’s Front Line, anche chiamato Homeland Security USA, in onda sul network Abc per una sola stagione, nel 2009, con 28 episodi, fermatasi a causa del poco successo statunitense; ciò non ne ha bloccato però l’approdo italiano, integrale e abbondantemente ripetuto, col titolo di Airport Security: USA; stavolta la prima visione è stata appannaggio di Nove, dal 2 gennaio 2017, e a distanza di pochi mesi la serie è approdata anche su Dmax, in prima serata e con quattro episodi per volta, dal 20 agosto. Si aggiunge quindi anche Control de Fronteras: España, produzione originale della Dmax spagnola, interna al gruppo Discovery, in onda dal 2016 con 115 episodi in sei stagioni; chiamato per analogia Airport Security: Spagna, in Italia è trasmesso prima da Dmax, nel prime time della domenica, quattro episodi alla volta dal 29 gennaio 2017, e poi a breve distanza nel pomeriggio di Nove, a partire dal 27 febbraio dello stesso anno. L’adozione del marchio è messa in dubbio solo nel caso di una versione multi-local di quest’ultimo format, Control de Fronteras: Europe, prodotta congiuntamente dai canali maschili europei del gruppo Discovery, compresi gli italiani, e per una parte del racconto ambientata nell’aeroporto romano di Fiumicino: in questo caso, si ragiona internamente sul modo migliore di valorizzare il prodotto, da un lato sfruttando l’onda del marchio già noto ma dall’altro sottolineandone con forza l’eccezionalità. Infine, la strategia del “franchise italiano” ha trovato un punto di arresto in un’occasione, con la messa in onda, dal 7 aprile 2015 su Dmax, della seconda stagione del britannico Animal Airport (2012-13, tredici episodi), intitolato Airport Security: Animali ma rigettato immediatamente dagli spettatori del canale:
avevamo provato a metterlo dentro la stessa etichetta, cercando di venderlo come una parte del brand, ma era tutt’altro, e il pubblico se n’è subito accorto. Non c’entrava niente, non aveva lo stesso spirito di tutti gli altri: era dedicato ai modi in cui trasportare gli animali, non al loro nasconderli in valigia!14
Sia la serie “originale” sia tutta l’operazione nel complesso incontrano il favore del pubblico italiano e soddisfano le esigenze di reti come Dmax e Nove, gratuite e basate sulla raccolta pubblicitaria. I dati di ascolto complessivi sono piuttosto buoni.15 Nel 2017 su Nove vanno in onda 887 episodi del franchise, nelle varie declinazioni, con una media di 136.478 spettatori e share dell’1,28%; nel 2018, gli episodi sono 763, con 128.852 spettatori medi (e l’1,19% di share); nel 2019, a fronte di una riduzione drastica del numero di puntate (451), l’ascolto tiene 119.936 spettatori medi e l’1,33% di share. Negli stessi anni, Dmax ottiene risultati sostanzialmente analoghi: 130.949 spettatori medi (1,01% di share) nel 2017, 103.928 spettatori medi (0,76% di share) nel 2018, 119.817 spettatori medi (0,64% di share) nel 2019. Si tratta di dati che cambiano ovviamente in base alle fasce orarie, ai giorni e alle stagioni di messa in onda, alla trasmissione di episodi nuovi o in replica, alle preferenze degli spettatori per le varie declinazioni del marchio, ma risultano sempre in linea, se non superiori, alle medie delle reti che li ospitano, con una stabilità nei risultati considerevole nonostante lunga durata e sfruttamento intensivo. Una simile fortuna è evidente poi dal profilo di ascolto del pubblico italiano. Nel 2019, su Nove (con share dell’1,33%), la scomposizione del dato nelle sue componenti mette in evidenza una leggera preferenza maschile (1,5%) sul pubblico femminile (1,2%), l’attenzione sopra la media del pubblico giovane e adulto, tra i 15 e 54 anni, maschile e femminile, con picco sui maschi dai 35 ai 54 anni (2,1%), la prevalenza delle regioni del Nord (1,5%) rispetto a Centro e Sud, il livello di istruzione medio-alto del pubblico, con l’1,6% di licenza media e superiore e l’1,4% di laureati. Nello stesso anno, su Dmax (con share dello 0,64%), si registrano un’analoga prevalenza del pubblico maschile (0,9%), delle regioni del Nord (0,7%) e il picco sui maschi dai 35 ai 54 anni (1,4%), cui si aggiunge una platea più giovane, tra i 4 e i 14 anni (0,8%).
