Il lavoro di Luca Malavasi si pone l’obiettivo di inquadrare gli sviluppi e le eredità rintracciabili nella controversa episteme postmoderna che conducono il cinema contemporaneo a riflettere profondamente sulla propria identità mediale. Lo studioso affronta tale sfida innanzitutto con l’intenzione di fare chiarezza sulle differenze terminologiche tra le nozioni di Postmoderno, postmodernità e postmodernismo, e, successivamente, di fissare concettualmente i discorsi del cinema della postmodernità e della postmodernità del cinema.
Rifacendosi a una dialettica che si articola sugli intriganti motivi apocalittici di una morte e rinascita del corpo teorico del Postmoderno, Malavasi imposta una densa e ricca ricerca che sfrutta al meglio la distanza storica maturata rispetto all’oggetto di studio. Il ruolo del cinema viene ripensato all’interno di una fine, quella del Postmoderno, che, soprattutto nel dibattito italiano, è stata certificata troppo sbrigativamente e con un eccessivo entusiasmo – ad esempio, si pensi in ambito letterario ai contributi di Romano Luperini (La fine del postmoderno, 2008) e Raffaele Donnarumma (Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, 2014).
Le cause della morte del Postmoderno, pertanto, vengono rilette attentamente, focalizzando l’analisi sul ruolo della teoria critica all’interno dei processi di mediatizzazione che hanno coinvolto la cultura degli ultimi trent’anni. Lo sguardo critico e consapevole di Malavasi individua la fine del Postmoderno nella sua duplice inadeguatezza rispetto a fenomeni individuabili come endogeni ed esogeni: la prima, rispetto agli scenari mediali della rivoluzione digitale; la seconda, invece, nei rovesci oscuri dei macro-processi globali del capitalismo e nella brutalità del reale inscritta nelle enormi catastrofi storico-sociali che hanno colpito l’inizio degli anni zero.
Il primo capitolo inizia proprio dalla fine, dal certificato di morte del Postmoderno, a cui segue una puntuale autopsia e, infine, l’analisi dei tentativi di smaltimento di un corpo teorico non più conforme all’interpretazione della complessità dei fenomeni circostanti. Con il passaggio di millennio, la rivoluzione digitale, l’11 Settembre, la crisi economica, ecc., quello che emerge in chiave storica è un nuovo umanesimo anti-postmoderno che reagisce aspramente mirando a disinnescare l’ironia a favore di un morale dell’autenticità, a re-installare il realismo al posto del simulacro, e, di conseguenza, a ripensare radicalmente la presenza storico-culturale del Postmoderno in relazione alle fasi più tarde del Modernismo. A tal fine, vengono analizzati i diversi movimenti etichettabili come “post-postmoderni”, ovvero, i vari “ismi” che si sono affastellati rapidamente e i cui programmi e manifesti hanno auspicato, con le dovute differenze, un necessario ritorno all’autentico e all’ordine - Stuckism, Re-modernism, Meta-modernism, Digi-modernism, Supermodernism, ecc. – e che, come nota puntualmente Malavasi, non sono riusciti, però, ad affiancare alla distruzione una componente “creativa” e un’efficace pars contruens.
Il secondo capitolo si rivolge al cinema come strumento precipuo per analizzare le dinamiche che hanno attraversato il periodo postmoderno, come momento in cui «cambia il modo di cambiare del cinema» (p.89, corsivo dell’autore). Malavasi riconsidera il Postmoderno a partire da un «campo di forze di natura e intensità diverse» (p. 67), in cui hanno agito, dialogando tra loro, una serie di trasformazioni tecnico-mediali, una profonda ridefinizione dei modelli industriali dell’intrattenimento tesi a fagocitare la specificità del cinema in conglomerati mediali complessi, e, conseguenzialmente, lo sviluppo di un’estetica in grado di riassumere ed esternalizzare tali movimenti, in cui sono centrali il ruolo e l’indagine sull’immagine in quanto «“oggetto” e principale filtro di mediazione dei significati e dei valori sociali, e in quanto prolungamento e reificazione di una visualità sempre più amministrata dalla tecnica» (p. 69).
L’analisi scioglie le fitte relazioni tra l’ontologia dell’immagine mediale e la (ri)costruzione della realtà, proponendo una convincente riflessione sulle principali teorie dei visual studies, di cui viene riconosciuto il contributo nel fornire un approccio metodologico in grado di interpretare quegli di assetti simulacrali e digitali che si sono successivamente “naturalizzati” nella più recente contemporaneità.
Centrale nel terzo capitolo è la nozione di iperrealtà, con cui viene avviata una riflessione sull’identità mediale del cinema. Attraverso un vasto corpus di film, Malavasi enuclea i modi con cui la finzione tecnicamente si sostituisce alla realtà, per passare poi all’analisi delle azioni e reazioni a tale fenomeno individuabili nella dimensione simbolico-visuale dei film degli ultimi trent’anni. Il cinema diviene, allora, il mediatore delle relazioni tra l’immagine tecnica e la realtà, e l’iperrealismo la sua condizione esistenziale e storica durante la postmodernità. La riflessione tende ad approfondire l’ontologia in fieri dell’immagine cinematografica all’interno dell’“insaziabilità” tipica della visualità postmoderna; l’analisi si concentra, allora, su quelle rappresentazioni filmiche in cui le soglie tra la dimensione finzionale e quella reale diventano attraversabili (significative le analisi di La rosa purpurea del Cairo e Videodrome), e in cui decadano i dualismi tra materiale e immateriale, presente e assente, animato e inanimato, generando delle eclettiche formule dell’immaginario (si vedano le analisi di Troppo belle per vivere e Blade Runner). Per Malavasi, il postmodernismo del cinema tende anche a ridefinire il proprio ruolo di disciplina umanistica: «la “rivoluzione tecnologica” del cinema contemporaneo, della quale il postmodernismo cinematografico rappresenta un primo e fondamentale tassello, deve insomma essere pensata sullo sfondo di questo regime di tecnicizzazione dei processi di creazione, produzione, trasmissione del sapere e dei contenuti» (p. 141, corsivo dell’autore).
Il libro offre una ricca mappatura dei fenomeni, culturali, critici e mediali, che sono stati in parte anticipati, consolidati e sfuggiti alle griglie teoriche del Postmoderno. In questo modo Malavasi riesce a segnalare la cruciale importanza del Postmoderno all’interno dei processi di metamorfosi dell’ontologia dell’immagine tecnica, i cui risultati oggi sono cuciti addosso al nostro visivo. Il dibattito critico sul Postmoderno viene legittimamente rianimato con il fine di segnalare un’eredità non in termini stilistici o estetici, forse, nemmeno in quelli di una tematizzazione della tecnologia, quanto nei modi di una riflessione continua sul rapporto tra l’ontologia dell’immagine tecnica e l’intenso debito che questa accumula verso la presenza della realtà; in altre parole, indicando, a partire dal Postmoderno, gli orizzonti prossimi del dibattito sulle immagini mediali nel cinema e nella società della contemporaneità.