Negli ultimi decenni il cinema mondiale ha contribuito a descrivere e configurare la diaspora delle popolazioni globali, la narrazione della mobilità dei popoli e della coercizione delle frontiere nazionali. Non è un caso che nel contesto socio-politico globale contemporaneo la questione dei migranti e dei rifugiati sia al centro dei dibattiti internazionali; non sfugge a questa tensione la pratica della ricerca artistica, in particolare nell’ambito delle narrazioni audiovisive e cinematografiche, che ha raccolto la memoria visuale e l’identità creativa delle vicende umane che si intersecano in questi percorsi.
Proprio come altri settori degli studi umanistici, l’analisi del cinema ha spesso interpretato una storiografia costruita su basi geografiche e confini nazionali. Non fa eccezione lo studio del cinema italiano, che all’estero è spesso costola dei dipartimenti di Italianistica, i quali includono il cinema fra le discipline di studio interpretandolo come parte di una cultura nazionale, ovvero espressione della storia culturale e dei fenomeni sociali e antropologici più rilevanti (Sorlin, 1996:1). Il cinema italiano è stato infatti percepito come parte integrante della costruzione identitaria nazionale, per la sua capacità di attivare meccanismi di identificazione e d’immaginario alla base della ricezione collettiva e delle aspettative delle comunità spettatoriali.
La prospettiva posta da questa ricerca sovverte tali basi tradizionali ed evoca una antropologia del cinema italiano in una dimensione di soggettività in transito, raccontando come il cinema italiano degli ultimi trent’anni abbia descritto mappe dei movimenti tra confini, fornendo una prova della tensione e della preoccupazione che ha accompagnato la lenta trasformazione socioeconomica del paese, che da una nazione tradizionalmente di emigranti, tra nord Europa, America e Australia, è divenuto il punto di destinazione di oltre cinque milioni di immigrati in tre decenni. L’Italia ha vissuto dunque, in un tempo relativamente breve, il susseguirsi di fenomeni complessi legati alla dicotomia emigrazione-immigrazione, che hanno metabolizzato il racconto della partenza e dell’arrivo come essenza della stessa cultura italiana, in una negoziazione fra tradizione e innovazione nella dialettica tra dimensione culturale e geografica.
I percorsi della mobilità hanno infatti tracciato la fenomenologia degli itinerari di esplorazione visiva di un’intersoggettività transnazionale, sebbene alcune prospettive eurocentriche abbiano anche influito nella ripetizione di pregiudizi coloniali e postcoloniali; infatti, spesso il cinema contribuisce a riprodurre presupposti egemonici tra gerarchie sociali, con notevoli potenzialità di conseguenze sull’immaginario spettatoriale. Un immaginario che non è esente da processi “imagologici”, ovvero immagini, pregiudizi, cliché e stereotipi di una determinata cultura, per citare gli studi che Hugo Dyserinck e Daniel-Henri Pageaux hanno dedicato alla comparativistica letteraria.
L’autrice utilizza il termine “transnazionale” riferendosi alle connotazioni di movimento transfrontaliero, ma anche di flessibilità e porosità, che lo distinguono dalla parola “globale”. In questo senso, O’Healy si rifà alla definizione di Paul Jay, che rivela una molteplicità di differenze radicate nelle identità personali, culturali e politiche al di là delle località in cui le linee di confine tra culture, razze, generi e classi sono più porose e fluide (Jay, 2010: 92). Con la dimensione transnazionale viene meno il carattere etnografico (Alovisio, 2011) della descrizione italiana dei migranti, ridefinendo semmai le traiettorie del dibattito fra cittadinanza e italianità nelle narrazioni audiovisive (De Franceschi, 2013).
Áine O’Healy, docente di Italiano al Bellarmine College of Liberal Arts presso la Loyola Marymount University di Los Angeles, si è a lungo occupata di questi temi; è stata infatti curatrice del numero di «Feminist Media Review» intitolato Transcultural Mediations and Transnational Politics of Difference (con Katarzyna Marciniak e Anikó Imre, 2009), nonché autrice, tra le sue numerose pubblicazioni, di Transnational Mobility and Precarious Labor in Post-Cold War Europe: The Spectral Disruptions of Carmine Amoroso’s Cover Boy (in The Cinemas of Italian Migration: European and Transatlantic Narratives, a cura di Sabine Schrader e Daniel Winkler, 2013) e Postcolonial Theory and Italy’s ‘Multicultural’ Cinema (in The Italian Cinema Book a cura di Peter Bondanella, 2014). In questa monografia riesce a raccontare le mappe della mobilità della narrazione cinematografica italiana e dei suoi labili confini, costruendo un solido impianto teorico e delineando una traiettoria dell’ansia che attraversa non solo le tensioni politiche europee, oggi improntate ad un preoccupante ritorno della propaganda xenofoba e del lessico razzista, ma anche le strategie di storytelling di oltre trenta film prodotti a partire dagli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo del sistema ideologico che aveva caratterizzato gli equilibri politici dal dopoguerra in poi, in cui dall’immigrazione post-comunista dall’Europa orientale si giunge a riflettere sull’impatto degli arrivi dall’Africa attraverso Lampedusa. In tale contestualizzazione, l’autrice si concentra sulle pratiche cinematografiche contemporanee italiane e sulla loro definizione del panorama mediale, che non può più essere contemplato in una prospettiva di tradizione nazionale, ma vive della relazione fra globale e locale. Questo libro analizza un corpus di film prodotti in Italia fra il 1990 al 2016 che rievocano le ansie connesse alla globalizzazione, parallelamente all’aumento dei fenomeni migratori che dal Medio Oriente e dal Sud del mondo hanno interessato la società italiana contemporanea, intercettando questioni relative alle normative europee (un quadro legislativo ancora poco consapevole) e alla crisi dell’economia neoliberista dei paesi occidentali. Sebbene i film descritti siano quasi esclusivamente creati da registi italiani per un pubblico italiano, sono innegabilmente permeati da un discorso transnazionale, non solo per le tematiche legate all’attraversamento delle frontiere, ma anche all’inedito impiego di lingue diverse dall’italiano. Tutto questo testimonia una sempre più consapevole ibridazione culturale, che evoca questioni ed influenze internazionali, affrontate anche da altri film realizzati in altri paesi europei che hanno vissuto simili questioni politiche e sociali in funzione delle dinamiche connesse al viaggio e all’integrazione dei migranti.
O’Healy esplora argomenti molteplici ed eterogenei, come la configurazione del lavoro migrante, il concetto di razza bianca nella cultura italiana e il passato coloniale del Bel Paese, che permettono di immaginare la società italiana attraverso una mappatura dei suoi confini attuali, reinterpretando impianti culturali e geografici in una dimensione fluida, in cui i processi espressivi ed emozionali che appartengono alle storie associate alla migrazione determinano la propria portata emotiva ed estetica.
Bibliografia
Alovisio, Silvio (2011), “Con gli occhi dell’altro. Riflessioni sullo sguardo soggettivo nel cinema italiano sui migranti” in Segnocinema: 179.
De Franceschi, Leonardo (2013), L’Africa in Italia: per una controstoria postcoloniale del cinema italiano. Roma: Aracne.
Jay, Paul (2010), Global Matters: The Transnational Turn in Literary Studies. New York: Cornell University Press.
Sorlin, Pierre (1996), Italian National Cinema 1896-1996. New York: Routledge.