Questi risultati sono anche il frutto di un’accurata gestione della complessità, legata sia alla quantità di episodi disponibili e alla frequente ripetizione, sia alla varietà e molteplicità interna dei contenuti che in Italia sono finiti sotto l’ombrello di Airport Security. Dal punto di vista dell’edizione italiana, si segnala l’adozione di tecniche di simil-sync (Franco, Matamala e Orero 2010; Barra e Scaglioni 2013), intermedie tra il doppiaggio e il voice-over, con una banda sonora originale che resta in sottofondo e quasi scompare e più voci che si alternano nel riprodurre tempi e ritmi dell’originale. Questa modalità, che si affina nel tempo, aiuta lo spettatore italiano a fare meno fatica (se confrontata alla lettura del sottotitolo italiano) per un contenuto a cui spesso si dà poco valore, dalla fruizione casuale. Anche la localizzazione si è fatta via via più curata, in parallelo al successo del prodotto:
c’è stata un’evoluzione: le primissime stagioni erano doppiate in modo abbastanza basico, mentre poi abbiamo apportato alcune innovazioni, adattando per esempio le grafiche e le piccole informazioni visive. Inizialmente queste si vedevano in inglese e in spagnolo, poi le abbiamo sistemate.16
Sul versante della promozione e del marketing, invece, il programma si è imposto solo attraverso il suo brand e la ripetizione, basandosi su una limitatissima comunicazione specifica:
siccome il programma non è stato quasi mai programmato in prima serata, e i budget promozionali non sono particolarmente alti, non è stato fatto un investimento specifico su Airport Security. Al massimo abbiamo annunciato la presenza di titoli fresh che si affiancavano alle repliche.17
Più raffinate sono le strategie di collocazione in palinsesto, con la necessità di coordinare la messa in onda su più canali. Airport Security consente un utilizzo del programma “sempre e ovunque”,18 ha una disponibilità – e un impiego – trasversale, che non risente più di tanto delle differenze tra una versione e l’altra, tra prime visioni e repliche, tra slot differenti. È possibile un’elevata quantità di ripetizioni, con episodi andati in onda fino a quindici volte. L’unica accortezza è di rallentare o sospendere, in alcuni periodi, il contenuto, in modo da tenerlo più “fresco”:
il limite al numero di repliche che puoi fare te lo dà il dato di ascolto. Quando sta declinando un po’, allora ci fermiamo e mettiamo un sostituto, che di solito performa meno. Poi arriva l’estate e rientriamo, gli episodi sono freschi e riposati, dopo tre o sei mesi, e funzionano di nuovo benissimo.19
La ripetibilità è forte anche nella verticalità del palinsesto, con il frequente inserimento di molti episodi consecutivi nello stesso blocco: è “un prodotto da maratona”,20 spesso in onda con quattro puntate nei giorni feriali, e che può arrivare a sei o a otto di fila nel weekend. Spesso si miscelano episodi nuovi e repliche di stagioni precedenti, creando effetti di traino. Sul lato delle acquisizioni, Control de Fronteras è in capo a Dmax, trattandosi di produzione interna; i costi delle versioni reperite sui mercati globali, e oggetto di contrattazione specifica, sono invece inserite nel budget di Nove. L’allocazione della spesa è uno dei criteri che stabilisce la priorità di messa in onda tra le reti, ma a esso si affianca la fascia oraria proposta: per questo spesso Airport Security esordisce in prima serata su Dmax e approda solo in seguito su Nove; ma si tratta di scelte coordinate, con pesi e contrappesi: non decisioni imposte dall’alto, a scapito di uno dei canali, ma con l’obiettivo comune di costruire più valore intorno al prodotto.
