Cinergie – Il cinema e le altre arti. N.16 (2019)
ISSN 2280-9481

Il cinema è morto. Evviva il cinema! Daniele Dottorini, La passione del reale. Il documentario o la creazione del mondo, Mimesis, Milano-Udine 2018

Anna MasecchiaUniversità degli Studi di Napoli “Federico II” (Italy)

Pubblicato: 2019-12-23

Il cinema ha rivoluzionato tanto la relazione tra soggetto e mondo quanto lo sguardo sul reale. Fin dalla sua origine ha declinato una “impurità” (Badiou 2004) che si è mossa tra la sua natura di «analogon della vita» e quella di «trasfigurazione, trasformazione magica del mondo» (p. 14). A partire dal sottotitolo del suo ultimo lavoro, La passione del reale. Il documentario o la creazione del mondo, Daniele Dottorini traduce in questi termini filosofici, ben più complessi, la nota dicotomia tra natura documentaria e finzionale del cinema delle origini, ampiamente superata tanto dalla storiografia cinematografica quanto dalla prassi delle diverse stagioni del documentario, soprattutto a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, quando quello che si è progressivamente definito come cinema del reale ha avuto una crescita vertiginosa, sia in qualità che in quantità.

Dottorini ha indagato negli anni questo territorio florido e di rilancio sperimentale del mezzo cinematografico (cfr. in particolare Dottorini 2013, ma si veda anche il suo contributo a Credito, «Fata Morgana», 19, 2013). Ora, in questo ultimo studio ha fatto confluire riflessioni che dialogano con posizioni filosofiche sullo statuto delle immagini e sul cinema stesso, come quelle di Alain Badiou, Gilles Deleuze, Marie-José Mondzain. Per lo studioso, l’attenzione per l’“idea documentaria” (Bertozzi, Pannone 2007) e per il cinema del reale non nasce solo dal desiderio di definire ulteriormente una forma cinematografica che sembra intercettare i mutamenti tecnologici e la loro ricaduta estetica, dialogando meglio di altre con il nostro presente. A questa operazione si sono infatti dedicati in tempi anche recenti molti studiosi italiani (Bertozzi 2013; Cecchi 2017; Perniola 2014), i cui testi Dottorini mette proficuamente alla prova elaborando il proprio percorso, interrogando anche lo statuto delle immagini contemporanee. Il suo tragitto, attraverso la costruzione del cinema del reale come discorso e oggetto teorico, non vuole indagare solo la verità delle immagini ma il loro statuto complessivo e soprattutto «il credito che si può concedere ad uno sguardo che ha filmato il proprio credere nel mondo» (p. 60). Così facendo, l’autore chiarisce la posizione da cui muove l’urgenza di un orizzonte teorico che analizza il guardare – inteso anche come prendersi cura – di registi che costruiscono una relazione molto particolare con lo spettatore. Ben lungi dal lavorare ad una performance esteriorizzata di una realtà che si fa evento, questi testi, che potremmo definire dialogici, rilanciano l’incontro stesso con il reale come elemento evenemenziale. Il filtro soggettivo di colui che guarda e racconta rende questo incontro un percorso che rinsalda, attraverso la passione del reale (pp. 41-49), «il legame tra cinema, vita ed esperienza» (p. 33).

Parlando di esperienza non possiamo fare a meno di entrare nell’orizzonte del cinema della modernità, che ha ristabilito un dialogo tra i film di finzione e le aporie della realtà circostante quando, soprattutto dopo il trauma della Seconda guerra mondiale, la perdita di senso ha interrotto “il legame tra uomo e mondo” (si pensi al Neorealismo letto dal Deleuze di Cinéma 2. L’image-temps e, in particolare, a Rossellini). Il cinema del reale è figlio di questa svolta paradigmatica e epocale in cui il “rapporto tra costruzione finzionale e traccia del reale”, tra ciò che mette in crisi la verità delle immagini e lo “scarto” del reale, è diventato materia espressiva capace di scardinare formule narrative e audiovisive consuete per recuperare un “regime della credenza (come lo chiama Mondzain)” o «un nuovo legame tra uomo e mondo (come lo definisce Deleuze)» (pp. 61-62). In questo modo, il film può costruire uno “spazio di ascolto”, come nel caso di Dal ritorno di Giovanni Cioni (2015), oppure un mondo dell’esperienza che si struttura attraverso un montaggio empirico già inaugurato da Chris Marker e che ritroviamo in esperienze contemporanee come Nostalgia de la luz di Patricio Guzmán (2010). Con sguardo sincretico, Dottorini fa risuonare alcune esperienze del documentario contemporaneo con istanze del mezzo e del dispositivo cinematografici di epoche passate. Arriva così a congiungere, arditamente, il cineocchio e il montaggio di Dziga Vertov con le recenti esperienze “documentarie” di Werner Herzog, che sarebbero accomunati dallo stesso impegno “per il reale” e che, in effetti, mettono in relazione più sguardi, interrogando la «posizione da cui guardare, con cui incontrare e relazionarsi con altri corpi e soggetti» (p. 82).