Nel ricostruire non solo la storia, ma le ragioni e le logiche della distribuzione italiana di Airport Security, un’ulteriore domanda riguarda infine la decodifica del successo italiano da parte di chi ne ha costruito e anche ora ne regola il percorso, dei professionisti coinvolti e più in generale dello sguardo dell’industria tv e mediale. Da questo punto di vista, l’efficacia del programma è giustificata innanzitutto da un certo voyeurismo, nei tratti tipici di una declinazione del factual contemporaneo (e di interi canali tematici) che mettono al centro lo spioncino, il buco della serratura, le telecamere a circuito chiuso: si tratta, in fondo, di “una candid camera del piccolo crimine, con una dimensione quasi da people show”.21 Airport Security dialoga con altri titoli di successo dei canali Discovery come Spie al ristorante (Mystery Diners, Food Network, 2012-2016), con datori di lavoro sospettosi che controllano cuochi e camerieri; come Highway Patrol (australiano, Seven Network, 2009-) e Control de carreteras (spagnolo, Dmax, 2019-), sulle pattuglie autostradali; come Random Breath Test (australiano, Nine Network, 2010-2013); e più in generale con una tipologia di contenuto cosiddetto blue-light, in cui una divisa racconta la realtà, in toni ora più crudi e ora leggeri, con dinamiche di attrazione del pubblico simili: “se c’è un incidente ci fermiamo per strada, c’è una leva, la curiosità; tutte le volte che siamo all’aeroporto in coda tutti guardiamo con fascinazione i raggi x della signora che sta davanti, niente da fare”.22 Correlato, un altro punto di attenzione è allora la possibilità di vedere le reazioni della gente: con Airport Security si può
“cogliere un momento di imbarazzo delle persone, soprattutto in quelle versioni internazionali (come l’australiana, la neozelandese, la statunitense, a differenza della canadese o delle europee) che non sono blurrate, e che quindi ti mostrano le facce delle persone prese in castagna”.23
La ripresa di tratti inusuali, bizzarri o curiosi della realtà porta al terzo fattore narrativo di forza di questi programmi secondo i professionisti, il mescolamento di toni, con il passaggio da storie più intense ad altre più leggere, con una ibridazione costante tra lo sguardo ansiogeno-patemico e quello più buffo: “non ci sono solo le persone prese con le mani nel sacco, ma spesso la scoperta che non aspettavi, la sorpresa, una dimensione più divertente”.24 È questa molteplicità a consentire al pubblico più ragioni di visione:
c’è un elemento tensivo e c’è l’empatia, più un aspetto un po’ rocambolesco, legato alla curiosità sugli oggetti, sulla valigia, la droga, il nido della rondine… Il pubblico maschile è attirato dalla dinamica cops di fermo, controllo e paura, mentre quello femminile è più curioso, coinvolto, attento al poverino che è andato a trovare la fidanzata e adesso deve essere rimpatriato, al misto di tutti gli ingredienti.25
Anche la struttura delle puntate, con narrazioni multistrand, cambi di location e prospettiva e dimensioni compatte, permette poi una visione spesso distratta ma insieme appassionata, in qualche modo creando fidelizzazione: “sono più storie per episodio, e gli episodi sono brevi, per cui i punti di ingresso potenziali per il pubblico sono davvero tantissimi”.26 Pur riflettendo ampiamente sulle ragioni che, nella loro opinione, sottostanno al successo di Airport Security, e ne consentono la messa in onda abbondante e ripetuta su Dmax e Nove, si deve però notare che i ragionamenti in larghissima parte si concentrano sull’appartenenza a generi e sottogeneri, sulle modalità di racconto, sui tratti tipici del formato, sui modi di engagement del pubblico, mentre sono sottovalutati, o del tutto ignorati, in chiave industry, quegli aspetti tematici attorno a cui invece si sono spesso concentrate la discussione e ricezione pubblica, all’estero e anche in Italia, quali la focalizzazione su frontiere, confini e migranti. Il punto di vista professionale e televisivo tende a depotenziare il programma nella sua dimensione più ambigua e politica.
3 Un programma controverso. La ricezione critica nel mondo e in Italia
Sono proprio le implicazioni politico-culturali del programma che hanno attirato invece l’attenzione di studiosi e commentatori sia italiani sia internazionali. Rendere conto di questi dibattiti consente di individuare i legami specifici di Airport Security con questioni sociali che attraversano sia il dibattito politico sia la vita quotidiana degli spettatori. Si possono individuare quattro nuclei di discorso, distinti ma correlati, che hanno nel tempo coinvolto esperti e opinionisti, sia in Italia sia all’estero, accanto alla valutazione di tipo formale sul programma. Dal punto di vista critico e giornalistico, in contrasto con il buon successo di pubblico, Airport Security è generalmente poco esaltato e ritenuto poco originale. Per esempio, c’è chi ha scritto che il programma “isn’t slickly done, [… but] happens to come at the end of a cycle that has seen virtually every law-enforcement agency tapped as reality fodder” (Lowry 2008). Al tempo stesso, però, una serie di contributi, giornalistici e accademici, si è spinta oltre le semplici considerazioni di tipo estetico. Si possono articolare tali dibattiti in quattro insiemi. Il primo, seguendo alcune classiche chiavi di lettura del reality e del factual, si lega all’aspetto voyeuristico del genere e si concentra sulle questioni di privacy, che hanno impedito di rifare il format in alcuni Paesi. Un secondo discorso si concentra sul legame tra la produzione televisiva e le istituzioni governative dei Paesi coinvolti, con sottostanti scopi pedagogici o propagandistici più o meno espliciti; seppure questi aspetti non emergano dalle interviste agli addetti ai lavori italiani, segnalando una frattura rispetto a programmi ambientati in nazioni straniere, emergono però con forza nella riflessione accademica e traspaiono in alcuni interventi giornalistici. Il terzo nucleo discorsivo riguarda la possibile diffusione da parte di Airport Security di rappresentazioni dell’altro molto stereotipate e caricaturali, conseguenza di una inevitabile e necessaria spettacolarizzazione della realtà. Infine, un ultimo dibattito riguarda la costruzione delle specifiche identità culturali nazionali e la loro circolazione altrove; questo approccio rende particolarmente interessante la soluzione italiana di un franchise che lega una moltitudine di titoli nazionali non-italiani, fatti oggetto di una distribuzione locale e di mediazioni e impacchettamenti nazionali che aggiungono valore e ulteriori chiavi di lettura.
La prima discussione, attorno alla privacy, si avvita attorno ad alcune domande, emerse fin dall’inizio, sul possibile utilizzo di attori professionisti da parte dei produttori televisivi. Scrive Paul Farrell (2015) che “how the show gets its exclusive behind-the-scenes access has for many years been shrouded in mystery”. Le modalità con cui il programma è girato incidono in modo decisivo sulla sua riproducibilità come format, incompatibile con quelle legislazioni che tutelano la privacy in modo particolarmente attento (per esempio imponendo il blur sui volti, o richiedendo liberatorie dettagliate). Ma questo potrebbe depotenziare irrimediabilmente uno dei fattori narrativi di forza di questi programmi secondo l’industria televisiva, la capacità di stimolare la curiosità degli spettatori in relazione alle reazioni e alle espressioni di passeggeri sorpresi in una situazione di difficoltà.
Particolarmente importante nel portare questo tema all’attenzione dei media e del grande pubblico è stato il dibattito sviluppatosi attorno a Monica Jones, una nota attivista transgender americana che è stata fermata dagli ufficiali per accertamenti riguardati il suo visto. Jones firma il consenso ed è ripresa, ma in seguito le è negato l’accesso in Australia. Secondo l’attivista, la produzione di Border Security sarebbe stata informata dalla polizia del suo arrivo nel Paese e dei problemi relativi al visto. I produttori avrebbero fatto pressioni per filmare la storia e Jones, inizialmente contraria, avrebbe ceduto. Jones sostiene di aver compreso che accettare le regole del programma l’avrebbe aiutata a risolvere i problemi con il visto (Safi 2014). Questo caso pone questioni di tipo etico simili a quelle che, dall’altra parte del Pacifico, hanno spinto il governo canadese a cancellare la versione locale del programma dopo sole tre stagioni per violazione della privacy. Oscar Marta Duran, immigrato messicano in Canada, è sottoposto a interrogatorio in aeroporto e concede il permesso per le riprese. In seguito, appoggiato dalla British Columbia Civil Liberties Association, sporge però denuncia contro le autorità. Daniel Therrien, allora commissario canadese per la privacy, accoglie le istanze del messicano, scrivendo che “as a matter of principle, it is our view that federal government institutions cannot contract out of their obligations under the [Privacy] Act” (Bronskill 2016). Inoltre, le condizioni in cui il consenso è chiesto, in stato di fermo, sono ritenute di potenziale natura coercitiva. I difensori del programma sottolineano invece la totale volontarietà dell’adesione dei partecipanti, e sostengono che gli stessi abbiano una protezione nella possibilità di bloccare in ogni momento la messa in onda della puntata che li riguarda (Feil 2013).