Poste le basi teoriche e l’orizzonte di senso e di sensi (Niney 2002) da cui e verso cui intende muoversi, Dottorini passa ad esplorare Spazi e Mondi, paesaggi concreti e sensoriali (analizzando film prodotti nel quadro del Sensory Ethnography Lab di Harvard), fantastici e astratti, che consentono di ipotizzare nuovi modi di abitare il mondo grazie alla metamorfosi degli spazi reali operata dal cinema. Su questa stessa linea si muove l’analisi, con e attraverso il pensiero di Michel Foucault, di Histoire de Paul di René Féret (1975), in cui la “forza dinamica e trasformativa dello spazio-set” diventa abbrivio per un discorso che vuole affrontare la “politica delle immagini” propria del cinema del reale, che a partire dalla relazione tra spazio, corpo e parola costruisce luoghi in cui mettere sotto osservazione i meccanismi biopolitici e in cui rappresentare una geografia dei corpi che “incontra” territori e luoghi dell’erranza contemporanea.

Il cinema del reale, il suo filmare, significa anche mettere in discussione il Tempo, inserire l’evento in una precisa cornice – si veda l’efficace analisi di Zidane, un ritratto del 21° secolo (2006) di Douglas Gordon e Philippe Parreno (pp. 160-170) – oppure offrire uno spazio cinematografico in cui configurare le occasioni, quei momenti che separano il tempo e che sarebbero altrimenti invisibili. Tuttavia, a caratterizzare in maniera più propria la relazione tra immagini e tempo nel cinema del reale è la giusta distanza, anche temporale, che il documentarista introduce tra sé e il filmato, la durata del «tempo dell’incontro, della costruzione della relazione tra chi filma e chi è filmato» (p. 174), oggetto di tutta l’ultima parte del lavoro di Dottorini. A nostro avviso, è proprio questa relazione ad aver spinto lo studioso verso un tipo di film che propone uno «spazio alternativo al proliferare delle immagini contemporanee» e che, mentre reintegra «lo stupore e la meraviglia di fronte al mondo» originarie del mezzo e del suo dispositivo, apre il soggetto che guarda (regista, personaggio, spettatore) all’incontro con un cinema che «non produce rappresentazioni chiare, ma si impegna o può impegnarsi ‘per’ il reale attraverso la creazione continua di immagini, tutte legate ad un movimento verso o a causa di qualcosa (il reale) che non è mai già dato» (p. 31).

Movimento del cinema e movimento del pensiero sono, come voleva Deleuze, entrambe pratiche creatici (p. 216) che animano il tempo e che fanno sopravvivere tanto gli istanti quanto la memoria, mettendo dunque in dialogo, attraverso il soggetto che (si) guarda, che si prende cura del reale, presente e passato, storia collettiva e esperienza del singolo.

Bibliografia

Bertozzi, Marco, Pannone, Gianfranco (2007), L’idea documentaria. Altri sguardi dal cinema italiano, Torino: Lindau

Bertozzi, Marco (2013), Recycled cinema. Immagini perdute, visioni ritrovate, Venezia: Marsilio

Cecchi, Dario (2017), Immagini mancanti. L’estetica del documentario nell’epoca della intermedialità, Cosenza: Pellegrini

Dottorini, Daniele (2013) (a cura di), Per un cinema del reale. Forme e pratiche del documentario italiano contemporaneo, Udine: Forum

Niney, François (2002), L’épreuve du réel à l’écran : Essai sur le principe de réalité documentaire, Bruxelles : De Boeck

Perniola, Ivelise (2014), L’era postdocumentaria, Milano: Mimesis