Nel discorso pubblico italiano, questo dibattito è declinato solo in termini allusivi, in relazione alle “polemiche e discussioni” generate dal genere factual in quanto finestra che affaccia direttamente sulla realtà. Del Prete (2016), mentre cerca di definire i tratti fondamentali del factual enterntainment, individua nel concetto di autenticità, reale o percepita, l’elemento cruciale nel determinare il successo del genere: il factual è importantissimo nel processo di internazionalizzazione dei formati televisivi, offrendo linee guida e idee già testate in mercati simili, ma lasciando ampi margini di modellamento del prodotto attorno ai mercati e alle culture locali; è però vero anche che alcune nazioni non sono disposte a mediare sui valori che ritengono fondanti della propria identità, codificate nelle legislazioni nazionali. In sostanza, neppure la flessibilità e l’ampia circolazione dei format rende banali i processi di mediazione nazionale, intesi come complesse negoziazioni a livello legislativo, economico e organizzativo. Per Airport Security: Canada, la contrattazione tra globale e nazionale fallisce e il programma viene chiuso.
Le controversie sulla privacy si legano a un’altra domanda, relativa alle ragioni per cui i dipartimenti di polizia di frontiera accettino di essere coinvolti nella produzione di questi programmi, in un terreno che appare scivoloso. Questo interrogativo raccoglie un secondo dibattito che si sviluppa intorno ad Airport Security nelle varie nazioni, attorno alla legittimazione dell’azione di governo. Nelle interviste di alcuni responsabili chiave delle varie polizie di frontiera, non si è fatto mistero che alla base della collaborazione tra polizia e industria tv ci sia stato l’intento di dare un’immagine positiva dell’azione di governo nel controllo delle frontiere. Roman Quaedvlieg, Australian border force commissioner, dice apertamente che il programma “is globally syndicated. It is one of the best public relations capabilities that we have, and it is all for free!” (Sainty 2017). Per Anne Sittmann, a capo della divisione televisiva e cinematografica dell’US Customs and Border Protection, questo tipo di comunicazione è molto più efficace quando è condotta attraverso generi le cui immagini restano molto più impresse negli spettatori rispetto ai telegiornali. Sono programmi tanto efficaci, aggiunge, da costituire “an excellent recruitment tool” (Tanasichuk 2018). Anche Price e Nethery (2012: 151) scrivono che il programma “sparked a sharp increase in interest in employment with the government agencies”. Il factual assume persino una dimensione educativa. Sempre Sittmann parla di “edutainment, (… e) [t]he public begins to understand why we do what we do and are better prepared to comply” (Tanasichuk 2018). Non solo, le immagini potrebbero scoraggiare i potenziali trasgressori a violare la legge e invitare tutti “to strictly follow proper law-enforcement procedures” (Feil 2013). L’edutainment funzionerebbe su tre livelli: aiutando i passeggeri ad attenersi a certe procedure di controllo, aumentando la professionalità degli agenti di frontiera, inibendo crimini e violazioni.
Secondo vari critici e accademici, però, quello che Sittman definisce come edutainment è in realtà un aspetto piuttosto problematico per questa serie. Sarebbe infatti una strategia (illegittima) di influenza sui media da parte di dipartimenti di polizia, volta a dare un’immagine solo positiva di una polizia di frontiera che, scrivono alcuni, a volte si è resa protagonista di vicende poco edificanti (Schulz 2009; Stanley 2009). Mark Andrejevic ha coniato il termine securitainment, combinando l’“entertainment programming with a pedagogy of security” (2011b: 168). Airport Security sarebbe parte di un progetto politico e culturale più ampio di “commercial nationalism” dove il potere (simbolico) nazionale si diffonde attraverso prodotti di mercato. La rete fa profitti, il governo ottiene legittimazione e il pubblico si diverte. Questi contenuti spingono però verso approcci conservatori, legando implicitamente i problemi del Paese a fatti esterni e deresponsabilizzando le classi dirigenti nazionali. Peter Hughes usa il concetto foucaultiano di governamentalità (gouvernementalité) per giungere a conclusioni simili: “Border Security provides an opportunity for the agencies to mobilize, through an entertaining television program, popular support for the work of the agencies, potentially to de-politicize their work, and further, possibly to mobilize the traveller in the privatization of the management of risk” (2010: 447). Si responsabilizzano i passeggeri in situazioni “rischiose”, al fine di formare “compliant citizens” rispetto alle istruzioni e istituzioni nazionali (444). Si tratta di visioni molto polemiche nei confronti del programma, che sottintendono un pubblico in condizioni di passività. In realtà, come notano altri studiosi (Price and Nethery 2012) e come emerge dal punto di vista dell’industria mediale rappresentato dalle interviste realizzate con gli addetti ai lavori italiani, gli spettatori hanno spesso atteggiamenti di sfida rispetto a contenuti che trovano poco credibili. Anche le argomentazioni degli osservatori più critici non sembrano però del tutto infondate. Ed è vero che certa stampa ha sfruttato il programma in modo problematico, cercando di legittimare, per esempio, le azioni di polizia nei confronti di alcuni gruppi sociali. In Italia, in un articolo al limite della xenofobia su l’Opinione delle Libertà, Ruggiero Capone (2017) sostiene che Airport Security potrebbe essere usato per documentare, spiegare e giustificare “le attività [della polizia] del contrasto all’immigrazione”.
Proprio la giustificazione dell’azione di polizia in relazione all’immigrazione si lega a un terzo dibattito, che prende in considerazione il complesso rapporto che in Airport Security si stabilisce tra la finzione e la realtà. Quest’ultima, per molti, apparirebbe stereotipata e caricaturale, e gli spettatori, specialmente i meno informati e più distratti, sarebbero incoraggiati ad accettarla come oggettiva. Secondo studiosi e commentatori, per esempio, l’immagine caricaturale della frontiera convive con una stereotipizzazione dei migranti. In Australia, ci sono state polemiche sulla possibile istigazione alla xenofobia di una puntata in cui è fermato un cittadino coreano. Nel promo originale, “a narrator asks ‘what’s wrong with Mr Wong’ and Kung-fu style sound effects play in the background. The words ‘something’s wrong with Mr Wong’ also appears in an ‘Asian-style’ font” (Piotrowski 2014). Il messaggio si leggerebbe allora come “there is something wrong with Asia”. Anche giornalisti meno negativi riconoscono che, pur essendo “harmless entertainment, […] its effect is to foster a certain insularity and suspicion of outsiders that diminishes society in the long run” (Andrejevic 2011: 171). Allo stesso modo, la spettacolarizzazione delle operazioni di polizia può incoraggiare gli spettatori a distorsioni della realtà: “[t]he shows do make good TV, but in order to do that, they need to sensationalise and exaggerate the idea of a threat at our borders. These shows give the impression that countries are under siege from overwhelming numbers of people seeking to break laws and flout regulations” (Reid 2018). Sulla stessa lunghezza d’onda, un altro giornalista scrive: “another major critique is that these shows lack any balancing commentary or journalistic rigour, telling just one side of the story – that of the immigration officials” (Reid 2018).27 Emma Price e Amy Nethery (2012), interrogandosi sulle ragioni del successo della serie, lo individuano nel desiderio di conoscere la realtà del confine, più che nella paura dell’altro: se il pubblico percepisse il programma come inautentico, perderebbe interesse e guarderebbe altro. Anche in Italia, Greco (2016), facendo eco ad alcune delle affermazioni presenti nelle interviste ai professionisti di Discovery Italia, sottolinea la capacità della serie di creare empatia con soggetti che sono trattati con cinismo e a volte rispediti nel Paese di provenienza: “il programma che in questo momento, a mio parere, più d’ogni altro riesce a far immedesimare lo spettatore in cosa prova chi va alla ricerca di fortuna in un altro Paese è Airport Security”. Da un lato, allora, il programma suscita sentimenti regressivi legati a paura e sospetto, mentre dall’altro genera empatia per persone trattate con poca umanità e tolleranza. In entrambi i casi, la spettacolarizzazione della realtà pone interrogativi su una (volutamente) fuorviante indistinzione tra finzione e realtà.
Se le migrazioni sono un argomento cruciale degli ultimi anni, un altro tema – e quarto nucleo del discorso italiano e internazionale attorno ad Airport Security – riguarda infine l’identità culturale nazionale. Solo pochi commentatori, in realtà, riconducono il programma a una riflessione che vada oltre le inevitabili caricature e stereotipi della rappresentazione. Ma la rimodulazione di più prodotti distinti all’interno del franchise fatto circolare sulla televisione italiana e le altre forme di mediazione e adattamento sono anche modi di declinare, modificare e spostare altrove elementi che tratteggiano società e nazioni altre, innescando fenomeni sia di possibile “straniamento” (l’altro come diverso) sia di “addomesticamento” (la ricerca dei tratti comuni a un modo di pensare più ampio, sovranazionale se non globale). Da questo punto di vista, Yolande Pottie-Sherman e Rima Wilkes (2016) hanno fatto luce sulla stratificazione simbolica del format nel suo adattamento al contesto politico-culturale canadese, inserendo nell’analisi anche la ripresa statunitense: la versione canadese, a un primo livello di stratificazione simbolica, avrebbe per le studiose una forte componente antiamericana; un secondo livello simbolico sarebbe invece legato a temi più classici, “tropes that legitimate discrimination based on cultural difference” (in particolare in relazione ai migranti cinesi). Il primo livello simbolico potrebbe contribuire quindi ad attività di nation branding, inteso come “a commercial campaign (and the private-public partnership that develops it) for building a sense of national identity both at home and abroad” (Volcic e Andrejevic, 2011: 614). Per le autrici, Airport Security: Canada racconterebbe la polizia locale come più tollerante rispetto a quella statunitense, incarnando valori come l’inclusione, la tolleranza e l’umanità, tratti che per estensione si vorrebbero caratterizzanti la società canadese in toto. Il programma sarebbe quindi innervato di una sorta di nazionalismo paternalista e buonista, fino a offrire una lettura distorta dell’identità culturale canadese. Nella stessa prospettiva, potrebbe essere interessante capire in che modo il “reimpacchettamento” di Airport Security proposto agli spettatori italiani influenzi la ricezione di alcune dinamiche di caratterizzazione nazionale delle varie versioni, e quanto invece queste differenze siano allentate dal franchise condiviso. Incalzare il pubblico con versioni di Paesi diversi stimola o inibisce la formazione di stereotipi culturali? Spinge al confronto tra diversi usi e costumi? Stimola, in qualche modo, processi di autoriflessione sulla propria identità culturale o, al contrario, spinge semplicemente il pubblico verso superficiali generalizzazioni “dell’altro”?
4 Conclusioni
Come emerge in modo chiaro sia dall’analisi dei percorsi distributivi sia dalla ricognizione dei nuclei discorsivi, Airport Security è un programma popolare e importante, nonostante il suo collocarsi (per genere e considerazione) ai margini dello scenario televisivo. Questo è dovuto sia al successo dei programmi originali, che la versione italiana assembla e mette insieme, sia alle specifiche strategie di mediazione nazionale e di adattamento pensate e adottate per il pubblico italiano. Gli impulsi voyeuristici, la curiosità di vedere un confine di cui si parla tanto ma che si vede poco, la ricerca di esperienze che suscitino empatia per migranti e turisti in difficoltà, o al contrario la ricerca di immagini che possano riaffermare acriticamente stereotipi consolidati, mettono al centro, come in molti altri factual, l’eccezionalità del quotidiano. Questa eccezionalità, è suggerito agli spettatori, si cela dietro a un linguaggio e a routine familiari, a quelle esperienze vissute spesso da molti, alle banali file al check-in (fatte di sconosciuti, ma anche di personaggi fondamentali per un programma come Airport Security).
La ricostruzione dei percorsi e dei processi di mediazione nazionale avvenuti in Italia mette in luce come uno dei punti di forza del programma stia nella capacità di tenere assieme in modo coerente le varie, distinte componenti del franchise, che hanno conferito una straordinaria varietà al prodotto sotto il cappello di un unico brand estremamente riconoscibile, e consentendo un approvvigionamento ampio e costante di contenuti, programmati e ripetuti molto spesso. Anche senza una strategia promozionale ad hoc, il programma si è potuto consolidare attraverso una progressiva fidelizzazione del pubblico, attirato in modo casuale e poi via via più coinvolto rispetto al programma nei suoi vari orari di messa in onda (con incursioni nella prima serata, passaggi da un canale all’altro, pause e spostamenti). Il brand e la strategia di messa in onda riescono in questo modo a tenere insieme con efficacia un prodotto fatto di tante unità che, senza attenzione editoriale, poteva correre il rischio di essere percepito come sfilacciato e poco coerente. Il risultato ottenuto, e per nulla scontato, è invece un testo variegato, diversificato, ma che mantiene una coerenza e identità riconoscibili, e uno specifico valore “italiano”.
Il dibattito, che ha coinvolto giornalisti e accademici sia in Italia sia all’estero, si è sviluppato in molte direzioni, con interpretazioni variegate e spesso sottili. Se il discorso industriale presenta maggiori certezze, evitando gli aspetti tematici e valorizzando il programma attraverso i suoi tratti di formato, il discorso pubblico ha aggiunto alcune sfumature in più e ha prestato particolare attenzione ai contenuti e alle loro implicazioni. Molti fra i commentatori hanno sottolineato implicazioni anche negative del programma, sottolineando la voluta confusione tra realtà e finzione, tra verità e intrattenimento, tra impressione di immediatezza e costruzione produttiva, interpretando la reazione dell’audience ora in modo pessimistico e altre volte con più fiducia, rivendicando la possibilità di resistenza alle forzature eccessive del programma. Indipendentemente dal successo di pubblico, si pone un problema etico. E così Airport Security diventa un prisma capace di tenere assieme sia una riflessione sul genere factual e sulle sue possibili problematicità sia un’ampia circolazione trasversale a quelle stesse frontiere che sono messe in scena, e ancora sia la potenza di processi produttivi e distributivi non certo neutri ma al centro di costanti mediazioni sia gli spazi diretti e indiretti per mettere in discussione questo potere. Mica male, per un titolo che, in Italia e altrove, si inserisce negli interstizi della programmazione tv.
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Breve comunicazione di Gaia Spizzichino, programming content manager, Discovery Italia, 14 gennaio 2020.↩︎
Le tendenze della programmazione, per Border Security e per i titoli successivi, su Dmax e su Nove, sono state ricostruite grazie alla disponibilità dei dati grezzi rilevati da Auditel. Si ringraziano Cristina Cattaneo, insights and research director, e Samuel Pozzi, insights and research coordinator, Discovery Italia, per i dati, le elaborazioni e la cortese disponibilità.↩︎
Breve comunicazione di Gaia Spizzichino, cit.↩︎
Intervista a Giulia D’Orazio, programming manager Nove, Discovery Italia, 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista a Giovanni Brasca, programming manager Nove, Discovery Italia, 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, senior programming director di Nove, Discovery Italia, 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista a Giulia D’Orazio, cit.↩︎
Intervista a Giovanni Brasca, cit.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 18 novembre 2019.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista a Giulia D’Orazio, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Anche i dati e i profili di ascolto complessivi del franchise Airport Security sono il risultato delle elaborazioni ad hoc di Cristina Cattaneo e Samuel Pozzi della direzione insights and research di Discovery Italia, che di nuovo ringraziamo.↩︎
Intervista a Giovanni Brasca, cit.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 18 novembre 2019.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 18 novembre 2019.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 18 novembre 2019.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., Discovery Italia, 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 14 gennaio 2020.↩︎
Intervista ad Aldo Romersa, cit., 18 novembre 2019.↩︎
Intervista a Giulia D’Orazio, cit.↩︎
Intervista a Giovanni Brasca, cit.↩︎
Si veda anche Walsh (2015).↩︎